di Padre Stefano Miotto
Il Vangelo di questa domenica ci insegna ad avere una fiducia illimitata nella Divina Provvidenza. Parlando alle folle, Gesù afferma solennemente: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24). I due padroni che si contendono l'uomo sono Dio e la ricchezza. La ricchezza seduce l'uomo per farne uno schiavo, Dio lo attira per fare di lui un figlio libero. La scelta dell'uomo è dunque tra un bene effimero e ingannevole e il Bene sommo e necessario, tra la schiavitù e la libertà dei figli di Dio.
Dopo l'iniziale affermazione, il discorso di Gesù si fa pressante, inesorabile, per fugare dall'uomo uno dei mali che è di tutti i tempi e che sembra caratterizzare in modo particolare il mondo in cui viviamo oggi. Questo male è la preoccupazione, l'ansia, l'assillo, l'affanno che invadono l'uomo di fronte al bisogno quotidiano e all'incertezza del futuro. L'angosciosa preoccupazione per i beni della terra è contraria alla fede nell'amore premuroso e provvido del Padre Celeste.
Nella prima lettura, questo amore premuroso e provvidente di Dio è descritto come l'amore di una madre: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Tante volte potrebbe sopraggiungere la tentazione di considerarci abbandonati da Dio, di pensare che Egli non si prenda più cura di noi. Di fronte a questa tentazione dobbiamo reagire prontamente con la preghiera e con la meditazione della Parola di Dio.
Per descrivere la premura più che materna della Divina Provvidenza, Gesù si serve di paragoni molto belli desunti dal creato, paragoni che erano certamente molto familiari agli ascoltatori del Maestro che, per lo più, erano pastori e contadini. Egli parla dei gigli del campo e degli uccelli del cielo ed invita a considerare come il Padre Celeste si prende cura di loro: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro Celeste li nutre» (Mt 6,26). E, subito dopo, afferma: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28-29).
Gesù, dunque, ci esorta a non preoccuparci: noi valiamo molto più degli uccelli del cielo e dei gigli del campo. Se Dio ci ha dato il bene preziosissimo della vita, che costituisce il più, perché non dovrebbe o non potrebbe provvedere a ciò che serve al nostro sostentamento, che è il meno? Come fare per sperimentare questa Provvidenza? Gesù ce lo dice chiaramente: «Cercate [...], anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Dobbiamo dunque mettere le esigenze di Dio al primo posto nella nostra vita. Se, invece, faremo come i pagani, e ci preoccuperemo per l'avvenire, e metteremo queste esigenze terrene al di sopra di tutto, allora non otterremo l'aiuto tanto necessario.
Questa fiducia illimitata nella Divina Provvidenza non dispensa l'uomo dall'impegno per le cose della terra. Le parole che abbiamo ascoltato non sono un invito alla pigrizia, alla spensieratezza e ad aspettare che la Provvidenza piova dal cielo senza alcuna nostra collaborazione. Il nostro impegno ci dovrà sempre essere e, insieme al nostro impegno, verrà l'aiuto divino. Con frase molto profonda, san Massimiliano Maria Kolbe insegnava che bisogna "occuparci" ma mai "preoccuparci". Questo, penso, sia l'insegnamento più profondo della pagina evangelica di oggi.
Già un saggio dell'antichità pagana, il noto Seneca, diceva che non si deve sciupare il tempo presente con la paura del futuro. A questa sapienza umana, il Vangelo aggiunge la vastità degli orizzonti divini e la certezza che lassù in cielo non vi è una divinità indifferente a ciò che capita quaggiù sulla terra, ma vi è Dio che vede e provvede. Abituiamoci a vedere nelle piccole cose di ogni giorno un segno della sua bontà. Quanto più aumenterà la nostra fiducia, tanto più cresceranno gli aiuti di Dio.
Terminiamo questa omelia con una frase che Gesù diceva ad un'anima privilegiata, una frase che sintetizza molto bene il messaggio delle letture odierne: «Se Io sono buono per tutti, sono buonissimo verso coloro che hanno fiducia in me. Sai quali sono le anime che approfittano di più della mia bontà? Sono quelle che prima di tutto hanno fiducia... Le anime fiduciose rubano le mie grazie».