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La Liturgia di Domenica 30 Giugno 2019

29/6/2019

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XIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - RITO ROMANO
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Grado della Celebrazione: SOLENNITA'
Colore liturgico: VERDE
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ANNUNCIO

Gesù indurisce il volto si incammina senza indugio verso la città che uccide i profeti, che massacra ogni opinione, che annienta ogni novità creduta pericolosa. Dai suoi discepoli pretende la stessa convinzione.


La determinazione nell'annuncio del Vangelo non può mai diventare violenza, anche solo verbale, anche per una buona causa. La sconfortante figuraccia di Giovanni il mistico ammonisce i fratelli che hanno avuto la gioia di sperimentare la dolcezza della preghiera e della meditazione, del silenzio e della contemplazione, raggiungendo vette spirituali non abituali nel percorso di fede. L'avere ricevuto enormi grazie non ci mette al riparo da clamorosi errori, tanto peggiori quanto motivati da presunte rivelazioni interiori. Il discepolo è un amante della pace, un pacifista pacificato, uno che sa che la scelta del Vangelo è - appunto - una scelta, uno che sa valutare il fallimento del proprio annuncio nella paziente logica del Vangelo. Non basta una bella esperienza di fede per avere un cuore convertito, né un'intensa vita di preghiera per non cadere nel rischio di fanatismo e di intolleranza. Quante volte misuriamo la nostra pastorale dai risultati, pur convinti - in teoria - che ciò che a noi è chiesto è solo di seminare, ma scoprendoci depressi in realtà, se non vediamo dei frutti. La logica del Regno ci fa credere che Dio solo suscita la fede. Il discepolo dimora nella pace, perché sa che è il Maestro che annuncia e conosce, e noi a corrergli dietro...
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La Liturgia di Domenica 23 Giugno 2019

23/6/2019

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CORPUS DOMINI - ANNO C - RITO ROMANO
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Grado della Celebrazione: SOLENNITA'
Colore liturgico: BIANCO

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GESU' SI FA PANE

Lo Spirito ci sostiene. Per diventare discepoli che annunciano, per capire chi è veramente Dio, per capire chi è la Chiesa.
In questa opera di ri-comprensione di ciò che siamo e facciamo oggi celebriamo la solennità del Corpus Domini: è l'eucarestia che mettiamo al centro della nostra riflessione.
Se ciò accade è per cercare di arginare l'abitudine, per smuovere e risvegliare le nostre stanche e assonnate comunità, per chiederci - infine - cosa ne abbiamo fatto del dono del Risorto ai credenti.
Ancora oggi la partecipazione alla Messa domenicale segna l'argine fra "praticanti" e no, fra chi crede e chi, credendo, si raduna in obbedienza al Signore.
Ma la messa domenicale rischia, ahimè, di restare l'unico, fragile segno di appartenenza, un obbligo da assolvere, una scipita appartenenza che non converte il nostro cuore.
Quando i preti si incontrano in giro per l'Italia le tre domande d'obbligo sono: quante parrocchie hai? Quanti abitanti ci sono? Che percentuale di partecipazione alla messa festiva?
E se anche avessimo il 100% della popolazione che partecipa alla Messa? Ciò significa che il Regno di Dio avanza?
Non mi importa quanta gente partecipa alla Messa.
Mi importa di più quanti escono convertiti e consolati, discepoli capaci di calare nella quotidianità il mistero che hanno appena celebrato.

Melchisedek
Abramo è uscito da Ur dei Caldei. Lo ha fatto per ascoltare un'intuizione, una voce interiore che gli ha detto leck leckà, sbrigativamente tradotto con "esci dalla tua terra" ma che, in realtà, significa "vai a te stesso" o "và: ti conviene". Tutti lo prendono per pazzo: suo padre Terach, secondo la tradizione rabbinica costruttore di idoli, i suoi concittadini.
Abramo è nel pieno della vita, nell'età in cui si raccolgono i frutti, perché inoltrarsi verso l'ignoto?
E invece parte, esce, se ne va, lascia tutto per cercare Tutto.
Non lo sa ancora, ma questo gesto gli farà incontrare Dio. Questo gesto lo farà diventare padre di una moltitudine: i cercatori di Dio.
Nel suo difficile percorso Abramo ha lasciato a suo nipote Lot le terre migliori, ha affrontato l'ostilità dei re del luogo e, infine, incrocia Melchisedek che offre per lui un sacrificio e lo benedice.
Melchisedek è re di Salem, re della futura Gerusalemme, re di shalom, di pace, come interpreta la lettera agli Ebrei (Eb 6, 20).
I Padri cristiani hanno visto in lui una prefigurazione di Cristo, in quel pane offerto l'immagine dell'eucarestia, il pane del cammino.
Nel percorso interiore anche noi, come Abramo, come Elia (1 Re 19, 5-6), incontriamo un pane del cammino che ci accompagna alla scoperta del vero volto di Dio alla cui luce scopriamo il nostro vero volto. L'eucarestia è come la manna donata da Dio al popolo in fuga: un cibo che ci permette di camminare verso la pienezza, verso l'altrove.

L'essenziale
Paolo scrive una delle sue lettere alla comunità di Corinto, città cosmopolita in cui ha annunciato il vangelo. Non sono ancora passati vent'anni dalla resurrezione di Gesù e Paolo raccomanda alla comunità di andare all'essenziale, di distinguere bene le cose importanti dalle cose accessorie per superare le tante incomprensioni e gli sbandamenti morali che stanno straziando la nascente Chiesa.
Paolo ripete ai Corinzi, con precisione, le parole del Maestro, il gesto che egli ha compiuto durante quell'ultima, tragica Pasqua. Paolo ha ricevuto il dono dell'eucarestia e chiede alle sue comunità di ripetere la Cena del Signore, in obbedienza, in attesa che il Signore Gesù venga per ritrovare il senso di ciò che sono.
Il fatto che ogni domenica milioni di comunità cristiane, dal caos delle grandi città europee alle sperdute missioni africane o asiatiche, si radunino per ascoltare la Parola e per ripetere la Cena è, in fondo, una questione di obbedienza. Noi facciamo la Cena in sua memoria, perché egli sia presente, perché riviviamo la sua passione, morte e resurrezione e, da quell'incontro, possiamo camminare durante la settimana.

Sintonia
Gesù, nel momento più difficile della sua vita, nel momento dell'abbandono e dell'incomprensione, compie un gesto definitivo: si dona, si consegna, non offre pane e vino, come Melchisedek, ma la sua stessa vita sull'altare della croce.
Non è il pane che diventa Cristo, ma Cristo che si fa pane, per potere essere assimilato, per nutrire, per indicare un nuovo percorso, una nuova logica, quella del totale dono di sé.
La Cena pasquale che egli celebra nell'indifferenza e nella distonia totale con gli apostoli ci dona la misura della solitudine e dell'amore di Dio.
Quel gesto, gesto d'amore assoluto, è celebrato e ripetuto ogni volta che una comunità di credenti si raduna insieme ad un prete.
Ma non può essere un gesto auto-celebrativo, un gesto isolato, un gesto neutro.
O l'eucarestia contagia la nostra vita, la riempie, la modella, la plasma, la informa o resta sterile, morta, inutile. La Messa inizia proprio nel momento in cui usciamo dalla porta della chiesa.
E dura un'intera settimana.
Quel pane ricevuto ci aiuta a sfamare la folla, ad accorgerci della fame insaziata di chi incontreremo durante la settimana e a mettere a disposizione quel poco che siamo per sfamare ogni uomo, nel corpo e nell'anima.

Allora
L'eucarestia, il pane di Dio, il pane del cammino, è il dono prezioso che ci fa diventare credenti, che ci sostiene e costruisce comunità. Questo è l'essenziale.
Il resto: chi celebra, come, quando, chi anima, chi legge, chi canta e cosa, è tutto dopo, per cortesia.
I preti sono chiamati a diventare trasparenza, a lasciare che sia la Parola a fluire nelle (brevi) omelie (Quanta poca Parola nelle nostre parole!), che siano eucarestie, cioè ringraziamenti, non luoghi da cui bacchettare le persone o occasioni per far sfoggio della pirotecnica cultura teologica.
Ai discepoli, a coloro che amano il Signore, auguro che l'eucarestia torni ad essere ciò che è: incontro col Risorto, pane del cammino, farmaco e consolazione, luogo di accoglienza e di conversione, di fraternità e di perdono.
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