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La Liturgia di Giovedi 26 Maggio 2016

25/5/2016

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26.5.2016 - San Filippo Neri
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Grado della Celebrazione: Memoria
Colore liturgico: Bianco

Filippo (Firenze 1515 – Roma 26 maggio 1595), sacerdote (1551), fondò l’Oratorio che da lui ebbe il nome. Unì all’esperienza mistica, che ebbe le sue più alte espressioni specialmente nella celebrazione della Messa, una straordinaria capacità di contatto umano e popolare. Fu promotore di forme nuove di arte e di cultura. Catechista e guida spirituale di straordinario talento, diffondeva intorno a sé un senso di letizia che scaturiva dalla sua unione con Dio e dal suo buon umore.

Colletta
O Padre, che glorifichi i tuoi santi  
e li doni alla Chiesa come modelli di vita evangelica,  
infondi in noi il tuo Spirito,  
che infiammò mirabilmente  
il cuore di san Filippo Neri.  
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

PRIMA LETTURA (1Pt 2,2-5.9-12)
Voi siete il sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato.

Carissimi, come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza, se davvero avete gustato che buono è il Signore. Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.
Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia.
Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima. Tenete una condotta esemplare fra i pagani perché, mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere diano gloria a Dio nel giorno della sua visita.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 99)
Rit: Presentatevi al Signore con esultanza.

oppure
Andiamo al Signore con canti di gioia.

Acclamate il Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza. 

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.  

Varcate le sue porte con inni di grazie,
i suoi atri con canti di lode,
lodatelo, benedite il suo nome.

Buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

VANGELO (Mc 10,46-52) 
Rabbunì, che io veda di nuovo! 

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Commento
IL ''FINTO'' INVALIDO DEL VANGELO

Cieco, accattone, solo. Alcuni uomini dicono che la fortuna è cieca, altri uomini dicono che la sfortuna, invece, ci vede benissimo. Stando a quello che dicono i Vangeli, fortuna e sfortuna sono così intrecciate tra loro che è d'azzardati dire anche solo sono fortunato, sono sfortunato: potrebbe sempre capitare che, nascosta dentro un cumulo di sfortune, ci stia un esile cenno di fortuna capace di mandare gambe all'aria una storia, l'intera storia, la storia di Timeo. La differenza è sempre la stessa, dai primi giorni della salvezza ad oggi, gli ultimi giorni della stessa salvezza: accorgersi o non accorgersi, appostarsi o distrarsi, esserci o non-esserci. Credergli ancora o non credergli più.

Lui, cieco-barbone-dimenticato, s'accorge del passaggio di lui e se ne infischia delle buone creanze. E' cieco quel figlio di Timeo, ma alla cecità delle orecchie viene in aiuto un udito sopraffine: «Sentendo che era Gesù Nazareno». Lo riconosce dai passi, da quella magica bellezza che stordisce i sensi, da quel vagare così scalzo e impoverito da sentirlo così simile a lui, E dopo averne riconosciuto i passi, non chiede il permesso a nessuno. Si mette a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Lo rimproverano i discepoli, sono irritati da quella screanzata maniera di farsi strada tra la folla con la voce. Non sia mai che vada a molestare il Maestro per sanarsi la fiacchezza: Gesù, secondo loro, ha ben altre cose a cui pensare, altro a cui badare, sono altre le persone con le quali deve andare a colloquio. Invece lui continua a gridare, a più non posso: è il grido per antonomasia dentro i Vangeli. Non parla, grida; non poggia il mantello, lo scaraventa a terra; non si alza, balza addirittura da terra. Non c'è chiamata senza esagerazione, non c'è risposta laddove non c'è anche esagerazione: l'amore è l'iradiddìo delle misure. Non c'è preghiera più umana, più bruciante di questa. Pietà dei miei occhi spenti, Creatore, di questa mia vita perduta. Fammi sentire che sei mio padre, mia madre: ridonami la vita. Come può la chiesa-dei-discepoli fare muro a questo grido? Taci!, ma come fare a tacere? Il grido di chi soffre non è mai fuori luogo al Creatore, nessuna sofferenza è fuori luogo davanti a Dio, nessun dolore è un fuori programma. Il cieco lo sa molto bene, lo grida ancora più forte. Loro lo rimproverano, ancora più forte: c'è da crederci, non è poi così difficile.

Lui, il Rabbì, che cosa fa? Importante saperlo perché poi, a cascata, varrà un comandamento: ho fatto così perché facciate così. Li spiazza tutti, l'imbarazza di gran misura, tende loro un agguato dei suoi: «Chiamatelo!». Comanda proprio a coloro che vorrebbero impedire al cieco di alzare la voce, di andarlo a chiamare. Proprio loro, che beffa atroce! I dispettosi del Vangelo - "Gesù è nostro, andate via tutti, non disturbatelo, ha da fare, è già stato invitato altrove, non vi vuole bene perché non l'avete pregato" - costretti ad andare a scuola dal dispetto. Ad andare dall'immondizia per dargli l'annuncio che a loro non è mai stato dato: «Coraggio, alzati, ti chiama!». L'ironia del Vangelo è un'imboscata in piena regola: è tremendo Cristo, vuole che lo si serva lui da solo. Lui, con nessun altra accanto a lui, né prima né dopo.

Eccoli, uno di fronte all'altro. La Vista al cieco: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Per Dio la cosa più importante è quella che rimane sempre la più importante: chiedere all'uomo che cosa lo renderebbe felice per davvero. La cecità alla Vista: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». Fatto tutto, fatto molto bene, un lavoro fatto da Dio, tant'è che, appena riavuta la vista, indovinò subito la strada giusta da prendere per tornare a casa: «lo seguiva lungo la strada».
Per chi manca di vista, la salvezza passa attraverso l'udito. Per chi mancherà di gusto, la salvezza si mostrerà facendosi deglutire. Per chi, confusi i sensi, dimenticherà dove abita Cristo, sarà la memoria/olfatto a segnare la rotta. Non c'è verso che Cristo cambi verso: la strada che porta verso casa è sempre rimasta la stessa. Perché nessuno possa dirsi straniero su quella carreggiata.
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