II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - RITO ROMANO ==================================================== Grado della Celebrazione: SOLENNITA' Colore liturgico: VERDE COMMENTO AL VANGELO Non chiamatelo tempo ordinario. Lo so, così lo chiama la liturgia. Ma cos'ha di "ordinario" un tempo che Dio abita per sempre? Un tempo che, per noi, diventa il luogo dove incontrare la pienezza di Dio e scoprire la nostra vera identità e la nostra missione? Cos'ha di "ordinario" un tempo che inizia con l'esperienza della chiamata dei primi due discepoli e che ci invita a riflettere sulla nostra vocazione? Vocazione che è di tutti, non dei preti e delle suore. Siamo tutti chiamati a fare esperienza di Dio, a conoscerlo, ad andare a vedere. Come il piccolo Samuele. Nel tempio Samuele è figlio di una donna sterile, Anna, come spesso accade nella Bibbia. Nella gioia di avere un figlio inatteso, la madre decide di affidarlo alle cure di Eli, il sacerdote. Samuele diventerà un profeta straordinario, colui che consacrerà i primi re di Israele. Sta nel tempio, Samuele, assiste alle liturgie, ha un'ottima guida spirituale. Ma ancora non conosce Dio. Possiamo frequentare il tempio senza "conoscere" Dio là dove la conoscenza, nella Scrittura, indica un approccio intimo e totalizzante. Incontro che avviene nel cuore della notte. Solo se sappiamo ritagliare degli spazi di quiete e di silenzio possiamo "conoscere" Dio. E quanto mancano questi spazi alle nostre vite, alle nostre città! Ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a capire: Eli, come il Battista, come Paolo, è una buona guida che indirizza a Dio, non a se stesso. Così Samuele incontra Dio. Giovanni e Andrea Non nel tempio ma nel deserto Giovanni e Andrea incontrano Dio. Hanno seguito il carisma del Battista, hanno lasciato tutto per seguirlo, anche la loro pelle è stata riarsa dal sole e dal vento del deserto di Giuda. Ora il loro maestro sa che è finito il suo tempo. È fermo, statico, mentre Gesù passa. È finito il suo tempo, e lo sa. E indica Gesù, mischiato fra i penitenti. È lui, ora, che devono seguire. Lo chiama agnello di Dio, come l'agnello immolato la notte di Pasqua, come l'agnello immolato al posto del popolo il giorno di Yom kippur, come l'agnello sacrificato al posto di Isacco, come l'agnello mansueto del profeta Isaia. Forse il Battista vede nel Nazareno l'ombra della sofferenza e la determinazione del dono di sé. Certamente la vede l'evangelista che riporta l'incontro. Che bello avere un maestro che indica il Maestro, che si fa da parte, che conduce al vero pastore. Che volete? È la prima parola che Gesù pronuncia nel vangelo di Giovanni: che volete? Non cerca discepoli, non li blandisce o si congratula con loro per la scelta fatta. Chiede ragione della loro scelta. Dio non vuole discepoli a rimorchio, cristiani sbadati, cattolici per abitudine. Chiede consapevolezza. Il nostro è un Dio che chiede di seguirlo, ma da adulti. La fede non è mai un comodo rifugio che ci protegge dal mondo cattivo, il tappeto sotto cui nascondere le nostre miserie. Dio vuole uomini veri e liberi. Sono spiazzati, Giovanni e Giacomo. Troppo forte e diretta la domanda per non inquietare. Cosa cercano? Non lo sanno ancora. Chiedono aiuto, chiedono lumi, un qualche appiglio, un punto di riferimento. Dove abiti? Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare! Quanti "se" e "ma" mettiamo prima di dire il nostro "sì" definitivo al Signore.! E lui che, allora come oggi, ci risponde: venite a vedere. Non chiedere, fidati, muoviti, fa' diventare questa ricerca un'esperienza, investi. Andare a vedere La fede non è "fare", "sapere" ma "conoscere". Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l'esperienza della sequela. Ed essi andarono, videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere. L'annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: erano circa le quattro del pomeriggio. Quel giorno, quell'istante, è così importante per lui che segna l'inizio di una vita nuova. Sono passati forse sessant'anni da quell'evento e il discepolo ricorda l'ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l'inizio di una nuova Creazione. A questo siamo chiamati: a fare esperienza di Dio. Un tempo poco ordinario, per la verità. LITURGIA DELLA PAROLA Colletta Dio onnipotente ed eterno, che governi il cielo e la terra, ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo e dona ai nostri giorni la tua pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo... oppure: Colletta O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo... PRIMA LETTURA (1Sam 3,3-10.19) Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta. In quei giorni, Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuèle!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuèle!»; Samuèle si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuèle fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuèle!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuèle andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuéle, Samuéle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. SALMO RESPONSORIALE (Sal 39) Rit: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà. Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo». «Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo». Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai. SECONDA LETTURA (1Cor 6,13-15.17-20) I vostri corpi sono membra di Cristo. Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo! VANGELO (Gv 1,35-42) Videro dove dimorava e rimasero con lui. In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro |
Dal 18 al 25 Gennaio SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI L'UNITA' E' POSSIBILE SOLO NELLA VERITA' La Chiesa sta vivendo una situazione di crisi che non credo abbia precedenti nella sua bimillenaria storia, perché non stiamo assistendo solo ad eventi riprovevoli, se non scandalosi, frutto della debolezza dell’uomo – che è peccatore, non scordiamocelo – ma addirittura vediamo messi in discussione gli stessi principi fondamentali, e la casa costruita sulla roccia sembra sempre più costruita sulla sabbia. Una pastorale sempre più confusa, un’ansia di “apertura al mondo” portano inevitabilmente anche alla confusione sulle basi dottrinali. Il solo porsi determinate domande (un esempio per tutti: la Comunione ai divorziati risposati) è già un segnale gravissimo, perché non si possono porre domande su ciò che è per sua natura indiscutibile. Sul fronte pro-life non da oggi si scontrano due posizioni: quella della difesa della Vita “senza compromessi” e quella di chi afferma, e si presume e si spera che lo faccia in buona fede, la possibilità di aperture, collaborazione, dialogo con un mondo che ha già dimostrato nei fatti la feroce avversione alla vita. Già mesi fa mi capitava di scrivere un articolo sulla confusione che poteva nascere da certe “classificazioni” dell’abortismo (libertario, umanitario, ecc.), laddove l’abortismo, se anche teorizzasse l’uccisione di un solo innocente, è una dottrina perversa, né è possibile alcun dialogo con chi la professa. Una posizione di difesa della vita “senza compromessi” comporta ovviamente anche una capacità di riconoscimento della realtà, per quanto ciò possa risultare sgradevole. E la realtà ci dice che, purtroppo, non solo da parte di politici (che pur si dichiarano cattolici) ma anche da parte di tanti Pastori non ci si può aspettare un vero aiuto. Anzi, spesso è accaduto di trovare in essi dei veri ostacoli. La Provvidenza però non abbandona mai e giustamente si è da più parti sottolineato che il “Popolo della Vita”, quello che è stato protagonista della grande crescita, anno per anno, di iniziative come la Marcia Nazionale per la Vita, è nato “dal basso”, ossia dal risveglio di quei sani sentimenti popolari che, ringraziando il Signore, non muoiono nemmeno nei tempi più bui della Storia. Molte volte nella Storia il popolo si è mostrato custode fermo e sicuro di ciò che i Pastori stessi sembravano aver dimenticato. In questa situazione di oggettiva difficoltà, di Chiesa allo sbando, di messaggi contradditori, è naturale che sorgano discussioni sulle modalità, sulle strategie, su ciò che insomma sia meglio fare per affermare e difendere i principi non negoziabili. Discussioni sulle modalità, sulle azioni, che divengono molto pericolose se scivolano sul piano inclinato delle azioni che rischiano di mettere in discussione gli stessi principi che si devono affermare e difendere. Per tornare all’esempio di prima, se io metto in discussione il fatto di consentire o meno a un divorziato risposato di ricevere la S. Comunione (e magari lo faccio per un malinteso spirito di “carità), metto in discussione la stessa Dottrina della chiesa sul matrimonio indissolubile. Per tornare al fronte pro-life, è naturale, ma anche doveroso, che io esprima il mio dissenso verso quelle azioni che rischiano di mettere in discussione gli stessi principi fondamentali, ossia la difesa assoluta della Vita, senza alcun compromesso. La più piccola smagliatura nella rete porta prima o poi allo sfascio della rete. Discussione sui metodi, quindi. Doverosa e utile per individuare, con spirito fraterno, le strategie migliori per lottare contro un mondo il cui principe, non scordiamocelo, lavora per la distruzione. Ma se di fatto si mettono in discussione anche i principi, se lo spirito fraterno viene meno, se la discussione scade nello scontro personale, è allora altrettanto inevitabile e doveroso assumere posizioni chiare e nette e, ove necessario, dissociarsi da chi oltretutto fa attacchi personali. Perché, parliamoci chiaro, lo stesso fatto di far cadere la discussione negli attacchi personali dimostra che la difesa dei principi non negoziabili è comunque in secondo piano rispetto alle proprie ambizioni, ai risentimenti, alla vanità. In questa situazione, per tornare al titolo di questo articolo, le esortazioni all’unità, alla concordia, sono tanto belle quanto fuori luogo, perché solo nella Verità, ovvero nel non transigere mai sui principi, si possono esercitare la carità e lo spirito fraterno. Esiste una gerarchia dei valori; se la capovolgiamo ci mettiamo sulla strada rovinosa di un umanitarismo senza basi. Diventiamo come quella tale casa costruita sulla sabbia. Nella gran confusione in cui si vive, una delle parole il cui significato è stato di più stravolto è senza dubbio la parola “ecumenismo”. Il falso spirito ecumenico ci porta alla rovina, perché ci illude. La Verità per sua natura è una sola,e solo aderendo ad essa si può arrivare poi al dialogo, al confronto, alla discussione costruttiva. Per concludere, cerchiamo di essere il più chiari possibile: tra i fedeli deve senza dubbio regnare la concordia; senza dubbio la divisione è opera del demonio. Ma la concordia è possibile solo nella Verità. Altrimenti si usano parole di contrabbando, si predicano atteggiamenti che non sarebbero più di carità, bensì di remissività, di resa al mondo. Ci sono fatti e atteggiamento che è impossibile non vedere. Di fronte ad essi la critica severa non è “divisiva” (parola venuta di gran moda). È semplicemente doverosa. Paolo Deotto scrive e NAZARETH FAMIGLIA DI DIO sottoscrive |