CONVERTITEVI E CREDETE NEL VANGELO di Padre Mariano Pellegrini Le letture di questa domenica ci invitano a una profonda conversione interiore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato l'incarico che Dio diede al profeta Giona di andare a Ninive, una grande città pagana, per predicare e rivolgere a tutti l'appello alla conversione. I niniviti, pur essendo pagani, ascoltarono docilmente le parole di Giona e diedero segni di conversione. «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4), proclamava il profeta, e – continua il testo – «i cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli» (Gio 3,5). Allora «Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia» (Gio 3,10) e non li castigò. Questo appello alla conversione risuona anche nella predicazione di Gesù. Il Maestro Divino, iniziando la sua predicazione in Galilea, disse con forza: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Queste parole sono rivolte a ciascuno di noi, a noi che ogni domenica andiamo alla Messa, che tante volte pensiamo di essere dei buoni cattolici. Ogni giorno possiamo e dobbiamo convertirci. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di aver raggiunto il nostro obiettivo: ci sarà sempre da migliorare. Per alcuni sarà una conversione dal peccato alla vita di grazia; per altri, una conversione dalla mediocrità al fervore; per i più generosi si tratterà di una conversione da una vita di fervore alla santità. La vita cristiana è un po' come risalire la corrente di un fiume: se non si rema si torna inevitabilmente indietro. Alla stesso modo, se non ci si converte continuamente, se non si cerca in tutti i modi di migliorare, inevitabilmente si torna indietro verso la mediocrità e il peccato. Pertanto, le parole di Gesù sono rivolte a tutti noi. Ogni giorno dobbiamo ripetere quelle belle parole del Salmo: «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Sal 24,4). Tante volte noi sentiamo l'ispirazione e il desiderio di migliorare, ma commettiamo il grande errore di rimandare a domani ciò che possiamo fare oggi, e così passano i mesi e gli anni e noi rimaniamo sempre quelli di prima, anzi, torniamo sempre più indietro. San Paolo pertanto ci dice: «Fratelli, il tempo si è fatto breve [...] passa la figura di questo mondo» (1Cor 7,29-31). Con queste parole, l'Apostolo delle genti ci invita a usare con prudenza e moderazione i beni che passano, per non perdere i beni eterni. Come abbiamo potuto notare, sia nella prima lettura che nel Vangelo, la conversione dei niniviti e la conversione dei primi Discepoli di Gesù è iniziata dall'ascolto della predicazione della Parola di Dio. Non c'è conversione se non vi è ascolto; e non c'è ascolto se non vi è predicazione. La predicazione illumina le menti affinché esse possano conoscere la verità tutta intera, senza menomazioni di sorta. Per questo motivo, san Francesco scrisse nella sua Regola che i frati dovevano predicare semplicemente, parlando dei vizi e delle virtù, della pena e della gloria. Le anime hanno il diritto di conoscere la verità interamente, senza compromessi e accomodazioni. Ai giorni d'oggi, forse, si tende a tacere alcune verità "scomode" come quelle che riguardano i Novissimi, in particolare il Giudizio e l'inferno, per non spaventare i fedeli. San Francesco non era di questo parere e voleva che si annunciasse semplicemente la verità in modo integrale, per il bene di tutti fedeli. Per questo motivo così egli esortava: «Il piacere è breve: la pena eterna. La sofferenza è poca: la gloria infinita... tutti saremo giudicati. Fratelli, finché abbiamo tempo, operiamo il bene». Il tempo passa e noi ci avviciniamo inesorabilmente al giorno del nostro Giudizio. Viviamo su questa terra senza perdere di vista questa verità che è l'unica cosa certa della nostra vita. Predicando e invitando tutti alla conversione, Gesù chiamò i suoi primi Discepoli. Chiamò Andrea e suo fratello Simone, e chiamò i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. La cosa che colpisce in modo particolare è la prontezza di questi uomini nel lasciare tutto per seguire il Signore. Di Andrea e Simone, il Vangelo dice che «subito, lasciarono le reti e lo seguirono» (Mc 1,18); di Giacomo e Giovanni, il testo dice che «essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui» (Mc 1,20). La risposta dei primi Discepoli è stata davvero generosa, e Gesù promette loro qualcosa di molto grande: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17). Seguire Gesù significa diventare suoi collaboratori nell'opera della Redenzione. Preghiamo dunque affinché ci siano sempre numerose e sante vocazioni, per la salvezza e il bene delle anime. |
Conversione di San Paolo - Festa La festa liturgica della "conversiti sancti Pauli", che appare già nel VI secolo, è propria della Chiesa latina. Poiché il martirio dell'apostolo delle Genti viene commemorato a giugno, la celebrazione odierna offre l'opportunità di considerare da vicino la poliedrica figura dell'Apostolo per eccellenza, che scrisse di se stesso: "Io ho lavorato più di tutti gli altri apostoli", ma anche: "io sono il minimo fra gli apostoli, un aborto, indegno anche d'essere chiamato apostolo". Adduce egli stesso le credenziali che gli garantiscono il buon diritto di essere considerato apostolo: egli ha visto il Signore, Cristo Risorto, ed è, perciò, testimone della risurrezione; egli pure è stato inviato direttamente da Cristo, come i Dodici: visione, vocazione, missione, tre requisiti che egli possiede, per i quali quel miracolo della grazia avvenuto sulla via di Damasco, dove Cristo lo costringe a una incondizionata capitolazione, sicché egli grida: "Signore, che vuoi che io faccia?". Nelle parole di Cristo è rivelato il segreto della sua anima: "Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo". E’ vero che Saulo cercava "in tutte le sinagoghe di costringere i cristiani con minacce a bestemmiare", ma egli lo faceva in buona fede e quando si agisce per amore di Dio, il malinteso non può durare a lungo. Affiora l'inquietudine, cioè "il pungolo" della grazia, il guizzo della luce di verità: "Chi sei tu, Signore?"; "Io sono Gesù che tu perseguiti". Questa mistica irruzione di Cristo nella vita di Paolo è il crisma del suo apostolato e la scintilla che gli svelerà la mirabile verità della inscindibile unità di Cristo con i credenti. Questa esperienza di Cristo alle porte di Damasco, che egli paragona con l'esperienza pasquale dei Dodici e con il fulgore della prima luce della creazione, sarà il "leit motiv" della sua predicazione orale e scritta. Le quattordici lettere che ci sono pervenute, ognuna delle quali mette a nudo la sua anima con rapide accensioni, ci fanno intravedere il miracolo della grazia operato sulla via di Damasco, incomprensibile per chi voglia cercarne una spiegazione puramente psicologica, ricorrendo magari all'estasi religiosa o, peggio, all'allucinazione.S. Paolo trarrà dalla sua esperienza questa consolante conclusione: "Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Appunto per questo ho trovato misericordia. In me specialmente ha voluto Gesù Cristo mostrare tutta la sua longanimità, affinché io sia di esempio per coloro che nella fede in Lui otterranno d'ora innanzi la vita eterna”. |
18 gennaio 2015 - 25 gennaio 2015 |