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03.05.2015 - V DOMENICA DI PASQUA - ANNO B - RITO ROMANO

2/5/2015

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SENZA DI ME NON POTETE FAR NULLA
di Padre Mariano Pellegrini


Domenica scorsa, Gesù si è paragonato al Buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle, che le ama e che da esse è amato; oggi Egli usa un'altra immagine molto bella: quella della vite, alla quale sono uniti i tralci. Egli è la vite, noi siamo i tralci. L'immagine è molto semplice e piena di profondi significati. Vediamo ora di trarre da questa stupenda pagina del Vangelo degli insegnamenti per la nostra vita spirituale.

Prima di tutto impariamo l'importanza di vivere sempre uniti a Gesù. Siamo uniti a Gesù quando viviamo in Grazia di Dio, quando in noi non regna il peccato mortale. Sappiamo dal Catechismo che con il peccato mortale noi perdiamo la Grazia che è il bene più prezioso, più prezioso della nostra stessa vita. Per questo motivo, i Santi avrebbero desiderato mille volte morire piuttosto che perdere l'amicizia con Dio.

Anche se ci capitasse questa sventura, con animo pentito, ricorriamo al sacramento della Confessione, il quale, cancellando i nostri peccati, ci ridona il bene inestimabile della Grazia divina. Staccandoci da Gesù con il peccato, noi saremo come un tralcio strappato dalla vite e destinato a seccarsi.

Siamo uniti a Gesù, in maniera particolare, quando viviamo in profonda amicizia con Lui, coltivando bene la nostra vita di preghiera. La preghiera non dovrebbe lasciarci mai, fino a diventare il respiro della nostra anima. Nel corso della nostra giornata, tra le varie preghiere, non dovrebbe mai mancare un intimo colloquio con il Signore, da prolungare il più possibile, magari anche durante le nostre occupazioni. Il momento d'oro di questo colloquio sarà quello della Comunione eucaristica, quando Gesù è nel nostro cuore. Gesù è la sorgente della vita, e quanto più saremo uniti a Lui, tanto più si riverserà su di noi la Vita divina di Colui che ci ha redenti.

Dobbiamo essere dei "tralci viventi" di questa vite: in tal modo porteremo molto frutto. Gesù lo dice chiaramente: «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Questa precisa e secca dichiarazione: «senza di me non potete far nulla» non ha bisogno di molti commenti. È di una tale importanza e di una tale gravità da non lasciare alcun dubbio sull'assoluta necessità per l'uomo di rimanere in grazia di Dio. Come ad un tralcio staccato dalla vite è impossibile far frutto, così, e molto di più, ad un'anima separata da Gesù a causa del peccato, non è possibile riuscire a far qualcosa di meritorio per la Vita eterna, qualcosa per cui il Padre Celeste si compiaccia.

Da questa considerazione deve nascere in cuor nostro una profonda umiltà: da soli siamo proprio una nullità. Bisogna rimanere stabilmente in Lui, in uno stato permanente di grazia. Gesù ci dice: «Rimanete di me e io in voi» (Gv 15,4). Questo rimanere in Lui viene indicato come premessa e condizione di una vita fruttuosa, colma di una profonda gioia. Come il ramo pieno di frutti maturi si abbassa a terra fino quasi a spezzarsi per il gran peso, così il cristiano unito a Gesù dovrebbe giungere alla sua maturità cristiana così colmo di frutti spirituali e di buone opere, da consumarsi lentamente per amore. Certo non mancheranno i sacrifici, ma non mancherà neppure la gioia di aver raggiunto lo scopo per cui siamo stati creati.

Affinché possiamo portare più frutto, il vignaiolo, ovvero il Padre Celeste, opererà nella nostra vita delle potature: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2). Queste potature sono le inevitabili prove della vita, le sofferenze, gli insuccessi. Apparentemente queste prove ci privano di qualsiasi frutto; ma, a lungo andare, ci donano una messe abbondantissima. Chi ama il Signore non si meraviglia della sofferenza, ma la sa valorizzare in vista di un amore più puro e di un frutto più grande.

Se l'anima si mantiene fedele anche in mezzo alla prova, verrà poi il tempo del raccolto, e sarà tempo di gioia e di consolazione. Se l'anima si mantiene generosa con Dio anche nel tempo della sofferenza, il Signore esaudirà poi ogni sua supplica, secondo la promessa fatta da Gesù nel Vangelo: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto» (Gv 15,7).

Lo scopo per cui siamo stati creati è quello di portare frutti abbondanti e di amare, come ci dice san Giovanni nella seconda lettura di oggi, «con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18). E questo lo realizzeremo solo se rimarremo uniti a Gesù, come il tralcio è unito alla vite.

La Madonna, Madre nostra tenerissima, ci unisca sempre di più al Figlio suo diletto.
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