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LE QUATTRO LEGGI A CUI DOBBIAMO OPPORCI

24/3/2015

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Le quattro leggi a cui dobbiamo opporci

“Genitori, volete questo per i vostri figli?”. Il grido del presidente della Cei, cardinale Bagnasco, sulla teoria del gender nel corso della prolusione all’assemblea dei vescovi italiani è davvero un grido di dolore e un richiamo alla responsabilità. Finalmente l’insistenza di Papa Francesco su questi temi e la risposta coerente e puntuale dell’episcopato italiano alle sue sollecitazioni, travolge qualsiasi interpretazione deviata dell’idea di accoglienza che la Chiesa ha sempre avuto verso tutti, ma mai negando la propria identità e la propria dottrina. Non a caso le reazioni degli esponenti più noti della lobby lgbt sono state venate di isterismo. Così come la risposta unitaria a chi a Bologna ha protestato contro gli show blasfemi e vergognosi del circolo gay del Cassero. Stessi toni: “La Chiesa avvelena la società con la sua ortodossia” e via a delirare.

Deve essere chiaro che è in campo uno scontro definitivo e decisivo. Da una parte ci sono i fautori di una visione antropologica che vuole trasformare le persone in cose: i bambini in oggetti di compravendita, le donne in uteri da affittare, i malati in prodotti deteriorati da eliminare e guai a chi osi protestare. La proiezione di questa ideologia non è composta di mere chiacchiere, ma si sostanzia in quattro precisi progetti di legge, che questo giornale non si stanca da quando è nato di stigmatizzare, mettendo in guardia dalle sottovalutazioni e dalle non comprensioni di ciò che sta avvenendo. I quattro progetti di legge sono l’arcinoto ddl Scalfarotto, il ddl Cirinnà su unioni gay e stepchild adoption (che è la legittimazione dell’utero in affitto), il ddl Fedeli sull’ideologia gender obbligatoria nelle scuole e infine il ddl di iniziativa popolare dei radicali sull’eutanasia a cui quattro esponenti del governo Renzi hanno appena dato il loro esplicito appoggio.

Questo pacchetto di quattro progetti di legge potrebbe essere approvato in pochi mesi e stravolgerebbe l’Italia. La Cei presti attenzione a tutti e quattro i pericoli, i cattolici italiani si preparino a combattere a partire dalla frontiera della vergognosa pratica dell’utero in affitto. E i genitori, tutti i genitori, laici e cattolici, si oppongano alla follia dell’ideologia gender nelle scuole. Vigilando. 

Ma l’invito a mamme e papà mi pare la questione nodale dell’emergenza del nostro tempo ed al presidente della Cei occorre dare ascolto. Lo faccio io per primo da genitore di due figlie che nella scuola italiana hanno vissuto l’assalto di quella pericolosa ideologia. Dice Bagnasco: “Non possiamo non dar voce anche alla preoccupazione di moltissimi genitori, e non solo, per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del gender, sbaglio della mente umana, come ha detto il Papa a Napoli sabato scorso. Il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione. Ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un transumano in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità.

La categoria Queer, nata negli Stati Uniti, combatte contro il normale, il legittimo, e ingloba tutte le soggettività fluide: non si riferisce a nulla in particolare, si presenta paradossalmente come un’identità senza essenza. Sembra di parlare di cose astratte e lontane, mentre invece sono vicinissime e concrete: costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole. 

Una manipolazione da laboratorio, dove inventori e manipolatori fanno parte di quella governance mondiale che va oltre i governi eletti, e che spesso rimanda ad Organizzazioni non governative che, come tali, non esprimono nessuna volontà popolare! Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate, volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa? 

Reagire è doveroso e possibile, basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva, della ragione dal sonno indotto a cui è stata via via costretta. Sappiate, genitori, che noi pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini”. E noi saremo vicini ai pastori, con la nostra coscienza vigile.

Da La Croce quotidiano.it

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IL FASCISTA ELTON JOHN, I BIMBI D&GE LE MUTANDE DI PAONE

17/3/2015

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Uno per tutti: Alessandro Cecchi Paone, mancato europarlamentare, showman (le due cose vanno insieme) e consulente gay per Forza Italia, sezione Francesca Pascale da Arcore. Sempre sulle barricate dell’indignazione glamour.« Ho buttato tutte le mutande D&G che avevo. Non le regalerò più ai miei fidanzati». La tignosa dichiarazione gli è venuta dopo aver letto le dichiarazioni di Domenico Dolce su famiglia, figli della provetta e matrimoni gay. Vendetta tardiva, dato che quelle verità lo stilista le aveva dichiarate a Panorama addirittura la scorsa settimana, ma nessuno nel sciccoso ambiente gay friendly se l’era filate più di tanto. Ci voleva invece la furia di Elton John e il suo appello al boicottaggio della griffe per ridare fuoco a polveri ormai bagnate e turbare l’animo del Cecchi pavone. Che fare? Dare alle fiamme le mutande e chiedere pure la restituzione di quelle regalate ai fidanzati. C’è da tremare davanti allo scoppio d’ira dell’ormai smutandato Alessandro.

Con la sua sortita a dare manforte agli amichetti del boicottaggio gay e fecondarolo, Cecchi Paone ci informa che: a) lui possiede un guardaroba bel fornito di boxer e slipponi usciti dalla sartoria di Dolce & Gabbana; b) ai fidanzati il tirchio Paone non fa certo cadeau da mille e una note anche se portare la griffe di D&G sui luoghi strategici dev’essere un must per certa gente. Nel coro mondiale intonato da Elton John contro Gabbana, Cecchi Paone giunge in cattiva compagnia. L’idea delle mutande da buttare sul rogo la deve aver rubata da Courtney Love che ha espresso lo stesso proposito («Ho raccolto tutti i miei vestiti Dolce e Gabbana e li voglio bruciare. Non ho parole. Boicottiamo la bigotteria insensata»), mentre l’ex tennista milionaria e lesbica Martina Navratilova ha colto subito il lato commerciale della faccenda: «Bisognerà vedere», ha insinuato, «se queste sciocchezze faranno male al loro conto in banca».

Tutti a condannare quelle affermazioni di Domenico Dolce che ha avuto il coraggio di affrontare il pensiero unico con evidenze di fatti e di buon senso: «Sono gay, non posso avere un figlio, la vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia». A seguire la frase incriminata: «Non mi convincono i figli della chimica, i bambini sintetici, gli uteri in affitto, semi scelti da un catalogo». Il capofila della campagna di boicottaggio, Elton John ha fatto sapere che indosserà più nulla di Dolce  Gabbana e ha invitato gli amichetti dello star system a fare altrettanto. Posizioni intolleranti e fasciste, gli ha replicato Gabbana invitando a suo volta a boicottare i dischi di Elton John. Comunque, una cosa è certa: D&G non sono della stessa pasta di Barilla (ricordate?), loro non si sono rimangiati nulla. Anzi, rilanciano: «forse perderemo qualche fan di Elton John, forse guadagneremo qualche mamma». 

Il resto è noia e finzione. Tra un boicottaggio e l’altro, un cincillà che brucia e t-shirt griffate che finiscono nella spazzatura, la guerra in corso non ha nulla di nobile e drammatico, come sono la difesa dei diritti della vita e la venuta al mondo dei bambini. Verrebbe da mandare al diavolo questo mondo di miliardari che sfodera il suo orgoglio gay perché non ha più nulla di decente da esibire. Eppure, da Cecchi Paone a Ricky Martin, padre surrogato e impotente, la polemica hollywoodiana e tutta mercantile su Dolce & Gabbana ha molto da dire e da scoprire. Una volta accettato che maschio e femmina pari sono genericamente pari, che l’embrione possa essere non il frutto di un rapporto d’amore tra un uomo e una donna, ma il prodotto di una manipolazione in laboratorio, che al desiderio non c’è limite se non quello provvisorio e mutevole della scienza, che per fare un matrimonio non ci vogliono una donna e un uomo e neppure mamma e papà per fare un figlio. Beh allora bisogna solo scegliere la tecnica migliore o la banca dei gameti capace di soddisfare anche i più eugeneticamente esigenti. In questo folle puzzle Frankenstein, tutti ci possono mettere il loro pezzettino biologico: come quella madre inglese che si è fatta impiantare nell’utero un embrione prodotto con lo sperma del figlio. Il bambino, che ora ha già sette mesi, è nei fatti figlio di suo fratello e di sua nonna. Mica poi tanto diverso dai «figli sintetici della chimica» ricordati da Dolce. 

Comprereste un paio di boxer da genitori così? O uno sparato gay-fucsia con occhiali a pois verdi daun Elton John che in un attacco di paternità si procura due gemelli da un donna in affitto? Il pensiero unico e anti umano che l’ideologia gender mira a imporre a tutti, vorrebbe che tutto ciò fosse accettato come “naturale” e che innaturale e deviante diventasse invece chi si oppone a questa delirante  deriva totalitaria. Le avanguardie abitano il mondo dorato dello spettacolo e del vippaio fashion perché, si sa, la moda è ormai l’unica certezza rimasta ai sudditi consumatori. Contro Dolce e Gabbana la lobby dei ricchi e famosi agita lo spauracchio del boicottaggio e del no logo, contro tutti gli altri basta la legge Scalfarotto e l’accusa di omofobia, malattia considerata ormai più pericolosa del cancro. 

​Luigi Santambrogio
Dal sito La Nuova Bussola Quotidiana
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«SONO PRETE, MA GIAN MI HA CONVERTITO»

15/3/2015

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La storia | Gianluca Firetti
«SONO PRETE, MA GIAN MI HA CONVERTITO»

Può un sacerdote esser convertito da un ragazzo malato? Don Marco D’Agostino dice di sì, l’ha provato in prima persona. La straordinaria storia di Gianluca Firetti, ventenne che ha reso la malattia una via per la gioia.

 
«Questo libro farà del bene». Con queste parole, il 13 gennaio scorso, quindici giorni prima di morire per sarcoma osseo, Gianluca Firetti, vent’anni, ragazzo di Sospiro (Cremona), firmava il contratto con le Edizioni San Paolo per il testo Spaccato in due. L’alfabeto di Gianluca, il suo “testamento” che, su di me, ha avuto effetto immediato: sbriciolato in mille pezzi e “rigirato come un calzino”.

L’incontro con lui mi ha fatto solo bene. Le due esperienze, la sua di giovane che soffriva senza disperazione e la mia, di credente che tentava di capire, sono diventate una sola. La vita di Gian davanti a Dio, la mia davanti a me stesso. La sua pulita perché purificata, la mia faticosa perché appesantita. Davanti alla fede di Gian mi sono sentito più volte microscopico. Lui giovane e saggio, malato con un cuore sano che riusciva ad amare tutti, sbilanciato sugli altri da ripetere, a ciascuno, per ogni piccola attenzione: «Grazie»; e, per ogni fastidio che pensava di dare, anche ai barellieri mentre lo portavano sull’ambulanza che lo avrebbe trasportato all’hospice: «Scusate per il disturbo che vi do, ma ci sono molti gradini per scendere da casa mia».

Gian era disarmante. Proprio come il Vangelo. Andavo a casa sua ogni giorno, al pomeriggio, alla sera, quando ormai lui non poteva più uscire: eppure era sempre così gioiosamente trasfigurato. Dolorante, sapendo che qualcuno veniva a trovarlo nel tardo pomeriggio, si faceva sistemare sulla sedia a rotelle, sopportando ogni dolore. Incontrarlo, ascoltarlo, pregare con lui era come sfogliare un “Vangelo aperto”. Commoveva. Le sue parole e le sue mani, quando mi sfioravano, il suo abbraccio – così leggero per paura di fargli del male – ti comunicavano un’anima pulsante, ben al di là di quelle ossa “spaccate” che lo facevano soffrire. «Allora è vero, don». «Cosa, Gian?». «Che tu vieni qui per convertirti». Queste parole le diceva sorridendo, ma sapeva che dalla cattedra del suo letto, a casa o all’hospice, insegnava semplicemente col suo esserci, in un silenzio pensieroso e mai triste, con la sua preghiera raccolta, i suoi occhi che “ti leggevano dentro” davanti ai quali, specchio di una vita limpida e ormai in Dio – perché qui sulla terra era rimasto ben poco – non potevi presentarti con cortecce, cappotti o maschere difensive.

Davanti a lui percepivi di essere completamente nudo, ma senza vergogna perché non puntava il dito, non si lamentava di coloro che non andavano a trovarlo, non invidiava coloro che stavano meglio di lui. Gian chiedeva conversione in entrata e in uscita. In entrata perché la sua presenza provocava fortemente. Quando in una domenica di Avvento mi ha chiesto di portargli la Comunione, il sabato prima sono andato a confessarmi. Come avrei potuto incontrare due volte il Signore – quello che portavo e quello che, in hospice, mi attendeva – con una vita superficiale come la mia? Come avrei potuto accogliere la Parola e le parole di Gian, che si assomigliavano molto, stringere la sua mano, accogliere il suo bacio, in un contenitore rotto e screpolato com’ero io?

Anche in uscita Gian era trasformante. Sofferente, immobile, morfina 24 su 24, a pochi giorni dalla morte sapeva augurare, raccogliendo tutte le sue forze: «Buona domenica». Gioiva per le visite dei suoi amici e diceva a ciascuno: «Mi raccomando, non sprecare la vita, fa il bravo, studia perché io farei cambio e studierei 500 pagine piuttosto di soffrire».

Sapeva far pensare e aveva il potere, un po’ come fa Dio, di far vibrare le corde della vita: non solo emotivamente, ma nel profondo del cuore. La sua vita, tutta quanta, è diventata un’offerta, un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». Non perché Dio volesse la sua sofferenza, ma perché, come aveva detto nell’ultima domenica: «Dio mi ha posto sulle spalle una bella croce… No, è la malattia che è pesante, Dio non c’entra proprio nulla».

Invece Dio c’entrava, eccome. Dio entrava e usciva da ogni poro della sua pelle, respirava a fatica con lui, sopportava il dolore delle ossa, delle metastasi che, impietose, conquistavano ogni centimetro quadrato del suo corpo. Più il tumore lo aggrediva, più Gian s’illuminava, più smagriva e più il suo cuore batteva, più gli mancavano le forze fisiche e più era traino che trascinava gli altri. Riflettere con Gian era come abbandonarsi alla visione che Dio ha delle cose, fidarsi che l’essenziale, mentre si sta perdendo tutto nella propria vita, anche a vent’anni, non è quello a cui si è attaccati, ma proprio ciò da cui ci si stacca.

Gian è, paradossalmente, diventato, nel suo letto, con la morfina e il suo cancro, una fonte di energia e di luce. Per tutti, familiari, amici, preti, volontari, personale dell’ospedale, mondo sportivo, famiglie, giovani e adulti, anziani e malati. La sua casa un piccolo porto di mare. Quando suonava il campanello: «Avanti», diceva dal divano, «il bar è sempre aperto!».

Condivideva. È stato il segreto della sua santità. Faceva entrare tutti in lui. Dio, anzitutto. Si apriva, si sentiva trasportato dalla preghiera e dall’amicizia di tanti, anche di chi non conosceva, ma sentiva così vicini, dentro di lui. È riuscito, da tutti – me per primo – a estrarre il meglio perché lui è diventato il migliore, intuendo il centro e lo scopo della vita: «In fondo», scrive nell’introduzione al libro , «come ho detto ieri sera a mio fratello Federico, noi siamo fatti per il cielo. Per sempre. Per l’eternità. In questo libro mi troverai, in ogni pagina. E io troverò te. Sento che in Dio siamo già amici».

La storia di Gian, la sua fede, la coscienza della morte e del come affrontarla si sono riversate su me e su tantissimi come pioggia che lava e rinfresca. Qualcosa che ti provoca dentro. Ti spacca in due. Accogliere la sua testimonianza di vita e di fede – come dicono le tre ristampe del libro in meno di un mese – significa credere che i santi ci sono ancora. Se ne accogliamo la testimonianza, quasi quasi “rischiamo” anche noi di diventarlo.

Marco D’Agostino
Del sito Credere.it
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UE: “MATRIMONIO GAY E’ DIRITTO UMANO”? BUFALA!

13/3/2015

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UE: “MATRIMONIO GAY E’ DIRITTO UMANO”? BUFALA!
Titoloni, titoli e sottotitli. Post, like, tweet e ritweet. Breaking news.

Tutto in queste ore ci urla nelle orecchie: “l’Unione Europea ha deciso, il matrimonio gay è un ‘diritto umano’ e gli Stati devono adeguarsi“. Il problema è che la gente ci crede pure.

Intanto non si può parlare dell’”Unione Europea” ma del “Parlamento Europeo”, cioè l’organo meno influente sulle politiche nazionali tra tutti quelli dell’UE (per ovvie questioni di salvaguardia della sovranità dei singoli Paesi).

Secondo poi, il Parlamento Europeo non ha deciso un bel nulla sul matrimonio gay. Intanto per una questione semplice e quasi banale, e cioè che in base alle regole dei Trattati non ha il minimo potere di farlo; e poi perché ciò di cui si tratta è una risoluzione politica non vincolante. Si dirà: beh, non è cosa da poco che il Parlamento Europeo abbia definito il matrimonio gay come diritto umano. Non ha fatto nemmeno questo, benché l’associazionismo Lgbt si stia dissanguando per farlo credere in ogni dove e con il compiaciuto appoggio di tutta la stampa (inconsciamente, non solo quella laicista).

La risoluzione politica prendendo atto «della legalizzazione del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di Paesi nel mondo, attualmente diciassette, incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell’Ue a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili».

Il Parlamento si limita, per così dire, a premere perché il tema sia discusso e dibattuto. Ma se sia o no una “questione di diritti umani e civili” è proprio l’oggetto della riflessione a cui si invita a contribuire. Altrimenti il Parlamento Ue avrebbe potuto molto più semplicemente chiedere agli Stati di approvare il matrimonio gay in quanto diritto umano. Punto. Chiaro e conciso. E invece si chiede solo di contribuire alla riflessione posta in quei termini. Riflessione a cui si può contribuire con un bel: “Ehi, per me il matrimonio ha a che fare con la potenzialità procreativa dell’unione tra un uomo e la donna in virtù del maggior bene sociale dei figli. Chiaro? Grazie della chiacchierata e tanti saluti“. Dopotutto è precisamente quello che risponde alla risoluzione del Parlamento Europeo la nostra Costituzione, come ha chiarito nel 2010 e nel 2014 la Corte Costituzionale.

L’altro essenziale motivo per cui non è possibile affermare che il Parlamento Europeo ha dotato il matrimonio gay dell’aureola di “diritto umano”, è che la Corte Europea dei Diritti Umani ha già confermato che non lo è affatto, sulla base della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che all’art. 12 riconosce come diritto universale al matrimonio solo quello tra un uomo e una donna. Gli Stati sono liberi di ampliare la concezione a loro piacimento, anche fino alla poligamia o al matrimonio incestuoso, ma la Convenzione non obbliga minimamente a farlo e da parte sua promuove solo quello monogamico tra l’uomo e la donna (sentenze CEDU Schalk and Kopf v. Austria e Hamalainen v. Finlandia).

Quindi è assolutamente opportuno riportare il discorso ai suoi termini reali:
- le risoluzioni del Parlamento Europeo influenzano il dibattito politico;
- i diritti umani sono regolati in UE dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani;
- sulle questioni dei diritti umani decide la Corte Europea dei Diritti Umani;
- sul matrimonio la Corte ha deciso che quello “per tutti” NON è un diritto umano.

La stampa può modellare i titoli quanto vuole: finché i fatti resteranno chiari così come descritti e noi non ci faremo influenzare dalle pressioni mediatiche, resteranno solo parole al vento. Non dobbiamo assolutamente commettere l’errore di fare da cassa di risonanza a questa disinformazione, ma anzi cogliere l’occasione per far capire al popolo che c’è chi sta cercando di circuire la sua volontà con truffe politiche.

Filippo Savarese
portavoce Manif Pour Tous Italia

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CHE DIO ABBIA PIETA' DI EMMA BONINO

11/3/2015

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È rivolto ai parlamentari l’appello di Emma Bonino sulla legalizzazione dell’eutanasia che l’Associazione Coscioni pubblica sul suo sito. «Onorevoli parlamentari – dice l’ex Ministro degli Esteri – quando abbiamo avuto il coraggio, insieme, di puntare sulla libertà e sulla responsabilità individuale, abbiamo convinto, e quindi abbiamo vinto, tutti insieme. Perché la libertà è quella forza che unisce.

È la mancanza di libertà quella che in realtà rende la vita impossibile. Abbiamo vinto insieme quando abbiamo deciso di puntare sulla libertà e sulla responsabilità delle donne e degli uomini di questo Paese, per scegliere se e quando diventare madri. Abbiamo vinto insieme quando abbiamo puntato sui cittadini e le cittadine perché decidessero loro se la loro vita familiare, se il loro matrimonio, era ancora possibile, agibile, se era ancora vivibile. E nei momenti difficili, nelle scelte individuali, non abbiamo altre scelte.

Se vogliamo vivere insieme, pure se la pensiamo diversamente, anche se crediamo in cose diverse, la cosa che ci può unire, l’unica che ci può unire, è la libertà nella responsabilità. E quindi vivere liberi. E quindi vivere liberi, fino alla fine». Il testo del videomessaggio – realizzato, si avverte, prima che Emma Bonino scoprisse di avere un tumore e ribadito qualche giorno fa in un’intervista rilasciata alle “Invasioni Barbariche” – contiene cinque volte la parola “libertà”. Definita “responsabile”, legata all’affermazione di desideri individuali che concernono le scelte di vita, dalla soppressione del concepito, alla distruzione del matrimonio, alla scelta di farsi dare la morte.

Non c’è da farsi illusioni. La libertà, forza che “unisce” – come sostiene la Bonino – porterà presto nel nostro Paese all’introduzione dell’eutanasia. Si eliminerà l’anziano malato – soggetto privo di rilevanza sociale, perché non produce e diventa solo un peso da sostenere – e poi, come accade in Olanda o in Belgio, si elimineranno i bambini con malformazioni, perché l’imperfezione umana è ritenuta solo materiale da buttare. Non c’è nessuna differenza tra la cultura che proviene dalla Rivoluzione Francese – sancita a livello internazionale con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 – e la cultura nazista dei lager o da quella comunista staliniana o della Corea del Nord del terzo millennio.

Né c’è neanche da farsi illusioni che quella cultura troverà opposizione politica in Parlamento, dove la logica praticata dalla legge sul divorzio in poi è quella del “male minore” e dove – se va “bene” – chi dovrebbe “gridare dai tetti”, tace, per non prendere posizione e occultare la Verità. Né, infine, c’è da farsi illusioni sulla “sorte” di Emma Bonino.

Dio, con la sofferenza che inevitabilmente le causa il tumore, le ha concesso un tempo di ravvedimento, di “soddisfazione” ̶ com’è descritto dal numero 1459 del Catechismo della Chiesa Cattolica – e di “penitenza”, che come si legge al numero 1460, «deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della Croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che “partecipiamo alle sue sofferenze” (Rm 8,17)».

Emma Bonino consuma il suo “tempo di ravvedimento” propagandando la morte eutanasica. Senza giudicare, possiamo però essere certi che anche la “Chiesa della Misericordia” non potrà abolire i suoi peccati.

Danilo Quinto 
​Dal sito Corrispondenza Romana
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SE ''REPUBBLICA'' VUOLE L'ESILIO DI DIO

10/3/2015

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di Mario Adinolfi

Oggi pomeriggio nell’Aula Magna del rettorato dell’università di Torino si terrà una “lectio magistralis” di Paolo Flores d’Arcais contornato dalla sua cricchetta di editorialisti di grido del quotidiano la Repubblica e dintorni: Corrado Augias, Stefano Rodotà, Chiara Saraceno, Gustavo Zagrebelski, Giulio Giorello, Gian Enrico Rusconi ed altri soloni lo celebrano come “laico dell’anno”. Cosa andrà a dire di tanto decisivo Paolo Flores D’Arcais in un’occasione così solenne? La Repubblica ci ha tolto il gusto della sorpresa e manco fosse il vincitore di Masterchef, ha anticipato ieri il testo integrale della lezione. Due pagine del quotidiano intitolate, senza punti interrogativi, imperativamente: “La democrazia deve chiedere l’esilio di Dio”.

Le due pagine di Flores d’Arcais sono terrificanti. Ricorriamo alle citazioni testuali: “La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio, solo se disponibile a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico. La religione è compatibile con la democrazia solo se addomesticata. Le religioni compatibili con la democrazia sono religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharie e martiri e legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni). Sono religioni sottomesse che hanno interiorizzato l’inferiorità della legge di Dio rispetto alla volontà sovrana degli uomini su questa terra”. 

Ecco, direi che ce lo hanno detto chiaro cosa vogliono da noi. Ho l’impressione che da oggi sarò meno docile, Flores d’Arcais e Repubblica si abituino all’idea. Anche perché l’offensiva è evidente e le finalità ormai non sono neanche più nascoste. Come dice l’incipit dell’articolo “è questione di vita o di morte, alla lettera”. Ci vogliono morti, nella forma di democraticamente taciturni e addomesticati, sarà il caso di capirlo bene. Anche dalle parti dei sacri palazzi. Resto sorpreso avendo ormai continua conferma diretta del fatto che il quotidiano più letto nel clero e nell’episcopato sia proprio Repubblica. Propongo la sostituzione immediata in chiese, parrocchie e arcivescovadi con la lettura de La Croce. Credo dovrebbe essere considerata più salutare.

L’opzione di Flores d’Arcais è spiegata con nettezza del corso di tutto l’articolo. Qualche altro passaggio? Prendiamone uno programmatico: “E’ inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione”. Adesso vi è più chiaro perché l’offensiva dell’ideologia gender punta proprio sulla scuola, a partire dalla scuola materna? E a proposito dell’ideologia gender, altre due pagine di Repubblica, sempre sul numero di ieri. Titolo? “Il padre materno”. Il modo subdolo di raccontare l’indifferenzialismo sessuale con il papà che può fare la mamma per gettare le basi culturali che conducano alla normativa che preveda per un bambino l’assenza della mamma e la presenza di due papà. Di chi è l’editoriale che adorna le due pagine su pregi del papà che fa la mamma? Di Chiara Sareceno, certo, sociologa che oggi pomeriggio a Torino celebrerà Flores d’Arcais, quello che vuole cacciare Dio ed esiliarlo.

E i cattolici in questo schema cosa dovrebbero fare? Se non vogliono addomesticarsi e diventare docili davanti a normative depravate che puntano a legittimare ad esempio l’utero in affitto e la conseguente compravendita di esseri umani, come devono comportarsi secondo Flores d’Arcais? Qui sussiste una questione pienamente e totalmente democratica, la proposta di Repubblica è l’esilio non di Dio, ma più prosaicamente dei cattolici dal dibattito pubblico. Ci vogliono far rinunciare a qualsiasi nostra convinzione profonda, che è convinzione radicata in vasta parte del popolo italiano. Ma Dio non lo esilia Repubblica. 

Repubblica getta la maschera e dichiara il suo progetto. Da queste parti lo si denuncia da tempo. Sappia Flores d’Arcais che sapremo organizzare la resistenza, perché lui e i suoi sodali sono dei poveri giacobini isolati invecchiati male. Mentre noi siamo popolo. E estromettere il popolo dai meccanismi decisionali è un antico sogno dei totalitarismi novecenteschi, a cui speravamo che Repubblica avesse rinunciato. L’assalto ai cattolici italiani, alle loro idee e alla loro fede che è e resterà pubblica, perché radicata nella storia di un Paese, non avrà successo. Si potrà proseguire nell’offensiva mediatica in atto, ma non si trasformerà mai ciò che non è in cio che è. E voi, cari repubblichini giacobini, non siete popolo. Siete un piccolo club di anziani e superbi signori, facilmente battibile. Per esiliare Dio dovrete trovare ragioni meno irragionevoli ed energie meno patetiche.

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NOI STIAMO CON DON ANGELO PEREGO

8/3/2015

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NOI STIAMO CON DON ANGELO PEREGO
Un nuovo caso simile alla nostra cara amica Adele. È bastato che un omosessuale si sentisse offeso per una frase dal pulpito di don Angelo Perego per far partire la macchina del fango. È gia' su Repubblica e in settimana sarà su tutti i giornali e giù con interpellanze parlamentari dei soliti "sinistri". La tecnica e' sempre la stessa. 
Sosteniamo don Angelo.

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Ecco il vergognoso articolo:

Como, bufera sul parroco dopo la messa: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis"
La frase pronunciata da don Angelo Perego, parroco di Arosio, alla fine della celebrazione ha scatenato la reazione di un fedele omosessuale. "Affronteremo questo tema in parrocchia"
di DAVIDE CANTONI
 
"L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis. La prima ci attacca dall'interno, la seconda dall'esterno". Una frase pronunciata a fine messa da don Angelo Perego, parroco di Arosio, piccolo comune in provincia di Como. Poche parole per presentare un incontro aperto ai fedeli, in programma il 27 marzo, sul tema delle identità di genere. Un uomo a fine funzione lascia l'assemblea, raggiunge il parroco, vuole capire. E' un omosessuale e quanto ha sentito non gli piace. Chiede spiegazioni. "Ci conosciamo bene - spiega il sacerdote - e ci siamo confrontati. Non è vero che siamo finiti quasi alle mani, come ha detto qualcuno".

Il confronto, pacifico o meno, serve comunque a poco. E l'uomo torna a casa. Evidentemente lo scambio di opinioni non lo ha rincuorato: pubblica su Facebook le proprie riflessioni. Tanto è bastato perché il pensiero del sacerdote facesse il giro del paese e ovviamente andasse oltre i confini, il racconto è diventato notizia: ripresa, scritta, condivisa tra social e stampa locale. Un putiferio, con Arosio diviso fra chi difende il sacerdote e chi lo condanna per quanto detto. Contattato, don Angelo ripete continuamente: "Io non sono omofobo, per nulla. E' una sciocchezza quella di cui mi chiedete conto, è una piccola cosa. Non sono contro l'omosessualità, ho parlato di ideologia gender e ho detto che è più pericolosa del terrorismo Isis o islamico".

Che cosa sia però quella che definisce "ideologia" don Perego non lo chiarisce. E a domanda precisa non risponde. "E' pericolosa come ogni ideologia. Non ne parliamo ora, ne parleremo durante l'incontro in parrocchia. Vogliamo ragionare su queste cose. Ma sia chiaro a tutti, io non voglio giudicare, il sacerdote ha il compito di spiegare la morale cristiana. Non si giudica l'uomo, ma il peccato". Eppure la frase è forte, crea un accostamento tra terrorismo e identità sessuale. Forse un po' eccessivo come ragionamento. "Forse. Ma ripeto: non parlavo di omosessuali". Quindi un pensiero fraintendibile. "Tutti siamo fraintendibili, lo è anche il Papa".

Nonostante questo, un uomo si è sentito ferito dalle parole udite in chiesa. "E' una persona che conosco bene, un emarginato che trova conforto tra i miei volontari in oratorio. Prima ha chiacchierato con me, poi mi ha insultato su Facebook". Nel dubbio, rileggiamo a don Angelo le sue parole: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis. E' corretto?". "Si. Ma non capisco perché la cosa interessi tanto".

NOI STIAMO CON DON ANGELO PEREGO

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Eutanasia – Eluana non voleva morire

6/3/2015

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Eutanasia – Eluana non voleva morire
Una nostra lettrice, visti i “progressi” del Friuli Venezia Giulia verso l’eutanasia, ci ha inoltrato la lettera che ha scritto al Direttore del Messaggero Veneto, con preghiera di pubblicazione.
L’accontentiamo volentieri: l’autrice è un medico che ha assistito da vicino Eluana Englaro.


Al Direttore del Messaggero veneto
Mi rivolgo a Lei con questa lettera di sfogo per aprire uno spiraglio di luce in un discorso delicato riguardante il testamento biologico.
Parlo da medico poi da cristiana convinta: mi chiedo come potete insistere su un tema cosi importante senza avere conoscenze mediche e aver provato in prima persona la bellezza e la riscoperta di un mistero di vita che sta dietro ad una vita (sembra un gioco di parole) in stato di minima coscienza , come si trovava Eluana Englaro.

I giornali in genere, come il vostro, prendono in considerazione un argomento così importante, solo a senso unico, impadronendosi degli alti valori umani e religiosi, di cui è depositario.
Non si puo’ parlare ai vostri lettori, di casi viventi e non, che hanno dato grandi testimonianze nel periodo in cui si trovavano in condizioni comatose o dette volgarmente stati vegetativi, quando dichiarano di sentire tutto e di capire tutto ciò che sentono intorno a loro e soffrono della superficialità di chi li pensa assenti e incoscenti?

La vostra Regione, a torto, senza informazioni e approfondimenti, vorrebbe ergersi a bandiera, come è successo per la nostra cara Eluana, a cui è stata tolta la vita contro la sua volontà, avendo in più occasioni reagito quando capiva che volevano sopprimerla.

Sono testimone di questi fatti, vissuti direttamente sulla mia pelle, con davanti ai miei occhi lo strazio della reazione avuta da Eluana.
Nell’indifferenza viene “tenuta imprigionata la Verità nell’ingiustizia”, per dirla con S.Paolo (lettera ai Romani 1,18).
Non è piu’ presente neppure il ricordo del disastro del terremoto del Friuli del 1976 per poter ricostruire ora le macerie della coscienza distrutta da cosi tanto strazio?
Verro’ presto, in questo mese, nella vostra terra a testimoniare a Udine, Paluzza e Trieste, la verità su cio’ che Eluana veramente voleva: la sua vita anche cosi com’era.

“La Verità non va taciuta detta a metà ne ammorbidita” (San Giovanni Paolo II)
Convertitevi e credete al Vangelo!

Antonella Vian







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