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IN NOME DI QUALE PROGRESSO HAI TOLTO QUEL BAMBINO A SUA MADRE?

29/2/2016

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Nichi Vendola, in nome di quale progresso hai tolto quel bambino da sua madre?

«La guida di un movimento che, se ricordo bene, si autoproclama comunista cede alla pratica ultraclassista dell’adozione di un bambino mediante la mercificazione integrale della donna resa possibile dall’utero in affitto». Queste le parole del giovane filosofo marxista Diego Fusaro a commento della notizia che il leader di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL), Nichi Vendola, assieme al compagno gay, avrebbe acquistato un bambino in California, chiamato Tobia Antonio.

«Non può essere vero», scrive Fusaro, «sarebbe la dissoluzione immediata e irreversibile di Vendola e del suo partito; sarebbe la prova che si tratta di un partito al servizio del capitale e della mercificazione, dello sfruttamento dei corpi e dell’umiliazione permanente delle donne. No, Vendola non può legittimare quest’orrore. È sicuramente una montatura, un vile attacco ai danni suoi e del suo partito: che presto smentirà, immagino. Vendola, del resto, è uomo colto e sicuramente si ricorda di questo passaggio storico: “si lacerano per il proletario tutti i vincoli familiari, e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro”. Questa citazione non è tratta da un’Enciclica o da qualche manifesto cattolico in difesa della famiglia tradizionale. È, invece, desunta dal “Manifesto del partito comunista” del 1848 di Carlo Marx e Federico Engels. Due comunisti, di quelli veri». Lo stesso pensa anche Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista.

Purtroppo, pare proprio sia vero. Notizia che ha sconvolto perfino i feticisti di Twitter che, mentre ieri difendevano il senatore gay Sergio Lo Giudice, anche lui dichiarato ed orgoglioso acquirente di bambini, oggi massacrano di insulti e ironia l’ex governatore pugliese. Critiche arrivate anche da molti esponenti omosessuali, coscienti che si tratta di un fatto controproducente per le loro istanze. Alcuni, tuttavia, hanno preso le difese di Vendola, sostenendo che in California è una pratica legale e la madre è una “donna generosa” e non viene sfruttata. Come se regalare i bambini, mercificandoli come fossero pacchi natalizi, fosse una cosa meno orribile e meno violatrice della dignità umana. C’è chi intima di “non giudicare” (gli stessi che ti giudicano se sei contro le nozze gay) e chi fa notare che sarebbero più le coppie eterosessuali a compiere queste pratiche, leggenda confutata proprio pochi giorni fa.

Molti ci hanno segnalato anche le terribili parole pronunciate da Vendola nel 1985 in un’intervista per Repubblica (riprese anche in un libro): «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti – tema ancora più scabroso – e trattarne con chi la sessualità l’ ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione». Nel 2010 l’ex governatore della Puglia ha condannato la pedofilia ma sembra aver mai smentito o ritrattato quelle precise parole.

Nichi Vendola ha risposto parlando di “bellissima storia d’amore”. L’amore viene sempre tirato in ballo per coprire e giustificare le nefandezze umane. Ma quale amore? Un bambino reso appositamente orfano di madre, che un ricco omosessuale occidentale ha acquistato -o si è fatto regalare, è lo stesso- da una donna che per nove mesi lo ha cullato, creando con lui un legame inscindibile, illudendolo di essere la persona che lo avrebbe poi abbracciato e amato fin dalla nascita. Ed invece, Tobia Antonio è l’esperimento del progresso in cui crede l’Occidente, simbolo della mostruosità e disumanità dei nuovi diritti.

E’ stato profetico lo psichiatra Paolo Crepet, quando proprio pochi mesi fa parlò di chi torna dalla California con un bambino figlio dell’utero in affitto: «Se due gay che stanno insieme e decidono di andare in Usa o in Canada, ovvero dove si può andare, e si affitta un utero – perché è di questo che si tratta – e si torna in Italia dopo nove mesi con un bambino, io lo trovo nazista. C’è un’enorme quantità di studi sulla relazione emotiva che c’è tra il feto e la mamma durante i nove mesi di gravidanza. Non è un oggetto che hai nella pancia; è un essere umano vivente che ha delle relazioni con te. Parlo di nazismo perché se due signori gay andassero in California o in Canada ad affittare un utero, non cercherebbero una signora grassa, ma troverebbero qualcosa che si addice alla loro razza. Questo si chiama “eugenetica”, una prassi molto amata dai nazisti».

da UCCR
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L'IMPRONTA DI DIO

15/2/2016

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Ha fatto scalpore la notizia della rilevazione delle onde gravitazionali. È stata giustamente enfatizzata da tutti i media del mondo come una svolta epocale.

Tutti hanno ripetuto che tale rilevazione ci fornisce finalmente la conferma sperimentale di quanto Albert Einstein aveva ipotizzato cento anni fa nella sua teoria della relatività generale.

Ora si aprono orizzonti inediti per la scienza, ma solo gli addetti ai lavori possono intuire alcuni scenari futuri della ricerca: il grande pubblico e i media non sono in grado di capire tutta la portata scientifica di questo avvenimento.

Invece il «caso Einstein» può e deve essere compreso in tutte le sue implicazioni e non si può ridurre alla sola narrazione banale e celebrativa della genialità di questo straordinario scienziato.

È stato lui stesso, infatti, ad accompagnare le sue teorie - che hanno rivoluzionato la scienza - con considerazioni che riguardano tutti noi come esseri umani nel mistero dell' universo e finalmente la nostra mente alla ricerca di Dio. Lo si può affermare - come vedremo - proprio sulla base di quanto Einstein stesso ha scritto.

Anzitutto va detto che Einstein era essenzialmente un fisico teorico. Mentre il fisico sperimentale costruisce (appunto) esperimenti con sofisticate tecnologie, per appurare dei fenomeni, il fisico teorico, partendo da ipotesi, arriva, attraverso delle equazioni matematiche, ad enunciare delle leggi fisiche non ancora verificate sperimentalmente.

Per questo i famosi studi sulla relatività di Einstein hanno previsto una serie di fenomeni e realtà fisiche la cui effettiva esistenza è stata constatata solo negli anni successivi.

L' ultima clamorosa conferma è appunto di questi giorni. Ma molte altre cose intuite per via teorica da Einstein erano già state dimostrate effettivamente esistenti nella realtà. E questo ha rivoluzionato la fisica, ma anche la nostra stessa vita quotidiana.

Tuttavia c' è un aspetto che sfugge in tutta questa vicenda. I media in questi giorni non gli danno alcuna attenzione, considerandolo scontato, ma era invece ritenuto da Einstein assolutamente sorprendente: il fatto cioè che la mente umana, tramite equazioni matematiche, sia in grado di ipotizzare l' esistenza di fenomeni fisici mai visti e il fatto che la realtà fisica dell' universo mostri di essere stata «costruita» proprio così, con perfetta (e altissima) razionalità matematica.

La matematica è una costruzione della mente umana. Com' è possibile che un' equazione astratta costruita dalla nostra intelligenza si ritrovi poi esattamente riprodotta nelle leggi fisiche vigenti nelle più remote regioni dell' universo?

Il cosmo non è stato prodotto da nessun essere umano e tuttavia è governato proprio da quella stessa ferrea razionalità matematica che la nostra mente elabora in astratto.

Tutto questo è un autentico «miracolo»: è il più colossale e clamoroso miracolo che si trovi costantemente sotto i nostri occhi e a cui non facciamo alcun caso.

A chiamarlo così - «miracolo» - è stato proprio Einstein che ne era immensamente stupefatto.

Nella famosa lettera a Solovine, Einstein scriveva: «Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo (Wunder) o un eterno mistero (ewiges Geheimnis). Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe» aggiungeva Einstein «un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d' ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt' altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall' uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d' ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il "miracolo" che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze.

È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dèi (entgöttert), ma anche dei miracoli (entwundert)».

In perfetta consonanza con Einstein, un altro Premio Nobel per la Fisica, Antony Hewish, astronomo, ha affermato: «Dall' osservazione scientifica arriva un messaggio molto chiaro. E il messaggio è questo: l' universo è stato prodotto da un essere intelligente».

È questo che autorizza a parlare di certezza razionale dell' esistenza di Dio.

Il più importante filosofo dell' ateismo, Anthony Flew, che proprio grazie ad Einstein ha di recente rinnegato l' enorme mole del suo lavoro precedente, proclamando di avere oggi raggiunto la certezza razionale dell' esistenza di Dio, ha scritto: «Einstein credeva chiaramente in una fonte trascendente della razionalità del mondo, che definì variamente: "mente superiore", "spirito superiore illimitabile", "forza ragionante superiore" e "forza misteriosa che muove le costellazioni”».

È la conferma di quanto la Chiesa ha affermato nel Concilio Vaticano I: l' uomo con la semplice intelligenza può arrivare alla certezza dell' esistenza di Dio.

La fede cristiana poi è altra cosa: è la Rivelazione dell' incarnazione del Figlio di Dio, Gesù. Ma alla certezza razionale dell' esistenza di Dio si può arrivare con la semplice ragione. Infatti c' è arrivata la più alta mente dell' antichità - Aristotele - e la più alta mente della modernità: Einstein.

Ecco un altro suo pensiero: «È certo che alla base di ogni lavoro scientifico qualificato troviamo il convincimento, simile al sentimento religioso, della razionalità e intelligibilità del mondo (…). Tale fermo convincimento, legato al sentimento profondo dell' esistenza di una mente superiore che si manifesta nel mondo dell' esperienza, costituisce per me l' idea di Dio».

Diceva ancora: «Chiunque sia seriamente coinvolto nella ricerca scientifica, si convince che le leggi della natura manifestino l' esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell' uomo e davanti al quale noi, con i nostri modesti poteri, ci dobbiamo sentire umili».

E ancora: «La mia religiosità consiste in un' umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei lievi dettagli che siamo in grado di percepire con le nostre fragili e deboli menti. Questa convinzione profondamente emozionante della presenza di un potere ragionante superiore, rivelato nell' universo incomprensibile, costituisce la mia idea di Dio».

È evidente che Einstein non possa essere considerato ateo o spinoziano, cioè panteista. Lui stesso lo smentì esplicitamente: «Non sono ateo e non credo di potermi definire panteista. Siamo nella stessa posizione di un bambino che entra in un' enorme biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Non si sa come. Non si comprendono le lingue in cui sono scritti. Il bambino sospetta vagamente un ordine misterioso nella collocazione dei libri, ma non sa quale sia. Questo, mi pare, è l' atteggiamento anche del più intelligente degli esseri umani nei confronti di Dio».

Da questo si comprende la sua posizione di scienziato: «Voglio sapere come Dio ha costruito questo mondo (…). Voglio conoscere i suoi pensieri».

Una posizione opposta a quella di certi divulgatori mediatici di oggi, tuttora aderenti all' ottocentesca ideologia positivista e quindi allergici alla parola «Dio».

Uno scienziato libero da pregiudizi ideologici non può che arrivare alle conclusioni razionali di Einstein.

Il caso Einstein spiega perché un altro grande scienziato, profondamente cattolico, Louis Pasteur, fondatore della microbiologia, poteva dire: «Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui».
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USARE IL MEDIOEVO COME INSULTO E' SEGNO DI IGNORANZA STORICA E CULTURALE

8/2/2016

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Uno dei misteri più grandi, lo dico senza ironia, è stata la fuorviante trasformazione del termine “medievale” in aggettivo – cito il Dizionario Treccani – riferito a «concezioni e principî superati e retrogradi». Pare che dietro tutto questo vi sia lo zampino illuminista, ma vale la pena vederci chiaro.

Anche perché, voglio dire: il vituperato Medioevo ci ha regalato arte, cattedrali, monasteri e cultura ancora oggi (anche economicamente, si pensi al turismo) fruttano patrimoni: non so se invece fra alcuni anni – ne dubito – qualcuno vorrà andare a farsi qualche giro, non solo se pagante ma neppure se pagato, in molti aborti firmati dalle nostre archistar; ma quanto scommettiamo che per quanto l’epoca medievale ha lasciato vi sarà ancora interesse? Chi vivrà, vedrà: e sono certo che vedrà.

La stessa terrificante Inquisizione medievale, invocata come la vergogna della storia, tutto fu fuorché tale: lo sanno anche i sassi che l’apice delle caccia alle streghe si registrò durante il Rinascimento e comunque nelle regioni germaniche protestanti più che in quelle cattoliche. Inoltre tutto fu, il Medioevo, fuorché ostile alla donna: i nomi di Matilde di Canossa, Eleonora d’Aquitania, Bianca di Castiglia o Ildegarda di Bingen dicono nulla? Altro che la Merkel o la Boldrini o Hillary Clinton. Senza parlare delle cinture di castità, bufala totale: perfino al Museo d’arte medievale di Cluny a Parigi, per dire, fino a non moltissimi anni fa se ne poteva ammirare una che si credeva appartenuta alla regina di Francia Caterina de’ Medici: peccato che fosse una patacca.

Curiosa pure l’idea che esser medievali sia sinonimo di essere «retrogradi»: storici come Jean Gimpel (1918–1996) hanno parlato, per quell’epoca, d’una vera e propria rivoluzione industriale. Le stesse invenzioni non mancarono; pensiamo all’aratro meccanico, alla ferratura dei cavalli, al verricello, alla carrucola, alle staffe lunghe, all’arco rampante, alla volta a crociera, all’aggiogatura a spalla, al sapone, alla vite elicoidale, al bottone, al martinetto, allo specchio, agli occhiali, al prosciutto, allo champagne, al parmigiano e tanto altro. Quanto alla leggenda della terra creduta piatta, nel Medioevo circolava ampiamente – in latino – il Timeo di Platone, dove si parla di un «mondo in forma di globo, tondo come fatto da un tornio, con i suoi estremi in ogni direzione equidistanti dal centro, la più perfetta e la più simile a se stesso di tutte le figure…».

Strano davvero, insomma, che il vituperato Medioevo fosse un’epoca così barbara e ignorante. Così barbara e ignorante, fra l’altro, da aver donato all’umanità gente come san Francesco d’Assisi – uno dei più significativi santi di tutti i tempi -, come san Tommaso d’Aquino – uno, se non il teologo più grande di tutti i tempi – e come Dante Alighieri, la cui Divina Commedia è un’opera talmente straordinaria che rivela un’intelligenza – dicevano intellettuali quali Federico Zeri (1921–1998) – incredibile, mostruosa, tale da fare quasi escludere che il Divin Poeta fosse un essere umano. L’era delle «concezioni e principî superati e retrogradi» è stata inoltre – alla faccia del suo presunto degrado – quella dei Comuni, delle libertà municipali, della Magna Charta.

Fa sorridere pure il collegamento fra il Medievo e l’odio contro le persone omosessuali: su Wikipedia, tempio della cultura 2.0, da un lato si ammette che nell’Alto Medioevo l’omosessualità era trattata come peccati come l’adulterio ed i rapporti prematrimoniali, dall’altro si dice che nel Basso Medioevo scattarono persecuzioni della quali, guarda caso, mancano però le fonti. In ogni caso, a proposito di omofobia, si fa bene a ricordare che ad incarcerare Oscar Wilde non furono né i medioevali e neppure i cattolici, bensì l’Inghilterra vittoriana. E potremmo continuare se il mistero di “medievale” come insulto non fosse già abbastanza fitto e ingiustificato. La sola vera colpa del Medioevo, in realtà, è una: essere stato cristiano. Profondamente cristiano. E questa proprio non gliela si può perdonare.

Giuliano Guzzo
Da UCCR
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SOPRA LA CROCE DI GESÙ NON ERA SCRITTO SOLO INRI. ECCO IL VERO SIGNIFICATO DELL’ISCRIZIONE EBRAICA

5/2/2016

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In Esodo 20,2 Dio rivela il suo nome a Mosè:
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”

La parola tradotta con “il Signore” è il famoso Tetragramma che gli ebrei non possono neanche pronunciare:“YHWH“,  vocalizzato in diversi modi tra i quali “Yahweh“. Le quattro lettere ebraiche che lo compongono sono queste: “יהוה“, yod-he-waw-he. Ricordiamo che l’ebraico si legge da destra verso sinistra.

Nel Vangelo di Giovanni, capitolo 19 versetti 16-22, leggiamo:
“Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: «Il re dei Giudei», ma: «Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei»». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».”

Nonostante il brano in questione sia famosissimo, la scena che si è svolta davanti a Gesù crocifisso dev’essere stata un po’ diversa da come ce la siamo sempre immaginata. Giovanni, forse, ha provato a sottolinearlo ma il lettore, non conoscendo la lingua ebraica, è impossibilitato a comprendere.

L’iscrizione di cui parla Giovanni è la famosa sigla “INRI“, raffigurata ancora oggi sopra Gesù crocifisso. L’acronimo, che sta per il latino “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum“, significa appunto “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei“.

Ma Giovanni specifica che l’iscrizione era anche in ebraico. Non solo: in un momento così importante l’evangelista sembra soffermarsi su dei particolari apparentemente di poco conto:

- il fatto che molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città

- i capi dei sacerdoti che si rivolgono a Pilato per far modificare l’iscrizione

- Pilato che si rifiuta di cambiarla. 

Ponzio Pilato, che era romano, probabilmente non capiva che, senza volerlo, aveva creato un po’ d’imbarazzo – se vogliamo definirlo così – agli ebrei che osservavano Gesù crocifisso con quell’iscrizione sopra la testa.

Henri Tisot, esperto di ebraico, si è rivolto a diversi rabbini per chiedere quale fosse l’esatta traduzione ebraica dell’iscrizione fatta compilare da Pilato. Ne parla nel suo libro “Eva, la donna” nelle pagine da 216 a 220.

Ha scoperto che è grammaticalmente obbligatorio, in ebraico, scrivere “Gesù il Nazareno e re dei Giudei“. Con le lettere ebraiche otteniamo “ישוע הנוצרי ומלך היהודים“. Ricordiamo la lettura da destra verso sinistra.

Queste lettere equivalgono alle nostre “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” vocalizzate “Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim“.

Quindi, come per il latino si ottiene l’acronimo “INRI“, per l’ebraico si ottiene “יהוה“, “YHWH“.

Ecco spiegata l’attenzione che Giovanni riserva per la situazione che si svolge sotto Gesù crocifisso. In quel momento gli ebrei vedevano l’uomo che avevano messo a morte, che aveva affermato di essere il Figlio di Dio, con il nome di Dio, il Tetragramma impronunciabile, inciso sopra la testa.

Non poteva andar bene che YHWH fosse scritto lì, visibile a tutti, e provarono a convincere Pilato a cambiare l’incisione. Ecco che la frase del procuratore romano “Quel che ho scritto, ho scritto” acquista un senso molto più profondo.

Sembra incredibile? Pensate che Gesù aveva profetizzato esattamente questo momento. In Giovanni 8,28 troviamo scritto:

“Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono” 

Per “innalzare” Gesù intende la crocifissione. “Io Sono” allude proprio al nome che Dio ha rivelato a Mosè in Esodo 3,14:

“Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»”

Daniele di Luciano
Da Aleteia
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L'AMORE E' ANCHE GAY, LA FAMIGLIA MAI

3/2/2016

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La giornalista e attivista cattolica Costanza Miriano, presente al Family Day, spiega il suo punto di vista. I bambini devono potersi rapportare con la diversità maschile/femminile incarnata dai genitori. Bergoglio ha paragonato l'idea "gender" al nazismo.

La famiglia? Una sola, non si discute. La madre è la madre e non “un termine antropologico”. Le coppie nascono con un progetto (il matrimonio) e l’amore, che pure è la cosa più importante di tutte, non è un concetto giuridico. Più o meno in sintesi, potrebbe sembrare la lista dei precetti di chi si oppone al ddl Cirinnà, cioè al disegno di legge che regolamenta le unioni civili (anche per le coppie omosessuali) e prevede la possibilità di adozione da parte del partner, del figlio dell’altro componente della coppia. Per Costanza Miriano, giornalista, attivista cattolica, presente al Family Day e autrice dei due volumi Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei è anche di più. È la base di una battaglia da combattere. Per salvare la famiglia.

Il concetto di famiglia è così chiaro?
Io penso di sì. La famiglia è un concetto pre-cristiano, ed è composta da un uomo e una donna, dai quali discendono dei figli. Esistono anche coppie sterili, certo, che sono sempre famiglie – non è fondamentale la presenza dei figli. E' fondamentale la disponibilità ad averne.

Con un uomo e una donna.
Sì. La vita nuova viene dall’unione di un maschio e di una femmina. Questo mi sembra indiscutibile. Se si parla di sentimenti allora le cose sono diverse.

In che modo?
Nessuno può permettersi di giudicare la condotta di nessuno. Ognuno ama chi vuole. È una cosa che io difendo sempre, anche in modo feroce. E vale per eterosessuali e omosessuali. Io non mi intrometterei mai, e nemmeno lo Stato lo può fare. Sono cose private. Ognuno di noi ha la sua vita, ognuno è doppio, triplo. Ognuno ha il suo mistero.

Però, quando si parla di figli le cose cambiano.
Si esce dalla sfera personale e si entra in quella collettiva, pubblica. E la collettività deve difendere la famiglia per difendere i figli.

Ma da cosa vanno difesi?
Le coppie omosessuali, da sole, non possono generare figli. Se lo fanno, alterano il dato di realtà, e capovolgono il diritto. Ecco, i figli vanno difesi da questo: si pensa che siano un diritto degli adulti, e non è così. Da madre sono imbevuta dal senso di maternità e, in fondo, è un desiderio che capisco. Però i figli non sono un diritto: è evidente, ma viene negato. Siamo in una situazione in cui bisogna sguainare le spade per dire che le foglie d’estate sono verdi.

Certo, non li possono generare. Ma questo non impedisce che possano crescerli bene.
Ma come fanno? È una situazione in cui manca la madre, o il padre. Sono figure fondamentali per la crescita e l’equilibrio del bambino.

È una battaglia che faccio in buona fede. Senza doppi fini, senza guadagnare nulla e senza insultare nessuno. Non me ne pentirò mai, perché tra tutti i diritti deve prevalere quello dei bambini
Costanza Miriano


La madre esiste, come è ovvio, ma è poi necessario che coincida con il genitore?
La madre non è, come dicono, un “concetto antropologico”, per cui variabile, modificabile dalle culture. È il corpo che ha generato, che ha nutrito, è il cuore che per nove mesi il bambino ha sentito, tutti i giorni, nel ventre. L’attaccamento è naturale, e impedirlo non può che provocare danni psicologici.

È sicura che una famiglia omosessuale non possa garantire serenità ai figli?
Credo di no. Il problema sorge con l’età: tutti i bambini chiedono, domandano, vogliono conoscere le loro origini. Vogliono sapere da dove vengono. Come reagisce un bambino se scopre che la madre lo ha respinto? Che chi lo ha procreato lo ha poi ceduto? Questo provoca danni, e sofferenze. E poi i cervelli di uomini e donne sono diversi, e il bambino deve conoscere entrambi, rapportarsi con entrambi. Un padre e una madre hanno strutture emotive diverse, perché sono un maschio e una femmina. Questo è costitutivo in una famiglia.

Sì, ma parlare di strutture cerebrali non implica che il modello di famiglia “naturale” sia, in effetti, “naturale”. Nella storia e nei luoghi sono esistiti – ed esistono – diverse varietà di organizzazione sociale.
Certo, ma i cervelli sono sempre quelli, non cambiano da una società all’altra. E i bambini devono rapportarsi con entrambi. Per questo la famiglia non è un “modello”, ma è un archetipo, una struttura profonda. Ed è la nostra realtà. Criticare i casi di famiglia disfunzionale, in cui ci sono tradimenti, violenze, abbandoni – che esistono e sono gravi – è giusto. Ma questo non vuol dire che la famiglia “tradizionale”, come viene definita, non sia fondamentale.

Diversi studi dimostrano che non ci sono differenze tra figli cresciuti da coppie omosessuali e coppie eterosessuali.
È un campo troppo giovane perché esistano risultati definitivi. Esistono anche studi che dimostrano il contrario, e figli di coppie omosessuali che, intervistati, chiedono di non far vivere ad altri quello che hanno vissuto loro. Quello che penso, in realtà, è che sotto questa battaglia delle coppie omosessuali si celi altro. Una questione culturale.

Cioè?
Il desiderio degli omosessuali di vedersi, di essere considerati come gli altri. È giusto, ma io al posto loro sarei orgogliosa della mia diversità. Non cederei alla volontà di omologarmi, di copiare modelli borghesi: il tinello, la vita di coppia. I grandi scrittori omosessuali che amo, come Pasolini, e Cunningham, interpretano l’omosessualità in altro modo.

Lei cosa farà se, invece, si dimostrerà che i figli di coppie omosessuali non subiscono danni psicologici? Cioè se, alla fine, andrà tutto bene?
Non credo che andrà così. Ma, se proprio, penserò che ho fatto tutto in buona fede. Senza doppi fini, senza guadagnare nulla e senza insultare nessuno. Non me ne pentirò mai, perché tra tutti i diritti, deve prevalere quello dei bambini.

La sua posizione affonda le radici nella fede cristiana. Il Papa però si è mostrato piuttosto distaccato dalla questione.
Non è così. Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa, intesa come gerarchie, di non intervenire nell’agone politico. Al centro dei suoi pensieri prevale la questione economica, la volontà di attirare le persone lontane. Sul gender, però si è espresso. E ha avuto parole che, se fosse stato Ratzinger, lo avrebbero crocifisso: lo ha paragonato al nazismo. Direi che è piuttosto chiaro.

Al di là dei numeri, non pensa di combattere una battaglia minoritaria?
Minoritaria nei media, forse. O tra gli intellettuali. Tra le persone comuni le assicuro che è una posizione molto sostenuta.

Sono posizioni che non esprimono, diciamo, lo spirito dei tempi.
La proposta cristiana sì, oggi è minoritaria. È vincente il modello di un individuo autodeterminato, senza vincoli – ad esempio, il divorzio è breve. Il suo impegno nella collettività è discrezionale. Noi siamo rimasti, come si diceva, un piccolo gregge, per cui la cosa non mi scandalizza. So che la società non è più saldamente cristiana, e so che chi sceglie di esserlo lo fa controcorrente ma con consapevolezza. Personalmente, lo preferisco. Pochi cristiani, ma buoni: lo si è per scelta, non per costrizione. Nel mondo dove domina l’idea di inseguire i desideri individuali, facendone il perno del proprio agire, noi preferiamo un’altra strada: quella in cui il desiderio esiste, ma viene educato. In nome di qualcosa di più alto.

Dario Ronzoni
​Da Linkiesta
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