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''STOP AI NEGOZI APERTI DI DOMENICA: CANCELLARE LA LEGGE MONTI''

23/5/2017

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«Noi siamo stati gli unici in Italia a tenere chiusi i battenti come segno di protesta verso una misura sbagliata. Quella di Monti è stata una bomba a ciel sereno». Così, intervistato sul Mattino, Marcello Cestaro, presidente e fondatore del Gruppo Unicomm SpA di Dueville (Vicenza), si schiera contro l’apertura domenicale dei negozi da parte delle grandi catene di distribuzione. Unicomm  è presente in 7 regioni e 32 province.Conta oltre 7.000 dipendenti e più di 450 punti di vendita.

«L’articolo 31 del decreto Salva Italia del 2011, che ha consentito l’apertura senza vincoli degli orari di tutti i negozi – prosegue Cestaro – va cancellato perché in un baleno le famigliehanno dovuto cambiare stile di vita: la mamma al lavoro alla domenica e il padre a casa con i bambini o viceversa. Non è giusto subire le decisioni di alcune grandi multinazionali, anche italiane, che hanno cercato di conquistare nuove fette di mercato mettendo in ginocchio i piccoli negozi con due tre dipendenti tagliati fuori dalla concorrenza».

«Qualcuno mi dirà che sono bigotto: non è così – continua il presidente di Unicomm -. Io vado a messa alla domenica e spero che lo facciano anche i miei nipoti, ma è giusto anche fare due passi in montagna e non restare inchiodati alla cassa di un negozio. Parto dalla mia realtà, la Unicomm, e dico: non ha alcun senso aprire la domenica e peggio ancora nelle 12 superfestività nazionali. Anzi, Monti ha dato la possibilità di aprire 24 ore su 24, basta garantire il riposo ai collaboratori. Ma nelle nostre città non si può girare tranquilli di notte: a Verona forse sì, a Padova no».

Monti si è solo limitato ad applicare la direttiva europea Bolkenstein ribatte Salmaso: «No, lei si sbaglia – replica Cestaro -. Vada in Austria, alla domenica tutto chiuso. O in Alto Adige, che chiude a mezzogiorno e apre alle 15 i negozi. Solo Italia e Francia hanno liberalizzato gli orari. Qui si tratta di aiutare le famiglie, i pensionati e anche i disoccupati: ho 300 lettere di richieste di assunzione ogni mese ferme nel cassetto».
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CASO DJ FABO: I PM GRAZIANO CAPPATO CREANDO UN ''DIRITTO ALLA DIGNITA''' CONTRO IL DIRITTO ALLA VITA

3/5/2017

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L’esponente radicale Marco Cappato a fine febbraio accompagnò Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, presso la clinica svizzera Dignitas. Lì Dj Fabo prese tra i denti un pulsante che permise ad una sostanza di condurlo a morte rapida. Il 29 febbraio, giorno successivo al decesso del 39enne tetraplegico, Cappato si autodenunciò presso i carabinieri di Milano per aiuto al suicidio, certo che l’avrebbe fatta franca.

Ieri infatti puntale è arrivata l’archiviazione da parte dei pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini. L’archiviazione per diventare definitiva dovrà passare il vaglio del gip. Vediamo le motivazioni che hanno spinto i due pm a non incriminare Cappato per aiuto al suicidio ex art. 580 cp. I giudici innanzitutto si sono rifatti ad alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, della nostra Corte Costituzionale e dei giudici che si sono pronunciati sui casi Eluana e Welby. 

La Siciliano e la Arduini hanno concluso che “non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale ha inteso affiancare al diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita inteso come sinonimo dell'umana dignità". Cosa sarebbe questo diritto alla dignità che permette il suicidio? "Le pratiche di suicidio assistito – scrivono i giudici - non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso”. In buona sostanza un paziente terminale o che soffre o che è affetto da qualche patologia ritenuta dallo stesso “intollerabile” vivrebbe una vita indegna e il suo diritto alla dignità verrebbe leso. Per difendersi da simili danni alla propria dignità l’unica soluzione è morire. Ne consegue che, secondo i pm, Cappato, accompagnando Antoniani in auto sino in Svizzera, non ha fatto altro che aiutare un soggetto in condizioni di “non vita” ad esercitare un diritto.

Alcune critiche. Prima di tutto valutiamo il provvedimento per quello che dice, senza far riferimento al nostro ordinamento giuridico. Apprendiamo grazie al duo Siciliano e Arduini che da ieri è spuntato un nuovo diritto nel nostro ordinamento: il diritto alla dignità. Tale diritto semplicemente non esiste e non può, per mancanza di competenza, essere istituito dai magistrati. In secondo luogo i giudici affermano chiaramente che una vita mancante di alcune qualità o funzioni non val più la pena di essere vissuta. I pm a chiare lettere ci dicono che, contrariamente a quanto afferma la Costituzione, la persona non vale più per se stessa, che la sua dignità non dipende dalla salute, dall’aspettativa di vita, etc. bensì dalla valutazione che compie il paziente o il disabile sulla propria vita. La dignità non è più un fatto da riconoscersi, ma diventa un valore da attribuire. Diventa opinabile. 

Non solo, ma i giudici affermano che, al di là dell’apprezzamento soggettivo compiuto dal malato, esistono dei parametri oggettivi per dire che alcune vite è meglio terminarle: la fase terminale e la sofferenza. Porte aperte quindi sia all’eutanasia volontaria sia a quella involontaria su persona non consenziente. Curioso poi il modo per tutelare l’inesistente diritto alla dignità: morire. Ma così anche il diritto alla dignità muore con il paziente stesso. Una contraddizione evidente. Senza poi contare che è il suicidio ad essere un atto contrario alla dignità della persona.

Mettiamo ora a confronto questo provvedimento con ciò che dice il nostro ordinamento giuridico. Molte sono le norme per affermare che la vita è un bene giuridico indisponibile, cioè che non esiste il diritto a togliersi la vita. Ma nel caso specifico del Dj Fabo non si può che richiamare l’art. 580 cp che punisce l’aiuto al suicidio: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”. 

Dunque chi aiuta un’altra persona a darsi la morte va in galera perché la vita è bene indisponibile. E’ semplice: Cappato deve finire in carcere. C’è scritto forse in questo articolo che se il suicidio è volto a tutelare l’immaginifico diritto alla dignità l’aiuto al suicidio non è più reato? No. C’è forse scritto che se il suicidio è chiesto da paziente terminale o che soffre molto o che ritiene la propria esistenza non più degna di essere vissuta l’aiuto al suicidio non è più reato? No. Quindi i giudici, ancora una volta, non hanno applicato la legge: Cappato deve finire dietro le sbarre perché ha compiuto un reato. Bensì si sono inventati un nuovo diritto che appare essere una scriminante al reato di aiuto al suicidio: Cappato può tornarsene a casa perché ha aiutato Antoniani ad esercitare il diritto alla dignità.

E che dire delle sentenze dei giudici sul fine vita? Forse che lì i due pm hanno trovato validi appigli? Ad oggi la giurisprudenza, mal interpretando l’art. 32 della Costituzione, permette solamente al paziente di rifiutare trattamenti terapeutici anche salvavita, ma non permette che un soggetto terzo aiuti un altro a morire. Puoi anche morire, ma non chiedere ad un altro che ti dia una mano, ci dicono i giudici.

Ma esiste l’eccezione e i pm Siciliano e Arduini l’hanno colta al volo: le pronunce dei giudici sui casi Eluana e Welby. Perfette per il caso di specie. Addirittura nel caso di Eluana si fece morire una persona non consenziente e vogliamo ora andare tanto per il sottile sul caso del Dj Fabo il quale chiese lui stesso, al pari di Welby, di poter morire? Ed anzi, rispetto a Welby fu lo stesso Antoniani a darsi la morte. E poi, mentre il Parlamento sta per partorire una bella legge sull’eutanasia vuoi proprio ora mettere il militante radicale in galera? Sarebbe una scelta di cattivo gusto giuridico.

Cappato insieme a Mina Welby è anche indagato dalla procura di Massa per aiuto al suicidio del 53enne Davide Trentini morto il 13 aprile sempre nella medesima clinica Dignitas. Secondo voi come andrà a finire?

Tommaso Scandroglio
Dal sito della Nuova Bussola quotidiana
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