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UNA VOLTA MI LIMITAVO A RINGRAZIARE BABBO NATALE

20/12/2014

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Gesù Bambino viene in ogni casa ma piccolo come è ha bisogno di una mano a portare i pacchi e chi lo aiuta?!? Babbo Natale!!! E che... NON LO SAPEVATE?!?Sono l'unico che a 47 anni ha ancora scritto la lettera a Gesù Bambino?!?

I miei antichi lettori sanno quanto non ami particolarmente il Rosso Panzone a cui alcuni hanno appaltato il Natale. Ma nel testo che segue mi sta proprio bene.

 
''Quello che mi è successo è l’opposto di quello che sembra essere l’esperienza della maggior parte dei miei amici. Invece di rimpicciolire fino ad un puntino, Babbo Natale è divenuto sempre più grande nella mia vita fino a riempire la quasi totalità di essa. È successo in questo modo. Da bambino mi trovai di fronte ad un fenomeno che richiedeva una spiegazione. Avevo appeso alla sponda del mio letto una calza vuota, che al mattino si trasformò in una calza piena. Non avevo fatto nulla per produrre le cose che la riempivano. Non avevo lavorato per loro, né le avevo fatte o aiutato a farle. Non ero nemmeno stato buono – lungi da me!
E la spiegazione era che un certo essere che tutti chiamavano ‘Santa Claus’ era benevolmente disposto verso di me… Ciò che credevamo era che una determinata agenzia benevola… ci avesse davvero dato quei giocattoli per niente.

E, come affermo, io ci credo ancora. Ho semplicemente esteso l’idea. Allora chiedevo solo chi metteva i giocattoli nella calza, ora mi chiedo Chi mette la calza accanto al letto, e il letto nella stanza, e la stanza della casa, e la casa nel pianeta, e il grande pianeta nel vuoto.

Una volta mi limitavo a ringraziare Babbo Natale per pochi soldi e qualche biscotto. Ora, lo ringrazio per le stelle e le facce in strada, e il vino e il grande mare.
Una volta pensavo fosse piacevole e sorprendente trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza. Ora sono felice e stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo, e poi buona parte ne rimane fuori; è il grande e assurdo regalo di me stesso, perché all’origine di esso io non posso offrire alcun suggerimento tranne che Babbo Natale me l’ha dato in un particolare fantastico momento di buona volontà.

Gilbert Keith Chesterton'
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IL SIMPATICO INGANNO DI BENIGNI

18/12/2014

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Il simpatico inganno di Benigni
I Dieci Comandamenti in prima serata su Rai Uno: uno spettacolo scoppiettante. Ma la Bibbia personale e anti-Chiesa del comico ha il fiato corto


Benigni è bravo, poco da dire su questo. Parla bene, diverte, commuove, appassiona. E pure gli argomenti se li sceglie bene. Magari a volte li ritratta, come nel caso dei Dieci Comandamenti, di cui un po' di anni fa parlava in maniera forse ancor più divertente di quanto non faccia oggi, e cioè come un'esilarante idiozia inventata dagli umani contro il volere di Dio. Oggi ne parla con reverenza, e ci infarcisce sopra due prime serate su Rai Uno con conseguente e prevedibile record di ascolti.

Benigni diverte, commuove, appassiona. Sì. Però inganna. Inganna perché dietro al velo della sua retorica scoppiettante la materia trattata ne risulta costantemente massacrata, o comunque deformata. I Comandamenti, tra i meandri di una parziale esaltazione, ne escono in realtà sviliti. La Costituzione italiana, al contrario, ne usciva oltremodo esaltata, al di là dei suoi effettivi meriti e pregi. La Commedia di Dante, poi, si diluiva in un sentimentalismo indegno dello spessore umano e razionale del Poeta. Tant'è che Benigni non ha mai convinto nessuno a leggere o studiare la Commedia: ha convinto solo a guardare Benigni che parla della Commedia.

E lo stesso vale per la Bibbia e i Comandamenti. L'assunto generale delle due serate era questo: io vi leggo il testo originale e vi faccio vedere quant'è bello e pieno di sorprese. Vi parlo del Dio autentico, scevro dalle tante aggiunte ingannevoli con cui la Chiesa nei secoli ce lo ha coperto. Naturale che in tutto questo (essendosi Benigni ben preparato) ne siano uscite, soprattutto nella prima serata, anche cose molto belle, appassionanti e che andavano pure a sovrapporsi e a coincidere con il messaggio che la Chiesa ci ha sempre trasmesso a proposito di Dio e del suo amore per l'uomo. Ma l'inganno resta, e nella seconda serata si è svelato in maniera ancor più evidente.

Guarda un po' che caso, l'inganno si è disvelato pienamente quanto il Benigni è scivolato sul sesso. La Bibbia vera dice una cosa, e cioè semplicemente che non dobbiamo commettere adulterio. La Chiesa, chissà per quale malattia sessuofobica, se n'è inventata un'altra, e cioè che il sesso tutto quanto, in qualsiasi sua forma, è peccato mortale. Parole testuali del Benigni. Gli piace vincere facile, verrebbe da dire.

E poi è strano proprio. Quando Benigni parla, ad esempio, di «non rubare» dice che questo non deve limitarsi al rubare in senso stretto, ma deve avere mille declinazioni e casistiche, fino a dire che è rubare anche costringere a lavorare più di otto ore al giorno (!). Quando si parla di sesso, ogni interpretazione oltre all'adulterio è invenzione della Chiesa, impegnata a non fare altro che impedirci di usare il pisello in qualsivoglia maniera.

Ovvio, il problema non è il sesso, il problema è la Chiesa. Anche perché sul sesso vien da dire che o Benigni si è inventato un sacco di fregnacce, o è stato sfortunato. Certo, decenni di moralismo e formalismo su questo argomento vanno probabilmente imputati alla Chiesa, su questo siamo d'accordo; però devo dire che non so i lettori, ma io un prete che appena entrato in confessionale da ragazzino mi chiedesse «quante volte?!» non l'ho mai incontrato. E addirittura dirò di più: non ho mai incontrato preti che la facessero tanto lunga sui peccati sessuali, sia quelli da giovinetto, sia quelli più impegnativi di quando si diventa adulti. Anzi, sono i peccati che con più magnanimità mi son stati perdonati. E mi hanno sempre insegnato, i preti, che sono altri i peccati veramente gravi: perdere la fede e la speranza in Dio su tutti, oppure provare odio per il prossimo.

Benigni ignora o finge di ignorare tutto questo. Non sa che quando si dice che «de sexto non datur parvitas materiae» non significa che tutti i peccati sessuali sono mortali, perché la gravità della materia non basta a far peccato mortale, e ci vuole pure la piena consapevolezza e il deliberato consenso. Benigni ignora, a proposito del comandamento «non uccidere», che è andare contro la volontà di Dio dire, come lui ha fatto, che quel peccato non può essere perdonato. Tutti i peccati, anche i più gravi, possono essere perdonati dall'infinita misericordia di Dio. Tutti, tranne naturalmente il peccato contro lo Spirito Santo, cioè pensare che Dio non ci possa salvare e rifiutare la sua misericordia. Ecco il solo peccato imperdonabile.

In conclusione, il compimento e il disvelamento della Bibbia da quattro soldi che Benigni ci ha propinato (be', quattro soldi per noi, non per lui...) lo si è avuto nel gran finale panteistico con inno alla vita firmato Walt Whitman: via la Chiesa, ma via anche Dio e la Bibbia, rimane solo un indistinto inno alla vita, all'esserci, che è sì una bella cosa, ma ha la fragilità esistenziale ed estetica di una poesia sentimentale. Dura il tempo di una risata per una bella battuta di Benigni.

Poi la trasmissione di Rai Uno finisce, e si torna a fare i conti con la propria vita, con il proprio desiderio di una felicità così difficile da raggiungere, con la propria fragilità e debolezza. E forse a quel punto le belle parole di Benigni non servono più a niente. Forse, nella vita vera, ci vuole un po' di sostanza, forse una compagnia umana che renda presente il significato della vita. Che so, una roba tipo quella tanto vituperata Chiesa...

Rossano Salini
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IL POVERELLO DI ASSISI VIENE PRESENTATO SECONDO LE SOLITE REGOLE DEL PENSIERO POLITICAMENTE CORRETTO DEL MOMENTO

18/12/2014

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Contare i film su san Francesco è ormai impossibile e, personalmente, non nascondo di averne le tasche piene. Non del santo, ci mancherebbe, ma del suo brand di «più amato dagli italiani» come la cucina scavolini. Non c'è epoca che non ne aggiorni la figura in base al pensiero politicamente corretto del momento. La Cavani, poi, dato il ritmo sempre più parossistico del cambiamento, ogni tot anni sente l'esigenza di rinverdirlo per renderlo "attuale". Ci aspettiamo dunque, visto l'andazzo corrente, un Francesco gay (in fondo, gli elementi biografici ci sarebbero: amicizia platonica con Chiara, compagnia di soli giovani maschi...). 

FRANCESCO-SECONDO-ME
Per questo è con un certo fastidio - e anche per accontentare mia moglie - che ho guardato la seconda e ultima parte del nuovo Francesco cavaniano su RaiUno. Come volevasi dimostrare, non mi sono affatto pentito di non aver guardato la prima. Infatti, pur di mostrare un Francesco-secondo-me, la storia è stata fatta a coriandoli. Francesco pacifista che quasi si picchia coi crociati perché non vuole che vadano all'assalto, il colloquio col sultano diventato il contrario esatto di quel che fu, la solita solfa del Poverello ribelle contro l'istituzione-Chiesa, la menata della povertà assoluta e dell'ignoranza beata, Chiara che addirittura fa lo sciopero della fame perché non le vogliono far fare la povera come vuole lei... Basta, per pietà, lasciatelo in pace quel santo, non se ne può più. 
Leggendo un paio di interviste della regista a Credere (7 dicembre) e A sua immagine (6 dicembre) si nota, tra le altre, questa perla "francescana": «un'idea di fratellanza diffusa, inedita per i suoi tempi e precorritrice di quello che sarà il secolo dei Lumi e la Rivoluzione francese». E ci mancava giusto il Francesco giacobino, alla collezione. Quanto fosse, poi, «inedita» l'idea lo potrebbero dire i valdesi, che giusto prima di Francesco la ebbero, e pure organizzata. La povertà? Appena morto il fondatore, il suo movimento si scisse e i Fraticelli pretesero di interpretarne il vero pensiero: povertà assoluta e totalizzante (infatti, si autodefinirono Spirituali). La Chiesa li scomunicò. Perché? Perché una cosa è fare il povero, come fece Francesco, altra è voler imporlo a tutti come la sola esatta interpretazione del Vangelo. L'ignoranza vista come virtuosa e beata? A Francesco interessava solo l'umiltà, tant'è che autorizzò sant'Antonio di Padova ad aprire una scuola per francescani: i laici potevano predicare solo se avevano studiato, altrimenti avrebbero propalato solo eresie e stravaganze. Infatti, i seguaci di Pietro Valdo pretendevano di predicare senza un previo esame da parte della Chiesa. 

SAN FRANCESCO INVIA IL COLTO SANT'ANTONIO
Francesco sapeva bene che contro i ferratissimi catari ci voleva una solida base dottrinale, perciò contro di loro mandò il suo uomo migliore, Antonio. Già, perché i catari avevano invaso le regioni più ricche e colte d'Europa, il Norditalia e la Provenza, terra della sua adorata mammà (in omaggio alla quale suo padre lo aveva chiamato, appunto, Francesco). Fu contro la dottrina catara antimaterialista che Francesco intonò il celebre Cantico delle creature (che però non elenca alcun animale). Per fronteggiare l'altro grave pericolo che la cristianità correva, l'islam, inviò in Africa cinque missionari. Che però tornarono stecchiti come protomartiri, perché con la semplicità "francescana" si poteva solo finire ammazzati. E allora Francesco decise di provvedere personalmente. Non era affatto uno sconosciuto tra i crociati (come nel film della Cavani viene mostrato), al contrario era già famoso e venerato. Il sultano sapeva bene che quello era un po' il cappellano dei combattenti cristiani, e che questi sarebbero diventati delle belve se gli avesse torto un capello. Solo per questo Francesco fu trattato con riguardo, ma il suo fu un sonoro flop. Invece, secondo il Cavani-pensiero, nel film «c'è il Francesco antesignano del dialogo tra religioni». Chi, lui? Francesco reclamò l'ordalia per dimostrare la superiorità di Cristo, una medievalissima prova del fuoco che il sultano si guardò bene dall'accettare. 

ALTRO CHE DIALOGO INTERRELIGIOSO
Fu proprio un francescano, il beato Raimondo Lullo, a rendersi conto che bisognava cambiare metodo: a crociate finite (e fallite), creò una scuola in cui i francescani imparavano l'arabo e studiavano il Corano, proprio per cercare un "dialogo" coi musulmani. Ma fu un fallimento anche questo, e lo stesso Lullo finì lapidato in Africa. É vero, una fiction non è un documentario e la Cavani o chi per lei ha il diritto di narrare fantastorie fin che vuole. Ma è anche vero che, così, il contribuente è costretto a sorbirsi fantastorie che non formano ma deformano. Quando ero piccolo io -tanto, tanto tempo fa in una galassia lontana lontana- le suore portavano le scolaresche a vedere Marcellino pane e vino. Oggi le porteranno a vedere l'ennesimo film su Francesco, senza avvertire che già il titolo è sbagliato: dovrebbe chiamarsi Cosa Liliana Cavani pensa, oggi, di san Francesco d'Assisi. Il bello è, tra l'altro, che la regista non ha mai cambiato idea su Francesco, fin dal primo dei suoi tre film, quello del 1966. Anzi, non ha mai cambiato idea su niente, basta pensare al suo Galileo. Infatti, ecco un altro brano di intervista su Francesco: «É il cambiamento: la rivoluzione, l'evoluzione spirituale e privata di ognuno di noi. É il rifiuto dell'omologazione, della dittatura». Ma sì, speriamo che prima o poi un regista lo faccia davvero un Francesco che rifiuta l'omologazione e la dittatura. Quelle del politicamente corretto. Mel Gibson, dove sei?

Rino Cammilleri
Dal blog Bastabugie
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PURTROPPO SU FACEBOOK CI SONO UN MARE DI BESTEMMIE.PREGHIAMO PER CHI OFFENDE DIO E SE STESSO!

14/12/2014

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Il Consiglio d’Europa in pratica l’ha definita “libertà d’espressione”, come si trattasse di libertà di parola e di stampa, una delle garanzie che ogni stato democratico deve ai propri cittadini, e quindi non solo a giornali, televisioni, radio; ed oggi anche a provider e internet. L’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo specifica che ogni persona ha il diritto “alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” e, per l’articolo 21 della nostra Costituzione, è un diritto di tutti “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ma questa libertà include anche il poter bestemmiare.

Provate a navigare su Facebook, e non soltanto tra i giovani, come ho fatto io qualche giorno fa. Constaterete che oltre alla bestemmia nuda e cruda, il termine Cristo – e lo scrivo con il dovuto rispetto – è facilmente usato come un intercalare, come fosse un “mamma mia” o sullo stesso piano “Santa pace!” o un “mio Dio”, che sentiamo con preoccupante regolarità. È vero, è un’abitudine diffusa quella di inserire nei nostri discorsi termini che non hanno un senso con quanto stiamo dicendo, che hanno perso il significato originario, che pronunciamo quasi senza rendercene conto; un intercalare che tra i giovani può significare l’appartenenza al gruppo, ad una comunità, ben diverso dall’intercalare per prendere tempo, come accade soprattutto a chi parla in pubblico, ma…

Ma torniamo alle bestemmie su Facebook. Vogliamo tirare in ballo il disagio giovanile, i problemi familiari, le carenze della scuola e dei professori, oppure per gli adulti lo stress per il lavoro e la crisi economica? Facile addossare la colpa a una di queste categorie: il problema comunque rimane. Per chi ha fede ma, ho il sospetto, anche per chi non ce l’ha. Non sono buddista, però mi darebbe fastidio sentire imprecare contro Budda o contro Allah anche se non sono musulmana. In Italia la blasfemia è considerata un illecito amministrativo, dal 1999 “chiunque pubblicamente bestemmia con invettive o parole oltraggiose contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309”. L’oltraggio nei confronti della Madonna non è sanzionabile perché non è ritenuta una divinità. Nei paesi musulmani, dove c’è la sharia, ossia la legge coranica, chi bestemmia è punibile con la pena di morte (in Afghanistan per impiccagione).

Ma torniamo nuovamente alle bestemmie su Facebook. C’è addirittura il gruppo “Ti chiedo la gentilezza di bestemmiare”: e in 12mila hanno cliccato “mi piace”. Tra i commenti: “Questa è una lotta di civiltà”, “Chi bestemmia crede nel progresso, non in un amico immaginario”. Altro commento: “Voi che bestemmia tirereste se il vostro corso di laurea fosse disorganizzato in modo estremo?” E la domanda, coerentemente, non poteva finire che con un bel bestemmione. Nella pagina, poco rispetto anche per Gesù e la Madonna, accanto a una serie di loro fotografie.

“Solo” 3.188 “mi piace” invece per il “Club della bestemmia”, sempre su Facebook, nato per quanti “non sanno dove esprimere la propria capacità artistica” in questa materia. E non è difficile indovinare come termina, anche in questo caso, l’invito a scrivere e a dare spazio alla propria creatività.

Ma i responsabili di Facebook che fanno? Anche per questo social network in Italia vale la sanzione amministrativa, ma niente più, per legge nessun oscuramento del profilo colpevole di blasfemia, nessuna chiusura dei gruppi. Sono lì, a testimoniare la nostra libertà d’opinione del nostro Stato super-democratico e politically correct e ad aspettare nuove adesioni. Eppure tempo fa un trentenne è stato estromesso da Facebook proprio per una bestemmia contenuta in una frase di insulti indirizzati ad una vicina di casa, a notte fonda troppo rumorosa. Già, ma i siti, allora, perché stanno ancora lì in rete? Semplice disattenzione o indifferenza?

Elisabetta Broli
Dal sito Papaboys
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VIDEO PRO-EUTANASIA? C'È DIRITTO A VIVERE, NON A MORIRE!

12/12/2014

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Video pro-eutanasia. Il parlamento si faccia vivo. E’ il messaggio che viene rivolto in un video-appello di tre minuti in cui 70 persone fra cittadini e personalità del mondo del giornalismo, della scienza e dello spettacolo si alternano per parlare del tema. Si chiede, in particolare, che il parlamento discuta la proposta di legge di iniziativa popolare per la liceità dell’eutanasia e il testamento biologico, presentata dall’Associazione Luca Coscioni e da altre realtà. Debora Donnini, per la Radio Vaticana, ha chiesto un commento al presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini:

R. – Questo video è stato lanciato nel giorno in cui si celebra l’anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 10 dicembre. Il diritto di morire non è un diritto umano fondamentale. Il diritto umano fondamentale è vivere e non esiste alcun diritto a morire, diritto fondamentale. Vorrei ricordare che tanto poco è un diritto disponibile, il diritto di morire, che se uno tenta di suicidarsi la gente accorre e impedisce il suicidio, porta la persona in ospedale. Tanto poco esiste un diritto a morire che se anche uno per salvare persona cara che potrebbe essere un figlio vuol donare il cuore e dice: “Io do il mio cuore a mio figlio, a mia moglie”, non lo può fare, perché non può decidere di morire, non esiste un diritto a morire.

D. – La questione dell’eutanasia viene legata a quella del dolore. Infatti, ci sono frasi pronunciate da persone diverse nel video, che dicono: “Vorrei poter decidere di non soffrire più. In Svizzera è possibile. Io un giorno ci andrei. Io preferirei morire qui. Anch’io. Anch’io. Anch’io…”. Quindi, appunto, la questione del dolore quanto pesa nel chiedere l’eutanasia?

R. – Il dolore oggi è alleviato dalla medicina in mille modi, con i farmaci, con le cure palliative. Il dolore di fronte alla morte è il dolore di tutti, è la paura della morte, soprattutto la solitudine. Ma la testimonianza dei medici rianimatori è continua. Provate a prendere la mano e a passare un po’ di tempo con il paziente che dice: “Voglio morire”. Basta questo per cambiare. La sera dice questo e la mattina dice il contrario: “Dottore, mi aiuti, mi aiuti, mi faccia vivere”. La verità è che c’è dietro l’ideologia di un’autodeterminazione, cioè di una libertà degradata ad essere soltanto la facoltà di fare ciò che voglio: Io sono padrone di me stesso”. Lo si vede in tutti i campi. E anche dicono: “Io sono padrone della mia vita. Io posso decidere di morire”. L’unica questione è che naturalmente non posso essere costretto a curarmi, se non mi voglio curare. Questo è un altro discorso. Ma, comunque, il rifiuto delle cure deve essere attuale, non fatto con un atto dichiarato dal notaio tanti anni prima e non si sa poi cosa succederà, che cure ci saranno, come cambia il mio pensiero.

D. – Quindi, secondo lei centrale è la questione dell’autodeterminazione. Ma anche nel video viene detta questa frase: “Se l’eutanasia fosse legale, non aumenterebbero le morti, diminuirebbero le sofferenze”. Quindi ancora si ritorna al tema del dolore. Secondo lei, in Italia dovrebbero essere più potenziate le cure palliative?

R. – Sì certo, c’è una legge e devono essere potenziate. Io ho girato un po’ i luoghi dove ci sono persone che soffrono e in particolare persone come Patrizia, che è una mamma di tre figli e che era in una casa chiamata “Casa speranza” in Emilia Romagna, e che ha fatto scrivere sopra il suo letto: “Io continuo a vivere perché qualcuno mi ama”. Il non essere lasciati soli, le cure palliative: questa è la cosa importante. Questo, sì
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OMOFOBIA E IGNORANZA: LEGGIAMO PLATONE PER DAVVERO

4/12/2014

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Non è possibile che oggi, nel terzo millennio d.C., quando tutti hanno a portata di click quasi tutto lo scibile umano, ci siano ancora persone che si fanno una cultura “per sentito dire”, totalmente acritica, infarcita di bestialità.  Una volta le maestre mettevano i ragazzi che non studiavano dietro alla lavagna, con le orecchie d’asino. Oggi, non si fa più: non tanto perché è umiliante, quanto perché dietro la lavagna non c’è posto per tutti quelli che dovrebbero starci (a cominciare da tanti maestri).

Per amor di verità e per amore della dignità delle persone che non fanno una bella figura a dire panzane e a scriverle in giro sul web, oggi consentitemi una piccola e facile lezione di letteratura greca, su Platone.

Premetto che chi scrive è la prima fra gli ignoranti. Ma ha la fortuna di essere consapevole delle sue mancanze, perciò,  prima di  ”dire”, legge, cerca di capire e magari anche di ragionare. E così rispolvera tra i vecchi libri del liceo, il Simposio, le Leggi e la Repubblica di Platone, il grande, antico, filosofo greco (nato e morto ad Atene più o meno tra il 428 e il 348 avanti Cristo).

Antonio Socci, già due anni fa, aveva spiegato e illustrato molto meglio di me queste considerazioni sulla morale naturale, che è ed è sempre stata, molto prima del Cristianesimo: chi non ha voglia di andarselo a vedere, può seguitare la lettura più semplice e breve delle opere di Platone suddette, che farò qui io.

Tra le tante balle che girano su Platone, ripetute a pappagallo anche da persone con una certa cultura, c’è quella che nel Simposio (uno dei dialoghi socratici) egli si presenti come paladino ante marcia della ideologia omosessualista secondo la quale si nasce tutti “mezzi” maschi, o femmine e si cerca la completezza in un altro “mezzo”: o maschio – femmina, o maschio – maschio, o femmina – femmina. Questo è l’amore (si parla di Eros). Tale teoria è espressa da uno dei dialoganti, Pausania.

Prima di proseguire, bisogna sapere che i Dialoghi normalmente sono strutturati così: qualcuno propone un tema, ognuno degli astanti dice la sua, poi arriva Socrate (è un po’ difficile scindere il pensiero di Socrate da quello di Platone, perché il maestro non ha lasciato niente di scritto e quello che lui diceva lo sappiamo praticamente solo dagli scritti dell’allievo) e “tira fuori” (anzi, come una levatrice, fa “partorire”) la Verità.

Ebbene: nel Simposio, Socrate-Platone  dice che Pausania e gli altri non hanno capito niente: l’amore non è ciò che loro credevano (l’attrazione dei “mezzi” verso il “complementare”), ma piuttosto l’attrazione che l’anima umana ha per la perfezione e per l’Assoluto. 
 

Andando a leggere con attenzione, poi, il discorso di Pausania, vediamo che a un certo punto questi parla della capacità dei maschi di amare che è superiore a quella delle donne. Qui molti dicono che egli stia elogiando l’amore omosessuale (sempre Pusania, però, non Socrate-Platone). A leggere bene, però, non c’è da esserne proprio sicuri: parla di amore DEI maschi e non  TRA I maschi.  Per di più dal contesto si capisce chiaramente che questo Pausania era un maschilista, piuttosto che un omosessualista, in quanto ritiene le donne inferiori agli uomini, anche nella capacità di amare (depreca l’eros dell’ “Afrodite volgare”, che è delle donne; mentre l’Eros dell’ “Afrodite celeste” è prerogativa dei maschi).

Ma, se ancora  a questo punto l’interpretazione del pensiero di Platone lasciasse spazio a qualche dubbio in senso “filo – omosessualista”, andiamo a leggere le Leggi: qui Platone si rivela dichiaratamente “omofobo” (meno male che non c’era la legge Scalfarotto, ai suoi tempi): dice, infatti, che bisogna rispettare le leggi di natura per conquistare la virtù, condanna i rapporti sessuali che non siano tra uomo e donna adulti, al fine di procreare; critica quelli che  hanno “corrotto la norma antica e secondo natura relativa ai piaceri sessuali” e dice che “ il piacere sessuale è stato dato secondo natura sia alle femmine che ai maschi perché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere”.

La legge, secondo Platone, deve indurre i cittadini a vivere nella castità e nel dominio di sé. E se proprio alcuni non resistono all’attrazione dei piaceri contro la legge naturale “sia presso di loro cosa bella compiere di nascosto questi atti (…), mentre sia turpe il non farli di nascosto”.

Ultima nota, sulla condanna della pedofilia. Nella Repubblica (un’altra fondamentale opera di Platone) c’è scritto che la legge deve comandare al maestro che “prova affetto (erastés) per il suo discepolo (ta paidikà)” che “lo ami e lo accompagni e lo tocchi come farebbe un padre con il figlio; con il suo consenso e avendo come fine la contemplazione e la conoscenza del bello. Mai dunque dovrà accadere o sembrare che si vada oltre questi limiti”.

La famiglia fra uomo e donna è il fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà e di tutti i popoli, da sempre. E’ ovvio, è banale. Ma a dirlo, oggi, si viene tacciati di omofobia. Per fortuna anche Platone è dei nostri.

Francesca Romana 
Dal sito Pro Vita & Famiglia
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ELLA-O-NE, LA PILLOLA DEI ''CINQUE GIORNI DOPO''

4/12/2014

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L’EMA raccomanda la disponibilità del contraccettivo di emergenza EllaOne senza ricetta medica. Questo è il titolo di un comunicato stampa dell’Agenzia Europea del Farmaco, l’ente afferente all’Unione Europea che è chiamato ad esprimere una valutazione scientifica su quei farmaci in uso tra i paesi europei. 

Il comunicato fa quindi sapere agli stati membri che la pillola EllaOne – il cui effetto è principalmente abortivo – dovrebbe essere venduta senza obbligo di ricetta medica, cioè senza che un medico possa e debba dire la sua. La EllaOne è conosciuta anche come pillola dei cinque giorni dopo. Quel “dopo” sta a significare questo nella pubblicistica popolare che ha accompagnato la diffusione di tale preparato chimico: tu donna puoi prendere la pillola fino a cinque giorni dopo che hai avuto un rapporto e stare tranquilla. Non rimarrai incinta. Cinque giorni non è un periodo di efficacia inventato a tavolino. Infatti gli spermatozoi possono sopravvivere nel corpo della donna fino a cinque giorni e quindi, potenzialmente, in questo lasso di tempo possono fecondare l’ovocita se la donna è in periodo fertile.

Il documento dell’EMA è ricco di interessanti strafalcioni. Il primo e il più eclatante: la EllaOne sarebbe solo un contraccettivo. La EllaOne ritarda l’ovulazione, e quindi esplica un effetto contraccettivo, se presa nei primi giorni fertili che però sono quelli dove già si hanno bassissime possibilità di rimanere incinta. Più ci si avvicina al giorno dell’ovulazione meno probabilità si hanno invece che ritardi la stessa.

Ad esempio, se nel quinto e quarto giorno prima dell’ovulazione la donna prende la pillola la sua efficacia contraccettiva è del 100%, ma anche se non la prendesse avrebbe poche possibilità di rimanere gravida. Scende l’efficacia contraccettiva con il passare dei giorni: nel penultimo giorno e in quello dell’ovulazione l’efficacia contraccettiva è solo dell’8%.

Dunque in questi ultimi giorni la EllaOne non ha effetto contraccettivo e perciò ci può essere il concepimento. Ma – ed è questo l’aspetto più drammatico – la EllaOne modifica l’endometrio, la parte dell’utero dove si dovrà annidare il concepito, rendendolo inospitale all’embrione. Risultato: la EllaOne non impedendo l’ovulazione può permettere il concepimento, l’embrione così formato non riuscirà ad impiantarsi nell’utero e dunque morirà.

Ergo la EllaOne è soprattutto un preparato con effetti abortivi. Detto tutto questo ecco cosa afferma invece l’EMA: «la EllaOne è un contraccettivo di emergenza (…) Agisce impedendo o ritardando l’ovulazione». Ma proseguiamo. L’EMA è ben consapevole che la pillola del giorno dopo può uccidere l’embrione perché agisce sulla produzione del progesterone, ormone che gioca un ruolo fondamentale nel rendere ospitale la parete uterina all’accoglimento dell’embrione stesso.

L’EMA sa tutto questo e allora come uscirne? Basta chiamare l’embrione «ovocita fecondato»: «L’ormone sessuale progesterone gioca un ruolo nel tempismo dell’ovulazione e nel preparare l’interno dell’utero a ricevere l’ovocita fecondato». Intanto non si dice che la EllaOnemodifica l’endometrio potendo così provocare un aborto e poi in modo antiscientifico si chiama l’embrione – meglio sarebbe stato poi indicarlo con il termine blastocisti – «ovocita fecondato», per occultare la realtà dei fatti.

L’EMA inoltre disegna questo sillogismo che in realtà è un sofisma: dato che non c’è prescrizione medica in molti paesi UE per la pillola del giorno dopo, allora è bene che non ci sia nemmeno per quella dei cinque giorni dopo. Una conclusione indebita dal momento che il principio attivo dei due preparati sono diversi (levonorgestrel per la pillola del giorno dopo e ulipistral per la pillola dei cinque giorni dopo). O forse la conclusione, scritta però in filigrana, è amaramente logica: dato che anche la pillola del giorno dopo può avere effetti abortivi come la EllaOne allora perché sottoporre ad obbligo di ricetta quest’ultima dal momento che anche la pillola del giorno dopo è venduta liberamente?

L’EMA spinge affinchè la Commissione europea arrivi ad una “decisione giuridicamente vincolante” per tutti gli stati membri, ben consapevole però che in tale materia l’ultima parola spetta agli stati stessi. Ma al di là degli aspetti legali quello che più sconcerta è la volontà di rendere l’aborto ancora più accessibile, regalarlo alle adolescenti in forma di pillole come se fossero caramelle e dunque banalizzarlo sempre più rendendolo inoltre un gesto privatissimo e dunque poco controllabile.

Oltre a ciò si vuole togliere quel minimo elemento di deterrenza presente nell’abortochirurgico che consiste nella consapevolezza della donna di star per compiere un aborto. Poche donne infatti sanno che EllaOne può uccidere il loro bambino.

Tommaso Scandroglio
​Da Corrispondenza Romana
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AMARE ''E' DESIDERIO DEL BENE DELL'ALTRO. E' DESIDERIO DEL PARADISO PER L'ALTRO''

2/12/2014

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Omosessuale e cattolico: la stupenda testimonianza di Jovi.

In un articolo pubblicato dal sito della Conferenza episcopale delle Filippine, Jovi Atanacio afferma di essere omosessuale, ma di aver abbracciato la castità perché la Chiesa invita a sperimentare l’amore vero, quello che non abbandona mai: l’amore per Dio, e l’amore di Dio per tutti. Devoto di Nostra Signora della Mercede, vive il proprio orientamento sessuale con serenità. “Se amo qualcuno, voglio il meglio per lui. E questo va oltre l’unione fisica”.La vita di Jovi Atanacio è una perpetua dimostrazione che (per usare le sue stesse parole) “l’orientamento sessuale non allontana le persone dalla Chiesa: la cosa più importante è amare Dio più di ogni altra cosa”. La sua scelta di vivere in castità “mostra che se si comprende l’amore, il vero amore, non ci si sentirà mai esclusi o conculcati”.

“E’ la mia croce… Posso provare attrazione per i maschi, ma il mio amore per Dio è più forte” ha detto. La comunità cattolica, secondo Atanacio, “sembra l’unica istituzione che inviti gli omosessuali ad amare. Siamo creati per amare, e se non lo sperimentiamo le nostre vite non hanno senso”.

Per lui, l’amore vero va oltre l’unione fisica ed emotiva. “E’ desiderio del bene dell’altro. E’ desiderio del Paradiso per l’altro, e incoraggiamento a lui, o a lei, perché abbracci la virtù della purezza. Non si tratta di rinunciare all’amore, ma di esprimerlo in modo profondo e coraggioso. Io posso amare!”

“Per quanto possa suonare sorprendente, la Chiesa non proibisce alle persone che sperimentano attrazioni omosessuali di amarsi. Se due persone dello stesso sesso si amano, faranno per l’altro quello che è meglio per lui/lei: si incoraggeranno vicendevolmente a idenitificarsi come figli prediletti di Dio, a cui capita di avere attrazioni omosessuali, e non invece come persone definite dai propri istinti sessuali e che, accidentalmente, credono in Dio”.

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DIO HA PREFERITO TRATTARCI DA GENTILUOMINI, PIUTTOSTO CHE DA MARIONETTE

2/12/2014

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Chesterton e la libertà donata da Dio
Dio ha preferito trattarci da gentiluomini, piuttosto che da marionette

“La sorpresa” è una commedia scritta da Gilbert Keith Chestertonnel 1932 ma che venne accantonata prima della revisione e non è mai andata in scena. Oggi il suo testo esce insieme ad altri scritti del grande autore inglese nel libro “La sorpresa e altri piccoli doni” (Editrice Guerrino Leardini, Centro Missionario Francescano & Società Chestertoniana Italiana, 2014).

Un commento della scrittrice britannica Dorothy L. Sayers (1893-1957) riportato all'inizio del testo ricorda come per i giovani della sua generazione Chesterton sia stato “una specie di liberatore cristiano”: “come una bomba benefica esplosa in un’epoca misera, ha frantumato molte vetrate della Chiesa per far entrare folate di aria fresca, nei cui vortici le foglie morte della dottrina si sono messe a danzare con tutta l’energia indecorosa dell’Acrobata di Nostra Signora”.

“Senza dubbio la Chiesa era, nelle sue fondamenta, gloriosa e immutabile come sempre, ma all’inizio del secolo si presentava in modo, come dire, infelice quanto a sembianze esterne e dava l’impressione all’uomo della strada che non ci fosse molta scelta, se non tra una compiaciuta moralità protestante e una pietà cattolica piuttosto affettata”, osserva la Sayers. “E dal momento che molte persone astute erano alacremente indaffarate a minare le fondamenta sia della pietà che della moralità, i cristiani venivano comunemente considerati alla stregua di tarli, che masticando al buio si scavavano gallerie dentro travi marce e destinate a crollare insieme all’intero edificio”.

Fu quindi “stimolante sentirsi dire che il cristianesimo non era una cosa noiosa ma gioiosa, che non era qualcosa di retrogrado ma di avventuroso, che non era ottuso ma anzi saggio e addirittura sagace”; “ciò che fu soprattutto rinvigorente era vedere il polemista cristiano impugnare armi offensive anziché difensive”.

Nella postfazione, Annalisa Teggi, autrice della traduzione del testo, sottolinea che “La sorpresa” che Chesterton ci consegna tra le mani è “il sorprendente atto d’amore che sta all’origine della Creazione e che sussiste tutto nel paradosso della lontananza: per amare qualcosa, devo vederla nella sua interezza e quindi allontanarla da me. Meno possiedo una persona, più la amo”.

Lo capisce anche un semplice burattinaio, come l’Autore protagonista dell'opera dello scrittore inglese, che “conosce intimamente tutti i pupazzi che ha costruito, eppure questa specie di conoscenza non gli basta, li vuole vedere 'essere' al di fuori del racconto che ha creato per loro”.

Per la Teggi, “il perfetto alter ego di questa commedia”, cioè il libro che sarebbe bello leggere insieme a quest’opera teatrale, è il Frankenstein di Mary Shelley, “il testo che più di ogni altro esplora un’idea di Creazione come atto volitivo ed egoistico”. Il dottor Victor Frankenstein, a differenza del burattinaio-Autore di Sorpresa, desidera infondere la vita a una creatura umana per uno scopo molto chiaro e tutt’altro che generoso, ovvero essere venerato come suo creatore e sorgente di vita.

“Sarebbe possibile attribuire questo medesimo pensiero a una divinità creatrice – suggerisce la Teggi –: Dio creò l’uomo per essere amato e riverito da una specie mortale che doveva a Lui la sua esistenza. Plausibile; eppure quest’ipotesi si riduce a un progetto meschino e infinitamente meno esaltante se paragonato a quel che, invece, scintilla nel desiderio del burattinaio-Autore di Chesterton”, che afferma: “Questa gente merita di essere viva; essi sono tutto, tranne che vivi. Sono intelligenti, complicati, combattivi, brillanti; traboccano di vita eppure non sono vivi”.

“Dio ha preferito trattarci da gentiluomini, piuttosto che da marionette. Un uomo deve avere l’opportunità di dimostrare che è un gentiluomo, deve poter dar prova di essere quello che in piena coscienza e deliberato consenso sceglie o tradisce una proposta di matrimonio, cioè di legame con il mondo e con chi l’ha fatto”.

Merito di Chesterton ne “La Sorpresa” è aver utilizzato l'espediente del deus ex machina della tragedia classica, la divinità che entrava in scena quando l’intreccio della trama degenerava in modo irrisolvibile e la cui presenza metteva a posto le cose, “per farci la sorpresa finale: quello di porgere al lettore in modo eclatante e allo stesso tempo ragionevolissimo il bisogno dell’Incarnazione. Il Dio cristiano non si è calato sulla scena umana per mettere fine alla storia, bensì innanzitutto per essere compagno degli uomini. Si è fatto Uomo tra gli uomini, che è molto più complicato che essere un Dio tra gli uomini”.

“Se della religione cristiana si può dire che è una outdoor education(un cammino educativo nell’aria fresca, libera e drammatica della realtà per ritornare alla casa del Padre da gentiluomini liberi e non da schiavi mansueti); se di conseguenza si può dire, in nome della sacralità della libertà, che gli uomini sono tutti fuori, allora del Dio cristiano si può dire che sia il più fuori di tutti – conclude la Teggi –. Perché, nella sua infinita libertà, ha scelto di buttarsi dentro l’orizzonte incasinato del mondo reale”.

Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, osserva nella prefazione del volume: “è abbastanza miope e ingeneroso il giudizio non lusinghiero (diffuso e ripetuto spesso come un mantra e senza cognizione di causa) che qualcuno ha dato del Chesterton autore teatrale”, visto che lo scrittore “è così profondo nell’esporre idee, inventare personaggi e trame, trasmettere messaggi buoni”.

Sermarini commenta anche gli altri scritti presenti nel libro, ritenendoli “un odoroso mazzetto di fiori colto nel grande prato” degli ultratrentennali interventi di Chesterton sull’Illustrated London News, nella cui rubrica Our Note-Book scriveva articoli da duemila parole che avrebbero dovuto prendere “la forma di una discussione leggera su argomenti del momento… da trattare senza faziosità politiche”.

Qualcuno ha definito la rubrica “il pulpito di Chesterton” e da lì egli disse, con grande efficacia, ciò che volle e gli piacque. L'Illustrated London News è anche il luogo in cui più di tutti compare la visione sacramentale delle cose che è uno degli aspetti più peculiari del pensiero di Chesterton.

“Mentre dettava questi articoli alle segretarie tirava di scherma con la spada o con un coltello contro i cuscini. Si racconta che una volta, mentre dettava l’articolo, tirò una freccia col suo arco fuori della finestra e sfiorò un cane, più sorpreso che colpito da questa… botta di vita. Pensate a questo ripetuto e agitato ménage mentre leggete questi saggi e darete ad essi un sapore indimenticabile”, osserva Sermarini.


Il libro può essere acquistato solo ordinandolo presso il Centro Missionario Francescano attraverso l'e-mail [email protected]
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