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L'APOSTASIA DI DESTRA E DI SINISTRA PROMUOVE LEGGI A FAVORE, PIU' CHE DELLA SODOMIA, DELLA SUPERBIA

28/5/2015

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L'apostasia di destra e di sinistra promuove leggi a favore, più che della sodomia, della superbia
di Camillo Langone


Dove andate, belle signore? Vi vedo sull’Appia Antica, al bivio con l'Ardeatina, guidare una folla di elettori di sinistra e di destra: nonostante sia maggio, nonostante scorga nella folla molti preti e molti laici, nonostante poco oltre ci sia un santuario, non mi sembra stiate partecipando a un pellegrinaggio mariano. So che eravate cattoliche un tempo: tu, Maria Elena, impersonavi la Madonna nel presepe vivente del tuo paese, e tu, Mara, al Meeting di Rimini citavi con entusiasmo don Giussani… 


Dove andate, belle signore? Se non foste del mondo, oggi il mondo non vi amerebbe così tanto. E’ umano, è femminile, desiderare di essere amate dal mondo ma purtroppo il principe di questo mondo che vi ama non è azzurro. 


Dove andate, belle signore? San Paolo vi aveva avvisato (“Non conformatevi a questo mondo!”) ma non avete resistito all’istinto gregario, vi siete accodate alla sollevazione generale contro il Cielo e avete firmato la vostra apostasia promuovendo leggi a favore, più che della sodomia, della superbia: e quindi contro Dio e contro i bambini. 


Dove andate, belle signore? Non serve che vi affrettiate, vedo già Cristo arrivare, in direzione opposta alla vostra. Sta andando a farsi crocifiggere di nuovo.
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CHARLIE CHARLIE CHALLENGE, LA MINI-SEDUTA SPIRITICA CHE DILAGA SUL WEB...

27/5/2015

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Charlie Charlie Challenge, la mini-seduta spiritica che dilaga sul Web
Bastano un foglio di carta e due matite, poi si recita la formula: "Charlie, sei qui?". E lo spirito, a volte, risponde...

Charlie Charlie Challenge. Meglio con hashtag, forse #charliecharliechallenge. In ogni caso chiamalo, se vuoi, Charlie. Chissà se il fantasma ti risponde. È un gioco da brividi quello che in poche ore è diventato virale, con video su YouTube e Vine, post su Facebook e discussioni su Twitter.

Impazza fra gli adolescenti di tutto il mondo, arrivano filmati dall'Australia al Brasile. Bastano un foglio di carta e due matite, da appoggiare a croce così da dividere il foglio in 4 quadranti.

In due bisogna scrivere 'Yes', negli altri 'No', più o meno come appare nell'immagine qui sotto. Pare che non sia fondamentale l'ordine, l'importante è che le due affermazioni si 'guardino' in diagonale.

Preparata la tavola, si può cominciare con la mini seduta spiritica. Il primo passo da compiere è chiamare il fantasma Charlie, usando la seguente formula: “Charlie, Charlie, sei qui?”.

In teoria, lo spirito dovrebbe mostrare la sua presenza spostando la matita verso la risposta. Una volta palesatosi, è possibile rivolgergli qualsiasi domanda, a patto che, ovviamente, la replica possa esaurirsi in un 'sì' o un 'no'. E a questo punto, curiosando in Rete, si scopre quali sono i quesiti che i ragazzi vogliono veder risolti.

C'è chi chiede quando uscirà l'ultimo disco di Justin Bieber, piuttosto che qualche indiscrezione sugli One Direction. Insomma, gli adolescenti usano Charlie come gola profonda del gossip internazionale. Il che, par di capire, toglie un po' di suspence al tutto. Anche se, chiaramente, sul Web circolano pure video decisamente più inquietanti.

Il Charlie Charlie Challenge non è per nulla un inedito: si ispira a un'antica tradizione messicana che, par di capire, sarebbe più complessa rispetto alla versione social. In proposito, c'è un post di spiegazione che gira in Rete: “Quello che la gente non sa – si legge – è che non si entra in contatto con un solo spirito, ma con un vero e proprio gruppo di anime. Questi demoni sembrano amichevoli in un primo momento, ma hanno in mente progetti cattivi”.  E qui nasce il problema: “Se alla fine della seduta non si dice 'addio' a Charlie, si possono cominciare a sperimentare esperienze poco piacevoli, come sentire voci, avvertire movimenti, ombre, risate sinistre”. È  un crescendo di tensione: “Questo gioco non è sicuro e sconsiglio di farlo a chi non sa a che cosa può andare incontro. Non dire 'addio' a Charlie apre un contatto che permette ai demoni di entrare in casa vostra e di portarci il caos”. Insomma, un tocco di mistero ed esoterismo non guasta mai. Nel dubbio: 'Addio Charlie'.
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SI ALLE NOZZE GAY, UNA SCONFITTA PER L'UMANITA' 

26/5/2015

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Santa Sede: "Sì a nozze gay, una sconfitta per l'umanità"
Il segretario di Stato vaticano Parolin: "Triste per l'esito del referendum in Irlanda". "Su Stefanini il dialogo è aperto”

ROMA - Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha definito le nozze gay "una sconfitta per l'umanità". Lo ha detto intervenendo al premio internazionale 'Economia e Società', a Palazzo della Cancelleria, a Roma. "Sono rimasto molto triste di questo risultato, la Chiesa deve tener conto di questa realtà ma nel senso di rafforzare il suo impegno per l'evangelizzazione". "Credo che non si può parlare solo di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell'umanità", ha aggiunto Parolin sul sì ai matrimoni gay in Irlanda.

Il segretario di Stato vaticano ha anche fatto riferimento alle parole dell'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, dopo la vittoria dei 'Sì' ai matrimoni gay al referendum irlandese. "Come ha detto l'arcivescovo di Dublino - ha detto ancora - la Chiesa deve tenere conto di questa realtà ma deve farlo nel senso che deve rafforzare tutto il suo impegno e tutto il suo sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. Credo che non si può parlare solo di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell'umanità". "La famiglia - ha anche detto in risposta a una domanda su come procedano i lavori del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che in questi giorni ha messo a punto il nuovo Instrumentum laboris - rimane al centro e dobbiamo fare di tutto per difendere, tutelare e promuovere la famiglia perché ogni futuro dell'umanità e della Chiesa anche di fronte a certi avvenimenti che sono successi in questi giorni rimane la famiglia". "Colpirla - ha proseguito - sarebbe come togliere la base dell'edificio del futuro”.
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COSA MANCA A VITO MANCUSO PER ESSERE UN TEOLOGO CATTOLICO?

26/5/2015

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Cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico?

Se ponessimo la domanda: “Che cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico”, molti risponderebbero ricordando il rifiuto dei principali teologi –come abbiamo mostrato– a considerarlo tale (compresi i suoi formatori). Altri ricorderebbero il suo credo gnostico e panteista: proprio recentemente ha sostenuto che «occorre approdare alla convinzione che la Terra sia un unico organismo vivente chiamato Gaia». Altri ancora si soffermerebbero sul suo ateismo filosofico dato che l’editorialista di Repubblicasostiene che i miracoli, compresi quelli evangelici, non sono opera di Dio ma «sorgono dal basso, dall’energia della mente umana».

In realtà quel che principalmente manca a Mancuso è proprio la fede cattolica, non aderendo a nessun fondamento del cattolicesimo (dal peccato originale al principio di autorità della Chiesa e della lettera biblica, fino alla negazione di «circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica» come ha scritto La Civiltà Cattolica). In secondo luogo manca a Mancuso la capacità di essere teologo, come ha scritto il teologo e filosofo Antonio Livi: «è teologo nel senso che insegna Teologia ma l’effettivo contenuto e l’impianto metodologico» del suo pensiero «sono in netta contraddizione con l’idea stessa di teologia».

Un esempio è il suo ultimo articolo/relazione intitolato “Cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità” nel quale ha tentato di confutare gli argomenti delle religioni contrari ai comportamenti omosessuali. Un tentativo non riuscito, nel quale in realtà si è continuamente confuso tra persone omosessuali, inclinazione omosessuale e comportamento omosessuale. Prendiamo in considerazione la sua obiezione alla posizione della Chiesa cattolica: «In ambito cristiano gli argomenti contro l’amore omosessuale sono due: la Bibbia e la natura. Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l’omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10. L’argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare».

L’obiezione del teologo di Carate Brianza è molto debole: mentre i padri della Chiesa (partendo già dall’apostolo San Paolo) non hanno dato applicazione letterale alle immagini violente della Bibbia, mentre hanno progressivamente abbandonato un giudizio negativo sulla donna frutto della mentalità dell’antichità (extracristiana), non hanno invece mai attenuato la forte condanna dell’Antico Testamento verso i comportamenti omosessuali. C’è dunque un giudizio negativo continuo ed ininterrotto nella storia della Chiesa sull’omosessualità e non sarà certo il teologo di Repubblica ad interromperlo. Tanto meno va preso sul serio quando si erge a giudice universale su ciò che andrebbe superato o meno degli scritti biblici. Per quanto riguarda invece l’obiezione rispetto alla non menzione di Gesù, invece, ricordiamo che il Messia non parlò mai nemmeno contro poligamia e incesto, non condannò mai la schiavitù, la massoneria o l’uccisione deliberata degli animali ecc. Questo ovviamente non comporta che i cattolici debbano mettere in pratica questi comportamenti.

Passando al secondo argomento contro cui cerca di opporsi, ha affermato: «c’è un imprescindibile dato naturale che si impone alla coscienza al punto da diventare legge, legge naturale, il quale mostra che il maschio cerca la femmina e la femmina cerca il maschio, sicché ogni altra ricerca di affettività è da considerarsi innaturale. Personalmente non ho dubbi sul fatto che la relazione fisiologicamente corretta sia la complementarità dei sessi maschile e femminile, vi è l’attestazione della natura al riguardo, tutti noi siamo venuti al mondo così. Neppure vi sono dubbi però che anche il fenomeno omosessualità in natura si dà e si è sempre dato. Occorre quindi tenere insieme i due dati: una fisiologia di fondo e una variante rispetto a essa. Come definire tale variante? Le interpretazioni tradizionali di malattia o peccato non sono più convincenti: l’omosessualità non è una malattia da cui si possa guarire, né è un peccato a cui si accondiscende deliberatamente. Come interpretare allora tale variante: è un handicap, una ricchezza, o semplicemente un’altra versione della normalità? Questo lo deve stabilire per se stesso ogni omosessuale. Quanto io posso affermare è che questo stato si impone al soggetto, non è oggetto di scelta, e quindi si tratta di un fenomeno naturale. E con ciò anche l’argomento contro l’amore omosessuale basato sulla natura viene a cadere».

Ecco la confusione di Mancuso: è partito parlando di “ricerca dell’affettività”, dunque di comportamento omosessuale, ed è finito parlando di omosessualità come inclinazione che non è frutto di una scelta. Ha mischiato i piani probabilmente non conoscendo nemmeno la posizione della Chiesa: è vero che l’omosessualità è un’inclinazione della persona ma non è affatto ritenuta un peccato dalla Chiesa. Il problema sono invece i comportamenti omosessuali, quelli sì frutto di una scelta, e sono essi ad essere ritenuti un disordine affettivo dalla Chiesa, un’esplicita contraddizione tra l’orientamento fisiologico/anatomico della propria corporeità e la propria psicologia. Un peccato, cioè un inciampo al bene dell’uomo, vivere con questa dicotomia interna è un ostacolo alla propria realizzazione. Banale anche l’argomentazione del sedicente teologo sul fatto che l’omosessualità è presente in natura e dunque sarebbe una variante naturale dell’ordinario: in natura esistono anche un’infinità di inclinazioni dannose, disturbi e perversioni (anche sessuali) e non certo per il fatto che esistano debbono essere ritenute varianti naturali e/o equivalenti dell’ordinario.

La conclusione di Mancuso è la «piena integrazione sociale di ogni essere umano a prescindere dagli orientamenti sessuali. Accettare una persona significa accettarla anche nel suo orientamento omosessuale. Non si può dire, come fa la dottrina cattolica attuale, di voler accettare le persone ma non il loro orientamento affettivo e sessuale, perché una persona è anche la sua affettività e la sua sessualità». Ancora una volta Mancuso si confonde: la Chiesa accoglie qualunque persona con orientamento omosessuale, che compia atti omosessuali o meno. Il comportamento omosessuale, tuttavia, lo considera un peccato e invita il soggetto all’astinenza per un cammino ordinato con la sua vera identità, proposta accolta da tanti omosessuali che infatti hanno scoperto così la loro felicità (si veda, ad esempio, la testimonianza di Philippe Ariño).

Nessuna confutazione dunque, anche perché la posizione cristiana è il rispetto della volontà Dio nel crearci maschi e femmine e di donare all’uomo la compagnia della donna, e alla donna la compagnia dell’uomo perché fossero una cosa sola nel cammino della vita. Come ha spiegato Papa Francesco, «la Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità». In ogni caso non ci aspettavamo poi molto da Vito Mancuso. Se un teologo è colui che è capace di «mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione», secondo la definizione data recentemente da Benedetto XVI, allora hanno ragione tutti coloro che rifiutano di riconoscerlo come tale.

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L'IRLANDA DICE SI AI MATRIMONI GAY... MA E' STATO UN REFERENDUM  A CARTE TRUCCATE

24/5/2015

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L'Irlanda dice sì al matrimonio gay Ma è stato un referendum a carte truccate
di Massimo Introvigne

La vittoria del «sì» al «matrimonio» fra persone dello stesso sesso in Irlanda, ampiamente prevista, costituisce una lezione per chi difende la famiglia in altri Paesi, e deve indurre sia le organizzazioni pro family sia le comunità religiose contrarie al «matrimonio» omosessuale a riflettere sugli errori da non commettere. Nello stesso tempo – dal momento che nessuno ha il coraggio di dirlo – occorre spiegare che in Irlanda una gravissima scorrettezza del governo ha sostanzialmente truccato la consultazione referendaria.

Cominciamo da quest’ultima affermazione, che può apparire forte ma corrisponde alla realtà. In tutti i Paesi dell’Europa Occidentale i sondaggi in tema di coppie omosessuali – che pure sono un campo di battaglia, dove tutto dipende da come si fanno le domande e a chi – danno due risultati costanti. Primo, la maggioranza degli europei occidentali – diversa è la situazione all’Est – è favorevole al riconoscimento di una serie di diritti e doveri da far discendere dal fatto della convivenza omosessuale: visita al convivente in carcere e in ospedale, subentro nel contratto di affitto, una certa protezione in caso di morte del convivente.

Questo giornale ha spiegato molte volte – ora se ne accorgono anche altre testate, e ci fa piacere – che questi diritti in Italia ci sono già, ma la situazione varia da Paese a Paese. Secondo: la maggioranza degli europei, anche in Occidente, è contraria alle adozioni omosessuali. Vuole che i bambini crescano con un papà e una mamma, e non con due papà senza mamma e con due mamme senza papà. Si aggiunge che la stragrande maggioranza è contraria all’utero in affitto.

Ne consegue che in qualunque campagna politica o referendaria sulle unioni omosessuali l’argomento più forte e convincente è: «Attenzione: se passa il “matrimonio” omosessuale, anche nascosto sotto nomi eufemistici come fa in Italia il disegno di legge Cirinnà, le adozioni omosessuali verranno di conseguenza – e seguirà anche l’utero in affitto». Anche in Irlanda, quando si cominciò a discutere di «matrimonio» omosessuale, quello delle adozioni era l’argomento che più impressionava l’opinione pubblica, e dava ai sostenitori del «no» serie speranze di prevalere. Queste speranze furono rafforzate nel 2013 dalla sentenza «X contro Austria» della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale affermava a chiare lettere che nessun Paese europeo è obbligato a introdurre il «matrimonio» o le unioni civili omosessuali – non è vero che «lo impone l’Europa» – ma che, se le introduce, non può poi discriminare le coppie omosessuali rispetto a quelle formate tra un uomo e una donna in materia di adozioni. Certo, spiegare gli arcani della giurisprudenza europea all’opinione pubblica non è facile. 

Ma il messaggio stava passando in Irlanda, come dovrebbe passare in Italia: attenzione, se al referendum vince il «sì» al matrimonio omosessuale – in Italia possiamo dire «se passa la legge Cirinnà» - arriveranno anche le adozioni e l’utero in affitto. E, siccome la maggioranza degli elettori in Irlanda era contraria alle adozioni, ogni persona convinta della verità di questa tesi diventava un votante per il «no».

Il governo irlandese – ed entrambi i principali partiti politici del Paese – erano tanto favorevoli al «matrimonio» omosessuale da espellere dalle proprie fila i contrari. Hanno pertanto trovato un metodo semplicissimo per garantirsi la vittoria al referendum: con la forza dei numeri in parlamento hanno introdotto l’adozione omosessuale prima del referendum. A tempo di record il governo ha introdotto nel gennaio 2015 una legge che consente alle coppie omosessuali – sposate o non sposate non importa, e all’epoca il «matrimonio» ovviamente non c’era ancora – il pieno diritto a ogni tipo di adozione, l’ha fatta approvare alla Camera in febbraio e al Senato in marzo. È diventata legge il 6 aprile 2015. Ecco dunque smontato il principale argomento della campagna contro il «sì» al «matrimonio» omosessuale: «volete votare no perché siete contrari alle adozioni? Ma le adozioni ci sono già, e continueranno a esserci comunque vada il referendum». Per non farsi mancare nulla, il governo aveva anche annunciato una legge per «regolamentare» l’utero in affitto, precisando che anche questa legge non sarebbe stata minimamente influenzata dai risultati del referendum.

Ma ecco anche truccato – non mi riesce di trovare un’altra parola – il referendum. Su un tema che divideva così profondamente gli irlandesi, il governo aveva annunciato qualche cosa di nuovo rispetto al resto del mondo: sarebbe stato il popolo a decidere con referendum. Bellissimo. Solo che il cuore del referendum – dal punto di vista sociologico e politico, non ovviamente da quello giuridico e culturale, perché la dottrina sociale della Chiesa e il buon senso condannano il «matrimonio» omosessuale anche senza adozioni – erano le adozioni. Quando l’idea del referendum è stata proposta, «matrimonio» e adozioni formavano un insieme politicamente indissolubile. Con la legge del 6 aprile 2015, la materia delle adozioni è stata sottratta alla volontà dei cittadini e decisa prima del referendum e per legge. Se questo non è svuotare il referendum della sua sostanza, mi chiedo che cosa sia.

Infatti, che cosa restava da decidere agli irlandesi? Solo se le unioni civili fra persone dello stesso sesso, introdotte in Irlanda nel 2010, dovessero chiamarsi «matrimoni» o no. Le unioni civili irlandesi, come quelle che esistevano in Inghilterra prima che cambiassero nome in «matrimonio» nel 2013 e come quelle che vuole introdurre in Italia il disegno di legge Cirinnà, erano in tutto uguali al matrimonio, salvo l’adozione. Introdotta l’adozione per legge, le unioni civili in Irlanda erano assolutamente identiche al matrimonio in tutto, tranne che nel nome. Certo, i sostenitori del «no» al referendum si sono sgolati a ripetere che i nomi sono importanti. Ma una cosa è votare sulla sostanza delle cose, un'altra sul nome. Il referendum irlandese del 22 maggio lasciava ai cittadini la possibilità di decidere solo sul nome. Non sul resto. 

Ne vanno ricavate due lezioni per l’Italia. Primo: il fronte pro family sia attento alla possibilità che qualcuno – da noi, all’italiana, magari più i giudici che il governo – riproponga il gioco delle tre carte irlandese, introducendo le adozioni per le coppie omosessuali, e già che ci siamo anche l’utero in affitto, per svuotare di contenuto il dibattito sulle unioni civili e il «matrimonio» fra persone dello stesso sesso. Segnali in questo senso non mancano.

Secondo: la battaglia va fatta sulle unioni civili, che non sono un modo di riconoscere i diritti dei conviventi alla visita in ospedale e in carcere – ripetiamolo: in Italia ci sono già – ma un «matrimonio» sotto falso nome. Lo ha detto il padre spirituale delle unioni civili in Italia, il sottosegretario Scalfarotto intervistato da «Repubblica» il 16 ottobre 2014: «L’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik». L’Irlanda, dopo l’Inghilterra, mostra come funziona la «realpolitik». Quando nel 2013 alle «unioni civili» inglesi fu cambiato nome in «matrimoni» la maggioranza degli inglesi se ne accorse a stento, perché pensava che il matrimonio omosessuale ci fosse già. Anche la stampa si era stufata di scrivere che il signor Smith e il signor Jones si erano «civiluniti» e aveva cominciato a scrivere semplicemente che si erano sposati. Il cambio di nome in «matrimonio» è apparso ai più minore e inevitabile.

Ora gli attivisti LGBT esultano per il risultato irlandese. Ma è una battaglia che avevano già vinto nel 2010, quando introdussero in Irlanda unioni civili in tutto uguali al matrimonio, tranne che per le adozioni, tempestivamente introdotte prima del referendum. L’insegnamento è chiaro: se non si vogliono i «matrimoni» e le adozioni bisogna fermare le unioni civili. Dopo è troppo tardi. In Italia il disegno di legge Cirinnà va fermato ora. Rimandare la battaglia a quando cambieranno il nome delle unioni civili in matrimonio significa averla già persa. Per questo combattono i movimenti pro family, e per questo vegliano le Sentinelle in Piedi.
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IL TUMORE DELLA BONINO, FRANCESCO E IL MIRACOLO DELL' ''ERBA RESISTENTE''

22/5/2015

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Il tumore della Bonino, Francesco e il miracolo dell’ “erba resistente”
di Don Mauro Leonardi

Il trionfalista che è in me ha fatto un sogno. Emma Bonino aveva un cancro, il Papa la chiamava, ci scherzavano su dicendo che l’erba cattiva non muore mai, e lui le diceva che comunque avrebbe pregato per la sua guarigione. E poi il tumore andava via come per un miracolo. Emma si convertiva e lo diceva da Radio Radicale e cominciava l’anno santo mano nella mano con il Papa.

Ora, il crociato trionfalista che è in me, quello che il Papa ha condannato il 29 maggio 2013 dicendo che “il trionfalismo ferma la chiesa”, s’è preso una bella botta in testa. Perché tutto quello che ho scritto sopra è vero, miracolo compreso. Ma Emma non s’è convertita — o per lo meno non è dato sapere — e noi siamo qui a dire perché a lei sì e a noi credenti normali qualsiasi che arranchiamo per le corsie d’ospedale, invece no. Invece a noi le prognosi riservate vanno sempre a finire con esito infausto e, a volte, pure un po’ prima del previsto. La telefonata del Papa a Emma era del 2 maggio perché lei aveva detto, il 12 gennaio, di avere un cancro. E ora “sparita ogni traccia di cancro”: il tumore è in remissione.

Così mi fermo, apro gli occhi, e rimetto a dormire il piccolo crociato trionfalista che c’è in me. E vedo che, come tutte le storie umane, anche questa è una storia divina. Non parlo del miracolo della guarigione, perché forse non è stato un miracolo. Non sono un medico, non so fare diagnosi, non so leggere referti e neanche il cuore dell’uomo perché non sono Dio, ma mi sento di dire che l’ultima riga, quella della conversione di Emma, è un sogno.

Però voglio separare il sogno dal trionfalismo. Facciamo così: Gesù, a me non interessa sapere se Emma si convertirà. Facciamo che non lo saprò mai. Però questo sogno — quello della sua conversione — non lo voglio mettere nel cassetto. Non solo perché i sogni sono importanti, che per lo meno ci fanno svegliare con il sorriso o servono ad iniziare e a finire bene una giornata. Il fatto è che nessuno sa cosa succede nel cuore di Emma Bonino: già a stento sappiamo cosa c’è nel cuore di ciascuno di noi. Io, il mio sogno, in segreto glielo auguro. In ogni caso che sappia valorizzare non di aver ricevuto la telefonata del Papa ma la telefonata di qualcuno che gli è stato vicino.

Perché, sulle cose vere, noi abbiamo solo la vicinanza a tirarci fuori dal dolore o dalla paura. La telefonata c’è stata e questo è un miracolo che ciascuno di noi deve saper riconoscere, con la fede o senza la fede, perché se Dio è amore, allora una telefonata d’amicizia assomiglia tremendamente a Lui. Se le preghiere più belle sono quelle piene di grazie, allora la gratitudine è una preghiera bellissima, e il mio sogno è che Emma sappia dire grazie. Perché per me, se qualcosa si è mosso in questa storia, assomiglia al battito di Dio. Troppo poetico? Troppo da sognatore? Però è la realtà. La telefonata c’è stata. Il coraggio è venuto. L’erba resistente — ci ha scherzato il Papa con lei al telefono — ha resistito. La guarigione è avvenuta. Allora è la realtà che assomiglia ai miei sogni. Io che ci posso fare? Sono contento e quando uno scrittore è contento, scrive.
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IL PAPA LANCIA I LAICI NELLA MISCHIA DELLA SOCIETA': AGITE CONTRO CORRUZIONE E TEORIA DEL GENDER

19/5/2015

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IL PAPA LANCIA I LAICI NELLA MISCHIA DELLA SOCIETA': AGITE CONTRO CORRUZIONE E TEORIA DEL GENDER
di Massimo Introvigne

Il 18 maggio 2015 Papa Francesco ha aperto i lavori dell'assemblea generale della Conferenza Episcopale italiana, dedicata all'esortazione apostolica «Evangelii gaudium». Il breve intervento è stato però ricco di spunti che alimenteranno la discussione tra i presuli. Francesco ha richiamato i vescovi - senza attendere caso per caso una sollecitazione del Papa - ma anche i laici, senza attendere la richiesta o il permesso dei vescovi, a scendere in campo con decisione su due grandi problemi della società italiana: la corruzione e le «colonizzazioni ideologiche», termine che come ormai sappiamo nel linguaggio del Pontefice indica la teoria del gender. Se i pastori e i laici italiani sono timidi, o si perdono in convegni dove parlano i soliti noti e da cui escono documenti che pochissimi leggono, si condannano - ha detto il Papa - all'irrilevanza. 

In apertura, commentando il brano del Vangelo letto, che menziona i sette demoni che avevano abitato la Maddalena, il Papa ha invitato al consueto esame di coscienza: «Quando io sento questo passo del vangelo di Marco penso: ma questo ce l'ha con la Maddalena perché ci ripete che lei aveva ospitato sette demoni dentro di lei. Ma poi penso io quanti ne ho ospitati io? E rimango zitto...».

Siamo in un tempo, ha detto il Pontefice, in cui «spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione».  Non bisogna nasconderselo: è un «quadro realisticamente poco confortante». Ma, precisamente quando le difficoltà si fanno drammatiche, «la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza». Ai vescovi spetta la missione «di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci». Lo fanno sempre? Forse no. Ma è «assai brutto», nota il Papa, «incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi».

I vescovi dovrebbero «appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza e di saggezza». Quando sono «timidi» i vescovi italiani rischiano invece di essere «irrilevanti».

Francesco chiede in particolare più coraggio su due fronti. Il primo è quello di «sconfessare e sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi». Il secondo fronte implica «uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana». Nelle Filippine, a Napoli e in diverse udienze del mercoledì Francesco aveva già precisato che per «colonizzazioni ideologiche» intende il tentativo di imporre apertamente ovvero in modo subdolo la teoria del gender.

La Conferenza Episcopale Italiana produce molti documenti. Il Papa raccomanda «proposte concrete e comprensibili». Basta con i documenti che non legge nessuno, dove prevale un «aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro popolo o al nostro Paese, ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti».

Per evitare di essere autoreferenziali, il Papa chiede ai vescovi uno sforzo ulteriore per valorizzare il ruolo dei laici. È un ruolo «indispensabile». Ma se i laici non sono ascoltati, è anche perché talora non si prendono le loro «responsabilità». Se davvero i laici «hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo!». Certo, i laici hanno pur sempre «la necessità del vescovo pastore». Ma il Papa formula un chiaro invito ai laici perché scendano in campo sui grandi problemi della società italiana senza trincerarsi dietro la scusa che manca l'input o il permesso dei vescovi.

Occorre che, anche nelle attività interne alla Conferenza Episcopale e alle diocesi, i vescovi siano attenti a cogliere le vere voci della comunità cristiana, senza rivolgersi sempre ai soliti noti. Troppo spesso il vescovo «organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare».

Le difficoltà sono molte. «La sensibilità ecclesiale indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e dalla crisi che non risparmia nemmeno la stessa identità cristiana». E le vocazioni. Ma «perché - si è chiesto il Papa - si lasciano invecchiare così tanto gli istituti religiosi, monasteri, congregazioni, tanto da non essere quasi più testimonianze evangeliche fedeli al carisma fondativo? Perché non si provvede ad accorparli prima che sia tardi sotto tanti punti di vista?».

Il dialogo sulle decisioni difficili che la Chiesa italiana sarà chiamata a prendere è proseguito a porte chiuse, in attesa della prolusione del cardinale Bagnasco prevista per martedì. 
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UNIONI CIVILI: ECCO PERCHE' E' UNA LEGGE INUTILE

14/5/2015

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Unioni civili: ecco perché è una legge inutile 
di Luciano Moia


Sbagliata, inaccettabile. E, soprattutto, inutile. Perché il disegno di legge Cirinnà, che pretende di estendere alle coppie omosessuali gli stessi diritti dei coniugi, rischia di essere un doppione di garanzie già esistenti. E quindi, di fatto, una grande manovra politica che ha impegnato, e impegnerà ancora a lungo il Parlamento, per approvare una legge dal sapore fortemente ideologico, visto che si limiterà a riaffermare ciò che già interventi legislativi o giurisprudenziali hanno già ripetutamente affermato. Negli ultimi trent’anni infatti, la legge ordinaria ha quasi sempre affiancato ai diritti dei coniugi, quelli per i conviventi. Un modo di procedere che ha visto, in parallelo, numerosi interventi della Consulta e della Cassazione finalizzati a ristabilire parità di diritti tra coniugi e conviventi. 

L’elenco dei diritti già riconosciuti dal nostro ordinamento compare in un dossier di una trentina di pagine fitte fitte compilato dal magistrato Alfredo Mantovano del Comitato 'Sì alla famiglia'. Una ricognizione già presentata alla Commissione Giustizia del Senato e poi illustrata nell’ambito di un convegno organizzato nei giorni scorsi dal Centro Studi Rosario Livatino. Insomma, questa ricchezza legislativa, che dimostra un’attenzione non casuale per i conviventi, non è un mistero per nessuno. Ma si è scelto di non vedere. E allora ricordiamo, in estrema sintesi, ciò che già esiste. 

ANAGRAFE 
Il regolamento anagrafico (30 maggio 1989), spiega in modo inoppugnabile che «l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza». Non l’hanno mai letta i sindaci che in questi anni si sono affannati ad annunciare inutili 'registri delle unioni civili'? 

ASSISTENZA SANITARIA
La legge n.91 del 1 aprile 1999 prescrive che i medici devono fornire «informazioni sulle opportunità terapeutiche... al coniuge non separato o al convivente more uxorio». 

PERMESSO RETRIBUITO 
La legge n.8 del 2000 'Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità', riconosce il permesso retribuito di tre giorni all’anno al lavoratore e alla lavoratrice, anche in caso di documentata grave infermità del convivente. 

CONSULTORI FAMILIARI 
La legge 405 del 1975 garantisce assistenza psicologica e sociale per i problemi della coppia e della famiglia anche ai componenti di una convivenza. 

ASSISTENZA AI DETENUTI 
Le norme sull’ordinamento penitenziario (legge 354 del 1975), prevedono possibilità di colloqui, corrispondenza telefonica al «convivente detenuto», alle stesse condizioni stabilite per il coniuge. 

FIGLI 
Nessuna differenza sul piano legislativo tra genitori regolarmente sposati e conviventi. Addirittura la legge 6 del 2004, nell’elencare chi dev’essere preferito come amministratore di sostegno di una persona priva di autonomia, inserisce «la persona stabilmente convivente», subito dopo il coniuge e prima del padre, della madre, dei figli, dei fratelli. Difficile davvero affermare che i conviventi sono marginalizzati dal nostro ordinamento civile. 

LOCAZIONI 
La Consulta, con la sentenza 404 del 1988, ha riconosciuto al convivente more uxorio il diritto di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del partner, anche quando sono presenti eredi legittimi. E anche questa è un punto fermo, totalmente a favore delle convivenze. 

VITTIME DI MAFIA O TERRORISMO 
Il diritto di chiedere le provvidenze che lo Stato accorda alle vittime di mafia o di terrorismo è stato esteso, dalle legge 302 del 1990, anche ai conviventi: «L’elargizione di cui al comma 1è disposta altresì a soggetti non parenti né affini, né legati da rapporti di coniugio... e ai conviventi more uxorio». 

VITTIME DI ESTORSIONI E USURA 
Oltre al coniuge, ai genitori, ai fratelli e alle sorelle, anche i conviventi figurano nell’elenco previsto dalla legge 44 del 1999 per le «vittime di richieste estorsive o di usura». 

LE ALTRE TUTELE 
Nel lunghissimo elenco dei diritti già riconosciuti figurano poi ampie garanzie per quanto riguarda, l’assegnazione degli alloggi popolari, l’impresa familiare, il risarcimento del danno patrimoniale, la protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. E tanto altro ancora. 

COSA RIMANE FUORI? 
Di fatto sono soltanto due i 'divieti' per i conviventi. La reversibilità della pensione e la possibilità di adottare. Insostenibile sul piano economico la prima. Sul piano etico ed educativo la seconda. Ma, guarda caso, sono proprio questi gli obiettivi più ambiti da chi vorrebbe mettere sullo stesso piano matrimonio e unioni gay. Il 'simil-matrimonio' omosessuale ha bisogno di figli e di pensioni che passano da un partner all’altro per proclamare la sua impossibile par condicio. Ma a che prezzo?
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GRAZIE A TUTTE LE MAMME, TESTIMONI DELL’AMORE

10/5/2015

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GRAZIE A TUTTE LE MAMME, TESTIMONI DELL’AMORE

Cari amici lettori, domenica 10 maggio si ricordano, in diversi Paesi del mondo, le nostre mamme. Non è una festa religiosa in senso stretto, quella della mamma, ma ha molto a che fare con la fede. Perciò ne parliamo su questo numero di Credere. A partire dalla storia di copertina (*): Costanza Miriano, giornalista, scrittrice e mamma di quattro figli, non aveva un grande desiderio di essere madre, «ma quando mi è successo», confessa, «ho capito che ero progettata per quello, ed è stata una gioia totale, sconvolgente». La stessa gioia di cui parla Gesù nel Vangelo per ricordarci il significato pasquale della vita cristiana: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Giovanni 16,21-22). Essere cristiani è in questo passaggio dalla morte alla vita, dal dolore alla gioia, uniti a Cristo, che si è lasciato crocifiggere per amore dell’umanità, e risorti con lui alla vita nuova della grazia.

Di questo passaggio (Pasqua significa appunto passaggio) parlano anche altre storie di madri che raccontiamo in questo numero: Giovanna De Ponti, malata di sla, che confida: «Ogni sera chiedo al Signore di farmi morire e a mio marito di venirmi a prendere, e ogni mattina ringrazio perché sono ancora viva per compiere qualcosa di buono»; Maria Angela Di Mauro, che è rimasta incinta pur non potendo avere figli, grazie all’intercessione di suor Maria Cristina Brando; L.G., profuga cristiana di origine eritrea, che ha partorito la sua bambina a bordo della nave Orione della Marina militare.

Ogni madre testimonia la Pasqua del Signore. Ed è bello festeggiare in questo tempo pasquale tutte le mamme e la stessa madre di Gesù, Maria. In una sua catechesi papa Francesco ha ricordato che «una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara».

Concludo con un grande grazie alle mamme, usando ancora le bellissime parole del Papa: «Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla Chiesa e al mondo. E a te, amata Chiesa, grazie, grazie per essere madre. E a te, Maria, Madre di Dio, grazie per farci vedere Gesù».

(*)
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Expo. Quel «siam pronti alla vita» come un preservativo sull’Inno d’Italia 

6/5/2015

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Expo. Quel «siam pronti alla vita» come un preservativo sull’Inno d’Italia 
di R. Casadei


Benvenuta la polemica sull’Inno d’Italia in versione rimaneggiata cantato all’inaugurazione dell’Expo di Milano il primo maggio. Sulla rivisitazione musicale del brano musicato da Novaro e scritto da Mameli qualcuno ha alzato il sopracciglio, ma è soprattutto sulla sostituzione dell’ultimo «siam pronti alla morte» del baldanzoso testo originale con un buonista «siam pronti alla vita» cantato da un coro di bambini che le lame di commentatori e personalità politiche si sono incrociate.
Benvenuta la polemica, perché quando qualcuno si ribella ai tentativi di cambiamento di ciò che dovrebbe costituire un simbolo intoccabile, e quando si discute attorno alla coscienza che si deve avere della vita e della morte, e sulla rilevanza civile di tale riflessione, quando questo succede significa che quella cosa che chiamiamo Italia, intesa come comunità di destino fra gente che parla la stessa lingua e si riconosce in una storia comune, non è ancora morta. Non è ancora consegnata all’omologazione planetaria del tutto Stato e del tutto mercato.

Ovviamente io sto dalla parte di tutti quelli che hanno deprecato l’esperimento. Facendo notare che la patria cantata negli inni nazionali è Stato, e gli stati si sono costruiti tutti – tutti – col ferro e col sangue. Nessuno Stato è nato per gentile concessione dell’Onu o della Corte di giustizia europea, tutti sono nati da ribellioni, insurrezioni, secessioni, guerre patriottiche nelle quali è morta un sacco di gente. Ed è evidente che senza la disponibilità dei patrioti a rimetterci la vita, nessuno degli stati nazione cantati negli inni nazionali si sarebbe potuto costituire.

Christian Rocca eccepisce che far cantare ai bambini «siam pronti alla morte» è roba da madrassa talebana. Forse non sa che i bambini americani davanti alla bandiera a stelle e strisce cantano «Their blood has washed out their foul footsteps’ pollution. No refuge could save the hireling and slave from the terror of flight, or the gloom of the grave», che significa «Il loro sangue ha cancellato la contaminazione delle loro sporche impronte. Nessun rifugio ha potuto salvare il mercenario e schiavo dal terrore della fuga, o dalle tenebre della morte», riferito ai nemici britannici dei patrioti statunitensi. E l’allegra Marsigliese contiene strofe come «Qu’un sang impur abreuve nos sillons!», cioè: «Che un sangue impuro imbeva i nostri solchi!», riferito al sangue dei nemici che mettevano in pericolo la Francia rivoluzionaria.


Talebani pure i francesi e gli americani, che fanno cantare queste cose ai loro bambini? No, semplicemente consapevoli delle loro radici, della loro storia, e dell’importanza di non rinnegarle per non vedere compromessa e cancellata la propria identità. Mentre da noi tutta la storia d’Italia è stata condensata nel biennio 1943-45, e il resto non esiste più. Perciò nessuno si scandalizza se ai ragazzini viene fatta cantare “Bella ciao!”, che esalta il sacrificio di un combattente partigiano, e se il 25 aprile gli si fa gridare “Ora e sempre, Resistenza!”. Invece evitargli di intonare «siam pronti alla morte» sarebbe educativo e progressista.

Ma queste non sono le sole motivazioni per le quali è giusto prendere per i fondelli chi ha imposto la versione buonista dell’Inno di Mameli in mondovisione. C’è altro. C’è il crescente analfabetismo antropologico, filosofico e dei sentimenti che ha ormai investito l’Italia insieme al resto dell’Occidente, e che ogni giorno si manifesta con nuovi esempi. L’ammorbidimento dell’Inno di Mameli è solo un caso fra tanti, ma molto istruttivo. L’arrangiatore, Stefano Barzan, si è difeso in tivù dalle accuse di sacrilegio mettendo in evidenza la potenza simbolica del suo arrangiamento: il «siam pronti alla vita!» dei bambini era preceduto dal «siam pronti alla morte!» cantato da un coro di adulti attempati, ha fatto notare. L’analfabetismo sta proprio qui: per Barzan e per tutti quelli che approvano la sua operazione la morte è qualcosa riservato ai vecchi, mentre la vita spetta ai giovanissimi.

Sappiamo che non è così: la morte e la vita riguardano tutti, perché la morte è possibilità che può avverarsi in ogni momento, indipendentemente dall’età: chiedete conferma ai nepalesi, se avete dubbi in proposito. Il Mameli di Barzan è semplicemente un altro prodotto della negazione della morte, del tentativo di esorcizzarla e di delegittimarla, che è la caratteristica della cultura moderna, ma anche di quella post-moderna. Mentre gli Antichi e l’Europa cristiana conoscevano bene il posto della morte nella vita, i moderni e i post-moderni vedono in essa solo uno scandalo che si dovrebbe poter eliminare. Inutilmente Martin Heidegger ha scritto che l’uomo comincia a vivere in modo autentico quando prende coscienza di essere un essere-per-la-morte. L’hanno liquidato dandogli del nazista.

Contrapporre la vita alla morte è il più grossolano errore che il pensiero può compiere: vita e morte sono le due facce di un’unica medaglia, che è quella dell’esistenza umana. Tutto ciò che è nato morirà, tutto ciò che muore è nato. Vivere è morire un po’ per volta, morire è compiere qualcosa che presuppone la vita. Contrapporre morte e vita è puerile e ignorante. Esaltare l’amore per la vita di noi occidentali contro il supposto amore per la morte dei fanatici islamici è una pericolosa semplificazione che disarma l’Occidente nella guerra che gli estremisti gli hanno dichiarato. Le opposte retoriche possono servire agli scopi tattici dell’una e dell’altra parte, ma il problema di fondo è un altro, la questione strategica è un’altra: vince la guerra chi riesce a persuadere che la sua interpretazione del senso dell’esistenza è quella giusta.

L’esistenza è nascere, vivere, morire. Giovani dell’Occidente e dell’Oriente corrono sotto le bandiere del califfato perché le società di appartenenza non offrono loro una risposta persuasiva intorno al significato dell’esistenza (che è vita e morte, essere-nel-mondo ed essere-per-la-morte, direbbe Heidegger), mentre i jihadisti estremi prendono sul serio la domanda di senso. Certamente la loro risposta è criminale e delirante, ma di là la risposta semplicemente non c’è: ai giovani noi diciamo soltanto “vivi”, “goditi la vita”. Ma senza senso non c’è godimento, ovvero il godimento scade, diventa perversione, coazione a ripetere, eccetera.

I seminari di Jacques Lacan e la logoterapia di Viktor Frankl hanno chiarito il punto, ma vale per loro lo stesso discorso accennato per Heidegger: l’Occidente ha prodotto il massimo di sofisticazione del pensiero e della riflessione intellettuale, si è liberato dell’ingenuità delle letture religiose letterali della realtà, ma quando i suoi più grandi pensatori lo hanno rimesso di fronte a quelle stesse questioni alle quali la religione aveva dato una risposta (assolutamente soddisfacente in termini simbolici, fraintesa dai moderni che l’hanno dichiarata antiscientifica), ha semplicemente censurato le questioni e le domande. È per questo che oggi rischia di essere sconfitto persino da un nemico apparentemente impresentabile e obiettivamente poco dotato come l’Isis.

Dicevo sopra che gli esempi di analfabetismo simbolico, emotivo, antropologico piovono su di noi numerosi. La prima puntata di Amici di Maria De Filippi ha generato dibattiti, e in alcuni scandalo, soprattutto per l’intervento di Roberto Saviano, prezzemolino del benpensantismo. Non mi capacito che non abbia fatto scandalo il balletto di una delle squadre, che ha mimato scene di amore fisico sulle note di “Una furtiva lacrima”, spargendo qua e là profilattici imbustati. La prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili è imperativo che tutto copre e giustifica, anche la più ignorante delle associazioni di idee e la più stronza profanazione della più struggente romanza della musica operistica italiana.

Qual è infatti la giustificazione per associare L’elisir d’amore di Donizetti ai preservativi? Le parole con cui la romanza si conclude: «Ah, cielo! Si può morir d’amor». Per i ragazzi e le ragazze della squadra di Emma “si può morir d’amor” significa, piattamente, che scopando ci si può beccare l’Aids. Da cui la necessità di seminare preservativi mentre si mimano gli struggimenti dell’anima innamorata. Il significato originario, la natura distruttiva dell’amore fra uomo e donna, che quando non dura o non è corrisposto strazia colui/colei che è lasciato/a o respinto/a fino alla morte spirituale e a volte a quella fisica, è totalmente sfregiato. La malinconia della melodia è l’espressione musicale di questa consapevolezza drammatica. Nemorino dovrebbe essere entusiasta di aver capito, dalla lacrimuccia apparsa sul ciglio di Adina, che costei ricambia il suo amore. Invece se ne viene fuori con un canto malinconico e struggente. Perché “d’amor si può morir”.

Ma Klaudia, Santo e Sabatino ad Amici e Barzan all’Expo hanno la soluzione in tasca: la morte si evita portando sempre in tasca qualche profilattico e facendo cantare ai bambini «Siam pronti alla vita!». Risultato garantito.
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