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PRIMO SI ALLA LEGGE VERGOGNA

27/3/2015

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Cosa bisogna fare per fermare il ddl Cirinnà

Il primo passaggio politico è avvenuto. Il ddl Cirinnà che vuole equiparare le unioni gay al matrimonio, consentendo a due omosessuali anche di accedere a meccanismi di filiazione attraverso l’istituto della “stepchild adoption”, che legittima anche il ricorso all’utero in affitto, è stato adottato dalla commissione Giustizia del Senato come testo base con quattordici voti favorevoli, un’astensione e otto voti contrari.

Dal punto di vista delle dinamiche politiche sarà utile notare che questo primo ma fondamentale passo verso la sostanziale approvazione del matrimonio gay (“le chiamiamo unioni solo per ragioni di realpolitik”, ebbe a dire il sottosegretario alle Riforme, Ivan Scalfarotto, in una intervista a Repubblica) avviene con una destrutturazione del patto di maggioranza di governo che finora ha tenuto in piedi l’esecutivo guidato da Matteo Renzi. Per far passare il ddl Cirinnà, il Pd ha dovuto costruire una maggioranza apposita con i tre senatori del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, che se avessero votato come abitualmente fanno su tutti i provvedimenti insieme alle opposizioni avrebbero ribaltato l’esito del voto. Ma evidentemente nel M5S ormai prevale l’istinto a farsi stampella renziana o con i dissidenti o direttamente con gli effettivi.

All’opposizione del provvedimento si sono schierati i senatori di Area Popolare, che invece sono stabilmente nella maggioranza di governo e abitualmente votano con il Pd i disegni di legge. Contrari anche i senatori leghisti, mentre Forza Italia si è divisa con l’astensione di uno dei suoi effettivi in commissione Giustizia.
Bisogna sottolineare che questa battaglia sarà lunga. Ieri è stato compiuto solo un primo passo e il teatro della discussione per tutto il mese di maggio resterà l’ambito della commissione. Fino al 7 maggio i gruppi potranno presentare emendamenti al testo base adottato, poi partirà la discussione e si voterà. Nella vita mi è capitato anche di fare il parlamentare, peraltro per il gruppo del Partito democratico che è stato il motore di questo sciagurato disegno di legge, dunque ho una qualche esperienza di quel che su può fare per bloccarlo.
Innanzitutto sarà bene inondare il testo base di emendamenti e di battagliare anche in termini tecnici in modo coriaceo costringendo la commissione all’esame di ogni proposta di modifica. Prendere tempo può servire a far ragionare qualcuno. Secondo passaggio è esattamente questo: la moral suasion. Conosco personalmente molti dei senatori che ieri hanno pronunciato quel sì a una legge vergognosa. E se non mi meraviglio nel vedere l’ex presidente di Arcigay fregarsene bellamente del conflitto di interessi e votare a favore di una legge che gli consentirebbe di trasformare il falso in vero, cioè di dichiararsi padre di un bambino di cui padre non è, avendolo lui acquistato con una procedura di utero in affitto negli Stati Uniti, resto invece piuttosto stupito non leggendo il nome di Giorgio Tonini tra i contrari o almeno tra gli astenuti su questa legge orrenda che consente la trasformazione delle persone in cose, dei bambini in oggetto di compravendita. Giorgio Tonini è un senatore del Partito democratico, cristiano, di grande intelligenza e sensibilità, padre di sette figli. Davvero non posso credere che approvi una norma così clamorosamente sbagliata e foriera di conseguenze infernali.
Dunque un passaggio ulteriore sarà cercare il dialogo con i senatori, individualmente e in gruppo, chiedendo ascolto in particolare ai cattolici, ai cristiani, a coloro che sappiamo animati anche solo semplicemente da libertà e buona volontà, per spiegare con chiarezza che una normativa come il ddl Cirinnà non può essere approvata.
Dovrà essere un dialogo da cercare in tutte le sedi, private e pubbliche. Scrivete email ai parlamentari che conoscete e partecipate a incontri sul tema in cui magari sono presenti anche esponenti politici. Parlatene anche attraverso la stampa, la radio, le televisioni locali, ne parlino i settimanali diocesani e se ne parli nelle parrocchie. Ci sia un grande confronto nel paese, che sia realmente democratico, perché non accetteremo di essere zittiti con la solita sbrigativa formula: “Omofobi”. Non lo sono io, non lo siamo noi. Ci battiamo semplicemente perché, rispettando assolutamente gli omosessuali e i loro diritti come persone, allo stesso modo rispettiamo la Costituzione della Repubblica italiana e le sue leggi sul diritto di famiglia. E siamo radicalmente contrari allo snaturamento dell’istituto matrimoniale, così come siamo contrari a qualsiasi pratica che abbia come vittime i soggetti più deboli, cioè i bambini e le donne. I figli non si pagano e gli uteri non si affittano abbiamo ripetuto praticamente ogni giorno su questo giornale e continueremo a ripeterlo fino al 13 giugno quando ci ritroveremo tutti insieme al Palalottomatica nel giorno in cui concluderemo la nostra mobilitazione di raccolta firme per la richiesta di moratoria all’Onu sull’utero in affitto. E non vorremmo davvero arrivare a quel giorno con l’utero in affitto legittimato da una legge italiana.

Se tutti i passaggi di confronto dovessero rivelarsi vani, infine, ritengo che ci sia una sola strada se la minaccia di una concreta e definitiva approvazione della legge dovesse profilarsi come reale: i senatori cattolici, cristiani o semplicemente alimentati da onestà intellettuale e buona volontà, non potrebbero esimersi dall’aprire una crisi di governo. Parrebbe incredibile infatti agli italiani che un Senato che non ha mai approvato in via definitiva alcuna normativa di iniziativa parlamentare (solo norme di iniziativa governativa), dovesse farlo proprio su questo tema così delicato, peraltro in una condizione politica di maggioranza variabile. I numeri al Senato sono talmente risicati che ritengo inevitabile un contraccolpo politico a un colpo di mano del genere, per la dignità stessa delle istituzioni e per rispetto degli italiani che sanno che le priorità che dovrebbe porsi il Parlamento sono altre, a partire dai bisogni concreti delle famiglie vere, dei quattordici milioni di mamme e quattordici milioni di papà che fanno fatica ad arrivare a fine mese crescendo più di dieci milioni di figli minori, magari prendendosi cura anche dei propri anziani genitori non autosufficienti.
La priorità del Parlamento non può essere trovare il modo di trasformare il falso in vero, di negare a un bambino diventato oggetto la verità del rapporto con il ventre di chi l’ha generato, perché quella donna se l’è venduto e un senatore di sinistra della Repubblica italiana se l’è comprato. No, mi dispiace, non è questa una ratio accettabile con cui varare le leggi.

L’opposizione al ddl Cirinnà sarà dunque durissima e senza quartiere. Speriamo che ci sia uno spazio democratico per poterla compiere senza il terribile pregiudizio che sta riguardando i cattolici in questo paese. Un’Italia dove ormai si ribaltano le decisioni già prese sulla cosiddetta “pillola dei cinque giorni dopo” rendendola acquistabile senza ricetta medica, equiparando dunque un farmaco abortivo ad un’aspirina. Un’Italia dove una consigliera comunale di sinistra coraggiosa come Raffaella Santi Casali a Bologna viene violentemente aggredita in una sede istituzionale e definita “un problema da risolvere” dagli attivisti tristemente noti ai lettori di questo giornale proveniente dal circolo Lgbt del Cassero. Un’Italia dove in prima serata si fanno cinquanta minuti di spot televisivo all’utero in affitto nella trasmissione di Daria Bignardi, con benedizione via Twitter di Roberto Saviano, senza alcuna possibilità di contraddittorio e senza neanche una domanda spinosa per i “genitori” omosessuali che si sono comprati a quindicimila dollari tre figli da una donna di colore che se li è venduti. Il tutto affidando il commento a Umberto Veronesi che si è affrettato a sostenere la pratica affermando che andrebbe “raccontata nelle scuole”.

Un’Italia così sta perdendo l’anima? Non lo so, io conservo viva e forte la speranza. Insegno a mia figlia diciannovenne che l’aborto è male e dobbiamo rispettare la vita fin dal suo concepimento, nella sua grandezza e unicità. Vedo che attorno a Raffaella Santi Casali si stringe la solidarietà di moltissimi. Noto che l’ascolto della trasmissione della Bignardi è stato talmente basso da costringere Urbano Cairo a chiuderla. Il conformismo non paga. Meglio la forza non conformista della libertà di pensiero.

E poi mi affido al magistero di Papa Francesco, che ci insegna a resistere all’ideologia del gender e a quello che chiama “un errore della mente umana”.
 E poi ricordo le parole di San Giovanni Paolo II: “Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata. Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un’ emozione”. Diamine se ci alzeremo in piedi. E lo faremo subito, da subito. L’urgenza ce la spiega il nostro amato Chesterton: “La cosa più saggia è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale”. Quindi ci batteremo. Mi batterò, personalmente, so che non resterò da solo. Perché la responsabilità ricade sulle spalle di ciascuno di noi singolarmente. Ricordate il ragazzo davanti ai carri armati in Cina? Da solo ne bloccò una colonna. Bene, dunque ognuno faccia il suo.

Può far molto anche una sola persona, basta che non sia una persona sola. E nessuno di noi è solo, lo sappiamo bene. Non prevarranno.
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LE QUATTRO LEGGI A CUI DOBBIAMO OPPORCI

24/3/2015

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Le quattro leggi a cui dobbiamo opporci

“Genitori, volete questo per i vostri figli?”. Il grido del presidente della Cei, cardinale Bagnasco, sulla teoria del gender nel corso della prolusione all’assemblea dei vescovi italiani è davvero un grido di dolore e un richiamo alla responsabilità. Finalmente l’insistenza di Papa Francesco su questi temi e la risposta coerente e puntuale dell’episcopato italiano alle sue sollecitazioni, travolge qualsiasi interpretazione deviata dell’idea di accoglienza che la Chiesa ha sempre avuto verso tutti, ma mai negando la propria identità e la propria dottrina. Non a caso le reazioni degli esponenti più noti della lobby lgbt sono state venate di isterismo. Così come la risposta unitaria a chi a Bologna ha protestato contro gli show blasfemi e vergognosi del circolo gay del Cassero. Stessi toni: “La Chiesa avvelena la società con la sua ortodossia” e via a delirare.

Deve essere chiaro che è in campo uno scontro definitivo e decisivo. Da una parte ci sono i fautori di una visione antropologica che vuole trasformare le persone in cose: i bambini in oggetti di compravendita, le donne in uteri da affittare, i malati in prodotti deteriorati da eliminare e guai a chi osi protestare. La proiezione di questa ideologia non è composta di mere chiacchiere, ma si sostanzia in quattro precisi progetti di legge, che questo giornale non si stanca da quando è nato di stigmatizzare, mettendo in guardia dalle sottovalutazioni e dalle non comprensioni di ciò che sta avvenendo. I quattro progetti di legge sono l’arcinoto ddl Scalfarotto, il ddl Cirinnà su unioni gay e stepchild adoption (che è la legittimazione dell’utero in affitto), il ddl Fedeli sull’ideologia gender obbligatoria nelle scuole e infine il ddl di iniziativa popolare dei radicali sull’eutanasia a cui quattro esponenti del governo Renzi hanno appena dato il loro esplicito appoggio.

Questo pacchetto di quattro progetti di legge potrebbe essere approvato in pochi mesi e stravolgerebbe l’Italia. La Cei presti attenzione a tutti e quattro i pericoli, i cattolici italiani si preparino a combattere a partire dalla frontiera della vergognosa pratica dell’utero in affitto. E i genitori, tutti i genitori, laici e cattolici, si oppongano alla follia dell’ideologia gender nelle scuole. Vigilando. 

Ma l’invito a mamme e papà mi pare la questione nodale dell’emergenza del nostro tempo ed al presidente della Cei occorre dare ascolto. Lo faccio io per primo da genitore di due figlie che nella scuola italiana hanno vissuto l’assalto di quella pericolosa ideologia. Dice Bagnasco: “Non possiamo non dar voce anche alla preoccupazione di moltissimi genitori, e non solo, per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del gender, sbaglio della mente umana, come ha detto il Papa a Napoli sabato scorso. Il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione. Ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un transumano in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità.

La categoria Queer, nata negli Stati Uniti, combatte contro il normale, il legittimo, e ingloba tutte le soggettività fluide: non si riferisce a nulla in particolare, si presenta paradossalmente come un’identità senza essenza. Sembra di parlare di cose astratte e lontane, mentre invece sono vicinissime e concrete: costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole. 

Una manipolazione da laboratorio, dove inventori e manipolatori fanno parte di quella governance mondiale che va oltre i governi eletti, e che spesso rimanda ad Organizzazioni non governative che, come tali, non esprimono nessuna volontà popolare! Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate, volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa? 

Reagire è doveroso e possibile, basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva, della ragione dal sonno indotto a cui è stata via via costretta. Sappiate, genitori, che noi pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini”. E noi saremo vicini ai pastori, con la nostra coscienza vigile.
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IL MATRIMONIO GAY S'AVVICINA. E' ORA DI SCENDERE IN PIAZZA

23/3/2015

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Il matrimonio gay s'avvicina È ora di scendere in piazza
di Alfredo Mantovano

Il 17 marzo, mentre l’attenzione mediatica era concentrata sul “divorzio breve”, in Commissione Giustizia al Senato la sen. Cirinnà ha depositato il nuovo testo base “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. 

Nel resoconto della Commissione si legge che la ridefinizione dell’articolato è avvenuta “anche tenendo conto delle risultanze emerse nel corso delle audizioni”: esso è quindi il testo col quale confrontarsi, nonostante nelle stesse ore senatori di Forza Italia abbiano depositato un proprio testo alternativo (per il cui esame si rinvia a breve). Da una prima lettura del “nuovo Cirinnà” emerge che le audizioni di cui la relatrice sembra aver “tenuto conto” paiono essere solo quelle delle associazioni Lgbt: la stesura attuale è, se possibile, più propensa della precedente, risalente al luglio 2014, ad attribuire alle “unioni civili” un regime sovrapponibile a quello della famiglia fondata sul matrimonio. Resta infatti la distinzione fra la disciplina delle “unioni civili”, espressione che nel testo viene riferita esclusivamente alle unioni fra persone dello stesso sesso, e disciplina delle “convivenze”, che è invece un regime light fruibile indifferentemente fra persone dello stesso o di diverso sesso.

Confrontando il nuovo testo con il precedente, la novità sostanziale è costituita dalla estensione alla parte dell’“unione civile” della possibilità di adottare il minore che sia figlio adottivo dell’altro coniuge, oggi prevista solo per il nuovo coniuge. È, in qualche misura, la trasposizione in legge del principio stabilito nel giugno 2014 dal Tribunale per i Minorenni di Roma. È evidente che, nel momento in cui si legittima il convivente dello stesso sesso a diventare genitore adottivo del figlio in precedenza adottato dell’altro convivente non vi è più alcun ostacolo all’adozione per il convivente dello stesso sesso di un partner che ha avuto il figlio da fecondazione eterologa: era esattamente questo il caso previsto dalla sentenza di quel Tribunale. Se il nuovo testo diventasse legge, l’estensione della possibilità di adozione oltre la previsione del figlio adottivo del convivente non attenderebbe l’eventuale pronuncia della Corte costituzionale: avverrebbe per via giurisprudenziale, sulla base dell’identità di ratio.

Il resto risistema la precedente stesura, con passaggi di più accentuata equiparazione fra matrimonio e unione civile; per es., sono richiamati in esplicito gli articoli del codice civile, 143, 144 e 147, dei quali viene data lettura al momento della celebrazione del matrimonio, insieme ad altri finora applicati solo al matrimonio. È confermata la partecipazione alla quota di legittima nella successione e, se proprio va individuata una ulteriore novità, essa è costituita dalla norma (di delega) pro sindaci sulle trascrizioni delle nozze fra persone dello stesso sesso contratte all’estero: l’applicazione della disciplina delle “unioni civili” viene fatta derivare in automatico da tali nozze. 

Qualche rapida considerazione, di merito e politica:

1. l’affievolimento del regime matrimoniale prodotto dall’uno-due “divorzio facile- divorzio breve” è affiancato dal prospettato rafforzamento del vincolo fra persone dello stesso sesso. Il che conferma una manovra complessiva che, indebolendo il primo e strutturando il secondo, punta alla completa parificazione di entrambi;

2. l’inserimento dell’adozione fa saltare in aria la logica dell’adozione, per come finora – e da decenni – è stata disciplinata in Italia. Come già nella sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma, anche nel “nuovo Cirinnà” prevale la prospettiva adultocentrica, che dimentica il dato essenziale secondo il quale il sistema dell’adozione ha lo scopo di attribuire al minore una famiglia, non quello di attribuire un minore a una famiglia. Finora per il nostro ordinamento l’“interesse superiore del minore” non è coinciso con l’interesse degli adulti che lo reclamano: neanche le coppie coniugate hanno potuto avanzare il  "diritto" di avere un figlio in adozione. Le caratteristiche dell’essere una coppia, unita in matrimonio, con una differenza di età con l'adottando fra i 18 e i 45 anni sono ispirate al criterio dell'imitatio naturae, hanno costituiscono i requisiti di ammissibilitá della domanda di adozione, e sono condizioni necessarie ma non sufficienti per essere considerati idonei all'adozione. Non sufficienti perché devono poi seguire le valutazioni dei servizi sociali e del Tribunale. La coppia costituita da persone dello stesso sesso, con il suo duplicare talune caratteristiche soggettive dei genitori, priva il minore di una varietá di esperienze relazionali: discostandosi dal modello familiare prevalente in natura, costringe il minore a uscire, per così dire, dalla sua "zona di comfort" ;

3. questo inserimento, se contrasta con la logica della adozione, è invece in linea con quella della sentenza della Corte costituzionale, la n. 162/2014, in tema di fecondazione eterologa e con la legislazione abortista. La sentenza 162 ha sancito la “libertà di autodeterminarsi” in ordine alla formazione di una famiglia con figli, chiudendo il cerchio aperto col riconoscimento del “diritto” di aborto: infatti, se la “libertà di autodeterminarsi” ha un peso tale da avere la meglio sulla vita di un figlio che già esiste e ha il solo limite di essere troppo giovane, è ovvio che incida parallelamente sulla possibilità di avere un figlio con gameti estranei alla coppia, a prescindere, dalla “identità genetica”. Nella medesima logica la “nuova Cirinnà” estende la “libertà di autodeterminarsi” a poter avere il figlio in adozione a prescindere dai requisiti fino a questo momento richiesti. Il figlio in questo modo diventa un oggetto: un oggetto da rimuovere se ha avuto la cattiva idea di essere concepito in contrasto con un’autodeterminazione che andava nella direzione opposta; un oggetto da ottenere perfino col patrimonio genetico – e quindi con l’identità – di altri se l’autodeterminazione si volge al suo conseguimento; ovvero da ottenere in adozione anche da single o coppie dello stesso sesso.

Coglierà la portata di queste disposizioni chi fra Camera e Senato finora ha dichiarato di voler sostenere la famiglia, e poi ha votato con convinzione il divorzio facile e quello breve? Ci si rende conto fuori dal Palazzo della posta in gioco, e quindi della necessità di far finalmente sentire – nelle piazze e con tutte le forme di dissenso possibile – la propria voce a chi sta dentro il Palazzo?

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L'ASSURDO CONCETTO DI ''MATRIMONIO OMOSESSUALE''

19/3/2015

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Sul podio delle assurdità che ha potuto partorire una parte del mondo contemporaneo, si trova sicuramente lo pseudo-concetto di “matrimonio omosessuale”. Pseudo-concetto, perché chi veramente avesse una idea chiara di cosa è il “matrimonio” prenderebbe subito consapevolezza dell’impossibilità di abbinarlo al concetto di “omosessuale”. Un concetto impossibile, come la quadratura del cerchio.

Prendiamo atto del fatto che oggi la cosa non è più così ovvia come dovrebbe essere. Anzi, forse nel prossimo futuro affermarlo pubblicamente diventerà una fatto meritevole di sanzione penale. Qualcuno ha detto che nel tempo dell’inganno universale, dire la verità diventa un atto rivoluzionario: facciamolo, allora, quest’atto rivoluzionario.

Il “matrimonio omosessuale” è impossibile e sbagliato per una serie di ragioni, che vanno dall’ordine individuale a quello sociale, che toccano la morale, il diritto, il benessere collettivo. Diamo in questo sede soltanto la prima di queste ragioni: il “matrimonio omosessuale” è anzitutto impossibile come “matrimonio”.

Il matrimonio, che già nella sua etimologia rimanda al concetto di “madre”, dice relazione alla generazione; apertura ai figli. Così come è impossibile pensare il concetto di “maternità” e “paternità” senza riferimento ai figli, così è impossibile pensare al matrimonio senza la sua attitudine strutturale alla generazione. Non è un caso che, non solo nell’ordinamento canonico, ma anche in quello civile, questo riferimento ai figli caratterizzi il matrimonio.

Nell’ordinamento italiano, basta ricordare l’art.147 c.c., inserito nel capo “Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio”, e che contiene i “doveri verso i figli” (obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole). Solo in quest’ottica possiamo capire perché lo Stato (qualsiasi Stato) riconosca pubblicamente tale unione, la inserisca in un regime particolare e attribuisca speciali diritti ai coniugi: perché nel caso del matrimonio l’unione stabile tra due persone ha una rilevanza sociale altissima, essenzialmente diversa da qualsiasi altra relazione di amicizia, di parentela o d’amore che potrebbe interessare due persone ma che resterebbe un fatto privato. La rilevanza sociale sta nel fatto di garantire la perpetuità delle generazioni, l’esistenza e il miglior sviluppo della vita di futuri uomini e donne (grazie anche alla sua “stabilità” pubblicamente garantita), e quindi l’esistenza stessa dello Stato nel tempo.Per questo lo Stato è come costretto a “riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (art.29 Cost).

Diritti che, del resto, stanno quasi a “bilanciare” i gravi doveri che i genitori hanno assunto pubblicamente e preventivamente rispetto ai figli (anche per questo riconoscere un “matrimonio” a certe categorie di persone, senza riferimento ai doveri verso i figli, sarebbe tecnicamente discriminatorio nei confronti di tutte le altre famiglie normali, che non hanno solo i diritti connessi al matrimonio ma anche i gravi doveri).

Questo riferimento essenziale alla famiglia, alla prole, mostra anche quanto sia, non solo strategicamente perdente, ma anche concettualmente inconsistente la posizione di chi è contrario alle “adozioni gay” o all’utero in affitto ma favorevole al riconoscimento di un “matrimonio omosessuale”, a “patto che non si tocchino i bambini”: in realtà, una volta riconosciuto il “matrimonio”, i bambini sono già stati chiamati in causa. Gli omosessuali (rectius: gli omosessualisti), dopo aver ottenuto il “matrimonio”, potranno logicamente rivendicare ciò a cui il matrimonio è intrinsecamente, culturalmente, storicamente e giuridicamente destinato: la famiglia. Solo che, in realtà, questa pretesa non è meno assurda della prima: l’unione omosessuale è l’antitesi stessa della famiglia. Ribadiamo una ovvietà: l’unione omosessuale è strutturalmente incapace di generare e quindi di essere fondamento della famiglia.

Da questo punto di vista, l’eventuale impossibilità a procreare in cui potrebbe trovarsi una coppia di sesso diverso è, appunto, solo “eventuale”, cioè accidentale (dipendente non dalla struttura stessa dell’unione ma da un ostacolo contingente e forse temporaneo) e non strutturale e essenziale come nella coppia dello stesso sesso. Non si può obiettare che oggi la tecnologia permetterebbe anche agli omosessuali di avere figli. Non è vero. Quella stessa dichiarazione lo dimostra: dire che “la tecnologia permette …” è ammettere che la coppia omosessuale non è “causa” del figlio, ma semmai lo è la tecnica, almeno come causa efficiente-dispositiva (in ultima analisi causa della generazione sono sempre un padre e una madre), che, fino ad ora, è costretta a prelevare il materiale genetico del sesso opposto per dare luogo a una fecondazione artificiale. C’è sempre un “padre” e una “madre” che, nei casi in cui si ricorre alla fecondazione eterologa, consentono che si spezzi quella relazione naturale tra generazione e doveri verso i figli.

Inoltre l’intervento della tecnica in questo campo (come abbiamo mostrato più volte su questo sito) crea un male morale, giuridico, e sociale più grande del “male” che si presume dovrebbe “risolvere” (l’incapacità degli omosessuali di generare): come minimo (nel caso di una coppia di lesbiche), la possibilità di avere un figlio “proprio” (di una delle donne) passa attraverso la fecondazione artificiale eterologa che, oltre a reificare il bambino (rendendolo “prodotto” di laboratorio) causa la morte di più del 90% degli esseri umani concepiti con quella tecnica. Nel caso di uomini gay che pretendessero avere un “figlio”, ai mali della fecondazione eterologa si aggiungono i mali dell’utero in affitto, di cui abbiamo spesso parlato. Dire che la tecnica “risolve” il problema della incapacità della coppia omosessuale a generare è quindi come dire che i Laogai cinesi (veri campi di concentramento) “risolvono” il problema di come produrre e fare profitto a basso costo; che la sterilizzazione forzata nei paesi del terzo mondo “risolve” il problema (peraltro illusorio) della sovrappopolazione; o infine che uccidere una persona ponga fine al rischio che si ammali …

Ribadiamolo quindi: una coppia omosessuale non “genera” mai e già solo a questo titolo (è solo una delle ragioni, ma è la prima) è incompatibile con quella funzione sociale che è propria del matrimonio e che costituisce la ragione di speciali diritti e doveri riconosciuti dallo Stato.

Alessandro Fiore
provita.it
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Il fascista Elton John, i bimbi D&G e le mutande di Paone

17/3/2015

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Il fascista Elton John, i bimbi D&G e le mutande di Paone
di Luigi Santambrogio

Uno per tutti: Alessandro Cecchi Paone, mancato europarlamentare, showman (le due cose vanno insieme) e consulente gay per Forza Italia, sezione Francesca Pascale da Arcore. Sempre sulle barricate dell’indignazione glamour.« Ho buttato tutte le mutande D&G che avevo. Non le regalerò più ai miei fidanzati». La tignosa dichiarazione gli è venuta dopo aver letto le dichiarazioni di Domenico Dolce su famiglia, figli della provetta e matrimoni gay. Vendetta tardiva, dato che quelle verità lo stilista le aveva dichiarate a Panorama addirittura la scorsa settimana, ma nessuno nel sciccoso ambiente gay friendly se l’era filate più di tanto. Ci voleva invece la furia di Elton John e il suo appello al boicottaggio della griffe per ridare fuoco a polveri ormai bagnate e turbare l’animo del Cecchi pavone. Che fare? Dare alle fiamme le mutande e chiedere pure la restituzione di quelle regalate ai fidanzati. C’è da tremare davanti allo scoppio d’ira dell’ormai smutandato Alessandro.

Con la sua sortita a dare manforte agli amichetti del boicottaggio gay e fecondarolo, Cecchi Paone ci informa che: a) lui possiede un guardaroba bel fornito di boxer e slipponi usciti dalla sartoria di Dolce & Gabbana; b) ai fidanzati il tirchio Paone non fa certo cadeau da mille e una note anche se portare la griffe di D&G sui luoghi strategici dev’essere un must per certa gente. Nel coro mondiale intonato da Elton John contro Gabbana, Cecchi Paone giunge in cattiva compagnia. L’idea delle mutande da buttare sul rogo la deve aver rubata da Courtney Love che ha espresso lo stesso proposito («Ho raccolto tutti i miei vestiti Dolce e Gabbana e li voglio bruciare. Non ho parole. Boicottiamo la bigotteria insensata»), mentre l’ex tennista milionaria e lesbica Martina Navratilova ha colto subito il lato commerciale della faccenda: «Bisognerà vedere», ha insinuato, «se queste sciocchezze faranno male al loro conto in banca».

Tutti a condannare quelle affermazioni di Domenico Dolce che ha avuto il coraggio di affrontare il pensiero unico con evidenze di fatti e di buon senso: «Sono gay, non posso avere un figlio, la vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia». A seguire la frase incriminata: «Non mi convincono i figli della chimica, i bambini sintetici, gli uteri in affitto, semi scelti da un catalogo». Il capofila della campagna di boicottaggio, Elton John ha fatto sapere che indosserà più nulla di Dolce  Gabbana e ha invitato gli amichetti dello star system a fare altrettanto. Posizioni intolleranti e fasciste, gli ha replicato Gabbana invitando a suo volta a boicottare i dischi di Elton John. Comunque, una cosa è certa: D&G non sono della stessa pasta di Barilla (ricordate?), loro non si sono rimangiati nulla. Anzi, rilanciano: «forse perderemo qualche fan di Elton John, forse guadagneremo qualche mamma». 

Il resto è noia e finzione. Tra un boicottaggio e l’altro, un cincillà che brucia e t-shirt griffate che finiscono nella spazzatura, la guerra in corso non ha nulla di nobile e drammatico, come sono la difesa dei diritti della vita e la venuta al mondo dei bambini. Verrebbe da mandare al diavolo questo mondo di miliardari che sfodera il suo orgoglio gay perché non ha più nulla di decente da esibire. Eppure, da Cecchi Paone a Ricky Martin, padre surrogato e impotente, la polemica hollywoodiana e tutta mercantile su Dolce & Gabbana ha molto da dire e da scoprire. Una volta accettato che maschio e femmina pari sono genericamente pari, che l’embrione possa essere non il frutto di un rapporto d’amore tra un uomo e una donna, ma il prodotto di una manipolazione in laboratorio, che al desiderio non c’è limite se non quello provvisorio e mutevole della scienza, che per fare un matrimonio non ci vogliono una donna e un uomo e neppure mamma e papà per fare un figlio. Beh allora bisogna solo scegliere la tecnica migliore o la banca dei gameti capace di soddisfare anche i più eugeneticamente esigenti. In questo folle puzzle Frankenstein, tutti ci possono mettere il loro pezzettino biologico: come quella madre inglese che si è fatta impiantare nell’utero un embrione prodotto con lo sperma del figlio. Il bambino, che ora ha già sette mesi, è nei fatti figlio di suo fratello e di sua nonna. Mica poi tanto diverso dai «figli sintetici della chimica» ricordati da Dolce. 

Comprereste un paio di boxer da genitori così? O uno sparato gay-fucsia con occhiali a pois verdi daun Elton John che in un attacco di paternità si procura due gemelli da un donna in affitto? Il pensiero unico e anti umano che l’ideologia gender mira a imporre a tutti, vorrebbe che tutto ciò fosse accettato come “naturale” e che innaturale e deviante diventasse invece chi si oppone a questa delirante  deriva totalitaria. Le avanguardie abitano il mondo dorato dello spettacolo e del vippaio fashion perché, si sa, la moda è ormai l’unica certezza rimasta ai sudditi consumatori. Contro Dolce e Gabbana la lobby dei ricchi e famosi agita lo spauracchio del boicottaggio e del no logo, contro tutti gli altri basta la legge Scalfarotto e l’accusa di omofobia, malattia considerata ormai più pericolosa del cancro. 

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«SONO PRETE, MA GIAN MI HA CONVERTITO»

15/3/2015

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La storia | Gianluca Firetti
«SONO PRETE, MA GIAN MI HA CONVERTITO»
Può un sacerdote esser convertito da un ragazzo malato? Don Marco D’Agostino dice di sì, l’ha provato in prima persona. La straordinaria storia di Gianluca Firetti, ventenne che ha reso la malattia una via per la gioia.
 
«Questo libro farà del bene». Con queste parole, il 13 gennaio scorso, quindici giorni prima di morire per sarcoma osseo, Gianluca Firetti, vent’anni, ragazzo di Sospiro (Cremona), firmava il contratto con le Edizioni San Paolo per il testo Spaccato in due. L’alfabeto di Gianluca, il suo “testamento” che, su di me, ha avuto effetto immediato: sbriciolato in mille pezzi e “rigirato come un calzino”.

L’incontro con lui mi ha fatto solo bene. Le due esperienze, la sua di giovane che soffriva senza disperazione e la mia, di credente che tentava di capire, sono diventate una sola. La vita di Gian davanti a Dio, la mia davanti a me stesso. La sua pulita perché purificata, la mia faticosa perché appesantita. Davanti alla fede di Gian mi sono sentito più volte microscopico. Lui giovane e saggio, malato con un cuore sano che riusciva ad amare tutti, sbilanciato sugli altri da ripetere, a ciascuno, per ogni piccola attenzione: «Grazie»; e, per ogni fastidio che pensava di dare, anche ai barellieri mentre lo portavano sull’ambulanza che lo avrebbe trasportato all’hospice: «Scusate per il disturbo che vi do, ma ci sono molti gradini per scendere da casa mia».

Gian era disarmante. Proprio come il Vangelo. Andavo a casa sua ogni giorno, al pomeriggio, alla sera, quando ormai lui non poteva più uscire: eppure era sempre così gioiosamente trasfigurato. Dolorante, sapendo che qualcuno veniva a trovarlo nel tardo pomeriggio, si faceva sistemare sulla sedia a rotelle, sopportando ogni dolore. Incontrarlo, ascoltarlo, pregare con lui era come sfogliare un “Vangelo aperto”. Commoveva. Le sue parole e le sue mani, quando mi sfioravano, il suo abbraccio – così leggero per paura di fargli del male – ti comunicavano un’anima pulsante, ben al di là di quelle ossa “spaccate” che lo facevano soffrire. «Allora è vero, don». «Cosa, Gian?». «Che tu vieni qui per convertirti». Queste parole le diceva sorridendo, ma sapeva che dalla cattedra del suo letto, a casa o all’hospice, insegnava semplicemente col suo esserci, in un silenzio pensieroso e mai triste, con la sua preghiera raccolta, i suoi occhi che “ti leggevano dentro” davanti ai quali, specchio di una vita limpida e ormai in Dio – perché qui sulla terra era rimasto ben poco – non potevi presentarti con cortecce, cappotti o maschere difensive.

Davanti a lui percepivi di essere completamente nudo, ma senza vergogna perché non puntava il dito, non si lamentava di coloro che non andavano a trovarlo, non invidiava coloro che stavano meglio di lui. Gian chiedeva conversione in entrata e in uscita. In entrata perché la sua presenza provocava fortemente. Quando in una domenica di Avvento mi ha chiesto di portargli la Comunione, il sabato prima sono andato a confessarmi. Come avrei potuto incontrare due volte il Signore – quello che portavo e quello che, in hospice, mi attendeva – con una vita superficiale come la mia? Come avrei potuto accogliere la Parola e le parole di Gian, che si assomigliavano molto, stringere la sua mano, accogliere il suo bacio, in un contenitore rotto e screpolato com’ero io?

Anche in uscita Gian era trasformante. Sofferente, immobile, morfina 24 su 24, a pochi giorni dalla morte sapeva augurare, raccogliendo tutte le sue forze: «Buona domenica». Gioiva per le visite dei suoi amici e diceva a ciascuno: «Mi raccomando, non sprecare la vita, fa il bravo, studia perché io farei cambio e studierei 500 pagine piuttosto di soffrire».

Sapeva far pensare e aveva il potere, un po’ come fa Dio, di far vibrare le corde della vita: non solo emotivamente, ma nel profondo del cuore. La sua vita, tutta quanta, è diventata un’offerta, un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». Non perché Dio volesse la sua sofferenza, ma perché, come aveva detto nell’ultima domenica: «Dio mi ha posto sulle spalle una bella croce… No, è la malattia che è pesante, Dio non c’entra proprio nulla».

Invece Dio c’entrava, eccome. Dio entrava e usciva da ogni poro della sua pelle, respirava a fatica con lui, sopportava il dolore delle ossa, delle metastasi che, impietose, conquistavano ogni centimetro quadrato del suo corpo. Più il tumore lo aggrediva, più Gian s’illuminava, più smagriva e più il suo cuore batteva, più gli mancavano le forze fisiche e più era traino che trascinava gli altri. Riflettere con Gian era come abbandonarsi alla visione che Dio ha delle cose, fidarsi che l’essenziale, mentre si sta perdendo tutto nella propria vita, anche a vent’anni, non è quello a cui si è attaccati, ma proprio ciò da cui ci si stacca.

Gian è, paradossalmente, diventato, nel suo letto, con la morfina e il suo cancro, una fonte di energia e di luce. Per tutti, familiari, amici, preti, volontari, personale dell’ospedale, mondo sportivo, famiglie, giovani e adulti, anziani e malati. La sua casa un piccolo porto di mare. Quando suonava il campanello: «Avanti», diceva dal divano, «il bar è sempre aperto!».

Condivideva. È stato il segreto della sua santità. Faceva entrare tutti in lui. Dio, anzitutto. Si apriva, si sentiva trasportato dalla preghiera e dall’amicizia di tanti, anche di chi non conosceva, ma sentiva così vicini, dentro di lui. È riuscito, da tutti – me per primo – a estrarre il meglio perché lui è diventato il migliore, intuendo il centro e lo scopo della vita: «In fondo», scrive nell’introduzione al libro , «come ho detto ieri sera a mio fratello Federico, noi siamo fatti per il cielo. Per sempre. Per l’eternità. In questo libro mi troverai, in ogni pagina. E io troverò te. Sento che in Dio siamo già amici».

La storia di Gian, la sua fede, la coscienza della morte e del come affrontarla si sono riversate su me e su tantissimi come pioggia che lava e rinfresca. Qualcosa che ti provoca dentro. Ti spacca in due. Accogliere la sua testimonianza di vita e di fede – come dicono le tre ristampe del libro in meno di un mese – significa credere che i santi ci sono ancora. Se ne accogliamo la testimonianza, quasi quasi “rischiamo” anche noi di diventarlo.
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UE: “MATRIMONIO GAY E’ DIRITTO UMANO”? BUFALA!

13/3/2015

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UE: “MATRIMONIO GAY E’ DIRITTO UMANO”? BUFALA!
Titoloni, titoli e sottotitli. Post, like, tweet e ritweet. Breaking news.

Tutto in queste ore ci urla nelle orecchie: “l’Unione Europea ha deciso, il matrimonio gay è un ‘diritto umano’ e gli Stati devono adeguarsi“. Il problema è che la gente ci crede pure.

Intanto non si può parlare dell’”Unione Europea” ma del “Parlamento Europeo”, cioè l’organo meno influente sulle politiche nazionali tra tutti quelli dell’UE (per ovvie questioni di salvaguardia della sovranità dei singoli Paesi).

Secondo poi, il Parlamento Europeo non ha deciso un bel nulla sul matrimonio gay. Intanto per una questione semplice e quasi banale, e cioè che in base alle regole dei Trattati non ha il minimo potere di farlo; e poi perché ciò di cui si tratta è una risoluzione politica non vincolante. Si dirà: beh, non è cosa da poco che il Parlamento Europeo abbia definito il matrimonio gay come diritto umano. Non ha fatto nemmeno questo, benché l’associazionismo Lgbt si stia dissanguando per farlo credere in ogni dove e con il compiaciuto appoggio di tutta la stampa (inconsciamente, non solo quella laicista).

La risoluzione politica prendendo atto «della legalizzazione del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di Paesi nel mondo, attualmente diciassette, incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell’Ue a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili».

Il Parlamento si limita, per così dire, a premere perché il tema sia discusso e dibattuto. Ma se sia o no una “questione di diritti umani e civili” è proprio l’oggetto della riflessione a cui si invita a contribuire. Altrimenti il Parlamento Ue avrebbe potuto molto più semplicemente chiedere agli Stati di approvare il matrimonio gay in quanto diritto umano. Punto. Chiaro e conciso. E invece si chiede solo di contribuire alla riflessione posta in quei termini. Riflessione a cui si può contribuire con un bel: “Ehi, per me il matrimonio ha a che fare con la potenzialità procreativa dell’unione tra un uomo e la donna in virtù del maggior bene sociale dei figli. Chiaro? Grazie della chiacchierata e tanti saluti“. Dopotutto è precisamente quello che risponde alla risoluzione del Parlamento Europeo la nostra Costituzione, come ha chiarito nel 2010 e nel 2014 la Corte Costituzionale.

L’altro essenziale motivo per cui non è possibile affermare che il Parlamento Europeo ha dotato il matrimonio gay dell’aureola di “diritto umano”, è che la Corte Europea dei Diritti Umani ha già confermato che non lo è affatto, sulla base della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che all’art. 12 riconosce come diritto universale al matrimonio solo quello tra un uomo e una donna. Gli Stati sono liberi di ampliare la concezione a loro piacimento, anche fino alla poligamia o al matrimonio incestuoso, ma la Convenzione non obbliga minimamente a farlo e da parte sua promuove solo quello monogamico tra l’uomo e la donna (sentenze CEDU Schalk and Kopf v. Austria e Hamalainen v. Finlandia).

Quindi è assolutamente opportuno riportare il discorso ai suoi termini reali:
- le risoluzioni del Parlamento Europeo influenzano il dibattito politico;
- i diritti umani sono regolati in UE dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani;
- sulle questioni dei diritti umani decide la Corte Europea dei Diritti Umani;
- sul matrimonio la Corte ha deciso che quello “per tutti” NON è un diritto umano.

La stampa può modellare i titoli quanto vuole: finché i fatti resteranno chiari così come descritti e noi non ci faremo influenzare dalle pressioni mediatiche, resteranno solo parole al vento. Non dobbiamo assolutamente commettere l’errore di fare da cassa di risonanza a questa disinformazione, ma anzi cogliere l’occasione per far capire al popolo che c’è chi sta cercando di circuire la sua volontà con truffe politiche.

Filippo Savarese
portavoce Manif Pour Tous Italia

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CHE DIO ABBIA PIETA' DI EMMA BONINO

11/3/2015

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Che Dio abbia pietà di Emma Boninodi Danilo Quinto 

È rivolto ai parlamentari l’appello di Emma Bonino sulla legalizzazione dell’eutanasia che l’Associazione Coscioni pubblica sul suo sito. «Onorevoli parlamentari – dice l’ex Ministro degli Esteri – quando abbiamo avuto il coraggio, insieme, di puntare sulla libertà e sulla responsabilità individuale, abbiamo convinto, e quindi abbiamo vinto, tutti insieme. Perché la libertà è quella forza che unisce.

È la mancanza di libertà quella che in realtà rende la vita impossibile. Abbiamo vinto insieme quando abbiamo deciso di puntare sulla libertà e sulla responsabilità delle donne e degli uomini di questo Paese, per scegliere se e quando diventare madri. Abbiamo vinto insieme quando abbiamo puntato sui cittadini e le cittadine perché decidessero loro se la loro vita familiare, se il loro matrimonio, era ancora possibile, agibile, se era ancora vivibile. E nei momenti difficili, nelle scelte individuali, non abbiamo altre scelte.

Se vogliamo vivere insieme, pure se la pensiamo diversamente, anche se crediamo in cose diverse, la cosa che ci può unire, l’unica che ci può unire, è la libertà nella responsabilità. E quindi vivere liberi. E quindi vivere liberi, fino alla fine». Il testo del videomessaggio – realizzato, si avverte, prima che Emma Bonino scoprisse di avere un tumore e ribadito qualche giorno fa in un’intervista rilasciata alle “Invasioni Barbariche” – contiene cinque volte la parola “libertà”. Definita “responsabile”, legata all’affermazione di desideri individuali che concernono le scelte di vita, dalla soppressione del concepito, alla distruzione del matrimonio, alla scelta di farsi dare la morte.

Non c’è da farsi illusioni. La libertà, forza che “unisce” – come sostiene la Bonino – porterà presto nel nostro Paese all’introduzione dell’eutanasia. Si eliminerà l’anziano malato – soggetto privo di rilevanza sociale, perché non produce e diventa solo un peso da sostenere – e poi, come accade in Olanda o in Belgio, si elimineranno i bambini con malformazioni, perché l’imperfezione umana è ritenuta solo materiale da buttare. Non c’è nessuna differenza tra la cultura che proviene dalla Rivoluzione Francese – sancita a livello internazionale con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 – e la cultura nazista dei lager o da quella comunista staliniana o della Corea del Nord del terzo millennio.

Né c’è neanche da farsi illusioni che quella cultura troverà opposizione politica in Parlamento, dove la logica praticata dalla legge sul divorzio in poi è quella del “male minore” e dove – se va “bene” – chi dovrebbe “gridare dai tetti”, tace, per non prendere posizione e occultare la Verità. Né, infine, c’è da farsi illusioni sulla “sorte” di Emma Bonino.

Dio, con la sofferenza che inevitabilmente le causa il tumore, le ha concesso un tempo di ravvedimento, di “soddisfazione” ̶ com’è descritto dal numero 1459 del Catechismo della Chiesa Cattolica – e di “penitenza”, che come si legge al numero 1460, «deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della Croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che “partecipiamo alle sue sofferenze” (Rm 8,17)».

Emma Bonino consuma il suo “tempo di ravvedimento” propagandando la morte eutanasica. Senza giudicare, possiamo però essere certi che anche la “Chiesa della Misericordia” non potrà abolire i suoi peccati.
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SE ''REPUBBLICA'' VUOLE L'ESILIO DI DIO

10/3/2015

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di Mario Adinolfi

Oggi pomeriggio nell’Aula Magna del rettorato dell’università di Torino si terrà una “lectio magistralis” di Paolo Flores d’Arcais contornato dalla sua cricchetta di editorialisti di grido del quotidiano la Repubblica e dintorni: Corrado Augias, Stefano Rodotà, Chiara Saraceno, Gustavo Zagrebelski, Giulio Giorello, Gian Enrico Rusconi ed altri soloni lo celebrano come “laico dell’anno”. Cosa andrà a dire di tanto decisivo Paolo Flores D’Arcais in un’occasione così solenne? La Repubblica ci ha tolto il gusto della sorpresa e manco fosse il vincitore di Masterchef, ha anticipato ieri il testo integrale della lezione. Due pagine del quotidiano intitolate, senza punti interrogativi, imperativamente: “La democrazia deve chiedere l’esilio di Dio”.

Le due pagine di Flores d’Arcais sono terrificanti. Ricorriamo alle citazioni testuali: “La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio, solo se disponibile a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico. La religione è compatibile con la democrazia solo se addomesticata. Le religioni compatibili con la democrazia sono religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharie e martiri e legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni). Sono religioni sottomesse che hanno interiorizzato l’inferiorità della legge di Dio rispetto alla volontà sovrana degli uomini su questa terra”. 

Ecco, direi che ce lo hanno detto chiaro cosa vogliono da noi. Ho l’impressione che da oggi sarò meno docile, Flores d’Arcais e Repubblica si abituino all’idea. Anche perché l’offensiva è evidente e le finalità ormai non sono neanche più nascoste. Come dice l’incipit dell’articolo “è questione di vita o di morte, alla lettera”. Ci vogliono morti, nella forma di democraticamente taciturni e addomesticati, sarà il caso di capirlo bene. Anche dalle parti dei sacri palazzi. Resto sorpreso avendo ormai continua conferma diretta del fatto che il quotidiano più letto nel clero e nell’episcopato sia proprio Repubblica. Propongo la sostituzione immediata in chiese, parrocchie e arcivescovadi con la lettura de La Croce. Credo dovrebbe essere considerata più salutare.

L’opzione di Flores d’Arcais è spiegata con nettezza del corso di tutto l’articolo. Qualche altro passaggio? Prendiamone uno programmatico: “E’ inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione”. Adesso vi è più chiaro perché l’offensiva dell’ideologia gender punta proprio sulla scuola, a partire dalla scuola materna? E a proposito dell’ideologia gender, altre due pagine di Repubblica, sempre sul numero di ieri. Titolo? “Il padre materno”. Il modo subdolo di raccontare l’indifferenzialismo sessuale con il papà che può fare la mamma per gettare le basi culturali che conducano alla normativa che preveda per un bambino l’assenza della mamma e la presenza di due papà. Di chi è l’editoriale che adorna le due pagine su pregi del papà che fa la mamma? Di Chiara Sareceno, certo, sociologa che oggi pomeriggio a Torino celebrerà Flores d’Arcais, quello che vuole cacciare Dio ed esiliarlo.

E i cattolici in questo schema cosa dovrebbero fare? Se non vogliono addomesticarsi e diventare docili davanti a normative depravate che puntano a legittimare ad esempio l’utero in affitto e la conseguente compravendita di esseri umani, come devono comportarsi secondo Flores d’Arcais? Qui sussiste una questione pienamente e totalmente democratica, la proposta di Repubblica è l’esilio non di Dio, ma più prosaicamente dei cattolici dal dibattito pubblico. Ci vogliono far rinunciare a qualsiasi nostra convinzione profonda, che è convinzione radicata in vasta parte del popolo italiano. Ma Dio non lo esilia Repubblica. 

Repubblica getta la maschera e dichiara il suo progetto. Da queste parti lo si denuncia da tempo. Sappia Flores d’Arcais che sapremo organizzare la resistenza, perché lui e i suoi sodali sono dei poveri giacobini isolati invecchiati male. Mentre noi siamo popolo. E estromettere il popolo dai meccanismi decisionali è un antico sogno dei totalitarismi novecenteschi, a cui speravamo che Repubblica avesse rinunciato. L’assalto ai cattolici italiani, alle loro idee e alla loro fede che è e resterà pubblica, perché radicata nella storia di un Paese, non avrà successo. Si potrà proseguire nell’offensiva mediatica in atto, ma non si trasformerà mai ciò che non è in cio che è. E voi, cari repubblichini giacobini, non siete popolo. Siete un piccolo club di anziani e superbi signori, facilmente battibile. Per esiliare Dio dovrete trovare ragioni meno irragionevoli ed energie meno patetiche.

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NOI STIAMO CON DON ANGELO PEREGO

8/3/2015

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NOI STIAMO CON DON ANGELO PEREGO
Un nuovo caso simile alla nostra cara amica Adele. È bastato che un omosessuale si sentisse offeso per una frase dal pulpito di don Angelo Perego per far partire la macchina del fango. È gia' su Repubblica e in settimana sarà su tutti i giornali e giù con interpellanze parlamentari dei soliti "sinistri". La tecnica e' sempre la stessa. 
Sosteniamo don Angelo.

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Ecco il vergognoso articolo:

Como, bufera sul parroco dopo la messa: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis"
La frase pronunciata da don Angelo Perego, parroco di Arosio, alla fine della celebrazione ha scatenato la reazione di un fedele omosessuale. "Affronteremo questo tema in parrocchia"
di DAVIDE CANTONI
 
"L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis. La prima ci attacca dall'interno, la seconda dall'esterno". Una frase pronunciata a fine messa da don Angelo Perego, parroco di Arosio, piccolo comune in provincia di Como. Poche parole per presentare un incontro aperto ai fedeli, in programma il 27 marzo, sul tema delle identità di genere. Un uomo a fine funzione lascia l'assemblea, raggiunge il parroco, vuole capire. E' un omosessuale e quanto ha sentito non gli piace. Chiede spiegazioni. "Ci conosciamo bene - spiega il sacerdote - e ci siamo confrontati. Non è vero che siamo finiti quasi alle mani, come ha detto qualcuno".

Il confronto, pacifico o meno, serve comunque a poco. E l'uomo torna a casa. Evidentemente lo scambio di opinioni non lo ha rincuorato: pubblica su Facebook le proprie riflessioni. Tanto è bastato perché il pensiero del sacerdote facesse il giro del paese e ovviamente andasse oltre i confini, il racconto è diventato notizia: ripresa, scritta, condivisa tra social e stampa locale. Un putiferio, con Arosio diviso fra chi difende il sacerdote e chi lo condanna per quanto detto. Contattato, don Angelo ripete continuamente: "Io non sono omofobo, per nulla. E' una sciocchezza quella di cui mi chiedete conto, è una piccola cosa. Non sono contro l'omosessualità, ho parlato di ideologia gender e ho detto che è più pericolosa del terrorismo Isis o islamico".

Che cosa sia però quella che definisce "ideologia" don Perego non lo chiarisce. E a domanda precisa non risponde. "E' pericolosa come ogni ideologia. Non ne parliamo ora, ne parleremo durante l'incontro in parrocchia. Vogliamo ragionare su queste cose. Ma sia chiaro a tutti, io non voglio giudicare, il sacerdote ha il compito di spiegare la morale cristiana. Non si giudica l'uomo, ma il peccato". Eppure la frase è forte, crea un accostamento tra terrorismo e identità sessuale. Forse un po' eccessivo come ragionamento. "Forse. Ma ripeto: non parlavo di omosessuali". Quindi un pensiero fraintendibile. "Tutti siamo fraintendibili, lo è anche il Papa".

Nonostante questo, un uomo si è sentito ferito dalle parole udite in chiesa. "E' una persona che conosco bene, un emarginato che trova conforto tra i miei volontari in oratorio. Prima ha chiacchierato con me, poi mi ha insultato su Facebook". Nel dubbio, rileggiamo a don Angelo le sue parole: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis. E' corretto?". "Si. Ma non capisco perché la cosa interessi tanto".

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