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L’Europa dopo il voto del 25 maggio: povera Italia!

29/5/2014

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L’Europa dopo il voto del 25 maggio
di D. Quinto

Lo straripante successo in Francia del Front National di Marine Le Pen e in Inghilterra dell’Ukip di Nigel Farage – entrambi sono diventati il primo partito – mettono in secondo piano la “tenuta” di Angela Merkel in Germania e confermano le previsioni della vigilia. In Europa c’è una larga parte dell’opinione pubblica contraria ad un assetto istituzionale che ha come fondamento non la politica, ma l’economia della moneta unica.

Così come, anche a sinistra, con l’affermazione della lista di Alexis Tsipras in Grecia – che ha avuto una ricaduta anche in Italia – vengono messe in discussione le politiche di austerità imposte dagli organismi europei, che hanno raso al suolo qualsiasi possibilità di sviluppo economico del continente e impedito la sua competitività con il resto del mondo.

In Italia, è stato premiato chi ha reso chiara ed esplicita – e non timida – la posizione anti-euro, insieme ad una politica in grado di preservare l’identità europea dalla presenza sempre più ingombrante e pericolosa dell’Islam. Ci riferiamo alla Lega di Matteo Salvini, che ha ampiamente superato il 6%, incrementando di oltre il 50% i risultati di un anno fa.

A conferma del fatto che se l’intero centrodestra, ed in particolare Forza Italia, avesse fatta sua questa posizione, probabilmente ben altro sarebbe stato l’esito di questo voto. Avrebbe infatti contrapposto alle “speranze” dispensate da Renzi e al populismo giacobino del Movimento 5 Stelle, un progetto politico, in grado anche di sopperire alle obiettive difficoltà in cui si è trovato Silvio Berlusconi nell’esercitare la sua leadership.

L’esito del voto, invece, confermando la totale inaffidabilità dei sondaggi pre-elettorali, ha decretato il successo personale di Matteo Renzi, del suo Governo e del suo partito, che ha colto il 41% dei consensi, superiore alla somma dei consensi che si sono manifestati per Forza Italia (16,8%) e Movimento 5 Stelle (21,2%). Gli oltre 11 milioni di voti presi – 3 milioni in più delle ultime elezioni politiche – oltre a certificare il fatto che per Renzi vota ora una buona fetta dell’elettorato definito moderato, contengono anche un paradosso, se si considera che non una sola delle “promesse” del suo Governo è stata realizzata.

La vittoria dell’ex Sindaco di Firenze, che si fonda principalmente sulla grande capacità comunicativa, sul giovanilismo d’accatto che vorrebbe rappresentare il “nuovo” e sulla manifesta inconsistenza politica dei suoi avversari, potrebbe spianare la strada ad imminenti elezioni politiche nazionali. Renzi ha già dimostrato di essere persona che “non si accontenta” e la spregiudicatezza potrebbe portarlo a “prendere tutto”, magari a conclusione del semestre europeo che sarà da lui presieduto.

Un altro dato di queste lezioni è significativo e riguarda il Movimento di Grillo. Il suo ridimensionamento, sia in termini di percentuale che di voti,  sgombra il campo da una delle più grandi mistificazioni che è stata costruita in questi anni: quella dell’anti-politica. Una parte consistente dell’elettorato grillino, ha compreso che evocare il processo attraverso il web nei confronti della politica, senza sottolineare il ruolo di una buona parte della cosiddetta “società civile” nel degrado civile e morale in cui versa il Paese, è un’operazione priva di senso e solo demagogica.

Un’ultima considerazione riguarda i temi relativi ai principi non negoziabili. 

La vittoria di Renzi produrrà l’accelerazione di leggi contrarie ai principi dell’ordine naturale e un ulteriore passo avanti verso la dittatura del relativismo.
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Come Volevasi Dimostrare: Il governo Renzi pronto alle adozioni gay

27/5/2014

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Il governo Renzi pronto alle adozioni gay

Il ministro Boschi qualche giorno fa ha dichiarato: “Il presidente Matteo Renzi è impegnato nel riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Quanto alle adozioni ci vuole gradualità, perché si tratta di un tema più complicato che in Italia richiede tempo. Io però a titolo personale sono favorevole”. Di contro Maurizio Gasparri ha ribattuto: “Apprendiamo dal ministro Boschi che il premier Renzi si starebbe impegnando per un riconoscimento delle unioni omosessuali. Faccio solo notare che questo governo è nato per altre ragioni e con altre priorità.  Il ministro Boschi si dice addirittura favorevole alle adozioni gay. Può pensare quel che vuole, ma una cosa del genere non può entrare nel nostro ordinamento. Si concentri piuttosto a fare bene il suo lavoro piuttosto che avventurarsi in ipotesi che andrebbero a stravolgere i principi del diritto naturale”. 

* * *

Svelato il trucco: il governo Renzi, oltre alle nozze gay, vuole le adozioni omosessuali

La strategia è la stessa, andare avanti a tappe senza quasi darlo a vedere. Un po’ come hanno fatto con il reato di clandestinità. Il governo Renzi sta preparando un nuovo trappolone: prima ha intenzione di introdurre le nozze gay, magari chiamandole con un nome indolore, poi – a sorpresa – accarezza l’idea delle adozioni omosessuali. Non sono le solite voci di corridoio, i “sentito dire”, le malignità degli avversari, perché la conferma arriva direttamente dal ministro Maria Elena Boschi: «Il presidente Matteo Renzi – ha detto testualmente – è impegnato per il riconoscimento alle unioni civili tra persone dello stesso sesso». Fin qui c’è poco di nuovo, perché il Pd è sempre stato favorevole, per motivi elettorali, salvo frenare per ragioni di opportunità politica. La sorpresa arriva subito dopo: «Quanto alle adozioni – ha infatti aggiunto – ci vuole gradualità, perché si tratta di un tema più complicato, che in Italia richiede tempo. Io però, a titolo personale, sono favorevole». Il che – nonostante lei dica di parlare a titolo personale – significa che a Palazzo Chigi sono indirizzati verso quella strada. Non possono certo dirlo in maniera ufficiale, perché rischierebbero di perdere una fetta di elettori moderati e incrinerebbero i rapporti con gli alleati di governo – ma hanno iniziato a porre il problema, a preparare il terreno, proprio come hanno fatto con l’immigrazione. Tanto – pensano – bastano 80 euro e si dimentica tutto, dall’invasione degli extracomunitari alla scelta di affidare un bambino a due papà. «Apprendiamo dal ministro Boschi che il premier Renzi si starebbe impegnando per un riconoscimento delle unioni omosessuali – ha dichiarato Maurizio Gasparri – Faccio solo notare che questo governo è nato per altre ragioni e con altre priorità, e che Renzi dovrebbe pensare a ridurre la pressione fiscale del nostro paese, realizzare le riforme costituzionali e la legge elettorale. Che poi stia facendo tutto miseramente male è un altro conto. Ma a maggior ragione è improponibile mettere altri temi all’ordine del giorno. Il ministro Boschi si dice addirittura favorevole alle adozioni gay. Può pensare quel che vuole, ma una cosa del genere non può entrare nel nostro ordinamento. Si concentri piuttosto a fare bene il suo lavoro piuttosto che avventurarsi in ipotesi che andrebbero a stravolgere i principi del diritto naturale».  La Boschi, pur di dire una cosa di sinistra, ha finito per togliersi la maschera. E per toglierla anche a Renzi. Vatti a fidare del sorriso ingenuo del premier-Fonzie.
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Votare. E votare per l’Europa, contro i populismi

25/5/2014

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Le indicazioni di voto e le preoccupazioni del mondo delle associazioni cattoliche italiane per le elezioni del Parlamento Ue

“Nella sua settima legislatura - dal 2009 al 2014 - il Parlamento europeo ha esercitato un potere maggiore rispetto ai decenni precedenti”. Questo l’attacco di una nota pubblicata qualche giorno fa sul sito dell’Europarlamento a introdurre una corposa serie di dati sulla propria attività degli ultimi 5 anni. Una risposta statistica allo scetticismo di molti sull’utilità delle istituzioni europee e in particolare sull’effettivo ruolo politico dell’assemblea di Strasburgo, l’unica istituzione eletta dai cittadini dei 28 Stati dell’Unione.

Nonostante una campagna elettorale in cui i partiti sono parsi più attenti all’applausometro dei propri ultras che a proporre il proprio scenario di fronte alle grandi questioni politiche in gioco, il mondo dell’associazionismo cattolico italiano si è avvicinato invece all’appuntamento con il rinnovo dell’Europarlamento con una chiara consapevolezza e due preoccupazioni comuni.

La consapevolezza è che dal progetto europeo non si può tornare indietro se non con le ossa rotta; e che molte delle decisioni chiave sul futuro dell’Italia, anche su tanti temi cari al mondo cattolico, passeranno sempre più da Bruxelles e Strasburgo.

Le due preoccupazioni comuni sono strettamente legate tra loro: il fantasma dell’astensionismo, misura del disinteresse popolare alla politica e alla prospettiva europea; e il rischio dell’affermazione diffusa di movimenti “euroscettici” dai forti di richiami nazionalisti, se non localisti, e populisti.

Molti i documenti e le indicazioni di voto pubblicate sui siti istituzionali e affidate agli organi di stampa in queste ultime settimane prima del voto.

L’Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) “ritiene che l’educazione e l’istruzione siano gli aspetti fondamentali e prioritari per costruire il bene comune anche a livello europeo. Perciò occorrono politiche che sostengano la famiglia come primo e decisivo ambito della formazione della persona”. E il suo presidente, Roberto Gontero, sottolinea che si “dovrà continuare a garantire le condizioni di pace in cui per la prima volta nella storia gran parte dell’Europa vive da più di sessant’anni: non è un fatto scontato e irreversibile” (Agenzia Sir, 22 maggio).

Per il Movimento cristiano lavoratori (Mcl) ci vuole “non meno Europa, ma un’Europa migliore”. In un documento il movimento spiega che solo “attraverso l’esercizio del voto” si può “salvare il disegno europeista, certo imperfetto al momento, contribuendo a far rinascere l’idea di Europa: da quella dei poteri finanziari e della recessione a quella della sovranità democratica, dello sviluppo e dell’occupazione”. Per Mcl “è più che urgente ritrovare le condizioni culturali e politiche dell’intuizione europeista, frutto della tradizione e della cultura cristiana, e contrastare quelle provocazioni laiciste che hanno dilagato in questi anni” (Avvenire, 19 maggio).

Nella lettera aperta della Fondazione Avsi (Associazione volontari per il servizio internazionale) è forte il richiamo al Parlamento europeo perché vi “trovi spazio una adeguata consapevolezza rispetto alle tematiche della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario”, in un'Europa “nata come spazio in cui si possono incontrare i diversi soggetti con la propria identità per aiutarsi a vicenda a camminare insieme” (Avvenire, 18 maggio).

Le Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani) hanno affidato a un articolato documento in 8 punti, dal titolo L’Europa che verrà è anche nelle nostre mani, le proprie aspettative sul nuovo Parlamento europeo. Al primo posto la richiesta di “riaprire una fase costituente” per colmare il “deficit democratico” delle istituzioni dell’Unione e riformare i trattati. Secondo la presidenza nazionale delle Acli con il voto per il rinnovo del Parlamento europeo i cittadini hanno la possibilità di “scegliere il superamento delle politiche di austerità e per ridare invece centralità al lavoro ed agli investimenti per lo sviluppo”.

L’Azione cattolica del neopresidente Matteo Truffelli, nel documento dal titolo Insieme in Europa. Rilanciare il ‘sogno’ europeo per ridare speranza e futuro agli europei, afferma che è “quanto mai necessario rinnovare e rilanciare quel progetto politico comunitario che ha dato molto all'Europa nella seconda metà del XX secolo e ancora di più può dare”. In particolare su “alcune delle nuove frontiere” che sono “l'occupazione, la promozione di un modello socio-economico sostenibile, la tutela della salute umana e dell'ambiente, una gestione equilibrata delle migrazioni, il nodo della sicurezza strettamente connesso con i diritti dei popoli, la cooperazione con i Paesi poveri nei diversi continenti”. Per far questo i “singoli cittadini, comunità e anche Stati-nazione devono essere capaci di mettere da parte l'interesse particolare alla ricerca del bene comune” (Avvenire, 18 maggio).
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Elezioni europee, ecco chi (non) votare

22/5/2014

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Un sito LGTBI indica i candidati “buoni” e “cattivi” e offre gli strumenti di “lobbying” per costringerli a dichiararsi apertamente pro o contro l’agenda omosessualista.

Le elezioni si avvicinano. Scegliere chi votare, tenendo conto dei valori cristiani, sarà un bel problema. Una buona indicazione – seppure in maniera assolutamente contraria alla propria intenzione – giunge dal sito attivista omosessuale “cominciatu”, che passa in rassegna partito per partito e candidato per candidato ricostruendone la storia delle precedenti presenze parlamentari e relativi voti e dichiarazioni sulla materia dei «diritti degli omosessuali».

La situazione è deprimente: se la Sinistra favorevole all’allargamento dei diritti degli omosessuali, la Destra sembra in generale contraria, ma per intercettare il voto di questa potente lobby e per apparire “alla moda” anche esponenti conservatori rilasciano dichiarazioni favorevoli ai matrimoni gay o, almeno, sostengono che ci siano problemi più importanti, ma non li rifiutano a priori.

Ecco la sintesi del sito “cominciatu”, partito per partito, andando da Destra a Sinistra:

a)      FRATELLI D’ITALIA – ALLEANZA NAZIONALE
Il sito ripercorre la storia del partito, senza dare giudizi particolari. Nessuno dei suoi candidati ha ottenuto il “pollice su”, tre (tra cui Magdi Allam) hanno invece il pollice verso.

b)      LEGA NORD
«La Lega si caratterizza per pratiche e contenuti apertamente razzisti e intolleranti e sulla scia delle peggiori destre europee prende di mira soprattutto le minoranze etniche e religiose, oltre alle persone lgbti. Nel bestiario dell’omotransfobia in politica gli esponenti della Lega Nord occupano senza dubbio la pole position». Infatti nessuno ottiene il pollice retto (due il pollice verso) decretati da Arcigay.

c)      FORZA ITALIA
«Le pochissime proposte di legge per i diritti delle persone lgbt, presentate dagli sparuti parlamentari un po’ più libertari, sono poca cosa in confronto ai ricorrenti contenuti omotransfobici veicolati dal leader e da numerosi altri esponenti». Però si segnala l’approvazione di Licia Ronzulla (candidata al Nord-Ovest) e l’adesione alla battaglia lgbti di Alessandro Cecchi Paone (candidato al Sud). 17 i pollice verso.

d)      NUOVO CENTRO DESTRA
«Tandem tra una costola del disgregato Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi e i residui della vecchia Democrazia Cristiana. In questa compagine si concentrano omotransfobia e clericalismo a livelli estremi, da questi due partiti ogni iniziativa a tutela delle persone lgbti riceve l’opposizione più feroce». Però tra i candidati sono solo due i pollice verso (Carlo Casini al Centro e Daniela Colombo al Nord-Ovest).

e)      ALLEANZA LIBERALI DEMOCRATICI EUROPEI
Notevole presenza di candidati che si sono dichiarati favorevoli ai “diritti” degli omosessuali, non si sa se per piaggeria, ignoranza o reale convinzione.

f)       MOVIMENTO 5 STELLE
«Il programma del Movimento 5 Stelle non fa alcun riferimento ai diritti delle persone lgbti (in realtà era presente il riconoscimento delle unioni civili, ndr) ma nel Parlamento italiano alcune delle proposte di legge più avanzate su questi temi portano la firma di deputati e senatori del Movimento 5 Stelle, che anche nella azione parlamentare si sono sempre distinti con comportamenti rispondenti alle richieste del movimento lgbti». Infatti ci sono 36 adesioni esplicite alla “battaglia” (più del 50% dei candidati) e 20 classificati “rainbow” (per la manifestata adesione alla gay agenda e le precedenti iniziative in tal senso).

g)      PARTITO DEMOCRATICO
«Più volte si è reso interprete delle istanze lgbt con promesse programmatiche e proposte di legge, ma a causa della stessa opposizione interna della corrente cattolica, che sui temi lgbt mette in azione un boicottaggio sistematico, non è mai riuscito a raggiungere alcun risultato». In realtà si contano oltre trenta candidati aderenti al progetto lgbti, solo 5 bocciati da Arcigay e circa la metà con alto fattore “rainbow”.

h)      L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS
«Lista elettorale italiana di sinistra radicale (…). L’iniziativa nasce dall’appello lanciato da un gruppo di intellettuali italiani, al quale hanno aderito tutte le forze di sinistra radicale. Raccoglie le posizioni più avanzate in tema di riconoscimento dei diritti delle persone lgbti e nelle sue liste candida esponenti importanti dell’associazionismo e dei movimenti». Coerentemente, stragrande maggioranza di attivisti per la battaglia omossessualista. 
(Luigi Vinciguerra)
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#Senzaimbarazzo 

15/5/2014

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#Senzaimbarazzo 
BY SANTALESSANDRO 
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In inglese si dice «awkward», in italiano «imbarazzante»: la sostanza è la stessa. Guardi una persona disabile, non sai come comportarti. È il momento in cui fare la mossa sbagliata può ferire qualcuno, farlo sentire «diverso». Non è un caso che capiti più spesso con persone che per qualche ragione riteniamo «diverse» (non solo quelle con disabilità).

Ma è una questione di sguardi, di emozioni, di sensibilità: lo spiega con disarmante chiarezza e in modo divertente la campagna dell’organizzazione britannica «Scope», che ha stilato cinque semplicissime regole di comportamento per evitare di offendere, anche senza volerlo, una persona con disabilità. Per mostrarle in modo ancora più chiaro ha girato alcuni video brevissimi e frizzanti, ritmici come spot pubblicitari. 
Ognuno si conclude con un divertente quiz. 


La regola maestra da tenere a mente è «ricorda che sono persone, proprio come te». Scontato? Magari lo fosse. 


E poi: «Non far supposizioni circa quello che ciascuno può fare, su come vive o come la sua disabilità lo condiziona». A queste supposizioni (in senso negativo potremmo anche chiamarle «pregiudizi») e agli stereotipi sulle persone con disabilità è dedicato un capitolo del lavoro pubblicato da Scope. 


La terza regola invita alla chiarezza: «Non sei sicuro o hai bisogno di sapere qualcosa? Chiedi! Naturalmente con rispetto». 


Quarto principio: «accettare ciò che le persone disabili dicono di sé e della propria condizione. Ricordati che loro si conoscono meglio di quanto non possa conoscerli tu». 


E infine: «Ricorda che non tutte le condizioni sono visibili. L’epilessia, per esempio, non si vede». 

Scope indica una serie di casi in cui l’ignoranza di queste regole e la loro mancata applicazione crea situazioni imbarazzanti: per esempio quando qualcuno si trova davanti a un sordo e smette di parlare, oppure di fronte a una persona con disabilità tratta qualunque argomento tranne quello, perché non sa affrontarlo, o ancora cerca di aiutare in tutti i modi, anche inopportuni, risultando fastidioso e invadente. Non perdetevi i video della serie «End the awkward» (Metti fine all’imbarazzo). Sono in inglese, ma semplicissimi da capire: nel primo c’è una conversazione con una persona sulla sedia a rotelle. L’uomo «normodotato» si china per parlare, ma è sbagliato: non serve. Nel secondo video, un incontro di lavoro, il problema è «come posso stringere una mano che non c’è?»: semplice, basta tendere l’altra mano. Terzo video: per parlare con un sordo, basta farsi intendere con i gesti. Il filo conduttore è che non c’è bisogno di scappare, perché, come dice lo slogan di questa campagna di sensibilizzazione, «La vita è piena di momenti imbarazzanti».

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Il figlio di Elton John: utero in affitto acquistato ed anni di sofferenza per il bambino

15/5/2014

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C’è qualcosa di più umiliante per una donna di commercializzare la maternità? Esiste qualcosa di più triste delle fabbriche di bambini nei paesi in via di sviluppo? “Aziende” che poi vengono frequentate da ricchi omosessuali occidentali che si prenotano la nascita di un figlio che verrà strappato letteralmente dal seno materno dopo qualche minuto dalla nascita.

Mario Adinolfi descrive in modo chiaro il fenomeno dell’utero in affitto nel suo libro “Voglio la mamma”, prendendo a modello la storia di Elton  John e del suo compagno. Tra il capriccio di due adulti ed i diritti di un bambino non ci si può sbagliare: si deve difendere sempre e comunque la persona più debole.

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La comunità Lgbt (lesbica, gay, bisessuale, transessuale per chi non fosse aduso all’acronimo ormai di moda) la chiama confidenzialmente “gpa”. Sta per “gestazione per altri” ed è il tentativo di dare un nome asettico ad una delle più grandi vergogne della contemporaneità raccontata invece come un decisivo elemento di progresso: l’affitto dell’utero di donne bisognose di denaro per portare a compimento gravidanze che la natura rende impraticabili, strappando poi il bambino pochi minuti dopo il parto e dopo un primo contatto tranquillizzante con il corpo della madre, per consegnarlo di solito ad una coppia di omosessuali benestanti che giocheranno a fare i genitori. Finché ne avranno voglia.

Ho già raccontato la vicenda di Elton John e del suo compagno, desiderosi di essere papà e mamma, anzi, come si dice oggi nell’era del politicamente corretto “genitore 1″ e “genitore 2″. Poiché la biologia non rende possibile, per quanti sforzi possano essere compiuto, la nascita di un figlio per via naturale alla coppia in questione, nel tempo in cui tutto si compra loro si sono comprati un utero di una donna, che ha portato avanti la gravidanza dopo essersi fatta fecondare dallo sperma dei due mescolato, in maniera che al bimbo sia accuratamente vietato sia di avere contatti con la madre sia di sapere chi biologicamente sia suo padre.

Il racconto della nascita di questo bambino, che si chiama Zac, è di una violenza estrema e invece è stato incartato in “cool” patinato in tutto il mondo. Zac viene adagiato sul corpo della madre (tutti i giornalisti aggiungono “biologica”, in realtà è la madre punto e basta) e cerca immediatamente il suo seno. A questo punto, e il racconto di tutti coloro che assistono al momento del distacco tra il figlio e la madre “affittata” è concorde su questo elemento, in un clima di estremo imbarazzo il neonato che ha pochi minuti di vita viene strappato a forza al petto della mamma e consegnato a Elton John e il suo compagno, che se lo portano via. In numerose interviste il cantante britannico ha ripetuto che per due anni il bambino non ha fatto che piangere, un pianto inconsolabile, al punto che grazie alle decisive provviste di denaro Elton John decise di far prelevare dal seno della “madre biologica” (che per inciso vive a diecimila chilometri di distanza da Londra) il latte e farlo arrivare quotidianamente via jet privato in Inghilterra, per provare a lenire la sofferenza del piccolo Zac.

Io non so cosa ne pensiate voi. Io penso che tra quella coppia di ricchi gay e il dolore di quel bambino strappato alla madre, qualsiasi persona di buonsenso sta con il bambino. Il diritto da tutelare è quello del bambino che non conoscerà mai la madre per un capriccio di due che padre e madre non potevano e non potranno mai essere.

La questione della gestazione per altri riguarda poi in maniera determinante il tema della dignità della donna. Come possono le mie amiche di sinistra non offendersi sapendo che esistono parti del mondo, in particolare nei paesi dell’Est europeo e in India, dove sono state costruite vere e proprie “fabbriche di bambini” con centinaia di donne trasformate in incubatrici viventi e umiliate a suon di dollari, euro e sterline nella loro dimensione più intimamente femminile, quella della maternità? Come può essere accettabile ad un contesto civile questo scempio? Come può essere accettabile che a migliaia di bambini sia negato il diritto a conoscere la propria madre, perché i contratti che vengono stipulati vietano espressamente i contatti tra i nascituri e le donne che li hanno portati alla vita?

Per fortuna in Italia la gestazione per altri o maternità surrogata è per ora ancora vietata dalle legge. Questo divieto è raccontato, in particolare a sinistra, come una orribile limitazione della libertà individuale e della coppia. A mio avviso è segno di civiltà ed è uno dei motivi per cui va difesa la legge 40, vedi il capitolo precedente. Resta comunque legale anche per le coppie italiane, omosessuali o eterosessuali sterili, utilizzare la vergogna dell’affittare uteri all’estero e rientrare con il figlio, che però poi in alcuni casi ha rischiato di non veder riconosciuta la cittadinanza ed è per questo stato sottoposto ad ulteriore stress.

Si è riusciti a commercializzare tutto, persino la maternità. E’ il segno più barbaro del triste collasso valoriale della contemporaneità. Invece di stare con le donne più deboli, pagarle per trasformarle in macchine e violare il loro essere madre con l’atto violento di strappare poi il bambino neonato e vietare ogni contatto per via contrattuale. Nessun diritto ad avere una madre, si arrangi con quelli che l’hanno comprato come avrebbero fatto con una pietanza scaldata al microonde al supermercato. Cosa potete immaginare di peggio?

Mario Adinolfi.
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La cosa più grave è che queste aberrazioni non suscitano più alcuno scandalo

11/5/2014

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Perchè lo scopo è confondere… magari con una bella canzone,,,
ma il fine ultimo che si vuol raggiungere è questo:presentare le depravazioni come normali e assuefare gli spettatori….

Ed ecco che dalle 21 (prima serata) sino le 00.20, dove viene proclamato vincitore dell’Eurofestival della canzone 2014, su tutte le TV EUROPEE pertanto anche su RAI 2 canta Conchita Wurst - Drag queen Austriaco

Tutto casuale? No!
Tutto questo fa parte di un preciso progetto:
''Abrogate tutte le leggi contro l’oscenità. Distruggete il senso morale diffondendo la pornografia nei libri, nei periodici, nei cinema, alla radio e in televisione.
Presentate le degenerazioni sessuali come normali, naturali, favorevoli all’equilibrio psichico e igienico. 
Distruggete la famiglia, favorendo le unioni libere e il divorzio”
(Direttive allora impartite ai comunisti degli Stati Uniti…  oggi impartite dalla massoneria per realizzare un Nuovo Ordine Mondiale satanico-luciferino)

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Banane e zucche, scimmie e pecoroni. L’anti-razzismo da tastiera è alla frutta

2/5/2014

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Banane e zucche, scimmie e pecoroni. L’anti-razzismo da tastiera è alla frutta
Il geniale gesto di Dani Alves rovinato da quelli “bravi a fare la guerra al razzismo” che solo ora si sono accorti di essere finiti in un grande spot con preservativi e magliette

Siamo tutti scimmie, e anche un po’ pecoroni. Sono bastati due giorni perché mezzo mondo s’accodasse a parlare del gesto del terzino del Barcellona Dani Alves, che ha sbeffeggiato un tifoso razzista del Villareal, raccogliendo e mangiando la banana che gli era stata lanciata per scherno. Il frutto è diventato virale, simbolo della lotta alle discriminazioni nel calcio, condiviso su Twitter e Facebook da chiunque: sportivi sì, ma anche gente che con il rettangolo verde c’entra poco, da Matteo Renzi a Raffaella Carrà, da Rossella Brescia a Claudia Pandolfi. Finché alla frutta non ci siamo arrivati davvero quando poi alla tendenza si sono accodate anche varie aziende, dalla Chiquita alla Durex, cui «le banane sono sempre piaciute».

INDIGNAZIONE DA TWITTER. È il tam tam delle campagne web, nauseante quanto basta nel trasformare una protesta in moda, a maggior ragione se dietro c’è una buona causa per cui combattere, ovviamente seduti davanti al pc, mica scendendo in piazza. Un hashtag mette a posto le coscienze, 140 caratteri sono sufficienti per fare la battaglia. Scrivi, premi invio e il gioco è fatto: un susseguirsi di immagini buone per fotogallery e pagine di giornale, un inno alla lotta al razzismo o forse, ancor di più, un narcisista elogio a “noi che siamo bravi a fare la lotta al razzismo”. E via con le convinzioni che adesso la nostra società è un po’ più sensibile e giusta, meno opprimente verso chi è diverso.

CAMPAGNA DI MARKETING. Il gioco pareva funzionare. Finché ieri alcuni giornali hanno rivelato che dietro la campagna ci sarebbe un’agenzia pubblicitaria brasiliana. La stessa che segue i diritti di immagine di Neymar, guarda caso uno dei giocatori più popolari del momento, guarda caso compagno di Dani Alves al Barcellona, guarda caso uno dei primi a farsi fotografare con la banana. Sarebbe stata, insomma, un’iniziativa di marketing progettata da qualche settimana. L’intento era comunque dei più nobili: replicare agli episodi di razzismo che si vedono negli stadi. Associato a questo, però, provare a vendere anche qualche maglietta, e magari fare un po’ di pubblicità in più a Neymar e soci.

«NON SIAMO TUTTI STUPIDI». «È un’azione che vale più di mille parole», è stato il commento del pubblicitario Guga Ketzer al gesto di Dani Alves: la sua società, Loducca, è proprio quella che ha coordinato in Brasile le operazioni pubblicitarie che hanno fatto seguito alla partita di domenica. Avevano pronta la campagna con la banana: prima o poi il frutto sarebbe volato in testa a Neymar durante una partita, è successo prima al suo compagno e loro non si sono fatti trovare impreparati. Uno stock di t-shirt con il messaggio “Somos todos macacos” era già uscito dalle fabbriche (da vendere a 25 euro l’una, mica noccioline). Ormai essere “anti” è diventata un’ottima professione, che rende mica male, spinta dall’indignazione da pc di chi le battaglie le combatte sui social network. Oggi più o meno tutti i giornali hanno riportato la notizia, e su Twitter è partita una nuova campagna del solito «popolo del web»: #NaoSomosTodosOtarios (“non siamo tutti stupidi”). Un hashtag su cui però qualche dubbio viene. Forse, più che con una banana, bisognava farsi fotografare con una zucca. Vuota.Il geniale gesto di Dani Alves rovinato da quelli “bravi a fare la guerra al razzismo” che solo ora si sono accorti di essere finiti in un grande spot con preservativi e magliette

Siamo tutti scimmie, e anche un po’ pecoroni. Sono bastati due giorni perché mezzo mondo s’accodasse a parlare del gesto del terzino del Barcellona Dani Alves, che ha sbeffeggiato un tifoso razzista del Villareal, raccogliendo e mangiando la banana che gli era stata lanciata per scherno. Il frutto è diventato virale, simbolo della lotta alle discriminazioni nel calcio, condiviso su Twitter e Facebook da chiunque: sportivi sì, ma anche gente che con il rettangolo verde c’entra poco, da Matteo Renzi a Raffaella Carrà, da Rossella Brescia a Claudia Pandolfi. Finché alla frutta non ci siamo arrivati davvero quando poi alla tendenza si sono accodate anche varie aziende, dalla Chiquita alla Durex, cui «le banane sono sempre piaciute».

INDIGNAZIONE DA TWITTER. È il tam tam delle campagne web, nauseante quanto basta nel trasformare una protesta in moda, a maggior ragione se dietro c’è una buona causa per cui combattere, ovviamente seduti davanti al pc, mica scendendo in piazza. Un hashtag mette a posto le coscienze, 140 caratteri sono sufficienti per fare la battaglia. Scrivi, premi invio e il gioco è fatto: un susseguirsi di immagini buone per fotogallery e pagine di giornale, un inno alla lotta al razzismo o forse, ancor di più, un narcisista elogio a “noi che siamo bravi a fare la lotta al razzismo”. E via con le convinzioni che adesso la nostra società è un po’ più sensibile e giusta, meno opprimente verso chi è diverso.

CAMPAGNA DI MARKETING. Il gioco pareva funzionare. Finché ieri alcuni giornali hanno rivelato che dietro la campagna ci sarebbe un’agenzia pubblicitaria brasiliana. La stessa che segue i diritti di immagine di Neymar, guarda caso uno dei giocatori più popolari del momento, guarda caso compagno di Dani Alves al Barcellona, guarda caso uno dei primi a farsi fotografare con la banana. Sarebbe stata, insomma, un’iniziativa di marketing progettata da qualche settimana. L’intento era comunque dei più nobili: replicare agli episodi di razzismo che si vedono negli stadi. Associato a questo, però, provare a vendere anche qualche maglietta, e magari fare un po’ di pubblicità in più a Neymar e soci.

«NON SIAMO TUTTI STUPIDI». «È un’azione che vale più di mille parole», è stato il commento del pubblicitario Guga Ketzer al gesto di Dani Alves: la sua società, Loducca, è proprio quella che ha coordinato in Brasile le operazioni pubblicitarie che hanno fatto seguito alla partita di domenica. Avevano pronta la campagna con la banana: prima o poi il frutto sarebbe volato in testa a Neymar durante una partita, è successo prima al suo compagno e loro non si sono fatti trovare impreparati. Uno stock di t-shirt con il messaggio “Somos todos macacos” era già uscito dalle fabbriche (da vendere a 25 euro l’una, mica noccioline). Ormai essere “anti” è diventata un’ottima professione, che rende mica male, spinta dall’indignazione da pc di chi le battaglie le combatte sui social network. Oggi più o meno tutti i giornali hanno riportato la notizia, e su Twitter è partita una nuova campagna del solito «popolo del web»: #NaoSomosTodosOtarios (“non siamo tutti stupidi”). Un hashtag su cui però qualche dubbio viene. Forse, più che con una banana, bisognava farsi fotografare con una zucca. Vuota.
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