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UE, il patto dei candidati che difendono la famiglia

31/3/2014

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di Nicolò Fede

Mai come in questi ultimi tempi l’Unione europea è diventata un campo di battaglia, in cui le lobby della cultura della morte hanno fronteggiato la resistenza sempre più attenta di un grande numero di cittadini. Il Parlamento europeo è il luogo dove questa resistenza si fa più politica e dove tutto dipende dai numeri in campo. Di qui la necessità di eleggere come nostri rappresentanti a Bruxelles e Strasburgo uomini e donne che condividano e difendano i princìpi non negoziabili.

Ecco perché la Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche (FAFCE) ha appena aperto una campagna in vista delle elezioni europee del 25 maggio prossimo. La campagna si intitola “Vota per la famiglia!”. Essa consiste principalmente nella diffusione di un manifesto al quale i candidati sono chiamati ad aderire. In questo modo essi si impegnano, una volta eletti, a promuovere delle politiche favorevoli alla famiglia, secondo una serie di criteri specificati in 12 punti (cliccare qui per il testo integrale).

Aderendo a questo manifesto, i candidati si impegnano innanzitutto a combattere la dittatura del “gender”, valorizzando la complementarietà tra uomo e donna e riconoscendo il fatto che “la nozione di genere non ha alcun fondamento giuridico nel Trattato dell’Unione Europea”. Inoltre si impegnano ad opporsi ad ogni ingerenza dell’Unione europea nell’ambito della definizione del matrimonio e della famiglia; un punto molto importante, se pensiamo a quanto spesso gli organismi comunitari tentino di influenzare Paesi come il nostro che non riconoscono in alcun modo le unioni tra lo stesso sesso o, in generale, le unioni di fatto.

Inoltre i candidati firmatari si impegnano a sostenere l’iniziativa cittadina europea Uno di Noi, che punta a bloccare ogni finanziamento comunitario alla ricerca sugli embrioni e alle organizzazioni che forniscono servizi abortivi nei Paesi in via di sviluppo. Siamo davanti ad una presa di coscienza del fatto che, se questa iniziativa ha avuto un primo riconoscimento ufficiale grazie ai quasi 2 milioni di firme raccolte, il lavoro maggiore è ancora da farsi: dopo un’audizione pubblica che si terrà a Bruxelles il 10 aprile, la Commissione europea dovrà decidere cosa fare di queste firme, se considerarle carta straccia (smentendo se stessa e non considerando degna di ascolto la richiesta dei cittadini europei), fare uno studio specifico oppure dare seguito alla procedura legislativa richiesta. Ma anche qualora la risposta della Commissione dovesse essere la più positiva (l’avvio della procedura legislativa), il cammino sarà ancora lungo e tutt’altro che facile. Ad ogni tappa di questa complessa procedura il ruolo ed il parere dei futuri eurodeputati sarà fondamentale.

Un altro punto interessante del manifesto della FAFCE, è l’impegno a promuovere l’attuazione metodica del “family mainstreaming”, ovvero quella procedura istituzionale con la quale si controlla l’impatto di un determinato progetto di legge sulla famiglia. Ad oggi l’unica procedura di questo tipo adoperata dal Parlamento europeo è il “gender mainstreaming”... Con tutte le conseguenze aberranti che non stiamo qui ad elencare. Il fatto è che sarebbe ora che le istituzioni europee cominciassero a guardare alla realtà delle famiglie europee per ogni politica attuata, invece di stare ad ascoltare le potenti lobby presenti a Bruxelles.

In tal senso il manifesto della FAFCE diventa uno strumento preziosissimo per risvegliare le coscienze della politica italiana, che sta già iniziando a guardare alle elezioni di maggio, ma soltanto con le lenti sporche dei calcoli elettorali. È giunto il momento di riportare la persona al centro del dibattito politico e la campagna “Vota per la famiglia” è un’occasione propizia. Se in Italia sarà il Forum delle Associazioni familiari (membro italiano della FAFCE) ad occuparsi di trasmettere il testo ai candidati, ciò non impedisce che esso possa diventare uno strumento per la stampa e nelle mani dei singoli cittadini, che possono diffonderlo e pubblicizzarlo. A 2 giorni dalla sua pubblicazione sono già 6 i candidati ad aver firmato (cliccare qui per maggiori informazioni). La proclamazione ufficiale dei candidati firmatari sarà fatta il 15 maggio ed allora avremo dei dati utili per decidere chi votare il 25 maggio.
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Obama voleva chiacchierare della «povertà nel mondo», papa Francesco lo ha «incastrato sul suo laicismo»

28/3/2014

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Come era prevedibile, l’operazione simpatia del presidente Usa verso i cattolici nell’anno delle elezioni mid term è fallita: il Pontefice ha voluto parlare dei suoi attacchi alla libertà religiosa, altro che “sperequazione”

Obama e papa Francesco? Nello storico incontro di ieri in Vaticano il Pontefice “ha incastrato Obama sul laicismo, altro che sperequazione”. In un articolo che compare sotto questo efficace titolo, Mattia Ferraresi conferma sul Foglio quello che abbiamo anticipato ieri, ovvero che l’operazione “alleanza Usa-Chiesa per la lotta alla povertà”, studiata e annunciata strumentalmente dal presidente degli Stati Uniti per riavvicinare i cattolici nell’anno delle elezioni di metà mandato, è fallita.

ACCORDO MANCATO. «Il comunicato diffuso ieri dalla Sala stampa vaticana dopo l’incontro», spiega Ferraresi, «non contiene riferimenti ai temi su cui Obama e i suoi spin doctor intendevano virare la conversazione: non compaiono la “sperequazione” e la “giustizia sociale”», e neanche «si fa riferimento ai “poveri”». Insomma, non sono mai citate le «parole chiave che Obama aveva affidato a Massimo Gaggi del Corriere in una intervista che doveva servire ad accordare gli strumenti fra la Casa Bianca e il Vaticano in tempi di aperte dissonanze su vita, famiglia e libertà religiosa». Il presidente americano, sottolinea il Foglio, «si aspettava una scampagnata nelle periferie esistenziali» con papa Francesco, «il leader più amato del mondo», ma purtroppo per lui «il suo proposito è stato frustrato».

LA NOTA STONATA. A testimoniare questa delusione è proprio la nota della Sala stampa vaticana, dove si legge quanto segue: «Nel contesto delle relazioni bilaterali e della collaborazione tra la Chiesa e lo Stato ci si è soffermati su questioni di speciale rilevanza per la Chiesa nel Paese, come l’esercizio dei diritti alla libertà religiosa, alla vita e all’obiezione di coscienza nonché il tema della riforma migratoria». Si tratta guarda caso degli stessi temi, uno per uno, che «hanno esacerbato le relazioni tra la Conferenza episcopale americana e la Casa Bianca», osserva il giornalista. Che poi concede: «La “riforma migratoria” è forse il solo punto dell’agenda che al presidente americano non dispiace trattare».

IL NODO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA. Del resto, come ricorda sempre il Foglio, i cattolici americani vivono la riforma sanitaria di Obama, ribattezzata Obamacare, come un vero e proprio attacco alla libertà religiosa, dal momento che nel suo ambito il governo Usa ha introdotto anche il cosiddetto “contraception mandate”, ovvero l’obbligo di fornire gratuitamente coperture assicurative per contraccettivi e farmaci abortivi. Un obbligo che vige anche per i cristiani, nessuna obiezione di coscienza contemplata, tranne che per i luoghi di culto. «I precetti della Chiesa insomma – commenta Ferraresi – vengono rispettati dallo Stato nella misura in cui la chiesa accetta di rinchiudersi nella dimensione privata e liturgica, di diventare socialmente e politicamente irrilevante». Poteva scivolare via liscia anche questa?
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Obama va da papa Francesco con tante belle parole sulla lotta alla povertà, ma la sua vera lotta è contro la Chiesa

27/3/2014

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Primo storico incontro tra il presidente Usa e il Pontefice: «Meraviglioso incontrarla». Ma la missione di riconquistare i voti cattolici «fallirà»

Papa Francesco ha incontrato questa mattina il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. «È meraviglioso incontrarla», ha esordito Obama. Francesco ha risposto con un «grazie» e una vigorosa stratta di mano. Dalla Sala del Tronetto, il Pontefice ha condotto Obama nel suo studio privato, dove i due leader hanno intrattenuto un colloquio durato quasi un’ora. Al di fuori dello studio, insieme alla delegazione americana e ai giornalisti, hanno aspettato anche il segretario di Stato americano John Kerry e il prefetto della Casa Pontificia, Georg Gaenswein. Le porte dello studio pontificio si sono rimaste chiuse dalle 10.28 alle 11.20.

«LOTTA ALLA POVERTÀ». Il presidente americano era già stato ricevuto, insieme alla moglie Michelle, da Benedetto XVI in Vaticano nel luglio del 2009. È la prima volta però che incontra Bergoglio. In attesa di conoscere notizie più precise su quello che i due si sono detti nell’udienza privata, i media sottolineano le parole a effetto («meraviglioso incontrarla») e rilanciano l’impegno annunciato da Obama di collaborare con il Santo Padre per sconfiggere la povertà nel mondo. Il presidente Usa infatti tiene molto a far sapere di sentirsi in profonda sintonia con papa Francesco sulla «lotta alla sperequazione», la sua nuova parola d’ordine.

A CACCIA DI VOTI. Agli osservatori tuttavia non sfugge che la visita di Obama in Vaticano ha anche l’obiettivo di abbellire l’immagine dell’inquilino della Casa Bianca agli occhi degli elettori cattolici, molti dei quali in questi anni della sua amministrazione si sono allontanati da lui. Come già qualche mese fa ha spiegato il Foglio, Obama – non unico tra i leader mondiali – intende insomma sfruttare la popolarità di papa Francesco per recuperare consenso in un anno elettorale (a novembre le elezioni di metà mandato).

IL TRUCCO. È quello che ha spiegato tre giorni fa il celebre vaticanista statunitense John Allen in una intervista a Radio Vaticana. E conferma George Weigel, senior fellow all’Ethics and Public Policy Center di Washington, intervistato oggi da Paolo Rodari per Repubblica. Obama, secondo Weigel, sa benissimo che «la maggior parte dei cattolici americani è entusiasta di Francesco, come lo sono io», è per questo che «vorrebbe far diventare il Papa un alleato». Di qui, spiega Weigel, il tentativo (spesso assecondato da giornali e tv) di fare apparire Francesco un “liberal”. Peccato che «i termini “liberale” e “conservatore” sono inutili quando si parla di Chiesa. Nella Chiesa si parla di “vero” e di “falso”, non di destra e sinistra».

UNO SCONTRO DIETRO L’ALTRO. Il tentativo di Obama dunque «fallirà» secondo Weigel. Al di là delle strette di mano con il Pontefice, sono diversi in effetti i fronti di “guerra” aperti da Obama nei confronti della Chiesa cattolica, dalla riforma ultra omologatrice della scuola fino all’Obamacare, la riforma della sanità che minaccia gravemente la libertà religiosa imponendo a tutti i datori di lavoro, cattolici compresi, di offrire ai dipendenti coperture assicurative che comprendano aborto e contraccezione. Senza contare le iniziative del presidente (o da lui sostenute) fortemente sentite come sbagliate dalla Chiesa, dall’apertura al matrimonio gay fino all’intervento militare in Siria, annunciato e poi annullato anche grazie alle posizioni assunte da papa Francesco.
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Perché scandalizzarsi dei 15 mila bambini abortiti e bruciati negli impianti energetici degli ospedali?

26/3/2014

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Tutti si sono stracciati le vesti, ma per gli Stati in cui l’Ivg è legale, compresa l’Italia, i bambini abortiti sono considerati “rifiuti organici”
di B. Frigerio

La notizia dei 15 mila bambini abortiti e bruciati negli impianti energetici di 27 ospedali inglesi è finita sulle pagine di tutte le principali testate del Regno Unito.
Uno dei principali ospedali del paese, l’Addenbrooke di Cambridge, ha incenerito 797 bambini, mentre l’impianto dell’ospedale di Ipswich, gestito da privati, ne ha bruciati 1.101 tra il 2011 e il 2013. Questi venivano da altri ospedali e servivano per produrre energia, ma l’aspetto che ha destato più scandalo è che questa pratica fosse conosciuta e tollerata.

COME I CEROTTI. La scoperta del canale televisivo Channel 4 “Dispatches”, oggetto di una puntata andata in onda ieri sera, è stata definita dal ministro della Salute, Dan Poulter, una pratica «totalmente inaccettabile». Insieme a lui anche diverse donne intervistate, fra cui l’attrice Amanda Holden, che nel 2010 ebbe un aborto spontaneo: «È vergognoso pensare che i bambini fossero gettati nell’inceneritore insieme ai rifiuti, come i cerotti o le siringhe». Mike Richards, capo ispettore degli ospedali inglesi, ha detto: «Sono deluso da quello che è successo all’insaputa delle donne e delle mamme».

L’IPOCRISIA SVELATA. La reazione è stata unanime. Ma da dove viene tanto sconcerto se in quasi tutti gli Stati in cui la cosiddetta Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza) è legale, compresa l’Italia, i bambini abortiti sono considerati “rifiuti organici” da gettare via insieme agli altri? Come mai anche chi definisce i feti “grumi di cellule” o “ammassi di tessuti” prova ribellione pensando ai corpi di bambini bruciati negli impianti di riscaldamento? Se chi si è scandalizzato si chiedesse il perché si accorgerebbe di aver ammesso implicitamente che quel “materiale organico” in realtà è il corpo di un neonato.
Allora la brutalità della notizia avrebbe almeno il merito di svelare l’ipocrisia dell’aborto e quella che è solo una delle sue conseguenze. Di cui quei 15 mila inceneriti sono una minima parte, compresa nei circa 200 mila aborti effettuati ogni anno nel Regno Unito.
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Dittatura omo: Luxuria "occupa" la Rai Bagnasco: scuola ridotta a campi di rieducazione

25/3/2014

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Le linee guida per i giornalisti in tema di omosessualità sono già operative. Ne ha dato ampia dimostrazione la scandalosa puntata domenicale de "L'Arena", condotta da Massimo Giletti, e dedicata al caso del liceo di Modena dove i genitori hanno preteso che l'intervento di Vladimir Luxuria a scuola non restasse senza contraddittorio. Tanti ospiti, ma una vera gogna mediatica per l'unico a difesa del diritto dei genitori, il senatore Giovanardi. Con i cattolici paragonati a nazisti.

E' sempre più evidente che si sta affermando una nuova dittatura, e finalmente anche il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, ha suonato la sveglia alla Chiesa italiana, denunciando come si sia ormai arrivati a concepire la scuola come campi di rieducazione all'ideologia di genere. 


- GOGNA E ARENA
  di Andrea Zambrano
Vergognoso spettacolo nella trasmissione L'Arena, su Rai1, dove Luxuria trova spazio e tempo necessari per accusare i genitori del liceo Muratori di Modena di volerlo censurare (quando in realtà hanno solo chiesto che ci fosse un contraddittorio). Cattolici insultati, dileggiato il senatore Giovanardi, unico ospite dalla parte dei genitori. 

- BAGNASCO CONTRO I CAMPI D'INDROTTINAMENTO GENDER
  di Massimo Introvigne
Parole chiare dal cardinale Angelo Bagnasco. «È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati?».

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GOGNA E ARENA
di Andrea Zambrano

Gogna e Arena. Il sangue almeno è stato risparmiato domenica su Rai 1, ma tutto il resto invece è scorso abbondantemente. A cominciare dalla messa in stato d'accusa del parlamentare Ncd Carlo Giovanardi, vittima sacrificale della trasmissione che domenica pomeriggio aveva come tematica clou la presenza di Luxuria al liceo Muratori di Modena. Lui, il Vladimiro più famoso d'Italia, era presente all'Arena su Rai 1, ospite di Massimo Giletti, e non poteva essere altrimenti, dato che era assiso al centro della scena attorniato da diversi commentatori, da Luisella Costamagna a Daniela Santanché e Klaus Davi, da Simona Bonafè (Pd) a Irene Tinagli (Scelta civica). 

A fare da guastafeste il senatore modenese, che nei giorni scorsi si è battuto per inserire all'interno del dibattito scolastico la presenza di un relatore che rappresentasse anche un punto di vista diverso da quello espresso da Luxuria e dal presidente Arcigay. Dalla tv di Stato ci si aspetta sempre un'equidistanza di posizioni in grado da tutelare tutti. Invece, vuoi la scelta degli ospiti, vuoi la tematica, che è quanto di più politicamente corretto possa esserci sulla piazza oggi, Giovanardi ha fatto la parte del brutto, dello sporco e anche del cattivo. Con buona pace del dibattito che si è svolto a senso unico e con un unico scopo recondito: demolire la presenza dei cattolici. Provare a vedere per credere.

Salvate il soldato Giovanardi, verrebbe da dire dopo aver visto il poco “democratico” show che ha certificato come la censura di Stato sia già in atto in applicazione delle linee guida dell'Unaar. Luxuria è a suo agio: dice che «l'incontro è saltato perché ci sono stati 30 genitori che hanno fatto fuoco e fiamme su un giornale locale». Una palese falsità che Giletti non si è minimamente preoccupato di verificare dato che i genitori erano oltre 50 e il fuoco e fiamme a cui allude il transgender è semplicemente una lettera in cui richiedevano un adeguato contraddittorio. Nella fiera delle falsità c'è anche il fatto che l'incontro sia saltato. Non è vero e i lettori della Bussola lo sanno. È stato soltanto posticipato di un mese per permettere ai genitori di trovare due relatori che offrissero un'altra visuale sul tema transessualità. Ma ormai il titolo della puntata era “Luxuria censurata”, quindi tutti gli interventi dei commentatori, giornalisti e politici annoiati alla domenica pomeriggio presenti per dovere di firma alla causa, si sono adeguati.

Significativo anche come Giletti abbia liquidato il rifiuto dei genitori a partecipare in studio. “Incomprensibile”. Peccato che non abbia parlato del sacrosanto diritto che i genitori hanno di tutelare la privacy dei loro figli, i quali, va detto per dovere di cronaca, nei giorni caldi sono stati anche minacciati dai coetanei pasdaran, che avevano promosso l'incontro.

Dopo le interviste a senso unico fatte a scuola, dove uno studente è persino arrivato a dire che erano contrari 4 genitori, Luxuria ha ricevuto il suo primo applauso a scena aperta quando ha detto che «avevano paura che i figli potessero essere influenzati irrimediabilmente. Ma la transessualità non si trasmette per via aerea, mentre ciò che si può trasmettere è l'educazione al rispetto». Applausi scroscianti. In questa storia, di rispetto, soprattutto dei giovani, sembra essercene stato poco.

Così Giovanardi, in collegamento da Bologna, ha ribadito come l'assemblea sia stata confermata dopo che l'Istituto ha accettato la presenza di un relatore che facesse da contraltare al transgender e al presidente dell'Arcigay. Niente da fare. Il fuoco incrociato contro Giovanardi è stato immediato. Klaus Davi è stato patriottico: «Giovanardi, con tutti i problemi che ha l'Italia, questa è una polemica nata sul nulla».

Il senatore Ncd ha denunciato di voler combattere la censura perché con la presenza a senso unico di Luxuria si voleva impedire un contraddittorio. «È Luxuria che vuole la censura – ha tuonato – spalleggiato dal Pd che voleva trasformare l'assemblea in un direttivo di partito». A quel punto Luxuria ha fatto notare che in democrazia bisogna rispettare le decisioni «anche per un solo voto di scarto». «Una bella manifestazione di dittatura della maggioranza», ha ribattuto il parlamentare.

Il transgender capisce che con la dialettica stava soccombendo, così ha sfoderato l'arma del consenso: «Lei Giovanardi è un omofobo di mestiere», ha ribattuto più volte mentre un ascoltatore, timidamente, faceva presente che i genitori hanno esercitato il loro ruolo. Ambigua Daniela Santanché la quale ha detto che «da madre non delego alla scuola l'educazione, ma l'istruzione, quindi bisogna avere un approccio laico perché i ragazzi si formino un'opinione. Il mondo di Giovanardi non esiste più». La deputata di Forza Italia però si è dimenticata di dire che cosa avrebbe fatto quando una scuola, come è successo a Modena, rompendo il patto di alleanza educativa con i genitori, si mette ad educare a senso unico.

Irene Tinagli di Scelta Civica pilatescamente, come è nel dna della creatura politica fondata da Mario Monti sentenzia: «I ragazzi devono farsi un'opinione» mentre la Bonafè tocca l'apice dell'applauso facile quando si chiede a che cosa serva il contraddittorio: «Se parlo di olocausto devo chiamare per forza un nazista?». A chiudere il quadro dei supporter di Luxuria ci ha pensato la giornalista Luisella Costamagna che ha ribadito come la scuola pubblica sia laica e non cattolica. In realtà anche la scuola non statale è pubblica, ma queste informazioni ai soloni della domenica annoiata non arrivano. Ecco il cuore del problema, che Luxuria non si è nemmeno sporcato le mani a sollevare: censurare le opinioni non conformi e impedire ai cattolici di parlare nell'arena pubblica. Un rischio che Giovanardi, indignato per il paragone con il nazismo, ha subito denunciato rivendicando di essere stato l'unico a difendere il pluralismo. In effetti paragonare un cattolico non allineato ad un nazista potrebbe essere solo l'ultima frontiera della gender strategy. Monitoriamo questa deriva, potrà presto diventare realtà.

Giovanardi viene così liquidato da Giletti con l'invito a “rispettare le minoranze”. Ma che succede se le minoranze ormai sono i cattolici? Silenzio. Il resto, estromesso dall'Arena pubblica il nemico numero uno, è stato un monologo a senso unico di Luxuria, che gli ospiti hanno ascoltato in religioso silenzio: «Avrei voluto dire a quella scuola di quando la maestra mi bacchettò le mani perché mi piacevano i bambini», ha detto lui commuovendo gli astanti e utilizzando un pathos, che neanche un capitolo finale di libro Cuore sarebbe in grado, di raccontare”.

Resta solo una domanda: perché quel “avrei voluto dire?”. Forse perché all'incontro di aprile con i controrelatori presenti, Luxuria non si presenterà? Il giorno dopo Giovanardi – al telefono con la NbQ - è amareggiato per il trattamento riservato.

«I genitori in questa vicenda sono stati minacciati, mentre la tv di Stato si permette di paragonare i cattolici ai nazisti. Una trasmissione così faziosa non l'avevo mai vista. C'è sempre una prima volta». Nel frattempo i genitori di Modena hanno ottenuto una sponda anche nel consiglio dei genitori dell'altro liceo classico di Modena, il San Carlo. In una lettera ai giornali Andrea Mazzi, Giuliano Ferrari, Mariangela Grosoli e Ludovica Levoni hanno detto che «è grave se un gruppo di genitori che interviene nell'attività scolastica, venga tacciato di "invasività", quasi che questi si occupassero di una questione che non li riguarda, al di fuori delle proprie competenze». «Proprio perché la scuola è una realtà educativa, che ha il compito di favorire negli studenti la creazione di uno spirito critico, è importante che quando si affronta qualunque tematica, ci sia un confronto a più voci, di pari competenza e autorevolezza, in modo da favorire la ricerca e l'analisi critica dei luoghi comuni e delle visioni stereotipate. Solo in tal modo l'assemblea si traduce in una crescita dello spirito critico degli studenti posti così in grado di valutare ed orientarsi in una pluralità di scelte di vita e di opinioni», hanno detto.

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BAGNASCO CONTRO I CAMPI D'INDROTTINAMENTO GENDER
di Massimo Introvigne

«La preparazione alla grande assise del sinodo sulla famiglia, che si celebrerà in due fasi nel 2014 e nel 2015, nonché il recente concistoro sul medesimo tema – ha detto Bagnasco – hanno provvidenzialmente riposto l’attenzione su questa realtà tanto “disprezzata e maltrattata”, come ha detto il Papa: commenterei, “disprezzata” sul piano culturale e “maltratta” sul piano politico». Il cardinale ha inquadrato la natura ideologica del problema: la famiglia è diventata il nemico da abbattere. «Colpisce che la famiglia sia non di rado rappresentata come un capro espiatorio, quasi l’origine dei mali del nostro tempo, anziché il presidio universale di un’umanità migliore e la garanzia di continuità sociale. Non sono le buone leggi che garantiscono la buona convivenza – esse sono necessarie – ma è la famiglia, vivaio naturale di buona umanità e di società giusta».

Il cardinale è andato oltre: non è rimasto sul generico, ma ha citato come esempio dei maltrattamenti che la famiglia subisce un episodio specifico, su cui – lo ricordiamo per la cronaca, senza rivendicare primogeniture – per prima «La nuova Bussola quotidiana», nel silenzio generale, aveva attirato l’attenzione. «In questa logica distorta e ideologica – ha detto Bagnasco –, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre volumetti dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle scuole primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre… parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte».

Durissimo il commento del presidente dei vescovi italiani «È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non solo il parere ma anche l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c’è autorità che tenga».

Parole chiarissime: altri vescovi prendano esempio. La strategia enunciata esplicitamente da Papa Francesco nell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» – il Papa di certe questioni, comprese quelle (citate in nota nel documento come esempio delle «questioni» cui si allude) della famiglia e del gender, non parla, chiede che siano gli episcopati nazionali a intervenire – non piace a tanti nostri lettori, e dalle strategie, che non sono Magistero neppure ordinario, si può certo legittimamente dissentire. Però qualche volta le strategie funzionano: dove tace il Papa, i vescovi parlano. È successo negli Stati Uniti, in Polonia, in Croazia, in Portogallo, in Slovacchia. Ora succede anche in Italia, e non si può non ricordare che – come sempre avviene nel nostro Paese – prima di aprire con questa relazione il Consiglio Permanente della CEI venerdì scorso Bagnasco è andato in udienza dal Papa, cui questi testi sono di regola previamente sottoposti. Vediamo se questa rondine farà, come ci auguriamo, primavera.
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Princìpi non negoziabili, perché è giusto parlarnE

20/3/2014

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di Stefano Fontana

Spesso si parla di “valori” non negoziabili anziché di “principi” non negoziabili, ma si tratta di un errore di impostazione.  

Principio vuol dire fondamento e criterio. Il principio è l’elemento che regge e illumina un certo ambito, tiene insieme le cose e le indirizza al loro fine. Cos’è, invece, un valore? Una cosa ha valore quando è apprezzabile. La vita è apprezzabile, ma anche  l’aria pulita o la buona cucina. Essere un valore non vuol dire anche essere un principio. Ciò non toglie che un valore possa essere anche un principio. La vita umana, per esempio, è un valore ma è anche un principio, in quanto è in grado di illuminare con la sua luce l’intera vita sociale e politica. Se si offusca il rispetto della vita non si offusca solo un valore, ma anche altri valori ed altri aspetti della vita che quel principio illumina. 

Il bene comune non è un insieme di valori aventi tutti lo stesso peso, ma è un insieme ordinato. Ciò vuol dire che qualche valore ha una funzione arichitettonica, ossia indica i fondamenti del bene comune e, così facendo, illumina di senso anche tutti gli altri. Senza un criterio non c’è bene comune ma somma di beni particolari e questo criterio ci proviene dai principi non negoziabili. 

Vediamo ora cosa significa “non negoziabile”. Se si tratta di principi, ossia se sono qualcosa che viene prima e che fonda, essi non dipendono da quanto viene dopo ed hanno valore di assolutezza, non sono disponibili. Non sono negoziabili perché assoluti e sono assoluti perché sono dei principi. Si torna così a vedere l’importanza della distinzione tra principi e valori. 

I principi non negoziabili, quindi, sono tali in quanto precedono la società. E da dove derivano? Essi sono non negoziabili perché radicati nella natura umana. Proprio perché fanno tutt’uno con la natura umana, non possono essere presi a certe dosi, un po’ sì e un po’ no: o si prendono o si lasciano. Questa è vita umana o non lo è. Questa è famiglia o non lo è. I principi non negoziabili demarcano l’umano dal non umano e quindi sono il criterio per una convivenza umana.

Da un altro punto di vista, però, essi non sono propriamente dei principi primi, perché non sono capaci di fondarsi da soli. Come abbiamo visto, essi si basano sulla natura umana, ma la natura umana su cosa si fonda?  I principi non negoziabili esprimono un ordine che rimanda al Creatore. 

Se non esistono principi non negoziabili la ragione non trova un ordine che rinvia al Creatore. Essa non incontra più la fede e  la fede non incontra più la ragione. Ciò significa l’espulsione della religione dall’ambito pubblico. La vita sociale e politica sarebbe solo il regno del relativo. Cosa ci starebbe a fare la fede in un simile contesto? Dio si sarebbe scomodato a parlarci per aggiungere la sua opinione alle nostre? 

QUALI SONO


Precisare quali sono i principi non negoziabili è di fondamentale importanza. I testi fondamentali del magistero sono tre. 

Al paragrafo 4 della Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica Congregazione per la Dottrina della Fede (24 novembre 2002) sono indicati i seguenti principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, libertà religiosa, economia a servizio della persona, pace. 

Nell’Esortazione apostolica post sinodale Sacramentum caritatis sull’Eucaristia del 22 febbraio 2007 (par. 83), Benedetto XVI cita vita, famiglia e libertà di educazione a cui aggiunge il bene comune.

Nel Discorso ai Partecipanti al Convegno del Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006, Benedetto XVI elenca vita, famiglia e libertà di educazione.

Tre principi sono sempre presenti e sempre collocati all’inizio di ogni elenco, in posizione quindi eminente; vita, famiglia e libertà di educazione. Hanno quindi un carattere fondativo: nessun altro dei principi successivi può essere né adeguatamente compreso né efficacemente perseguito senza di essi, mentre non accade il contrario. E’ possibile, per esempio, garantire la tutela sociale dei minori se ai minori si impedisce di nascere? Inoltre che quei tre principi ci pongono davanti a degli assoluti morali, ossia ad azioni che non si devono mai fare in nessuna circostanza. Per gli altri principi elencati nella Nota del 2002 non è così. Per esempio, essa annoverava tra i principi non negoziabili anche una “economia a servizio della persona”. Tuttavia, per perseguire la piena occupazione le strade possono essere diverse. Nel caso, invece, dei tre principi di cui ci stiamo occupando, non ci sono strade diverse. 

C’è solo un altro principio tra quelli elencati nella Nota del 2002 che potrebbe contendere il “primato” a questi tre: il principio della libertà di religione. Però il diritto alla libertà religiosa non è assoluto, in quanto vale solo dentro il rispetto della legge di natura, il cui rispetto è fondamentale per il bene comune. Professare e praticare una religione che contenga elementi contrari alla legge naturale non può essere un diritto né avrebbe titolo morale per un riconoscimento pubblico. 

Da queste considerazione deriva che se mancano i primi tre principi, tutto l’elenco viene meno, mentre se ci fossero solo i primi tre, ci sarebbe già il nucleo portante di tutto il discorso. 

PRINCIPI NON NEGOZIABILI ED OBIEZIONE DI COSCIENZA

Poiché la politica assume sempre di più l’arroganza di contrastare i principi non negoziabili l’obiezione di coscienza oggi è sempre di più un problema politico e non solo morale.

Fanno obiezione di coscienza i farmacisti, che non vogliono vendere la pillola del giorno dopo in quanto ha effetti abortivi,  le ostetriche e i medici che non vogliono collaborare nel praticare aborti, anche se la legge lo permette, gli impiegati comunali, che non vogliono registrare le coppie omosessuali negli appositi registri pubblici o che non vogliono celebrare pubblicamente matrimoni che tali non sono, molti insegnanti che non vogliono piegarsi all’ideologia del gender,  i genitori, quando decidono di non far partecipare i propri figli a distruttivi corsi scolastici di educazione sessuale, i lavoratori che non rinunciano al loro diritto di esibire un segno religioso quando sono in servizio, mentre l’amministrazione da cui dipendono lo vieta, le infermiere, quando reagiscono al divieto dell’amministrazione sanitaria di confortare religiosamente i morenti, invitano all’obiezione di coscienza in Vescovi americani contro la riforma sanitaria di Obama, fanno obiezione di coscienza gli operatori del consultori della Toscana dove adesso dovranno anche somministrare la pillola abortiva.  Ci sono persone che perdono il posto di lavoro per la fedeltà ai principi non negoziabili.

Ora, mi chiedo, perché questo non dovrebbe valere in politica? Perché in politica si dovrebbe comunque arrivare ad un compromesso? E per questo compromesso in politica si dovrebbe anche dimostrare rispetto e deferenza, lodando la persona che è scesa a mediazione come un esempio di saggezza, prudenza e perfino coraggio?

La cosa è ancora più evidente se la si esamina dal punto di vista della testimonianza. Quante volte si dice che il cattolico è in politica per dare una testimonianza. Però, se non esiste la possibilità del sacrificio, se non c’è mai nessun “no” da dire a costo di perdere qualcosa, la testimonianza come si misura? Il vero uomo politico è colui che sa anche rinunciare alla politica. Si è uomini prima e dopo la politica. E’ questo che dà senso alla politica stessa. Se tengo aperto il campo della mia umanità tramite una fedeltà alla retta coscienza che giudica la stessa politica, faccio respirare anche la politica. Molti dicono: non si deve abbandonare il campo (per esempio con le dimissioni) perché in questo modo lo si lascia agli altri e si recede dalla doverosa lotta politica. Ma la politica la si può fare in tanti modi e in tanti luoghi. Senza contare che, anche un eventuale atto di dimissioni per motivi di coscienza sarebbe già un atto politico, denso di possibili conseguenze politiche imprevedibili in quel momento. 

E’ evidente che l’obiezione di coscienza in politica è possibile se in politica si danno principi non negoziabili. L’esistenza dei principi non negoziabili rende libere la nostra coscienza e la politica. Ecco perché oggi c’è la necessità di insistere sui principi non negoziabili in ordine alla obiezione di coscienza in campo politico. Da essa dipende il collegamento della politica con il prima che la precede e la fonda.

In questo modo la politica è costretta a fare i conti con la modernità. Questa, infatti, ha annullato il “prima” e ha preteso di cominciare da zero, nella forma del contratto sociale. Però della modernità fa parte anche Tommaso Moro, che nel 2000 Giovanni Paolo II ha proclamato Protettore dei governanti e dei politici cattolici. 
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Napolitano scende in campo per l'eutanasia

19/3/2014

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Una nuova sfida alla vita
di Tommaso Scandroglio

Strategia che vince non si cambia. Uno dei mezzi che i radicali da sempre hanno usato per sdoganare alcuni “diritti civili” è quello dell’indagine conoscitiva per poi arrivare a dire: “Quanti aborti clandestini! Legalizziamo l’aborto. Quante giovani fanno uso di droghe! Legalizziamole. Quante coppie vanno all’estero per accedere all’eterologa! Legalizziamola”. A questo giochino – quasi sempre basato su dati mendaci - ovviamente non si sottrae nemmeno l’eutanasia. In una conferenza stampa tenuta ieri, l'associazione Luca Coscioni e il Comitato promotore EutanaSia Legale hanno annunciato l’avvio di una ricerca sul campo per verificare “come si muore in Italia” e  - citando le parole di Marco Cappato - per “spingere il Parlamento ad esaminare il progetto di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della eutanasia per il quale l'Associazione ha raccolto 67mila firme autenticate''. Per l’occasione i radicali si sono fatti accompagnare dai familiari di personalità note che si sono uccise oppure hanno chiesto con successo l’eutanasia: Mario Monicelli, Carlo Lizzani, Piergiorgio Welby e Lucio Magri. Non è mancato il vivente oncologo Umberto Veronesi il quale ha sentenziato che “abbiamo l'ovvio diritto di programmare la vita e anche il termine della vita''.

L’iniziativa ha trovato una sponda felice presso il Quirinale. Da lì il presidente Napolitano ha fatto sapere che ''il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia. Drammatici nella loro obiettiva eloquenza - continua il Presidente - sono d'altronde i dati resi noti da diversi istituti che seguono il fenomeno della condizione estrema di migliaia di malati terminali in Italia''.

Aspettando i dati eloquenti di questi istituti per poterli commentare, però sin da subito possiamo commentare le parole del Presidente Napolitano perché a leggerle vengono in mente alcuni articoli dell’ordinamento italiano che fanno al caso nostro. Ad esempio l’art. 2 della Costituzione – quella carta costituzionale di cui Napolitano dovrebbe essere fedele garante – il quale stabilisce che vi sono diritti inalienabili della persona che la Repubblica “riconosce e garantisce”, tra cui ovviamente e prima degli altri il diritto alla vita. Oppure l’art. 579 del Codice Penale che sanziona l’omicidio del consenziente e l’art. 580 che punisce invece l’aiuto al suicidio, facendo così scattare le manette in caso di eutanasia. Oppure l’art. 5 del Codice Civile che vieta gli atti di disposizione permanente del proprio corpo: figuriamoci se proviamo a disporre che qualcuno tolga la vita a questo nostro corpo. 

Tutti articoli che, all’opposto delle preoccupazioni del Presidente, si disinteressano del fatto che esista o meno una fiumana di moribondi che chiede di farla finita: l’importante è la tutela della vita delle persone, non l’estensione del fenomeno “eutanasia” (fenomeno tutto da provare comunque). Anche omicidi e furti sono all’ordine del giorno eppure continuano ad essere puniti.

Napolitano dunque indica al Parlamento di intraprendere una strada illegittima dal punto di vista giuridico e incostituzionale, e si dimentica invece di menzionare strumenti giuridici già esistenti per lenire le sofferenze fisiche e psichiche dei malati terminali, come la legge n. 38 del 2010 sulle cure palliative che aspetta solo di essere applicata.

A ben vedere però non c’è nulla di nuovo sotto il sole della dolce morte: la dichiarazione di intenti pro-eutanasia era stata già fatta da Napolitano sin dal 2009 quando non firmò il “decreto salva Eluana”. Ora si tratta solo di rendere istituzionale un caso episodico, di dar forma legale all’eutanasia presidenziale.

Manco a farlo apposta – oppure sì ma a noi non è dato saperlo – ecco che all’interno dell’iniziativa “Il Cortile dei gentili” promossa Pontificio Consiglio della Cultura si terrà il prossimo 28 marzo, alla Sala della Regina presso Camera dei Deputati, una tavola rotonda sul tema “I confini dei territori ai confini della vita”. Il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del suddetto Pontificio Consiglio, ha deciso di invitare alcune personalità che proprio pro-life non sono. Abbiamo il dott. Alberto Giannini, Responsabile Terapia Intensiva Pediatrica Ospedale Maggiore Policlinico Milano, il quale in una nota della Società italiana anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva affermò che “la decisione di limitare, sospendere o non iniziare trattamenti di supporto vitale [non terapie, si badi bene] giudicati sproporzionati rappresenta una scelta clinicamente ed eticamente corretta”. Poi è stato invitato il dott. Luciano Orsi, Direttore del Dipartimento di Cure Palliative della AO Carlo Poma di Mantova e membro della Consulta di Bioetica di Maurizio Mori, il quale in un’intervista a MicroMega si era espresso favorevolmente per il rifiuto di quelle terapie che si rivelano sproporzionate allorchè “mantengano una vita puramente biologica priva di qualsiasi coscienza”. E in un’altra intervista affermò che “l’idratazione e la nutrizione alla fine della vita sono proprio un errore”. A seguire ci sarà l’intervento di Paolo Zatti, Ordinario Diritto Privato Università di Padova, il cui pensiero sull’eutanasia si può sintetizzare con queste sue parole: “senza un diritto di lasciar morire si monta un'infernale trappola in cui vengono reclusi insieme medico e paziente”. Ultimo ma non ultimo il famigerato prof. Giulio Giorello, filosofo dell’Università di Milano, che in merito alla recente legge belga sull’eutanasia dei bambini così ha commentato: “Se viene accertata la volontà di un minore, se è capace di intendere e di volere, perché non dovrebbe accedere alla pratica della ‘dolce morte?”.

Il Cortile sarà pur gentile, ma l’errore non può salire in cattedra. Si obietterà: dialogare con persone che la pensano in modo differente può far emergere ancor meglio la verità. Il ragionamento apparentemente suona bene, ma in realtà stecca più di una nota. Infatti le idee funeree che i cultori delle dolce morte instilleranno nelle orecchie dell’uditorio sono già patrimonio culturale dell’italiano medio, il quale confortato nell’ascoltare il parere di queste eminenze grigie non potrà che consolidare le proprie opinioni erronee. Insomma: il contraddittorio con la verità è pane quotidiano, inutile quindi inventarsi altre occasioni per scavare ancor più a fondo la fossa alla tutela della vita. Si corre il rischio di passare dalla dolce morte, alla gentil morte. In secondo luogo la verità si spiega da sé: Gesù chiedeva di essere docili allo Spirito Santo, non agli scribi e farisei. Possibile che per imparare a guidare l’auto debba prima provare a schiantarmi contro un muro?

In terzo luogo se il fine di simili incontri deve essere quello dell’avvaloramento della verità – posto che gli organizzatori credano ancora che esista un giudizio morale certo sull’eutanasia – che l’avversario sia messo nelle condizioni di uscire con le ossa rotte. Se quindi il nemico scende in campo con la sciabola, che non si risponda in punta di fioretto. Se quello morde, il cattolico non si metta a miagolare. La presenza in quel confronto del presidente del Comitato Nazionale di Bioetica Francesco Paolo Casavola e di Mons. Andrea Manto, Consulente Ecclesiastico dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, ci assicurerà la vittoria? E poi: ma siamo così certi che vogliano davvero vincere oppure sventoleranno da subito bandiera bianca? 
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Scordatevi l’eutanasia ai bambini. In Belgio già si invoca «l’eutanasia senza richiesta» (avete capito bene)

15/3/2014

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di L. Grotti
Jean-Louis Vincent, ex presidente della Società belga di terapia intensiva, invoca di «andare oltre» e permettere la dolce morte «senza che il paziente debba firmare documenti»

In Belgio l’eutanasia per i bambini è stata approvata da pochissimo ma c’è già chi vuole «andare oltre» e legalizzare la cosiddetta «eutanasia non richiesta». In un articolo pubblicato sul belga Le Soir, Jean-Louis Vincent, capo del reparto di terapia intensiva all’ospedale Erasme ed ex presidente della Società belga di terapia intensiva, chiede una legge che «condanni l’accanimento terapeutico» e che quindi «autorizzi la pratica dell’eutanasia “non richiesta”».


EUTANASIA NON RICHIESTA. Si parla di accanimento terapeutico quando un medico si ostina a praticare sul paziente trattamenti sanitari sproporzionati rispetto all’obiettivo terapeutico, cioè il miglioramento della salute o la guarigione. Tutte le legislazioni nel mondo occidentale proibiscono esplicitamente l’accanimento terapeutico nel rispetto del benessere del paziente ma da qui a chiedere l’autorizzazione «dell’eutanasia non richiesta» il salto è enorme.
Proponendo di legalizzare l’uccisione di una persona senza che questa lo richieda, il professor Vincent avanza lo stesso argomento già usato agli albori della discussione sull’eutanasia ai minori: «L’eutanasia non richiesta», per quanto illegale, «è praticata più che regolarmente in Belgio» e quindi andrebbe adottata.

«ACCELERARE LA MORTE». Per essere chiari, non si tratta di cessare cure vitali a un paziente ma di «somministrare dosi importanti di calmanti per affrettare la morte di quelle persone la cui qualità della vita è diventata insufficiente. Questi malati non sono abbastanza coscienti per fare una richiesta esplicita [ma] sono in uno stato di sofferenza incontrollabile». Poiché quindi nel «contesto della terapia intensiva» un paziente non è in grado di chiedere l’eutanasia, dando per scontato che è proprio quello che desidera ci penserà il medico ad «accelerare la sua morte» .

«ACCORCIARE LE CURE PALLIATIVE». Secondo il dottore «dobbiamo spingerci più in là» e sottoscrive un documento redatto di recente dalla Società belga di terapia intensiva: «Bisogna discutere della somministrazione di agenti sedativi con l’intenzione diretta di accorciare il processo di cure palliative terminali a casa dei malati senza prospettive di miglioramento significative».
Ma c’è di più, perché «accorciare il processo di fine vita (…) può a volte essere appropriato anche se il paziente non è in una situazione di disagio, per migliorare la qualità del suo fine vita». Eutanasia non richiesta, quindi, potrebbe anche essere imposta a chi non soffre e soprattutto andrebbe a sostituire le cure palliative, vera alternativa all’eutanasia ma costosissima per la casse dello Stato.

ADDIO AUTODETERMINAZIONE. Quindi, conclude il professore, poiché «il primo obiettivo della medicina è restaurare o mantenere la salute, cioè il benessere dell’individuo, e non mantenerlo in vita a tutti i costi», bisogna organizzare «una discussione aperta e collegiale» per approvare l’eutanasia «in accordo con la famiglia, quando la qualità della vita del paziente è troppo mediocre e senza che il paziente in questione debba firmare alcun documento».
L’articolo di Vincent smonta definitivamente il mito dell’autodeterminazione come primo motivo per approvare l’eutanasia. Se questa proposta verrà approvata, infatti, nessuno potrà decidere di morire quando vuole ma la morte verrà imposta dal medico «in accordo con la famiglia». E se un paziente volesse vivere anche se la sua «qualità della vita è mediocre»? Non si saprà mai, perché nessuno l’avrà interpellato.
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IN UNA SCUOLA MATERNA DI ROMA E’ STATA ANNULLATA LA FESTA DEL PAPA’ PERCHE’ UN BAMBINO HA DUE MAMME

15/3/2014

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Il 19 marzo è la festa del Papà e nelle scuole italiane si celebra in quel giorno la festa del papà. In una scuola materna di Roma frequentata da un bambino con genitori omosessuali il problema è stato risolto cancellando la festa del papà e optando per una generica festa della famiglia. Ed è scoppiato il putiferio. Un numeroso gruppo di genitori ha inoltrato protesta al Municipio II, di competenza per l'istituto, e l'assessore municipale ha dato loro ragione dicendo che non è corretto cambiare così il calendario delle attività scolastiche sggiungendo che non è nemmeno educativo per chi non ha il papà. 

La presidente del Forum delle Associazioni Familiari del Lazio a questo proposito ha detto: “Quello che ci sta a cuore non è la polemica fine a se stessa, ma il bene del bambino in questione. Quanti altri bambini in Italia vivono senza avere accanto i propri genitori? Penso ai bambini orfani ad esempio o a molti figli di genitori separati, anche per loro bisognerebbe non vivere questa festa? E dopo? Cancelliamo anche la festa della Mamma per tutti i casi inversi?”. 

Ovviamente le famiglie omogenitoriali sostengono la tesi opposta e sono per l’abolizione di tutte queste feste. 
Come succede quando ci sono tante opinioni la decisione dovrebbe essere presa dalla maggioranza e la minoranza deve acconsentire.
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Opporsi all’ideologia omosessualista è possibile

12/3/2014

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di Alfredo De Matteo

Ha suscitato molto clamore la notizia che il presidente ugandese Yoweri Museveni ha firmato la legge anti gay approvata in parlamento lo scorso dicembre, malgrado le forti pressioni (leggasi minacce) internazionali ricevute.

Tale legge prevede una serie di misure preventive che possono sembrare eccessive, soprattutto agli occhi di un Occidente ormai allo sbando intellettuale, morale e culturale, come l’ergastolo per i recidivi, la denuncia obbligatoria delle persone omosessuali e il divieto di qualsiasi forma di propaganda, ma che riflettono almeno in parte il tentativo di arginare un fenomeno, quello dell’ideologia del gender, che sta assumendo contorni sempre più preoccupanti e che minaccia seriamente la salute morale e materiale delle popolazioni tutte. In realtà, la inusitata durezza della legge ugandese mira a proteggere soprattutto i minori sia dalla propaganda gay sia dalla violenza a cui possono essere sottoposti; la norma, infatti, tende a punire severamente gli atti di omosessualità “aggravata” (ossia la violenza contro i minori, fenomeno di certo non estraneo al mondo omosessuale vista la forte e statisticamente accertata correlazione tra omosessualità e pedofilia) e la diffusione di messaggi inneggianti al comportamento contro natura.

Eppure, l’Uganda non è l’unico Paese ad essersi accorto della follia collettiva di cui è preda consapevole l’occidente scristianizzato e relativista. È utile fare una breve carrellata delle principali realtà che negli ultimi tempi hanno dato prova di volersi discostare dal comune modo di intendere le relazioni omosessuali. Australia. La Corte costituzionale australiana ha vietato, con un suo pronunciamento, i matrimoni gay nella nazione. La sentenza è uscita pochi giorni dopo la celebrazione dei primi matrimoni gay nella capitale federale, Canberra, dove il Parlamento aveva votato una legge che permetteva il matrimonio tra persone dello stesso sesso. India. La Corte Suprema indiana ha annullato una sentenza di un tribunale di New Delhi che nel 2009 aveva legalizzato l’omosessualità. La decisione è giunta in seguito a diverse petizioni di associazioni religiose contrarie alla depenalizzazione del reato previsto dal Codice penale indiano (introdotto durante l’epoca coloniale britannica), in base a cui sono vietate le relazioni tra adulti omosessuali consenzienti perché considerate contro natura.

Nigeria. Il presidente Goodluck Jonathan ha firmato una legge, approvata all’unanimità dal Parlamento nel maggio dello scorso anno, che prevede condanne con pene detentive che possono arrivare fino a 14 anni a «chiunque si registri, operi o partecipi ad attività di club, società ed organizzazioni gay, chiunque abbia una relazione gay pubblica o contragga un’unione civile o un matrimonio con una persona dello stesso sesso».

Croazia. Il referendum promosso dall’iniziativa civica Nel nome della famiglia contro le nozze gay ha registrato la schiacciante vittoria dei sì, malgrado gli appelli del governo, del presidente della Repubblica, di una larga parte dei media e del mondo accademico che nelle settimane precedenti avevano invitato i croati a non avallare questa presunta forma di discriminazione. Interessante notare che i promotori, spalleggiati con forza dalla Chiesa cattolica croata, hanno dichiarato di essere stati spinti a tale iniziativa referendaria dopo che a maggio in Francia sono stati legalizzati i matrimoni gay, «per prevenire che lo stesso accada anche in Croazia». Con questa modifica la Croazia si è unita a Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria, ossia i cinque Paese dell’Ue che hanno già una definizione e esclusivamente eterosessuale del matrimonio nelle rispettive costituzioni.
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