Ma non tutti da quelle parti condividevano la felicità dell'albero.
Se qualcuno avesse avuto un orecchio particolarmente fine avrebbe udito,
quando qualcuno lodava l'albero, una voce che protestava stizzita:
«Basta! È un'ingiustizia!
Non ne posso più! A lui tutto e a me niente!»,
Chi brontolava così era un ramo. Un magnifico ramo, in alto a destra, che scuoteva con rabbia le foglie.
«L'albero, sempre l'albero! Ma sono io che faccio tutto. lo porto le foglie, porto i ricci che oltretutto pungono, e faccio maturare le castagne.
Quando potrei riposare un po', le foglie cadono e resto qui spogliato a prendermi tutto il freddo e il gelo dell'inverno, i colpi di vento, la pioggia e la neve ... ».
Il ramo era veramente furibondo.
L'albero cercava invano di farlo ragionare: lo invitava alla pazienza, alla comprensione.
«Tu sei importantissimo per me, figliolo. Sei un magnifico ramo, robusto e pieno di vita. Mi sei caro come tutti gli altri.
Le lodi fatte a me sono anche per te e per tutti i tuoi fratelli. Che sarei io senza di voi?».
Ma il ramo scricchiolava cocciuto e inveiva con parole che è meglio non ripetere.
Il povero albero era preoccupato. E con ragione.
Il ramo ribelle infatti aveva escogitato un piano di fuga.
Se ne sarebbe andato, si sarebbe staccato dall'albero e si sarebbe messo a vivere per conto suo.
Un giorno di marzo, un vento burlone e irruente si divertiva a mulinare intorno all'albero.
Il ramo decise che era venuto il suo momento.
«Vento, ho bisogno di un favore», chiese, con una punta di umiltà che non gli era propria. «staccami dall'albero».
«Come vuoi. .. Aleeeeeeeee», sibilò il vento.
E prese a girare sempre più vorticosamente intorno al ramo e a scuoterlo con una furia irresistibile finché, con uno schianto terribile, il ramo si staccò dal tronco.
«Evviva, volo!», gridò il ramo, strappato dal vento e sollevato sopra il recinto del giardino.
«Finalmente sono libero.
La mia vita comincia adesso».
Il ramo rideva ed esultava, neanche le lacrime che scendevano silenziose dalla ferita dell'albero lo commossero.
Portato dal vento, che soffiava violento con tutte le forze che aveva, volò oltre il fiume e atterrò su un pendio erboso.
«Ora decido io», pensò mentre si sdraiava dolcemente nell'erba.
«Dormirò fin che voglio e farò quel che mi pare e piace.
Non dovrò più stare sempre appiccicato a quel tronco brutto e rugoso».
Una formica gli fece il solletico e cercò di cacciarla, come faceva lassù, quando era attaccato all'albero, ma non ci riuscì.
Uno strano torpore si impadronì di lui. Non riusciva più a respirare.
Dopo qualche ora, le sue foglie cominciarono ad appassire.
La linfa, che era la sua vita e che l'albero generoso aveva sempre fatto scorrere in lui, cominciò a mancargli.
Con infinita paura, si accorse di aver già incominciato a seccare.
Gli venne in mente l'albero, e capì che senza di lui sarebbe morto.
Ma era troppo tardi.
Avrebbe voluto piangere, ma non poteva perché ormai era solo un inutile ramo secco.
Dice Gesù: «Rimanete in me e io in voi.
Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite.
Così neanche voi se non rimanete in me.
Chi non rimane in me viene gettalo via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano».