Ma c’è un aspetto della vicenda Totti-Blasi che inquieta e interroga: l’età dei protagonisti che dopo 17 anni di matrimonio si sono detti addio tra comunicati stampa, foto maramalde, indiscrezioni pruriginose e ricostruzioni alla ndo cojo cojo. 46 anni lui, 41 lei, né vecchi né ragazzini, sono gli anni in cui ti aspetti che il legame sia già saldo e invece sempre più coppie scoppiano non dopo il settimo anno, cosa che ci si potrebbe aspettare a maggior ragione da dei vip in carriera che sanno usarsi e gestirsi, ma dopo i 40 o peggio ancora i 50 anni.
“Per rifarsi una vita”, si dice nel linguaggio da rotocalco, o forse perché la vita fino ad allora non era stata quella delle aspettative?
Eppure, Ilary e Totti avevano tutto: successo, soldi, figli, bellezza, simpatia. Cosa mancava loro?
Non lo capiremo andando a ravanare sotto le lenzuola alla ricerca di qualche informazione in più su Noemi o sul misterioso palestrato milanese che avrebbe stregato il cuore di lei e nemmeno sperando di leggere il messaggino captato da lui sul telefonino di lei. Sono il sintomo, non la causa del male.
La verità è che se al Pupone e alla bella conduttrice togliamo l’involucro dato dai loro personaggi, restano le persone e ci si accorge che non erano affatto i re di Roma come l’aneddottica gossippara ci ha voluto far credere, ma solo un uomo e una donna come tutti gli altri, con fantasmi ed errori comuni. Comuni e non normali perché non c’è niente di normale in un addio.
La notizia di Totti e Ilary inquieta per ben altro: perché quando una coppia scoppia a 45 anni si fa largo un interrogativo profondo sui perché e una domanda di senso pervade l’aere. Ma la risposta social di chi getta la spugna e dice che “allora l’amore eterno non esiste” è soltanto una reazione istintiva e un po’ infantile su un fatto di cronaca che però ci riguarda tutti da vicino dato che tutti abbiamo a che fare con qualcuno che ad un certo punto, nello stupore generale, ha detto addio all’altra.
C’è la sindrome del nido vuoto, che gioca un ruolo importante. Forse non pienamente per Totti e la Blasi, che una bambina di sei anni ce l’avevano ancora in casa, ma sicuramente per molti che dopo aver educato i figli si ritrovano come due sconosciuti che non hanno nulla da condividere. Non hanno mai dedicato il tempo giusto a loro e una volta che i figli si sono resi indipendenti nella giornata, ma non ancora nel portafoglio, marito e moglie non trovano più nulla da fare insieme perché tutto è stato esaurito dentro il sistema educativo al quale hanno probabilmente dedicato tutte le loro energie di famiglia. Importante, ma non decisivo.
E alla sindrome del nido vuoto ci si arriva senza accorgersene perché nessuno prima, durante la vita frenetica di pannolini e viaggi di lavoro ti ha aiutato a riconoscere che il tempo che stavi dedicando alla cura della tua famiglia non è automaticamente la vita dedicata agli sposi. Sono due cose diverse, confonderle o farle coincidere è un errore che può rivelarsi fatale.
Ma la sindrome del nido vuoto non spiega totalmente il fenomeno dei divorzi tardivi. C’è anche un aspetto sociale che si sta facendo largo negli ultimi tempi ed è quello dell’adolescentizzazione degli adulti.
È qualcosa di diverso dalla sindrome Peter Pan, perché qui si tratta di mariti/padri che hanno avuto negli anni anche un loro percorso di adultizzazione coerente con la loro età biologica. Sembra quasi essere un’improvvisa perdita di responsabilità di un adulto che per un po’ torna a fare l’adolescente. Nonostante l’età anagrafica, c’è un’età psicologica di formazione che ti proietta verso un mondo sgravato di pensieri con le sirene del benessere, dei noleggi a lungo termine e del padel come filosofia di vita, un tennis, ma più facile, senza fatica, come giocare a racchettoni, ma in pieno inverno. Divertimento senza particolare sforzo: donne, forse è il padel che sta uccidendo le relazioni con i vostri mariti.
Ci sono 50enni alla loro seconda vita, che, raggiunto ormai il benessere economico, girano per strada con i capelli lunghi brizzolati e si tatuano l’avambraccio prima di andare alla laurea della figlia. I lettini degli psicologi offrono un’ampia casistica di questa involuzione tardo adolescenziale di mariti/padri, i quali già hanno dovuto affrontare il turbine della femminilizzazione del maschio con l’ossessione della cura del corpo e la moda e ora, colpo di grazia, arriva pure il ritorno all’adolescenza a dare un senso di eternità alla propria soddisfazione personale.
Ché se non si è voluto dare eternità alla propria storia d’amore, allora la stessa eternità la si cerca nel soddisfacimento dei bisogni elementari, un’auto nuova e una donna anch’essa alle prese con il medesimo ritorno all’adolescenza e alla perenne ricerca di un elisir di lunga giovinezza. Allo stato attuale delle cose, però, a reggere il passo dell'amore che è "eterno finché dura", rimane solo il Sacramento. È l'unico ancora in grado di far vivere nel sacrificio e nell'amore quel sogno. Purché sia custodito e non strattonato qua e là come viene più comodo.
Perché, signori, la società di oggi non ti dà altro se non questa opportunità di assolverti per esserti assunto delle responsabilità soltanto esteriori, ma dal punto di vista interiore non hai fatto nessun progresso e quindi ti ritrovi con gli strumenti spuntati quando il corpo tuo e di tua moglie iniziano a presentare quel fosco e tenero cedimento di ineluttabile passaggio. A quel punto, la maturità e il senso non ci sono più.
Si affaccia l’orizzonte della morte, signori e signore, e raggiunto il mezzo del cammin di nostra vita, dato che i 45 oggi sono i 30 anni di dantesca memoria, è questo il pensiero che non vogliamo fare. Quando hai 50 anni è inevitabile, il superamento della morte ritorna implicito in maniera preponderante, ma impercettibile nel nostro inconscio, ci fa percepire più vecchi e in questa spirale corriamo ai ripari tornando all’adolescenza, cercando non più di vivere, ma soltanto di occupare il tempo. Ci aveva già messo in guardia Seneca tanti anni fa: Piccola è la parte di vita in cui viviamo veramente. Tutto lo spazio che rimane non è vita, ma tempo. Quanto tardi è cominciare a vivere quando bisogna smettere.
Andrea Zambrano
Dal sito della Nuova Bussola quotidiana
(link)