Il calendario della prima metà di agosto ci propone una serie straordinaria di santi (Alfonso Maria de’ Liguori, Giovanni Maria Vianney, Domenico di Guzmán, Teresa Benedetta della Croce, Chiara d’Assisi) e oggi ecco Massimiliano Kolbe, definito da Paolo VI, che lo beatificò nel 1975, “martire dell’amore” e da san Giovanni Paolo II, che lo canonizzò nel 1982, “patrono del nostro difficile secolo”.
Nella vita di Kolbe si mescolano e si sovrappongono moltissimi aspetti, ma fondamentalmente le due stelle polari furono la verità e Maria. Ed è seguendo quelle stelle polari che il santo si fece apostolo, missionario, imprenditore, con una predilezione per la stampa e la radio (SP3RN il suo codice come radioamatore).
Scrisse: “Dobbiamo inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita per ridare al mondo la gioia di vivere”.
A ventitré anni, nel 1917, l’anno della rivoluzione d’Ottobre, fonda la Milizia dell’Immacolata, associazione cattolica che arriverà a contare circa 700 mila iscritti e il cui mensile, Il Cavaliere dell’Immacolata, raggiungerà il milione di copie.
Bravissimo in matematica e appassionato di fisica e astronomia (nonché ottimo scacchista), da studente progetta veicoli interplanetari. I suoi interessi sono molteplici, ma in cima a tutto c’è la fede. E c’è la verità. Negli anni di studio a Roma, riferendosi alla massoneria, chiede a un amico: “È possibile che i nemici di Dio debbano tanto adoperarsi, e noi rimanere oziosi e al più pregare senza però agire?”.
Quando sente che i cattolici se la prendono con i film immorali risponde che, anziché recriminare, sarebbe meglio farsi imprenditori e produrre pellicole dai contenuti buoni.
Combattivo e determinato, trova il modo di discutere e insegnare perfino in sanatorio. Succede a Zakopane, in Polonia, dove è ricoverato durante il periodo in cui è docente di Storia della Chiesa a Cracovia.
Quando è missionario in Giappone il vescovo gli mette a disposizione una somma di denaro per l’acquisto di una casa, ma lui risponde: meglio utilizzare i soldi per fondare riviste.
E non si accontenta. Per le sue opere editoriali vuole tecnologie all’avanguardia. A Niepokalanow, il suo originale convento – casa editrice, vicino a Teresin, si lavora instancabilmente. Oltre al Cavaliere dell’Immacolata si produce il Calendario del Cavaliere dell’Immacolata (380 mila copie). E poi c’è il Piccolo Giornale, che esce in sette edizioni diverse per ogni regione della Polonia.
Settecento i frati che lavorano con lui. Senza arrendersi alle difficoltà. Come quando viene inventata una nuova macchina elettrica per stampare gli indirizzi: vincerà il primo premio alla fiere campionarie di Poznam e Parigi.
Ogni numero del giornale, chiede Kolbe, sia preparato in ginocchio e nella preghiera. Guai a chi si monta la testa. Quando è malato (perseguitato dalla tubercolosi), qualcuno mette sulla sua porta il cartello “non disturbare”, ma lui chiede di toglierlo. Dice: “Tutti possono venire da me a qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre, io appartengo a loro”.
In Giappone, a Nagasaki, dove sull’esempio di Niepokalanow impianta una tipografia e apre un giornale (tiratura di circa 18 mila copie mensili), scrive a un confratello: “Mio caro, il nostro compito qui è molto semplice: sgobbare tutto il giorno, ammazzarsi di lavoro, essere ritenuto poco meno di un pazzo da parte dei nostri e, distrutto, morire per l’Immacolata. Non è forse bello questo ideale di vita?”.
Viaggia, studia (anche il russo), progetta. Il fisico ne risente. A un certo punto gli danno tre mesi di vita. Ma lui va avanti. I medici non capiscono come sia possibile.
Nel 1939 tutto precipita. Ai cancelli della cittadella di padre Kolbe in Polonia si presentano Wehrmacht e Gestapo. Gli occupanti impongono la chiusura. Per il frate incomincia la via crucis in carcere: Lamsdorf, Amititz, Ostrzeszow, Pawiak, infine Auschwitz, dove arriva nel 1941 su un vagone blindato. Durante il trasferimento ha cantato inni religiosi.
Quando, per una rappresaglia, i nazisti scelgono alcuni detenuti da condannare a morte, fra loro c’è Francesco Gajowniczek, padre di famiglia, che supplica il lagherfurher di risparmiargli la vita. È a quel punto che padre Kolbe si offre al suo posto. È il 14 agosto 1941 quando Kolbe è ucciso con un’iniezione di acido fenico. L’indomani, nel giorno dell’Assunta, il corpo è bruciato. Una volta Kolbe aveva detto: “Vorrei essere come polvere, per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo e predicare la buona novella”.
Si racconta che, durante un incontro con i novizi, Kolbe, parlando della santità, per mostrare che l’obiettivo non è poi così difficile tracciò sulla lavagna una grande V e una v più piccola: poi, unendole come in un’equazione algebrica, spiegò: “Quando la nostra volontà sarà conforme alla volontà di Dio, allora saremo santi”.
Scrisse: “Nessuno può cambiare la verità. Lo sappiamo bene, tuttavia nella vita concreta ci si comporta talvolta come se in uno stesso problema il no e il sì potessero essere entrambi la verità”. “Neppure Dio cancella né può cancellare la verità con un miracolo, poiché Egli è proprio la verità per essenza. Quanto è grande la potenza della verità! Una potenza veramente infinita, divina!”.
Aldo Maria Valli
dal blog di Aldo Maria Valli
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