E' questa la notizia. Non basta la quasi unanimità dei potenti della terra, dei loro giornalisti, dei loro intellettuali, dei loro uomini di spettacolo. Non basta la costante demonizzazione dell'avversario, l'insulto e la berlina come mantra abituale. Non bastano i soldi, non bastano i media. Non bastano: esiste una irriducibilità, uno zoccolo duro, una corrente sotterranea che non si lascia infinocchiare dalle parole d'ordine dominanti.
Una corrispondente della BBC riporta: "Qualche settimana fa un collaboratore di Clinton mi diceva che erano confidenti in una vittoria e se avessero perso allora 'io non conosco più questo paese'".
Esattamente quello che è successo. Quando si accusa di populismo qualcuno, si riconosce implicitamente di non essere più con il popolo. Comandano tutto e si atteggiano a ribelli. Sono un ceto ricco, drogato di bugie alla moda come il gender, che ha smesso di guardare alla realtà fino a convincersi che coincidesse con quello che credeva. Grave errore. Sono passati dal credere in loro stessi al credere a loro stessi.
Le facce sbaccalite dei commentatori e degli ospiti, stanotte, parlavano da sole. I politici e i giornalisti che si erano affannati a salire sul carro della vincitrice prima che partisse adesso considerano preoccupati la loro insipienza politica, la loro avventatezza. Il carrozzone è rimasto fermo. Sono restati a terra, e quello che hanno detto e fatto non sarà dimenticato facilmente.
Hanno sbagliato a fare i conti sulla realtà. Sono stati tutto meno che imparziali: ricordiamocelo, qualunque cosa tentino di dire, qualsiasi scusa provino a fornire. Non ce l'hanno contata giusta, non si vede perché dovrebbero cominciare a farlo ora.
Quello che è accaduto stanotte è un'altra lezione che occorre comprendere bene. A giudicare da quello che leggo, per qualcuno neanche questa volta servirà.
Quale lezione? Che esiste un limite alle bugie che si possono sopportare senza ribellarsi.
Chiamiamola libertà?
Dal blog di Berlicche
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