«COME MIA MADRE»
Nato in una famiglia cattolica di Boston, Foley raccontò: «Io e i miei colleghi fummo catturati e detenuti in un centro militare di Tripoli». Ogni giorno, spiegava il giornalista, «aumentava la preoccupazione per il fatto che le nostre mamme potessero essere in panico». E anche se «non avevo pienamente ammesso a me stesso che mia mamma fosse a conoscenza di quello che mi era successo», Foley ripeteva a una collega che «mia mamma ha una grande fede» e che «pregavo che sapesse che stavo bene. Pregavo di riuscire a comunicare con lei». Il giornalista raccontò di quando «cominciò a dire il rosario», perché «era come mia madre e mia nonna avrebbero pregato (…). Io e Clare (una collega, ndr) iniziammo a pregare ad alta voce. Mi sentivo rinfrancato nel confessare la mia debolezza e la mia speranza insieme e conversando con Dio, piuttosto che stare solo in silenzio».
LA FORZA DEGLI AMICI
I giornalisti poi furono trasferiti in un’altra prigione dove si trovavano i prigionieri politici, «da cui fui accolto e trattato bene». Dopo 18 giorni accadde un fatto che Foley non si seppe spiegare, fu prelevato dalla cella dalle guardie e portato nell’ufficio del guardiano «dove un uomo distinto e ben vestito mi disse: “Abbiamo pensato che forse volevi chiamare la tua famiglia”. Dissi una preghiera e composi il numero». La linea funzionava e la madre del giornalista rispose: «Mamma, mamma sono io, Jim», disse il ragazzo. «Sono ancora in Libia, mamma. Mi dispiace di questo. Perdonami». La donna incredula rispose al figlio che non doveva dispiacersi e gli chiese come stava: «Le dissi che mi nutrivo, che avevo il letto migliore e che mi trattavano come un ospite». Foley aggiunse: «Ho pregato perché sapessi che stavo bene. Hai percepito le mie preghiere?». La donna rispose: «Jimmy tante persone stanno pregando per te. Tutti i tuoi amici Donnie, Michael Joyce, Dan Hanrahan, Suree, Tom Durkin, Sarah Fang che ha chiamato. Tuo fratello Michael ti vuole molto bene». Poi la guardia fece un cenno e il ragazzo dovette salutare la madre.
«LA MIA LIBERTÀ»
«Ho ripetuto la chiamata nella mia testa centinaia di volte, la voce di mia madre, i nomi dei miei amici, la sua coscienza della situazione, la sua assoluta certezza nel potere della preghiera. Mi disse che i miei amici si erano riuniti per fare tutto quello che potevano per aiutare. Sapevo di non essere solo». Infine, concluse Foley: «Nella mia ultima notte a Tripoli mi sono potuto connettere a internet dopo 44 giorni e sono riuscito ad ascoltare un discorso di Tom Durkin fatto per me (…). In una chiesa piena di amici, alunni, sacerdoti, studenti e docenti ho visto il miglior discorso che un fratello potrebbe fare per un altro (…). Era solo un assaggio degli sforzi e delle preghiere di tante persone. Se non altro, la preghiera è stato un collante che ha permesso la mia libertà, una libertà interiore prima e dopo il miracolo di essere rilasciato».
Benedetta Frigerio
Dal sito Il Timone
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