Benedetto XVI aveva smosso il dialogo nel mondo musulmano proprio sulla necessità di evitare la violenza. Ricordate le famose affermazioni che scatenarono l’ira dei musulmani nel mondo, ed ebbero come tragico epilogo l’uccisione di due suore in Africa? Oggi possiamo comprendere bene il motivo della rivolta contro Ratzinger. Il pontefice emerito aveva toccato il centro vitale della sussistenza dell’islam nel suo rapporto con il mondo e le altre religioni. Fino a quando non verrà usata la ragione al posto della violenza, sarà difficile anche con il dialogo affermare la pace come dono di Dio. Un altro punto delicato che bisognerebbe chiarire con gli intellettuali islamici, riguarda la percezione dell’uomo. Come è considerato? A immagine e somiglianza di Dio, oppure ci sono vite che valgono di meno rispetto alle altre? Quali sono i rapporti con gli “infedeli”? Cioè con quanti non fanno parte dell’islam? Quale valore attribuiscono ai termini “accoglienza”, “tolleranza”, “rispetto degli altri”?
Torniamo intanto ad ascoltare le parole di Benedetto XVI su ragione, fede e violenza: “Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".
L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…". L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio".