È stato presentato (erroneamente) come il primo caso al mondo di eutanasia su un minore, permesso da una legislazione unica nel suo genere. Eppure l’episodio «pare montato ad arte». Solo qualche giorno dopo, infatti, «quando ormai tutti pensavano che fosse stato un bambino a chiedere l’eutanasia, si è scoperto che a domandarla era stato un quasi maggiorenne». A commentare a tempi.it la vicenda che in poche ore ha valicato i confini del Belgio è Carine Brochier, tra i direttori dell’Istituto di bioetica europeo.
A questo primo caso pensa che ne seguiranno altri?
Questo caso è davvero stano. La notizia è uscita come se si trattasse del primo bambino a richiedere la morte e solo ora, dopo essere passato così nell’immaginario di tutti, si scopre che il protagonista era un ragazzo che stava per compiere 18 anni. Come mai? Era necessario un episodio, perché sebbene l’eutanasia sui minori in Belgio sia permessa da oltre due anni finora non c’era stata alcuna domanda. Anche se i numeri, in generale, sono aumentati vertiginosamente da quando l’eutanasia è legale: nel 2003 la richiesero in 235 nel 2013 eravamo già a 1.816 richieste.
Perché montare un caso simile se la legge permette già tutto?
I dati dimostrano l’inutilità della norma, che fu approvata senza alcun dibattito come risposta a un problema urgente. La mancanza di altri casi svela che dietro alle spinte legislative non c’è alcuna domanda da parte della società. Una verità confermata anche dai Paesi Bassi, dove gli episodi che coinvolgono i minorenni, a dieci anni dall’introduzione dell’eutanasia infantile, sono solo cinque. Mi pare evidente che l’obiettivo della campagna mediatica sia quello di accrescere la domanda eutanasica attraverso l’incremento dell’offerta.
Nonostante la legge, le richieste da parte dei minorenni restano praticamente inesistenti.
Non serve che la legge sia applicata, basta che ci sia. E non serve che si tratti davvero di un bambino o che i casi siano molti, ne basta uno per mutare la mentalità. L’obiettivo non sono tanto i bambini, ma tutti coloro che sono improduttivi: se si accetta l’idea che un piccolo innocente possa essere ucciso, a maggior ragione è ammissibile l’omicidio dei malati, degli anziani, dei dementi. Il tentativo è quello di spingere le persone improduttive a chiedere di essere uccise. Non a caso aumentano gli anziani che ormai ragionano così: “Se per tutti sono un peso, se rappresento solo un costo, allora meglio togliersi di mezzo”.
Ottenuto questo, non resta più niente da ottenere.
Purtroppo ci sono altri step. Il prossimo sarà l’eutanasia come diritto, per cui verrà cancellata l’obiezione di coscienza di medici e infermieri. Molti di loro temono e testimoniano una pressione crescente in questo senso. Ci avviciniamo al totalitarismo vero e proprio.
Addirittura?
Questo ultimo caso rappresenta solo un piccolo tassello di un puzzle enorme per cui lo Stato deciderà chi deve vivere e chi no, a seconda della produttività e dell’efficienza del cittadino. E nei Paesi Bassi sta già accadendo che i medici si sentano in obbligo di uccidere, tanto che alcuni di loro stanno provando a reagire.
Nessuno in Belgio di fronte a quest’ultimo fatto ha protestato o avuto ripensamenti?
Sono anni che la macchina mediatica fa leva sul sentimentalismo. La gente ormai è abituata a giudicare in base alle sensazioni. È diffusissima la mentalità per cui l’eutanasia è la risposta alla sofferenza che va debellata. Questo modo di ragionare è cieco, infatti non vede il paradosso: per cancellare la sofferenza si cancella il malato che si dice di voler aiutare. La risposta ragionevole alla sofferenza resta solo una: l’accompagnamento di chi soffre e l’alleviamento delle sofferenza, anche attraverso le cure palliative oggi sempre più evolute.
In Italia le pressioni per la legalizzazione dell’eutanasia crescono. Naturalmente si parla di una legge che la permetta solo in casi eccezionali. Lei cosa direbbe ai legislatori italiani?
Che quando sei nel tuo salotto e lasci la finestra socchiusa, se c’è il vento la finestra si aprirà sempre di più. Allo stesso modo se ammetti anche un solo caso di eutanasia legale, la via non potrà che essere l’estensione totale della pratica, perché se la vita diventa giuridicamente disponibile non avrai più basi legali per giustificare la presenza di limiti. Il Belgio lo dimostra: nel 2002 la norma era rigida ed era limitata ai “casi eccezionali”, oggi siamo davanti alla più totale mancanza di controllo sulla sua applicazione (si veda quest’ultimo caso di cui non si sa quasi nulla, né le condizioni mentali del diciassettenne, né l’opinione della sua famiglia in merito). E così, se in principio l’eutanasia era presentata come un’eccezione, oggi siamo quasi all’obbligo di praticarla.
C’è ancora speranza?
Si può sperare negli uomini e nelle donne pronti ad opporsi, nei medici e negli infermieri che si rifiutano di piegarsi a uno Stato che li vuole esecutori di morte.
Benedetta Frigerio
Dal sito Tempi
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