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La superbia e le sue sette sciagurate figlie

26/1/2015

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La superbia, vizio satanico e vero cancro dell'anima, oltre ad avere dei fratelli gemelli ha anche alcuni figli, diverse specie e dodici gradi. Si deve all'acutezza dell'intelletto del grande san Tommaso d'Aquino l'aver così lucidamente analizzato questo mostro dalle molteplici teste e dai numerosi tentacoli. 

La superbia ha anzitutto sette sciagurate figlie: 
- la discordia, 
- la contesa, 
- la millanteria, 
- la pretesa di novità, 
- l'ipocrisia, 
- la pertinacia,
- la disobbedienza. 

La discordia è l'opposizione della volontà propria a quella altrui, il rifiuto di accogliere con umiltà e amore le posizioni legittime o anche discutibili del prossimo, pretendendo di imporre in ogni circostanza la propria.

Simile ad essa è la contesa, quando questa riluttanza di piegarsi e accomodarsi alla volontà altrui si manifesta non solo con idee e comportamenti, ma anche con le parole: polemiche, insulti, offese, mortificazioni gratuite, umiliazioni inferte al prossimo. 
Si badi che essere umili non vuol dire sempre acconsentire a tutto o dire sempre di sì; ma cambiano completamente i modi con cui il disaccordo si manifesta o si esprime a parole, perché un conto è agire con superbia e sprezzo, altro farlo con umiltà e carità. La regola dell'umile è essere, fin dove possibile, pacifico e accondiscendente, salvo esprimere - se necessario e importante - pacatamente e dolcemente, a tempo, luogo e modi opportuni il proprio parere, sempre presentato con modestia e mai come una sorta di quinto indiscutibile vangelo.

La millanteria, vizio particolarmente odioso e fastidioso, consiste nell’aumentare la parvenza di eccellenza attribuendosi cose false. E’ quell’atteggiamento che nel linguaggio comune viene indicato come “boria”, “spocchia”, che dà luogo al personaggio del bullo o dello spaccone. 

La pretesa di novità consiste nell’ostentare esternamente cose inedite e singolari, in modo da essere lodati e ammirati. Oggi, nell’era della trasgressione, questo brutto vizio è oltremodo diffuso, dato che pur di stupire, cercare il “colpo a effetto”, la ricerca e lo sfoggio della novità inedita e originale è legge suprema nel villaggio globale dell’era della comunicazione. 

L’ipocrisia è quell’atteggiamento tipico di chi ostenta, esternamente, di avere inesistenti virtù e qualità per essere lodato e stimato dagli uomini. Nei Vangeli abbiamo gli esempi, penosi e pietosi, dei farisei, che bramavano apparire come santi senza esserlo. Anche oggi assistiamo a spettacoli ben poco edificanti, tutti dettati dalla logica dell’apparire e ispirati al desiderio di primeggiare e prevalere. 

Altra bruttissima e assai antipatica figlia della superbia è la pertinacia, comunemente nota come caparbietà, cocciutaggine o testardaggine, che consiste nell’impuntarsi e nel difendere ostinatamente e pervicacemente le proprie idee e posizioni anche dinanzi all’evidenza contraria, oppure nel rifiuto di chiedere o accettare un consiglio su qualsivoglia materia. Si ricordi sempre che i veri uomini di governo e coloro che sono veramente grandi non hanno alcun timore di chiedere buoni consigli, ma hanno, per contro, la capacità di scegliere, con ponderato e cauto discernimento, dei buoni collaboratori e consiglieri. 

Ultima, ma non in ordine di importanza, figlia della superbia è la disubbidienza, ovviamente quella che possa definirsi veramente tale, ossia la trasgressione volontaria di un ordine giusto e conforme alla divina volontà, dato dall’autorità legittima, nei limiti consentiti dai suoi poteri. Un ordine palesemente ingiusto o contrario ai divini voleri oppure esorbitante i limiti dell’autorità (dato cioè abusando dei propri poteri), non solo non obbligherebbe ubbidienza alcuna, ma sarebbe male obbedirvi dovendo, in questo caso, in nome della prudenza e della fortezza, resistere all’ordine e disattenderlo. 
Fuori di queste circostanze, tuttavia, la disubbidienza è chiarissimo segno di superbia, come il suo contrario lo è dell’umiltà. 
Ricordiamo l’insegnamento fondamentale dei maestri di spirito, che è anche una grande massima di discernimento, che il demonio, da astuto ingannatore e “scimmia” di Dio, sa simulare e imitare portenti e prodigi e anche doni e virtù, quando questo gli serve per ingannare. Ma non sa simulare l’ubbidienza… 
Per cui se si vuole avere la certezza che una persona non sia guidata, per quanto apparentemente santa, dallo spirito cattivo bisogna metterla alla prova su questo punto. 
Se non la supera, si può essere certi della non bontà delle sue disposizioni, anche se si trattasse di doni e carismi straordinari. 

Il padre della menzogna è anche il principe della superbia e dove troneggia questo vizio Dio non è e non può essere mai presente.

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Le regole del Discernimento secondo S. Ignazio di Loyola

24/1/2015

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S. Ignazio ha indubbiamente ricevuto da Dio un particolare carisma di discernimento. Alla fine del suo libro sugli esercizi spirituali, aggiunge alcune pagine estremamente preziose sui criteri da adottare nel discernimento degli spiriti. Qui riprenderemo solo le più importanti che verranno esposte in forma molto sintetica.

1. “Alle persone che vanno di peccato in peccato, il nemico propone sempre nuovi piaceri e godimenti, perché essi persistano e crescano nei loro vizi”.
 
S. Ignazio intende dire che lo spirito del Male agisce in un determinato modo con quelli che gli appartengono e in un altro con coloro che non gli appartengono. Se quelli che gli appartengono lui li conferma nel male mediante nuove proposte di peccato, quelli che appartengono a Cristo lui li porta fuori strada proponendo il bene, ma, come abbiamo detto, un bene non richiesto da Dio e quindi falsificato.
 
2. “È proprio del cattivo spirito rimordere, rattristare, creare impedimenti, turbando con false ragioni affinché non si vada avanti”.
 
Fin dall’inizio delle regole, siamo messi in guardia da un inganno tremendo: tutti i pensieri che vengono in mente, e che possono essere anche credibili o persuasivi, non devono essere accettati come veri se producono gli effetti che sono propri dello spirito del Male: senso di colpa, tristezza, impedimenti, turbamenti.
 
3. “È proprio dello spirito buono dare coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispirazioni e pace, rendendo facili le cose e togliendo ogni impedimento, affinché si vada avanti nel bene operare”.
 
Se i pensieri sono accompagnati da questi fenomeni, allora si può essere tranquilli di non cadere nell’inganno del diavolo. Anzi, S. Ignazio raccomanda anche vivamente di non prendere mai decisioni quando il proprio animo non ha le caratteristiche dell’opera dello Spirito, perché il rischio che la decisione sia ispirata dal male è in agguato. Al contrario, prima di prendere una decisione importante occorre attendere che nell’animo passi ogni forma di turbamento e ritornino la pace e la consolazione dello Spirito.
4. S. Ignazio specifica anche che i fenomeni interiori generati dallo Spirito di Dio lui li racchiude in una sola parola: “consolazione”. Con questo termine S. Ignazio intendelo stato di calma e di pacificazione interiore e, di conseguenza, l’assenza di ogni ombra o turbamento, che vengono solo dal Maligno. Inoltre, specifica che le lacrime che provengono dallo Spirito non sono lacrime di tristezza ma lacrime che danno un senso di liberazione e accendono la persona a nuove decisioni di servizio a Dio, al Vangelo e all’uomo. La “consolazione” comporta anche un senso di elevazione verso Dio, un gusto delle cose spirituali e l’aumento intensivo delle virtù teologali.

5. Il contrario della consolazione è la “desolazione”. Con questa parola Ignazio sintetizza tutti i fenomeni che la vicinanza del Maligno produce nell’animo umano, e li elenca così: 
oscurità dell’anima, turbamento, inclinazione alle cose terrene, sfiducia, mancanza di speranza e di amore, tiepidezza, pigrizia e tristezza.
 
6. “In tempo di desolazione non si facciano mai mutamenti, ma si resti saldi e costanti nei propositi e nelle decisioni che si avevano nel tempo della consolazione”. Questa regola è la diretta conseguenza di quanto è stato affermato prima: se l’anima è in stato di turbamento, ciò significa che non è sotto l’influsso dello Spirito di Dio ma sotto il suo contrario, e se non è sotto l’influsso dello Spirito di Dio, tutti i pensieri che nascono in quello stato, per quanto possano essere convincenti nelle loro argomentazioni, sono tuttavia illuminati dalla luce menzognera e dalla suggestione di Satana, E QUINDI NON AFFIDABILI.
Per questo, solo al ritorno della consolazione interiore, si potrà tornare ad avere fiducia nei propri pensieri.
 
7. Cosa fare nel tempo della “desolazione”? S. Ignazio vi dedica la regola 319:“Gioverà molto reagire intensamente contro la stessa desolazione, restando per esempio più tempo nella preghiera e nella meditazione, soffermandosi nell’esame di coscienza e protraendo, secondo che sarà meglio, qualche tipo di penitenza”.
Ci sembra molto chiaro il principio di fondo: S. Ignazio intende dire che, nello stato di desolazione, la cosa peggiore che si possa fare è quella di credere ai contenuti che Satana suggerisce nelle sue potenti suggestioni e non reagire coi mezzi che la Chiesa ha messo a nostra disposizione: la preghiera, la meditazione della Parola, la penitenza.
8. Alla regola 322 S. Ignazio risponde alla domanda circa la motivazione per la quale Dio lascia per qualche tempo un battezzato in balìa della desolazione: “Tre sono le cause del perché ci troviamo desolati: la prima è la nostra lentezza nella crescita spirituale, la seconda è dovuta al fatto che Dio vuole mostrarci praticamente quello che siamo senza la sua Grazia, la terza perché è una medicina contro l’orgoglio e la superbia spirituale”

9. Ignazio dedica anche alcune considerazioni alla strategia tenuta da Satana nel tentare l’uomo, e lo fa con paragoni tratti dalla vita quotidiana. Innanzitutto dice che il Maligno somiglia a coloro che fanno la voce grossa coi deboli, ma si indeboliscono dinanzi ai forti: “È proprio del nemico indebolirsi, perdersi d’animo e indietreggiare con le sue tentazioni quando la persona che si esercita nelle cose spirituali si oppone con fermezza alle sue tentazioni. Ma se, al contrario, la persona comincia ad avere timore o a perdersi d’animo nel fronteggiare le tentazioni, non c’è sulla faccia della terra bestia più feroce di lui”.
Molto spesso, quindi, Satana gioca le sue carte da bravo illusionista per ingenerare nel nostro animo lo scoraggiamento. Non c’è niente che gli torni più utile, visto che lui può aumentare la sua forza nella misura in cui diminuisce la resistenza del battezzato nel combattimento spirituale. Quando ci fa credere di avere la situazione in pugno è invece il segno della sua debolezza: appunto perché percepisce il suo indebolimento, fa in modo che la persona si perda d’animo, così da recuperare il terreno perduto precedentemente nella lotta.
10. E ancora nella regola 326: “Il nemico si comporta come un falso amante che vuole restare nascosto; infatti, come il falso amante desidera che le sue parole e i suoi progetti restino segreti, mentre al contrario gli dispiace molto se vengono portati alla luce, così agisce lui. Quando il nemico della natura umana esercita la sua suggestione, e suggerisce le sue menzogne a un’anima retta, vuole e desidera che siano accolte e tenute in segreto, mentre gli dispiace molto se questa le scopre al suo confessore o ad altra persona spirituale”. Qui siamo certamente a un punto cruciale del discernimento. 

La chiusura nei confronti del confessore, o la tendenza a nascondere determinati pensieri che pure hanno un peso, è un “segno” preoccupante che la persona deve leggere nella valutazione di se stessa. Di solito, alla suggestione che afferra il pensiero, si accompagna anche una strana ripugnanza ad aprirsi col pastore.Spesso, basta aprirsi, superando se stessi anche con fatica, per constatare subito che la suggestione svanisce rapidamente nel nulla appena si comincia ad aprire bocca.

Regola 327: “Come il capitano di un esercito, dopo avere piantato la tenda di comando e osservato le postazioni o la posizione di un castello, lo attacca dalla parte più debole, così il nemico della natura umana, circondandoci, esamina tutte le nostre virtù e ci attacca dove ci trova più deboli“. Altra regola di importanza somma. Occorre conoscere i propri lati deboli nel cammino di fede, perché è lì che Satana ci attacca. Quindi è lì che dobbiamo vigilare. Se lasciamo sprovviste di difese le zone più deboli del nostro castello interiore, ci troveremo ben presto il nemico in casa.
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DIO E' LA VERITA’

18/1/2015

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‘’QUANTO PIU’ UNA SOCIETA’ SI ALLONTANA DALLA VERITA’, TANTO PIU’ ODIERA’ QUELLI CHE LA DICONO'' (G. ORWELL)
LA VERITA’

DIO È LA VERITÀ. - Che cosa è la verità? è Dio... Dov'è la verità? Dio... Fuori di Dio, non vi è che errore e menzogna... Vi sono due esseri che si trovano fuori di Dio, e che perciò stesso non sono fuori della. verità, sono nella menzogna: i demoni e i peccatori... Il Verbo di Dio, Gesù Cristo, è pieno di grazia e di verità (IOANN. I, 14). In lui è la verità (Eph. IV, 21); anzi è la verità per essenza, come disse egli me­desimo: e perciò è anche via e vita (IOANN. XIV, 6); da esso noi l'abbiamo ricevuta insieme alla grazia, come gli Ebrei avevano ricevuto la legge di Mosè (IOANN. I, 17). 

Ma se in Dio è la verità, se Dio è la verità, con ragione il Sal­mista le assegna per attributo l'eternità (Psalm. CXVI, 2). Se Dio è la verità, anche la legge sua è verità (Psalm. ex VIII, 142). Se Dio è la verità, e tutta la verità e solo la verità, ne segue che le creature tanto più partecipano della verità, quanto più partecipano di Dio, della sua legge, dei suoi attributi; quindi il cielo è verità; la terra è menzogna... La Chiesa cattolica, apostolica, romana è verità; ogni altra Chiesa non può essere che menzogna.., La grazia è verità: i beni, gli onori, i piaceri del mondo, sono menzogna. Salvare l'anima, è entrare nella verità; perderla, è un sacrificarsi all'errore... L'eternità è verità; il tempo è menzogna... Vivere di Dio e per Iddio è la verità; vivere del mondo e per il mondo è l'errore... Morire a sé ed al mondo, è vivere alla verità... Non lavorare mai per il tempo e per le creature, è prepararsi a godere della verità; lavorare per il tempo e per le creature, è un lavorare per l'inganno e per la menzogna... La verità è nella luce di Dio; l'errore è nelle tenebre del peccato... 


DIVISIONE DELLA VERITÀ. SUOI FRUTTI E MEZZI PER POSSEDERLA. ­


La verità si divide in tre rami, dice S. Dionigi: la verità della vita, la verità della dottrina, la verità della giustizia: la verità della vita, per la quale noi viviamo rettamente; la verità della dottrina, per la quale parliamo e insegniamo senza errore; la verità della giustizia, per la quale diamo a ciascuno quello che gli è dovuto. Ma, a somi­glianza di Dio, la verità, sebbene triplice, è però sempre una sola (De Coelest. Hier). Con ciò vuol dire che la verità deve essere nel nostro cuore, nella nostra bocca, nelle nostre opere. 

Riguardo ai frutti della verità, Gesù Cristo ci ha detto che essa ci libererà (IOANN. VIII, 32). E da che cosa e da chi ci libererà la verità? dal demonio, dal peccato, dall'errore, dalle tenebre, ecc... Inoltre l'amore della verità ci mette in comunicazione con lo Spirito Santo, che è spirito di verità per essenza (IOANN. XIV, 17); ci porta ad osservare i comanda­menti di Dio, secondo quella testimonianza del Salmista: «Ho scelto la via della verità, e non ho dimenticato i precetti del Signore» ­(Psalm. CXVIII, 30); orna lo spirito, l'anima e il cuore... Quando la verità entra in un'a­nima, dice S. Gregorio, ne scaccia i cattivi pensieri, e vi apporta gli ammirabili doni della virtù (Pastor.). 

«L'eternità e la verità stanno in alto, scrive S. Agostino; e si deve andare alla verità per mezzo della fede, secondo quel detto della Scrittura: Se non credete, non intenderete mai nulla (De consensu Evang. c. XXXV)». 

Quindi per avere e praticare la verità, ci vuole: 1° la fede; 2° la pre­ghiera. «Signore, esclamava il Salmista, rischiarate i miei occhi, affinché non mi addormenti mai del sonno della morte» (Psalm. XII, 4); e in altra occasione: «Inviatemi, Signore, la vostra luce e la vostra verità; esse mi guideranno e mi introdurranno sul vostro monte santo, nei vostri tabernacoli» (Psalm. XLII, 3); 3° un'intera sommissione all'autorità infallibile della Chiesa. Sac. Cornelio A Lapide
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Perché Gesù non fu un kamikaze

14/1/2015

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I due fratelli Kouachi avevano fatto sapere di voler morire “da martiri”, e ci sono riusciti. Queste parole vengono mormorate a mezza bocca e, non di rado, con una certa ammirazione, da qualche cristiano che, ribadendo l’orrore per le stragi francesi, malcela stima per la coerenza di chi sa dare la propria vita per le proprie idee, di chi sa arrivare alle conseguenze estreme cui possono portare le proprie convinzioni. Oltretutto poiché Charlie Hebdo è, sì irriverente contro tutto e tutti, ma, spesso, pesantemente dissacrante verso le religioni, c’è chi si sente “nello stretto” a condannare “solo”, e senza mezzi termini – come ha fatto Papa Francesco – la crudeltà manifestatasi nella “tre giorni più lunghi di Francia”.

Il cristiano che vorrebbe “più coerenza e forza” tra i propri fratelli perché rimane abbagliato dal “martirio” dei kamikaze, dovrebbe sapere che esso è del tutto estraneo a Gesù e al cristianesimo. Perché Gesù non è stato un kamikaze. Infatti Gesù – ecco il primo motivo – non si uccide, ma accetta che la vita gli venga la tolta. È vero che “nessuno gliela prende ed egli la dona” (cfr Gv 10, 18) ma ciò va inteso nel senso di non deflettere dal proprio amore nonostante ciò lo farà a morire. Inoltre Egli – ecco la seconda differenza con i kamikaze – ama i propri nemici e dà la vita per essi: non li uccide, ma perdona chi gli ha arrecato offesa (cfr Lc 23,34). Gesù abbraccia il dolore per dare la vita, non per dare la morte. In sintesi, il kamikaze si toglie la vita per togliere la vita: Gesù invece dona la vita anche se vuol dire perderla e ciò compie in favore dei nemici. Si comporta come un genitore che si sottopone a una terapia dolorosa al fine di vivere ancora un po’ per poter così stare vicino a chi ha bisogno di lui. Il valore centrale del cristianesimo è l’amore, non la coerenza che porta a morire.

Questa posizione è stata visibilissima nella chiesa a metà del III secolo a proposito della questione della riammissione dei lapsi, cioè di quei cristiani che al momento delle persecuzioni abiuravano Cristo. C’era chi pensava non potessero essere perdonati. Erano i rigoristi che, in fondo, credevano più nella coerenza che nel perdono frutto dell’amore, convinti che fosse impossibile ripristinare la purezza di una fede rovinata dall’incoerenza. Contro di loro si erse soprattutto Ambrogio a dimostrare attraverso il vangelo di come l’amore che perdona sia il cuore del messaggio di Cristo.

La posizione di Gesù, così sublime, è in realtà la più umana. Francesco, il padre di Erika De Nardo, la ragazza che 15 anni fa uccise madre e fratello a Novi Ligure, alla domanda su quale fosse la sua speranza dichiarò “che tutto questo finisca quanto prima e io possa tornare a vivere con mia figlia”. Sua figlia era tutta la famiglia che gli era rimasta ed era anche la responsabile che della famiglia di prima non ci fosse più nessuno. È incomprensibile, folle ed incoerente questo atteggiamento paterno? a me sembra semplicemente umano.

Di Don Mauro Leonardi
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Siate cattolici curiosi!

9/1/2015

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Siate cattolici curiosi!
I cattolici che non hanno mai difficoltà con la fede probabilmente non la prendono molto sul serio


Una delle difficoltà che incontro più spesso quando mi rapporto agli altri cattolici è che spesso si sentono in colpa per il fatto di avere dei dubbi sulla propria fede. Quando inizio a porre loro domande sul problema, scopro che spesso non dubitano affatto della loro fede, pongono semplicemente domande oneste. Sperimentano difficoltà, non dubbi.

Una difficoltà nella fede si verifica quando una persona cerca sinceramente una risposta – a una questione dottrinale o a un insegnamento morale. Una difficoltà è diversa da un dubbio. Un dubbio c'è quando una persona dice sdegnosamente “Non può essere vero!”, una difficoltà quando una persona pondera e dice: “Come può essere vero?” Nel primo caso c'è un rifiuto della fede, nel secondo un'esplorazione della fede. Il primo è un peccato, la seconda no.

Non solo una difficoltà non è un peccato, ma mettere in discussione la fede nel mondo adeguato è una cosa da incoraggiare. I cattolici non dovrebbero essere devoti religiosi che obbediscono senza pensare. Non ci si aspetta che siamo dei robot religiosi, ma membri di una famiglia impegnati e attivi. Diciamocelo, le cose in cui ci viene chiesto di credere e i modi in cui ci si aspetta che ci comportiamo non sono semplici. Non ho quindi alcun problema con i cattolici che hanno delle difficoltà. Ho invece un problema con quelli che non ce l'hanno.

I cattolici che non hanno mai difficoltà con la fede probabilmente non la prendono molto sul serio. Se siamo impegnati con la nostra fede, allora spesso dovremmo grattarci la testa e dire: “Com'è possibile?” Dovremmo ricordarci che nel Vangelo la Beata Vergine Maria ha posto questa domanda all'arcangelo Gabriele. Quando questi le ha annunciato che avrebbe avuto un figlio, ha replicato: “Com'è possibile?”. Quando ci troviamo di fronte ad affermazioni miracolose, un dogma difficile da capire o un insegnamento morale che sembra impossibile o ingiusto, facciamo bene a dire “Com'è possibile?”.

È solo ponendo la domanda che possiamo trovare la risposta. Dovremmo essere cattolici curiosi. Dovremmo considerare ogni aspetto della nostra fede, cercando sempre di imparare di più e di capire in modo più approfondito. Dovremmo porre le domande giuste, e per farlo siamo chiamati a impegnare il nostro corpo, la nostra mente e il nostro spirito.

Impegnare la nostra mente nella ricerca di una migliore comprensione è piuttosto semplice da comprendere. Dobbiamo leggere le Sacre Scritture ogni giorno. Il modo migliore di farlo è attraverso una pubblicazione chiamata Magnificat, nella quale condividiamo le letture dell'Officio Divino e della Messa. Dovremmo anche avere sempre sotto mano un buon libro cattolico. Le case editrici cattoliche producono un flusso costante di risorse eccellenti a livello di narrativa e non. In questa era moderna, abbiamo anche risorse come e-book, siti web, podcast, canali di YouTube e molto altro. Il contenuto è disponibile come mai prima d'ora. Siate cattolici curiosi e impegnate la vostra mente ora che è iniziato l'anno nuovo.

Dobbiamo anche impegnare il nostro cuore nella ricerca di un'esperienza di fede più profonda. Ciò significa un rinnovato impegno nella preghiera e nell'adorazione. È attraverso la preghiera che il contenuto che impariamo con la mente compie il lungo viaggio dalla testa al cuore. In seminario, si dice ai futuri sacerdoti di “pregare la loro teologia”. In altre parole, il cuore deve essere aperto come la mente viene impegnata. In questo modo, le verità e i valori che arriviamo a comprendere con la mente possono essere inscritti nel cuore e messi in atto. Un antico detto russo dice che “il cuore muove i piedi”. Siamo spinti all'azione non solo dal pensiero, ma dalle nostre emozioni e dai pensieri combinati.

Dobbiamo infine impegnare il nostro corpo. La fede senza le opere è morta, ma quando la fede viene messa in atto diventa reale. Coinvolgere il nostro corpo nella nostra fede include molte cose. In primo luogo dovremmo disciplinare i nostri appetiti corporali. Troppo cibo e troppe bevande, mancanza di esercizio, uso di droghe e di tabacco e non riposare e rilassarsi abbastanza possono influire sulla nostra salute non solo fisica, ma anche spirituale. Il modo spirituale ha sempre incluso l'autodisciplina fisica. Un secondo modo di essere un “cattolico curioso” è usare il nostro corpo per il bene degli altri – servendo, abbracciando e aiutando chi ne ha bisogno. Quando ci impegniamo con gli altri a livello fisico, mentale e spirituale, ci avviciniamo gli uni agli altri e a Dio, e così rafforziamo e consolidiamo la nostra fede.

Il cattolico curioso non è compiacente, pigro o semplicemente seguace della routine. È invece sempre attento e vigile – sempre impegnato nel corpo, nella mente e nello spirito per comprendere più pienamente e sempre più da vicino la vita abbondante che Cristo promette nel Vangelo.
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Attualissima......anzi PROFETICA

8/1/2015

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«Le popolazioni dell’Africa e dell’Asia ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell’uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture. 
La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l’utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca. 
Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per l’altro è cosa sacra. 
Ma questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio».

Benedetto XVI
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