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IL FIATO DEL DEMONIO E LA NOSTRA LIBERTA'

18/6/2014

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E al trentacinquesimo minuto, gol! Tutti esultano davanti allo schermo, in un pub nel Pavese. Un bel ragazzo bruno tifa e urla come gli altri. Ed è qui che ci troviamo sull’orlo di un abisso. Come poteva Carlo Lissi guardare la partita, mentre a casa la moglie e i suoi due bambini giacevano nel sangue? La vicenda di Motta Visconti toglie il fiato. Nello stesso giorno in cui viene fermato, ci assicurano, l’assassino di Yara Gambirasio. Se è vero, anche a Brembate a uccidere è stato un padre di famiglia, con tre figli coetanei di quella bambina trovata morta in un campo, dopo mesi. 

È stato un padre, anche a Motta Visconti. E non nell’attimo di un raptus. C’è invece come il filo di una sostanza fredda, che percorre quest’ultima tragedia di provincia. Eppure Carlo Lissi – hanno raccontato i vicini – a Giulia, la figlia maggiore, 5 anni, voleva montare la piscinetta in giardino, e poche sere fa le insegnava a pattinare. E allora, chi, che cosa è stato?, ci chiediamo sgomenti. Perché fra esseri umani, normalmente, ci capiamo: possiamo arrivare a capire chi ruba, e perfino forse chi uccide, per vendetta, o per soldi. Ma uccidere due figli piccoli nel sonno, quando sono abbandonati e innocenti come agnelli, no, questo non riusciamo proprio a capirlo. Ci interroghiamo fra amici, fra colleghi: follia? Eppure perfino la scelta della sera della partita, con il suo baccano, sembra lucidamente pensata. E la finta rapina messa in scena? Ecco quel filo – freddo, calmo. Se non follia, allora che cosa? Ci mancano le parole, o forse non osiamo pronunciare quella che ci viene in mente. Il diavolo, probabilmente, dice infine qualcuno; con imbarazzo, perché di quella parola un po’ ci vergogniamo come fosse, il diavolo, una favola per bambini. Il diavolo, robabilmente, annuisce allora un altro; non sapendo, non potendo spiegare altrimenti quel gioire per l’Italia, con negli occhi la festa della morte, là a casa. 

Il diavolo: ma non lo diciamo forse con sgomento, eppure con una punta di sollievo? Così come nei delitti nei paesi la reazione istintiva degli abitanti è affermare che è stato qualcuno che veniva da fuori, così anche fra noi l’evocare il diavolo potrebbe in qualche modo sgravare la tragedia della sua umana drammaticità. Perché insomma, se quel padre sabato scorso, o quell’altro, in una notte di novembre, avevano il diavolo nel cuore, non erano in quel momento proprio uomini come noi: erano portati via come rami in una piena, erano trascinati da qualcosa di più grande e terribile di loro. Ma quel demonio che Papa Francesco nomina spesso e apertamente, passa attraverso la libertà degli uomini. Ci deve essere un consenso al male, perché lo spazio per quel male nel cuore si faccia così largo, perché un disegno di morte si stabilisca nel petto – come in un nido. Il padre di Motta Visconti ha spiegato la sua 'logica': la moglie e i figli, ha detto, gli erano ormai d’ostacolo, innamorato come era di un’altra. Ostacolo, quei figli amati fino a non molto tempo fa. Che accecamento: i tuoi bambini, una all’asilo, l’altro che barcolla nei primi passi, «ostacolo». Qualcuno, certamente un nemico, nel tempo deve avere sussurrato, sobillato nel cuore di quell’uomo; e non ha trovato, a resistergli, né fedeltà né memoria. Il nemico soffiava e l’io in quell’uomo si gonfiava, egocentrico, fino a sommergere e annichilire tutto, attorno a sé. Come, forse, è accaduto quella sera del 2010 nella Bergamasca. Quando un padre di famiglia non ha visto, in una bambina di 13 anni, una figlia uguale ai figli suoi, ma solo una inerme povera preda. 

Nel suo penultimo Angelus Benedetto XVI ci aveva parlato, come in un monito, proprio di questa eterna sfida, e del continuo dover scegliere, gli uomini, fra l’io, e Dio. In una tragedia come quella di Motta Visconti si vede di cosa può essere capace, se lo si asseconda, il nemico. Noi abitualmente non lo nominiamo; eppure lui lavora, tarla, disfa. Anche più forte, in un tempo che vuole ignorare il peccato, e che fa a meno del perdono di Dio. 
Quando fu, dunque, l’attimo in cui quel padre di tre figli si incapricciò di Yara, una bambina? E quando, quanto tempo fa è stato, in una villetta del Pavese, l’istante in cui una moglie e due figli, d’improvviso, sono apparsi «ostacolo»? L’attimo della scelta, magari in una sera come tante, è con la sua vertigine ciò che più dovrebbe spaventarci. La frazione di secondo in cui un uomo spalanca il cuore all’antico nemico. Poi, il resto, è assurdo come l’incubo di un ubriaco. Tre anni e mezzo di vita con una maschera in volto, il lavoro, le tasse, le vacanze, per l’assassino di Yara; oppure, come l’altra notte a Motta Visconti, il giovane padre che gridava ai gol dell’Italia come se niente fosse veramente accaduto.
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SE FOSSIMO PERFETTI NON CI CONVERREBBE OBBEDIRE

11/6/2014

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Intervista a Costanza Miriano: ''Se assecondassi i miei istinti senza giudicarli, rimarrei con un pugno di mosche in mano, distruggerei ciò che mi custodisce''
di Benedetta Frigerio

Dopo Sposati e sii sottomessa e Sposati e muori per lei, Costanza Miriano è tornata in libreria con un nuovo libro: Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell'agnello (Sonzogno, pp 173, 15 euro). Alla scrittrice e giornalista piacciono i titoli che ribaltano i luoghi comuni. È il caso anche di quest'ultimo volume che, come i precedenti, mostra con prosa scanzonata e profonda che la vera rivoluzione oggi è il cristianesimo. «Sempre più impopolare, perché incompreso», spiega Miriano.


Miriano, lei vive per trasformarsi in agnello, ma questa è una società di lupi. Non ha paura?
Il libro parla della "compagnia dell'agnello", cioè dell'amicizia cristiana. Per me vivere come Cristo significa vivere al meglio. Si può diventare agnelli solo con qualcuno che lo incarni, che lo segua e che ci faccia vedere che è possibile vivere così. Dio non ci ha consegnato delle regole da applicare da soli. Al contrario, si è fatto parte di me e di te, vive negli uomini che appartengono alla sua Chiesa con cui abbiamo necessità di bere, mangiare, ridere e piangere. È così che passa la paura: io il matrimonio l'ho imparato guardando spose felici che si barcamenano fra figli e lavoro. Dalla bontà di donne che servono docilmente amici, colleghi e parenti. Da donne abbandonate ma fedeli alla famiglia, tanto belle e femminili da fare invidia.


Leggendo il suo libro pare di capire che, se fosse stato per lei, oggi non sarebbe né giornalista, né sposa, né madre. La compagnia dell'agnello l'ha portata, invece, a essere tutte e tre le cose. Come mai?
Nell'amicizia cristiana accade che, se sei stanca, c'è chi ti incoraggia; se sbagli, c'è chi ti corregge; se fai una cosa giusta, ti conferma. Quelli di cui parlo nel libro sono tutti amici incontrati in questi anni, gente che vive una santità quotidiana, nascosta. Ognuno con una caratteristica che serve a compensare la mancanza dell'altro. È così che insieme diventiamo una potenza. Portando ciascuno le gioie e i pesi altrui. Credo che tutti abbiano bisogno di questo, non solo i cristiani.


Lei dice che questa nostra vita, in cui capitano cose fastidiose come le bollette da pagare o le zanzare, non è sbagliata; anzi, è il luogo in cui Dio ci trasforma a sua immagine e somiglianza. Scusi, ma lei che cosa ci guadagna a vivere così?
Premetto che non sempre abbraccio le cose che ho da fare, spesso mi ribello: ho la sindrome di "Sliding doors", quella che affligge la maggioranza dei moderni: fantastico molto, penso a come sarebbe stata la mia esistenza se non mi fossi sposata o se avessi accettato quel lavoro negli Stati Uniti, ma così rimango inquieta, insoddisfatta. Per fortuna, però, c'è chi mi testimonia che amare la banalità dell'istante dà pace e serenità, perché ti puoi abbandonare a ciò che ti è dato senza continuare a preoccuparti di creare o immaginare qualcosa.


Obbedire è meglio. Perché?
Guardi, anche io sono un tipo che vorrebbe decidere tutto della sua vita. Ma poi, quando faccio ciò che istintivamente vorrei, anziché sentirmi più libera, mi viene l'ansia. La verità è che per essere liberi abbiamo bisogno di seguire un altro. È così perché l'uomo non è sano, in lui c'è qualcosa che non funziona e che noi cristiani chiamiamo peccato originale. L'obbedienza serve quindi a guarirci dal nostro inconscio sballato, dalle nostre paturnie e agitazioni. Quando facevo l'università avrei voluto cambiare facoltà dieci volte e i miei genitori mi dissero: «Sì, sì, Costanza, comincia a finire quello che hai cominciato». Grazie a Dio obbedii, altrimenti non avrei mai costruito nulla. Lo stesso vale per il mio matrimonio che mi protegge dalla fuga verso mille tentativi. Insomma, obbedisco perché voglio essere salvata.


Cosa intende quando scrive che «bisogna imparare a deludere qualcuno»?
La donna, molto più dell'uomo, ha bisogno di essere guardata. Ecco perché, mediamente, le ragazze a scuola amano essere le più brave e sentirsi buone. Vogliono essere riconosciute. Abbiamo un vuoto strutturale che nella sua accezione positiva è il tramite per accogliere la vita e per amare, ma dobbiamo vigilare su quale sia lo sguardo che lo riempie, altrimenti finiamo per illuderci, correndo dietro a tutti, fino all'esaurimento. Io, ad esempio, quando mi intervistano o mi chiamano a parlare, devo vigilare sulla mia vanità che mi porta a dire sempre di sì. Ed ecco ancora una volta il matrimonio che arriva in mio soccorso. Questa sono io con mio marito: «Senti Guido mi hanno chiesto di andare, ho detto no, ma poi…». E lui: «Costanza, no». E io: «Lo so, ma senti le ragioni…». E lui: «Costanza, sei pericolosa, stai ferma». Il matrimonio aiuta a contenere i deliri di onnipotenza che ci sfiancano, ordinando le priorità che sono la preghiera, i figli e il marito. Lo stesso vale per la "sindrome della crocerossina", una cosa buona finché non diventa presunzione, come se, senza di noi, Dio fosse impotente. Meglio imparare ad affidare nella preghiera.


Lei scrive che è conveniente ringraziare chi sbaglia, ci insulta o critica. Perché?
Quando assistiamo all'ingiustizia nei confronti di una persona più debole, un bambino o un collega che viene maltrattato, parlare è un dovere. Ma quando il male viene fatto a noi, se vogliamo metterlo in scacco, dobbiamo trarne vantaggio. Ad esempio, se in una cattiveria c'è anche solo una scintilla di vero, la posso usare per correggermi e migliorare. Ho visto tante "compagne" non rispondere agli insulti, alle cattiverie, agli sfruttamenti e non perché stupide, come penserebbero molti, ma perché scelgono di non appropriarsi del male. Le parole poi cambiano e influenzano molto il nostro modo di pensare, quindi meglio non ribattere o sparlare, altrimenti la mente si fissa su parametri negativi che poi usiamo per giudicare noi stessi. Al contrario, sottolineare il bene ci fa pensare al nostro, ci pacifica.


Lei parla molto del suo padre spirituale. Cosa c'entra con la compagnia dell'agnello?
Lui non solo ne fa parte, ma la conduce, lui è la guida che ci aiuta a farci agnelli. Credo che tutti dovremmo averne una. Per me è come uno specchio: davanti a lui vedo i miei limiti, i punti su cui devo correggermi.


Lei confessa pacificamente di predicare bene e razzolare male. Sa che oggi potrebbero linciarla per questo?
È pazzesco: non sopportano l'incoerenza, salvo poi negarla perché non riescono a superarla. E così trasformano l'errore in bene e smettono di indicare l'ideale. Accade perché la nostra società, che rifiuta Dio, quello incarnato, cerca di salvarsi da sola e abbassa il livello ad una umanità mediocre. Motivo per cui ci si accontenta di essere buoni facendo la raccolta differenziata. Noi cristiani, invece, sappiamo che l'uomo è malato, che non si salva da sé, ma che c'è Uno che può rialzarci continuamente verso mete molto alte.


Per lei maschile e femminile sono due universi non perfettamente complementari. Se l'uomo e la donna non si basteranno mai a che serve sposarsi?
Il cardinale di Milano, Angelo Scola, usò un'espressione bellissima, quando disse che l'altro sesso è il segnaposto del totalmente Altro. È vero: l'altro ti ricorda che solo l'infinito che è Dio può colmare il tuo desiderio sconfinato ed è così che ti accompagna verso la meta. Ecco perché l'ideologia gender è pericolosa: vuole sbarazzarsi del promemoria, che non ci permette di dimenticare che l'uomo non basta all'uomo. Alla base dell'attacco violento contro la differenza sessuale c'è proprio il rifiuto di Dio, dell'alterità. Una ribellione totale ed estrema verso il Creatore.


Perché scrive che l'amore è un giudizio?
Amare è come mordere un sasso, diceva il poeta Oscar V. Milosz, ma conviene. Ci sono momenti che il sentimento scompare, ma questi ti ricordano perché hai sposato quella persona maldestra o pantofolaia. Se assecondassi i miei istinti senza giudicarli, rimarrei con un pugno di mosche in mano, distruggerei ciò che mi custodisce. La fedeltà allo scopo, invece, fa sì che nel tempo il desiderio non scompaia, ma si trasformi, somigliando sempre più all'amore vero e totale che bramiamo, quello di Cristo che ha dato la vita per noi. Conoscere gli agnelli per credere.
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S'avanza il catto-pragmatismo

5/6/2014

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S'avanza il catto-pragmatismo

Tre indizi fanno una prova. Dopo Avvenire e dopo il Sir, di cui abbiamo parlato due giorni fa (clicca qui), ora anche il Corriere della Sera di ieri, con un fondo di Ernesto Galli della Loggia, si impegna ad accreditare Matteo Renzi non solo come cattolico – «non si contano le foto che lo ritraggono all’uscita dalla messa domenicale, da solo o con la famiglia» – ma anche come in continuità con la Dottrina sociale della Chiesa e la storia del cattolicesimo italiano, e perfino come espressione di un cattolicesimo politico adatto ai nostri tempi, che Galli della Loggia, non si sa con quale nesso con Renzi, chiama «i tempi di papa Francesco». 

Galli della Loggia ha definito quello del presidente del Consiglio Matteo Renzi un cattolicesimo politico da boy scout. Il riferimento è all’attività scoutistica del giovane Renzi, al suo comportarsi come un capo-branco (Akela) con i suoi collaboratori, al suo stile e linguaggio giovanili, alla volontà di impegnarsi in cose concrete e di provarci («fare del nostro meglio»), alla sua semplicità di approccio ai problemi, alla sua gioviale sicurezza e fiducia da bravo ragazzo che fa attraversare la strada all’Italia. 

Secondo Galli della Loggia, Renzi è espressione di un cattolicesimo politico non più legato al vecchio cattolicesimo veneto e lombardo da cui era nata anche la Democrazia cristiana e più vicino al cattolicesimo di Dossetti, La Pira, don Milani – il cattolicesimo tra il Po e l’Appennino, come egli dice – di cui però Renzi stempera le asprezze, rendendolo più dolce, meno battagliero; un cattolicesimo politico semplificato e debole, come è, a dire il vero, il cattolicesimo scout.

Devo dire che la definizione di Renzi come espressione di un cattolicesimo politico tipo boy scout è ben ritagliata. È un cattolicesimo politico ricondotto a buone azioni, stare insieme, consumare con sobrietà, rispettare l’ambiente, fare acquisti a chilometro zero. Per un cattolicesimo politico di questo genere, non credo ci sia bisogno di scomodare Dossetti, La Pira e don Milani, e meno che meno papa Francesco. È forse più semplice spiegare la cosa come esito del processo di secolarizzazione che fluidifica la politica e indebolisce il carattere cattolico dei cattolici. Se tutto è ormai piuttosto liquido e informe, impreciso nei connotati, languido e come spossato, ne nasce un cattolicesimo politico da boy scout, privo di forti identità, un cattolicesimo da escursione in montagna, da costruzione di sopraelevate, da cerchio attorno al fuoco e amicizia solidale. 

Il problema, a questo punto, è di verificare se un cattolicesimo politico tipo boy scout sia ancora un cattolicesimo politico. Se Renzi è l’Akela del Branco, allora la Boschi è Bagheera, la quale ha detto per bene come la pensa sulla famiglia senza che Akela l’abbia smentita. La secolarizzazione della religione e della politica è spietata e ingorda e, nella sua coerenza, non si ferma né si sazia mai. Dire che Renzi è un politico cattolico e constatare nel contempo che egli vuole il divorzio breve e l’adozione dei minori per le coppie omosessuali significa sostenere che un politico può definirsi politicamente cattolico anche se con la sua azione politica distrugge la famiglia. Significa recidere il legame tra «uscire dalla messa domenicale da solo o con la famiglia» e la costruzione della società tramite le leggi, le politiche, le istituzioni, ossia il significato pubblico della fede cattolica.

Questa è propriamente la secolarizzazione della politica. Quando il cattolico perde di vista che dalla sua fede emana non solo una sua testimonianza personale, ma anche un disegno sulla società e la politica, sulla città dell’uomo, allora si ha secolarizzazione della politica. 

Il passaggio è in tre tappe: all’inizio i valori umani si fondano su quelli religiosi che li costituiscono e li proteggono; poi i valori umani pensano di fondarsi su se stessi differenziandosi ma senza staccarsi da quelli religiosi; infine si separano da quelli religiosi, cessando così anche di essere umani. Ci siamo illusi che fosse possibile fermarsi al secondo passaggio. Ma, come dicevo, la secolarizzazione vuole andare fino in fondo. A questo punto diventa possibile farsi fotografare uscendo da chiesa ed approvare una legge sul divorzio breve. 

Leone XIII diceva che se si stacca il matrimonio civile da quello religioso finisce male anche per quello civile. Poi si è pensato che il matrimonio civile dovesse essere fondato su se stesso distinguendosi senza separarsi da quello religioso. Oggi si dice che un cattolico può essere tale anche se opera per il divorzio breve. E’ la secolarizzazione che avanza, bellezza! Però se questo è il cattolicesimo politico tipo scout di cui parla Galli della Loggia allora non è più un cattolicesimo politico, ma la sua fine.

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