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PERCHE' L'UOMO SI INGINOCCHIA DAVANTI ALLA DONNA CHE AMA? ECCO IL VERO SENSO DEL GESTO

19/10/2016

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“Ci inchiniamo mettendo un ginocchio a terra come segno di rispetto per il tabernacolo nel quale è custodita l’Eucaristia. I cavalieri si inginocchiano davanti al re quando ricevono qualche omaggio e quando si presentano a lui dimostrando rispetto e onore per la sua regalità. In guerra, l’esercito sconfitto si inginocchia davanti all’esercito vincitore della battaglia in segno di resa.

Rispetto. Onore. Resa. Sottomissione. Sono questi i motivi per i quali un uomo si inginocchia quando chiede a una donna di sposarlo. In segno di rispetto, l’uomo si piega in un atto di umiltà davanti alla donna con la quale desidera passare tutta la vita.

Ma c’è anche un altro significato. 

Quando è inginocchiato, l’uomo è all’atezza del ventre della donna, il santuario della vita. 


Sta onorando il corpo di lei e la creazione di Dio, che merita di essere venerata. 

L’uomo si sta arrendendo e si sta impegnando, per il resto della propria vita, ad amare la sua sposa. 

Sta offrendo il suo celibato e sta entrando nella paternità impegnandosi ad allevare i figli con lei e a rimanerle fedele in ogni circostanza”.
e.
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UNA PICCOLA NOTA SULLA TRADIZIONE

17/10/2016

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La sublime genialità della modernità è riuscita a creare eresie senza Dio; intendo correnti di pensiero eterodosse rispetto alla mentalità comune, dotate di una propria precisa visione del mondo,  altrettanto eterodossa, di una fede settaria ed elitarista nella loro dottrina a confronto di quella del resto del mondo e di una venerazione per dei guru esistenti o presunti, conosciuti o di cui si è letto qualcosa. Fin qui niente di particolare, potremmo dire; ci saranno pur sempre state delle correnti filosofiche atee che si discostano dalla nostra normale visione. Eppure c’è una particolare nota che a volte colora il tutto con i toni ridicoli della parodia di sé stessi: queste eresie non di rado fanno riferimento alla Bibbia come ad un’autorità. La modificano, la adattano alle loro necessità, ne prendono in considerazione solo le parti utili, eppure non possono fare a meno di citarla, non di rado nella sua più mera letteralità, che si tratti di un racconto mitico o di una frase disposta in un certo contesto, oppure di un precetto esplicito.

​Ecco allora che si mostra quanto sia utile la tradizione dell’interpretazione che si affianca ad un libro sacro, così come tutta la tradizione che lo circonda, che è in realtà ciò che le da valore. Non c’è religione senza la storia della religione stessa, non esiste un testo sacro che non abbia una sua critica, per quanto divina possa essere la sua origine. Credere di saltare tutto questo a piè pari non è solo fare un torto alla religione, ma è un torto al testo stesso; sarebbe come leggere la Divina Commedia senza sapere nulla del Cristianesimo, della storia del 1200-1300, di Dante e della lingua che usava.

Senza questo non solo non si tiene conto di possibili opinioni intelligenti su un passo, ma anche del messaggio del testo stesso; se il nostro pensiero non viene messo in guardia dalla tradizione, noi cercheremo la storia dove c’è il mito, il precetto dove c’è l’apologo e così via.

​Baracani
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PERDERE LA MIA RELIGIONE

8/10/2016

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by Berlicche

Nei tempi andati, nell'Europa di qualche secolo fa, con religione non si indicava ciò che si intende adesso. L'uomo era religioso, punto e basta. Era una virtù; una caratteristica dell'umano, più interna che esterna. Con esso si intendeva il rapporto dell'uomo con il trascendente, con il sacro, con lo straordinario.

Per quasi tutte le culture c'è in questo termine, o nelle sue varie traduzioni, una sorta di contratto tra l'uomo e il divino, in cui quest'ultimo concede il suo favore in cambio di riti, o devozione. Il riconoscimento della sovra-umanità è la garanzia alle regole comuni di comportamento, la base della convivenza sociale. Se per i cristiani questo contratto è una libera alleanza, in altre culture è imposizione, editto da rispettare, dovere da ottemperare. Avere una religione voleva dire quindi sottoporsi a questo legame.

Chi non aveva religione, o ne aveva poca, voleva dire che non riconosceva l'ordinamento comune del mondo. Non riconoscendo le regole, era in qualche maniera fuori dalla società. Quello di cui si accusava i cristiani nei primi secoli era proprio questo: attribuendo la divinità al solo Cristo e non all'imperatore o altri dei erano considerati irreligiosi, ribelli alle regole e perciò pericolosi, capaci di tutto. La preoccupazione degli apologeti dei primi tempi era proprio questa: dimostrare che credere in Cristo non voleva dire non avere regole, ma avere una regola così alta da comprendere tutte le altre.

La trasformazione del concetto di religione in quello moderno avviene quando si comincia a negare la trascendenza. Se si nega che esista qualcosa di più alto dell'uomo allora, se si vogliono avere regole, bisogna sostituire il divino con l'umano. O meglio: occorre dare all'umano un potere sovraumano, concedendogli quegli attributi che un tempo erano riservati alla divinità. Lo Stato è divinizzato; in alternativa il potente, la Costituzione, il Giudice, il Partito, il Mercato... tutte queste entità diventano soggetti religiosi, in quanto si pongono su un piano superiore all'uomo comune e impongono dei riti.
Mentre però il trascendente è per definizione  su un piano più alto della vita terrena, questi sostituti umani non possono dire altrettanto. Per suscitare fedeltà e imporsi devono usare un miraggio di progresso dal fiato corto, l'edonismo spicciolo del piacere oppure la forza. Tutte soluzioni che mancano di vera presa, e quindi incapaci nel tempo di mantenere la promessa, una regola giusta di vita, la felicità.

Abbiamo quindi, oggi, questo paradosso: si riconosce il termine religione solo a quanto si riferisce ad una trascendenza pur essendoci soggetti che, negandola, ne assumono tutte le prerogative. Perché l'uomo in qualche maniera è obbligato a riconoscere di bastare a se stesso;  di non essere abbastanza grande, di avere necessità di qualcosa di maggiore di lui. E' fatto così: anche se magari consciamente lo rifiuta, l'istante dopo si appella a questa religione che lo vincola.
​
Che se è roba umana, ha lo stesso esatto problema di chi la pratica: non è abbastanza grande. Chi sposa la moda rimane presto vedovo, si dice. La religione del contemporaneo domani l'avrò già persa.
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