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COME PERCEPIRE L'AMORE DI DIO NELLA MIA VITA (E DIMOSTRARLO)

20/3/2015

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Come percepire l'amore di Dio nella mia vita (e come mostrarlo)
I momenti in cui valgo non per ciò che ho fatto né per quello che sono, ma sono amato senza tener conto dei miei meriti sono momenti di luce.


Quante volte nella vita abbiamo esperienze che non comprendiamo e che all'improvviso, un giorno, nel cammino, si riempiono di luce e vanno al posto giusto!

Allora capiamo che quel momento difficile o quella persona alla quale non abbiamo dato tanta importanza è stato fondamentale perché io potessi continuare a camminare e a crescere.

Ci piace capire tutto subito, comprendere tutte le crepe e le rotture. Ci piacerebbe conoscere il senso di tutto il cammino e scoprire sempre la mano che ci guida.

Per questo a volte, all'improvviso, ci sono momenti in cui vediamo la vita nel suo insieme, come la vede Dio. E vediamo anche come Dio ci conduce. Guardando indietro, sembrano acquistare senso molte cose. È più facile vedere le cose come le vede Dio, in Lui hanno senso.

Diceva padre Josef Kentenich: “La mia vita è un tappeto visto al contrario. Quanti fili intrecciati! Il mio compito consiste nel vedere il tappeto dal davanti. Guardo il tappeto dal davanti e cosa vedo? Che anche quando al contrario ci sono tanti fili intrecciati, sul davanti c'è una grande armonia!”

Con la sua mano amorevole Dio mi guida. Forse non lo vedo nel momento concreto di oscurità che attraverso, quando nulla risulta chiaro.

In quel momento non so bene cosa vuole Dio, né quasi cosa voglio io. Non comprendo il suo progetto, non percepisco il suo amore. Vediamo i fili intrecciati e ci ribelliamo contro la vita.

Non vogliamo vivere senza luce. Non vogliamo il turbamento e la tristezza. Vogliamo essere sempre felici. La vita per noi è spesso una successione di giorni. Alcuni grigi, altri soleggiati. Alcuni tristi, altri allegri.

Per Dio, però, è sempre uno stesso cammino, il cammino della nostra felicità. Dio ci regala momenti ai quali ancorarci, momenti che diventano roccia per sostenere tutta una vita.

È vero che ci piacerebbe percepire sempre il suo amore, tutto il suo affetto e la protezione nella nostra vita, ma non accade sempre. Nei Battesimi, mi piace dire che in quel momento Dio abbraccia in silenzio quel bambino.

Ce ne dimentichiamo, ma Dio mi benedice essendo bambino, perché non dimentichi mai il suo sigillo d'amore. Incide il suo amore nella mia anima per sempre. Gli appartengo per tutta l'eternità.

Poi la vita ci turba, è vero, e i cammini si intrecciano. Dimentichiamo il suo amore. Non ricordiamo più il suo abbraccio, né il suo sguardo, né il suo sorriso. Ci resta solo il gusto amaro della sconfitta. Il sapore acre della perdita. In mezzo alla vita smettiamo di toccare il suo amore vicino.

Sì, in quei momenti forse non ci basta sapere che un giorno Dio mi ha benedetto quando ero bambino. Ma è vero. Sono stato consacrato come figlio per sempre. Anche se me ne dimentico, Dio non se ne dimentica mai. Nonostante tutto non smetto di vedere ogni giorno quanto sia difficile per l'uomo di oggi percepire l'amore di Dio nella sua vita.

Diceva padre Kentenich: “Essere convinti che ama me, e che io posso essere qualcosa per Lui. Suona comico che io possa essere qualcosa per Lui, ma la nostra depersonalizzazione ha prosperato tanto. Sì, diciamo che questa è umiltà, ma non è umiltà!

Devo essere qualcosa per Dio? Sì, è chiaro che posso essere qualcosa per Dio, perché mi ha creato come un essere libero. Egli desidera la mia collaborazione. Vuole la mia collaborazione; posso essere qualcosa per Lui.

Se riuscissimo a convincere maggiormente i nostri fedeli, lì dove lavoriamo, che sono oggetto dell'amore di Dio, in loro si risveglierebbe tutto ciò che è nobile. Ma in genere non ci riusciamo”.

È difficile saperci amati da Dio nel più profondo. Convincere qualcuno dell'amore che Dio nutre per lui.

È vero che l'amore umano ci aiuta a toccare l'amore di Dio. L'amore dei nostri genitori ci parla dell'amore di Dio. Quando quell'amore umano è debole nella nostra vita, quanto è difficile arrivare a toccare l'amore di Dio!

I momenti in cui abbiamo saputo di essere amati da qualcuno, da persone concrete, da Dio stesso, sono momenti di luce. Una luce intensa che ci fa vedere quanto valiamo per Dio.

Sono momenti in cui non importa nient'altro perché possediamo ciò che è più importante. Non importa più niente del mio peccato, né del mio passato o del mio futuro. Importa solo quell'amore di Dio che mi trascende.

Momenti in cui valgo non per ciò che ho fatto né per quello che sono, ma sono amato senza tener conto dei miei meriti. L'amore non si merita mai. Sono amato in modo gratuito e unico.

Sono quei momenti in cui tutto si incastra e la luce vince l'oscurità. Mi piacerebbe avere più luce nella mia vita. Più momenti gratuiti, in cui non debba dimostrare nulla e possa essere me stesso. Voglio più momenti di sole e meno oscurità. Più amore di Dio e degli uomini.
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CHE COS'E' LA TRADIZIONE CATTOLICA?

18/3/2015

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Che cos’è la Tradizione Cattolica?
Ma cos’è dunque questa Tradizione, punto di riferimento a cui si è così attaccati fino ad opporsi alle più alte autorità della Chiesa?


Essa si può definire come l’insegnamento di Gesù Cristo e degli apostoli fatto a viva voce e trasmesso dalla Chiesa fino a noi senza nessuna alterazione(1). Gesù ha predicato senza scrivere nulla di sua mano e gli apostoli hanno trasmesso di viva voce il suo insegnamento. Unicamente qualche anno dopo l’Ascensione di Gesù hanno scritti i Vangeli, come un riassunto della loro predicazione(2). 

Ne risulta che la Tradizione è una fonte della Rivelazione. Essa precede la Sacra Scrittura e ne è all’origine. Gli scrittori sacri, strumenti umani ispirati da Dio, attingono le loro conoscenze da ciò che hanno essi stessi ascoltato da Gesù o dagli apostoli. San Luca comincia così il suo Vangelo:«Poiché molti hanno intrapreso ad esporre ordinatamente la narrazione delle cose che si sono verificate in mezzo a noi, come ce le hanno trasmesse coloro che da principio ne furono testimoni oculari e ministri della parola, è parso bene anche a me, dopo aver indagato ogni cosa accuratamente fin dall’inizio, di scrivertene per ordine, eccellentissimo Teofilo, affinché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate»(3). Gli eventi che si sono verificati e di cui san Luca si accinge a scrivere, sono stati prima trasmessi a viva voce da «testimoni oculari e ministri della parola».

La Tradizione è quindi anteriore alla Sacra Scrittura e il suo campo è più vasto. Gesù rimase quaranta giorni con i suoi apostoli, dopo la resurrezione, per parlare con loro «delle cose riguardanti il regno di Dio»(4). San Giovanni termina il suo Vangelo con delle parole molto chiare che indicano che i Vangeli non sono che un riassunto della Rivelazione cristiana: «Or vi sono ancora molte altre cose che Gesù fece, che se fossero scritte ad una ad una, io penso che non basterebbe il mondo intero a contenere i libri che si potrebbero scrivere»(5).

La tradizione, sorgente della Rivelazione, è distinta dalla Sacra Scrittura e merita la stessa fede di essa. San Paolo ce lo indica quando scrive ai Tessalonicesi: «Fratelli, state saldi e ritenete fermamente le tradizioni che avete imparato da noi di viva voce o per lettera»(6). Oppure quando ammonisce Timoteo: «Le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri»(7). Le verità della fede prima predicate, sono state trasmesse dalla Chiesa nei simboli della fede, nelle definizione dei concili e negli atti dei Papi(8).

La Rivelazione ci è trasmessa anche dalle opere dei primi scrittori cattolici, i Padri apostolici e i primi teologi, eco fedele della fede della Chiesa. La stessa liturgia ce la trasmette poiché lex orandi, lex credendi (la legge della preghiera è la legge della fede), e cosi anche l’arte cristiana. Gli affreschi e i graffiti che si ritrovano nelle catacombe manifestano che i primi cristiani avevano la stessa nostra fede, per esempio, circa la santa Eucaristia, la preghiera per i defunti, la venerazione dei martiri, il primato di Pietro.

La conformità di una dottrina alla Tradizione è un criterio di verità

La fedeltà all’insegnamento della Tradizione è stato sempre un criterio di verità contro gli errori e le eresie che sono sorte durante il corso dei secoli. Origene, già nel terzo secolo diceva: «Gli eretici allegano le Scritture. Noi non dobbiamo credere alle loro parole né staccarci dalla tradizione primitiva della Chiesa, ne credere altra cosa che ciò che è stato trasmesso ininterrottamente nella Chiesa di Dio»(9).

Il magistero della Chiesa, esercitato dal Papa e dai Vescovi riuniti in concilio o dispersi nelle loro diocesi – infallibile nelle condizioni definite della Chiesa(10) – è l’interprete della Tradizione. È lui che ci testifica ciò che fa parte del deposito rivelato e che ce lo trasmette. Ma non potrà mai cambiare tale deposito, cioè non potrà mai affermare che ciò che è già stato dichiarato rivelato da Dio non lo sia più o che lo siano dottrine che lo contraddicono. Il Concilio Vaticano I ci ricorda infatti che: «Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro perché facciano conoscere sotto la sua ispirazione una nuova dottrina, ma perché, con la sua assistenza, conservino santamente ed espongano fedelmente la Rivelazione trasmessa degli apostoli cioè il deposito della fede»(11). 

È molto importante ricordarci questa dottrina messa in dubbio dai protestanti. Per essi solo la Sacra Scrittura ha valore come se prima che gli Apostoli scrivessero il Nuovo Testamento il cristianesimo non esistesse. Le caratteristiche della Tradizione ne fanno l’interprete della Sacra Scrittura stessa che deve essere detta la luce dell’insegnamento constante della Chiesa sotto pena di cadere negli errori. I protestanti che ammettono il principio del libero esame cadono irrimediabilmente nell’interpretazione soggettiva e sono divisi oggi in migliaia di sette.
Figlio dell’eresia protestante nel suo soggettivismo è il modernismo. Esso afferma che le verità della fede, i dogmi, sono solo formule destinate a tradurre il sentimento religioso che è in noi. Poiché questo sentimento è qualche cosa di mutevole e dipende dalle circostanze e dalle epoche, esso è soggetto a trasformazione. Ne segue che le formule che lo esprimono, i dogmi di fede, possono cambiare con esso. Questa dottrina erronea e già condannata dal Papa San Pio X nella sua enciclica Pascendi, ha ispirato i cambiamenti dottrinali realizzati dall’ultimo concilio. Esso ha come tagliato la radice che doveva legarlo all’insegnamento tradizionale della Chiesa, su dei punti ben precisi come l’ecumenismo o la libertà religiosa.

Una nuova concezione del magistero


Questi cambiamenti sono fatti in nome di una nuova concezione del “magistero vivente” secondo la quale la Chiesa potrebbe insegnare oggi il contrario di ciò che essa ha insegnato durante venti secoli di storia e pretendere allo stesso tempo di essere in continuità con il magistero precedente. Si pretende di giustificare tale novità invocando il fatto che i tempi e le circostanze sono cambiate. Così il Concilio Vaticano II sarà in continuità con gli altri concili(12), la nuova messa in continuità con la Messa tradizionale(13).Questo concetto di magistero vivente e mutevole, si ispira della dottrina modernista ed è contrario alla fede cattolica.

Per questo Monsignor Lefebvre lo ha rigettato e combattuto con tutte le sue forze. Fu ciò che gli valse la condanna della “chiesa ufficiale”. Nel motu proprio Ecclesia Dei afflicta del 12 luglio 1988 lo si accusa di avere una nozione incompleta e contraddittoria della tradizione. Incompleta perché «non tiene sufficientemente conto del carattere vivente della tradizione». Tradizione vivente significa, per il magistero conciliare, che si possono tranquillamente affermare come tradizionali, dottrine condannate dal magistero precedente. La libertà religiosa, per esempio, che è in piena contraddizione con l’enciclica Quanta cura del Papa Pio IX. O ancora la dottrina sull’ecumenismo, condannato dall’enciclica Mortalium animos di Pio XI. Tutto ciò non è conforme al vero concetto di Tradizione, né alla fede cattolica. Essa infatti non dipende delle circostanze di luogo e di tempo, ma è immutabile.

Quello che il magistero della Chiesa ha definito come vero e appartenente al deposito rivelato non potrà mai essere cambiato da questo stesso magistero. La verità rivelata non è soggetta a circostanze di luogo e di tempo. «Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno mai», dice Gesù.
La fedeltà alla Tradizione ci dà dei criteri di azione nella crisi della Chiesa di oggi: ogni volta che si constata una contraddizione tra l’insegnamento attuale e il magistero costante della Chiesa siamo in diritto di affermare che non si tratta di un insegnamento infallibile né di un vero magistero poiché vi è rottura con la Tradizione. È questo che fonda la legittima resistenza dei cattolici all’autorità: l’attaccamento, non a delle idee personali, ma all’insegnamento bimillenario della Chiesa in materia di fede, insegnamento che nessuno potrà mai cambiare.

Non si può quindi essere cattolici se non si è attaccati con tutto il proprio essere alla Tradizione della Chiesa, espressione della fede rivelata da Nostro Signore e trasmessa degli apostoli.


Note
(1) Catechismo di San Pio X, q. 235.
(2) I Vangeli sono stati scritti qualche anno appena dopo la morte di Gesù. Il Padre O’Callaghan, nel 1972, ha identificato un frammento del vangelo di san Marco (7Q5) scoperto in una grotta a Qumran, e datandolo al massimo all’anno 50.
(3) Lc 1, 1-2
(4) At 1, 1-3.
(5) Gv 21, 25.
(6) 2 Tess 2, 15
(7) 2 Tim 2, 2
(8) I principali sono: quello degli Apostoli, quello Niceno-costantinopolitano che si recita la domenica, quello di sant’Atanasio.
(9) Citato da Boulanger, Le Dogme catholique, p.17.
(10) Lettera Tuas libenter all’Arcivescovo di Monaco-Freising, 21 dicembre 1863, DZ 2879; III sessione, 1870: constituzione dogmatica Dei Filius sulla fede cattolica, DZ 3011.
(11) IV sessione, 18 luglio 1870: prima costituzione dogmatica Pastor aeternus.
(12) Discorso di Benedetto XVI alla Curia romana, 22 dicembre 2006.
(13) Cf. Motu proprio Summorum Pontificum.
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IL BUON LADRONE

13/3/2015

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#24oreperilSignore - Il buon ladrone 

Dal Vangelo secondo Luca 23, 35-43 
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il 
re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». 

Dal trattato Sulla croce e sul ladrone di Giovanni Crisostomo (7, 34, PG 49.443-404) 

Nessuno costrinse il ladrone, nessuno lo forzò, ma lui stesso disse all’altro: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, ma lui non ha fatto nulla di male» (Lc 23, 40-41). E poi dice: «Ricordati di me, nel tuo Regno» (Lc 23, 42). Non ha osato dire: «Ricordati di me, nel tuo Regno» prima di aver deposto attraverso la confessione il fardello dei suoi peccati. Vedi, cristiano, qual è il potere del riconoscimento del proprio peccato? Ha confessato di essere peccatore e ha aperto il paradiso; ha confessato e ha trovato il coraggio di chiedere il paradiso dopo tutti i suoi latrocini. Vedi quanti beni ci procura la croce? Pensi al Regno? Che cosa vedi che gli sia simile? Vedi i chiodi e la croce, ma proprio questa croce, dice la Scrittura, è simbolo del Regno. Per questo, quando vedo Gesù crocifisso, lo proclamo re. È proprio di un re morire per i suoi sudditi. Egli stesso ha detto: «Il buon pastore dà la sua vita per le pecore» (Gv 10, 11). Anche un buon re dà la sua vita per i suoi sudditi. Io lo proclamo re perché ha dato la sua vita. «Ricordati di me, nel tuo Regno». Vedi come la croce è simbolo del Regno? Desideri un’altra prova? Il Signore non ha lasciato la sua croce sulla terra, ma l’ha presa e portata con sé in cielo. Come lo sappiamo? Perché l’avrà con sé quando ritornerà nella sua gloria. Impara quanto è degna di venerazione la croce che egli ha chiamato sua gloria. [...] «Quando il Figlio dell’uomo verrà, il sole si oscurerà e la luna perderà il suo splendore» (Mt 24, 29). Il suo splendore sarà tale da oscurare anche gli astri più luminosi. «Allora anche le stelle cadranno, allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo» (Mt 24, 29-30). Vedi quant’è potente il segno della croce! [...] Quando un re entra in una città, i soldati lo precedono portando sulle loro spalle gli stendardi e annunciando il suo arrivo. Così quando il Signore discenderà dai cieli, lo precederà una schiera di angeli portando sulle loro spalle il segno della croce e annunciando la venuta del nostro re. 
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ZACCHEO

13/3/2015

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#24oreperilSignore - Zaccheo 

Dal vangelo di Luca 19, 1-10 
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figli
o di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». 

Dal Commento sul Vangelo di Luca di Ambrogio di Milano (8, 82. 85-87.90, SC 52, pp. 136-138) 

Ed ecco un uomo di nome Zaccheo (Lc 19, 2). 
Zaccheo è sul sicomòro, il cieco è sulla strada. Il Signore aspetta l’uno per fargli misericordia, rende onore all’altro con la sua visita. Interroga il cieco per guarirlo, si invita a casa di Zaccheo senza essere invitato. Sapeva infatti che grande sarebbe stata la ricompensa del suo ospite e che se questi non aveva ancora sentito il suo invito, ne aveva sentito il desiderio. [...] I ricchi imparino che la colpa non sta nelle ricchezze, ma nel non saperle usare, poiché se le ricchezze per i malvagi sono un impedimento, nei buoni sono di aiuto in vista del bene. Sì, il ricco Zaccheo è stato scelto da Cristo, ma poiché ha distribuito la metà dei suoi beni ai poveri e ha restituito il quadruplo di quanto aveva rubato l’una delle due cose non basta e la generosità non ha valore se permane l’ingiustizia dal momento che si chiedono dei doni e non ciò che si ha rubato – ha ricevuto una ricompensa più grande di quanto ha donato. Ed è una buona cosa annotare che costui era capo dei pubblicani. Chi, infatti, potrebbe disperare di sé dal momento che giunse alla fede anche Zaccheo che traeva il suo guadagno dalla frode? Ed era ricco, dice l’evangelo, affinché tu sappia che non tutti i ricchi sono avari. Come mai la Scrittura non precisa l’altezza di nessun altro se non la sua dicendo che era piccolo di statura (Lc 19,3)? Vedete se per caso non era piccolo a motivo della sua malvagità o piccolo nella fede. Non aveva ancora promesso niente quando era salito sul sicomòro, non aveva ancora visto Cristo e per questo era ancora piccolo. [...] Zaccheo sul sicomoro è il frutto nuovo del tempo nuovo. 

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ECCO COSA DICE IL FALSO CRISTIANO...

12/3/2015

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Sono cristiano, ma la chiesa non mi piace;
Sono cristiano, ma se mi pestano i piedi mi vendico;
Sono cristiano, ma leggo l'oroscopo;
Sono cristiano, ma la castità non è per me;
Sono cristiano, ma sono massone;
Sono cristiano, ma ogni tanto rubo;
Sono cristiano, ma andare in chiesa è da vecchiete;
Sono cristiano, ma invece di fare il rosario faccio yoga;
Sono cristiano, ma faccio pranoterapia e reiki;
Sono cristiano, ma voglio il matrimonio gay; 
Sono cristiano, ma bestemmio; 
Sono cristiano; ma la Bibbia è scritta 2000 anni fa e bisogna migliorarla; 
Sono cristiano, credente ma non praticante;
Sono cristiano, ma non sono come quei bigotti;
Sono cristiano, ma non mi confesso con dei preti che peccano più di me;
Sono cristiano, ma questo Papa non mi piace;
Sono cristiano, ma festeggio halloween;
Sono cristiano; ma Dio mi odia;
Sono cristiano, e io sono meglio di te; 
Sono cristiano, ma voglio la pena di morte; 
Sono cristiano, il diavolo non esiste;
Sono cristiano, e prego meglio degli altri, 
Sono cristiano, e ho una grande fede;
Sono cristiano, quello che dicono i preti sono tutte idiozie; 
Sono cristiano, ne so più di quel Padre Amorth;
Sono cristiano, ma porto amuleti, mi faccio togliere il malocchio dalle "brave vecchine" e metto il braccialetto verde ai bambini;
Sono cristiano, ma tocchiamo ferro e facciamo le corna; 
Sono cristiano, secondo me forse esiste la reincarnazione;
Sono cristiano, ma gli animali sono più importanti delle persone;
Sono cristiano; ma sono per il controllo delle nascite;
Sono cristiano, ma sono per l'aborto;
Sono cristiano, ma guardo volentieri la moglie di un altro; 
Sono cristiano, ma mi piace drogarmi;
Sono cristiano, ma mi piace ubriacarmi;
Sono cristiano, ma giudico questo e quello;
Sono cristiano, ma critico chi non mi piace; 
Sono cristiano, ma la confessione l'hanno inventata i preti; 
Sono cristiano, ma le suore e i preti dovrebbero rinunciare al celibato/nubilato;
Sono cristiano, ma se mio figlio si ammala è colpa di Dio;
Sono cristiano, ma non capisco perché Dio non uccida i cattivi; 
Sono cristiano, ma non ho tempo da perdere per seguire il catechismo;
Sono cristiano, ma i 10 comandamenti sono superati, non siamo più nel medioevo;
Sono cristiano, ma sopratutto d'estate non ho tempo di andare a messa;
Sono cristiano, ma non vedo l'ora che i bambini finiscano il catechismo così ci riposiamo;
Sono cristiano, ma questi politici li metterei al muro; 
Sono cristiano; ma secondo me Gesù, se fosse nato oggi, la penserebbe diversamente;
Sono cristiano, ma da mangiare alla mia famiglia glielo do io, non Dio; 
Sono cristiano, ma non prego troppo perché non voglio disturbare Dio che avrà altro da fare; 
Sono cristiano, ma non capisco perché ci sia la fame nel mondo; 
Sono cristiano di famiglia, quindi sono cristiano;
Sono cristiano, infatti mia zia e mia nonna pregano molto;
Sono cristiano, mia mamma era molto credente;
Sono cristiano, io ho una zia suora/uno zio prete;
Sono cristiano, per ora me la godo qui poi quando morirò si vedrà;
Sono cristiano, ma sono depresso; 

Ecc…
DITE A COSTORO,CHE CRISTIANO VUOL DIRE SEGUIRE GESU'....

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Dal sabato alla domenica, un passaggio teologico che non disprezza

9/3/2015

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Nel passaggio dal sabato alla domenica, non è avvenuto semplicemente un trasferimento del giorno di festa, “distruggendo” l’ebraismo. 

La fede cristiana osa affermare che siamo anche qui dinanzi ad un compimento che conserva. Il Cristo non toglie neanche uno iota od un apice. Ma come capire allora l’abolizione del sabato? Ma è vera abolizione poi? I gruppi fondamentalisti, non seguendo la grande chiesa nella sua sapienza, si sentono in dovere di tornare all’antica osservanza per esprimere il rispetto di Dio che quel sabato aveva comandato.

Solo a partire dal Cristo stesso è possibile non solo capire, ma anzi contemplare l’assoluta fedeltà e novità della proposta cristiana. Il sabato è Cristo! Cristo non si limita a dire che il sabato è per l’uomo e, quindi, di per sé, da un punto di vista strettamente etico, può essere eccezionalmente violato. La lettura sabbatica dei vangeli va ben oltre: il Cristo guarisce di sabato, perdona di sabato, agisce di sabato. Sembra che provi gusto ad operare di sabato. Non è polemica la sua, è piuttosto manifestazione che è lui stesso ad essere il sabato, cioè il riposo, la comunione con Dio.

E’ nella comunione con Cristo – sposo come il sabato è sposo, sposo più del sabato stesso – che è possibile la comunione con Dio. E’ il Cristo che concede salvezza, riposo, perdono, comunione. 

Ecco perché – dirà la lettera agli Ebrei – tutti coloro che ci hanno preceduto, da Abramo a Mosè ed oltre, non sono entrati nel “riposo”! Non sono entrati per manifestare che il vero riposo doveva ancora giungere, che il vero luogo della comunione con Dio non era il sabato, non era la terra promessa. Per la lettera agli Ebrei Mosè è morto fuori della terra, non perché peccatore, ma molto più per manifestare che il vero “riposo” non era ancora in mezzo agli uomini.

E’ perché Cristo è riposo e comunione divina che allora il “suo” giorno, il giorno della sua resurrezione, può divenire “giorno di Dio”. Ecco il senso della domenica.

Non un giorno che si sostituisce ad un altro, ma il Corpo del Risorto che è vero sabato. La fede cristiana non intende negare che nell’antica alleanza Dio abbia veramente offerto e chiesto il sabato all’uomo. Lo comprende, però, oggi, ora che i tempi sono giunti alla pienezza, spiritualmente: cioè a partire da Cristo.

La domenica, in prospettiva cristiana, non è così semplicemente uno spostamento del sabato, ma ne è la sua pienezza, il suo compimento. 


Come per il sacrificio della croce che è l’approfondimento non la negazione dei sacrifici antichi, così avviene della domenica rispetto al sabato.

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L'apocalisse degli zombie non ci aspetta in un futuro utopico lontano. È già qui. 

5/3/2015

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La nostra cultura da morti viventi
Come i sacramenti e la teologia del corpo ci possono salvare dall'apocalisse degli zombie

L'apocalisse degli zombie non ci aspetta in un futuro utopico lontano. È già qui. Ci viviamo dentro. È solo che non ce ne siamo ancora resi conto.

Non mi credete? Allora guardate un episodio o due dello show di successo di AMC The Walking Dead.

Per chi non se ne intende, nel mondo di The Walking Dead ampie fasce della popolazione hanno perso la propria umanità per cause sconosciute. Lo show li definisce walker (camminatori). Questi camminatori non sono né pienamente morti né pienamente vivi. Si muovono. Mangiano. Gravitano l'uno intorno all'altro, spostandosi il più delle volte in gruppo. Ma non provano sentimenti. Non ricordano. Non sanno chi sono e non vedono la bellezza del mondo che li circonda. Per i camminatori, ogni creatura vivente – persona o animale – non è altro che cibo, qualcosa da usare o da consumare.

Lo show, ad ogni modo, riguarda i viventi. Riguarda il loro tentativo di non limitarsi a sopravvivere, ma, cosa più importante, di trattenere la propria umanità in un mondo impazzito.

Vi suona in qualche modo familiare?

Vero, la confezione è diversa. I nostri morti viventi hanno un odore migliore e hanno meno sangue sui vestiti di quelli che vagano nel panorama post-apocalittico di The Walking Dead, ma il mondo è fondamentalmente lo stesso.

Se avete bisogno di una conferma, uscite. Guardate le notizie. Collegatevi a Facebook. Vedrete morti viventi praticamente ovunque. Sono gli uomini e le donne che vivono in peccato mortale, quelli che hanno infranto gravemente la fede in Dio e recano le ferite aperte del peccato nella propria anima, se non sul volto.

Nella nostra cultura, i morti viventi sono innumerevoli. Tante persone vivono nell'oscurità. Tante hanno voltato le spalle all'amore e alla verità, e in questo processo hanno bandito la vita di Dio – la grazia santificante – dalla propria anima. Sono diventate spiritualmente morte, anche se fisicamente sono vive.

I nostri morti viventi – proprio come quelli della televisione – non sanno chi sono. Non conoscono la loro dignità o la loro bellezza. Si sottopongono alla chirurgia estetica e si lasciano morire di fame per raggiungere qualche ideale inafferrabile. Danno via il proprio corpo nel modo sbagliato, nelle occasioni sbagliate e alle persone sbagliate. Adorano la giovinezza e temono di invecchiare.

Non sanno nemmeno perché sono stati creati o cosa significhi vivere una vita pienamente umana. Non vedono il significato o l'obiettivo inscritto nella creazione. Non odono i Cieli proclamare la gloria di Dio. Trovano invece significato nelle cose – nelle macchine, nel denaro, nel sesso, nel cibo. Perseguono il piacere, a qualunque costo, ed evitano la sofferenza, qualunque guadagno porti. I loro appetiti sono il loro dio, e il consumo la loro forma di adorazione.

I nostri morti viventi, infine, non riescono a vedere la dignità delle persone che li circondano. Piuttosto, li vedono come oggetti da usare – per piacere, soddisfazione sessuale o per qualche tipo di guadagno – o, peggio ancora, come inconvenienti di cui liberarsi. A modo loro – attraverso il gossip, i discorsi crudeli, gli atti di tradimento e di infedeltà – anche loro mangiano i propri simili.

La lotta continua per ciascuno di noi, come per i protagonisti di The Walking Dead, è non unirsi ai loro ranghi. È mantenere la nostra umanità in un mondo sempre più disumano. È trattenere la vita di Dio nella nostra anima, trattando le persone ferite con misericordia e compassione e sperando, in mezzo al caos culturale, in un mondo migliore.

La buona notizia è che la nostra apocalisse zombie è ben più facile da combattere di quella rappresentata nella versione di AMC.

Nel nostro mondo, un coltello nel cranio non è l'unico modo per far fronte ai morti viventi. Qui i morti viventi possono essere curati. Possono essere riportati alla vita – risorgere spiritualmente attraverso le grazie dei sacramenti. Le grazie guaritrici abbondano su questa terra. Sono in ogni chiesa cattolica, in ogni confessionale, in ogni Eucaristia.

C'è la teologia del corpo, che in un certo senso è sia un antidoto che un vaccino all'apocalisse degli zombie.

Introdotta nella Chiesa da Giovanni Paolo II alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, la teologia del corpo non è – come alcuni credono erroneamente – una teologia del sesso. Ci dà molti splendidi approcci alla sessualità umana e all'amore sponsale, ma questi approcci sono solo una parte della teologia del corpo, non la esauriscono.

La totalità di questa teologia abbraccia mascolinità e femminilità, maternità e paternità, sacerdozio e vita religiosa, per non parlare dell'amicizia e del lavoro, della liturgia e dei sacramenti, del cibo e della moda, della tecnologia e dei media, delle diete e dell'esercizio, perfino di guida e tatuaggi.

Tutto ciò che facciamo nel nostro corpo ricade nell'ambito della teologia del corpo, perché nel suo aspetto fondamentale la teologia del corpo è uno studio di ciò che significa essere una persona umana, creata a immagine di Dio.

In altre parole, la teologia del corpo è un'antropologia, non una sessuologia – radicata in 2.000 anni di Scrittura e Tradizione, ma espressa in un linguaggio più adatto agli orecchi post-moderni.

In qualche modo, la teologia del corpo è come ancorata all'acustica di una visione del mondo sacramentale. Usando il corpo umano come punto di partenza, ci aiuta a imparare a leggere il mondo in modo corretto. Ci ricorda chi siamo - immagini viventi del Dio vivente - e ci rivela il significato e l'obiettivo della creazione, mostrandoci un mondo che pullula di grazia, in cui ogni ape, farfalla e uomo rivela in modo unico e straordinario qualche verità sul Creatore.

La teologia del corpo ci insegna anche come amare. Ci esorta non a usare gli altri, ma a donarci nell'amore agli altri – a diventare un dono, effuso a imitazione di Colui del quale siamo immagine – e a onorare tutti coloro che incontriamo per il dono che sono.

La teologia del corpo ci aiuta a ripristinare tutto ciò che l'apocalisse degli zombie ci può togliere – la nostra dignità, la nostra bellezza, la nostra capacità di amare come ama Dio e di donare come dona Dio. Ci chiama alla guarigione e alla redenzione. Ci chiama alla pienezza, ad essere gli uomini e le donne che Dio aveva in mente quando ci ha creati. E ci mostra come farlo nella nostra vita quotidiana – nel lavoro, nella preghiera, nel gioco -, ricordandoci che la forma della nostra eternità deriva dalla forma dei nostri giorni.

Non è un viaggio che si possa completare in 16 episodi. Quando i camminatori di The Walking Dead avranno abbracciato il loro riposo eterno, noi (a Dio piacendo) cammineremo ancora nei meandri della nostra apocalisse degli zombi, ma con i sacramenti come nostro nutrimento e la teologia del corpo come guida possiamo fare di più che limitarci a sopravvivere in un mondo devastato dai morti viventi.

Possiamo iniziare a guarirlo.
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LO SPIRITO DI MORIA: cosa sono disposto a sacrificare?

2/3/2015

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Lo spirito di Moria: cosa sono disposto a sacrificare?
Vogliamo consegnare simbolicamente a Dio ciò che ci lega di più, quello che non vogliamo perdere

La generosità di Abramo mi commuove. Dio gli chiede suo figlio: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”.

Egli è disposto a offrire a Dio ciò che ama di più. Accetta la possibilità di chiudere la porta della speranza. Senza quel figlio non c'è promessa. Non c'è felicità. Senza quel figlio non c'è cammino:

“Arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: 'Abramo, Abramo!'. Rispose: 'Eccomi!'. L'angelo disse: 'Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio'”. 

Pensavo al significato di quel momento. L'amore di Abramo è messo alla prova. È un amore fedele. Un amore che confida nel Dio delle promesse.

A volte nella vita il cammino diritto per il quale Dio ci conduceva si distorce. Credevamo che la vita sarebbe stata sempre in un certo modo e all'improvviso tutto cambia.

La promessa aveva un cammino di realizzazione. Quando tutto si distorce, spesso smettiamo di confidare. L'unica via per rendere realtà la promessa di Dio sulla nostra vita sembra impossibile e noi non abbiamo fiducia.

Dio, però, ci invita a sperare contro ogni speranza. L'atto di Moria è un atto di luce, di vita. Il figlio offerto. Il cammino chiuso per sempre. Isacco morirà. È l'offerta più grande. L'offerta del figlio.

Mi piace il monte Moria. Salire lì per offrire la vita. È il valore del sacrificio apparentemente senza senso. Del sacrificio più grande. È la rinuncia più bella. Donare ciò che dà senso alla nostra vita. Quello che amiamo con tutto il cuore.

Quanto ci costa rinunciare! Quanto ci costa confidare quando ci si chiudono le vie davanti! È credere al di là di ogni speranza. Quando tutte le vie sembrano chiudersi, non ci resta che continuare a camminare.

Quando tutte le porte si bloccano, si aprirà una finestra che ci darà luce. Quando sembra che non ci sia via d'uscita, lì sorge Dio, all'ultimo momento, per salvarci. Ma credere fino a quel momento non è così facile.

Lo spirito di Moria ci porta ad essere disposti a sacrificare tutto per amore di Dio. Diceva padre Josef Kentenich: “Qualunque cosa succeda, Dio può prendere da me anche ciò che mi è più caro, anche se la mia felicità viene distrutta. Il figlio che ha questa sicurezza nella vita è totalmente accolto! Così anche noi dobbiamo possedere questa sicurezza divina.

E tale deve essere anche il nostro affetto fondamentale - 'Padre, come mi ami! Ci può provocare sofferenza, lo sappiamo. Altrimenti non saremmo umani. Ma il tono dominante deve essere: -. Tutto è espressione dell'amore divino! E questo dà sicurezza nella vita, nelle necessità e nelle preoccupazioni economiche”.

L'amore di Dio viene a tirarci fuori dalla disperazione. È l'amore che ferma la nostra mano come ha fermato quella di Abramo, all'ultimo momento. È la fiducia fino alla fine.

Ci spaventa che le cose non vadano come vorremmo. Pensiamo: “E se ci tocca la croce... E se perdiamo una persona casa... E se la malattia ci ferisce...”

Guardiamo a Dio. In Lui confidiamo. Anche se le sue vie non sono le nostre vie. A noi spetta solo di camminare e sperare. Cosa siamo disposti a offrire a Dio? Spesso penso che la risposta sia “Ben poche cose”. Ci spaventa perdere ciò che sogniamo. Ci spaventano il fallimento e la perdita.

Quella notte nel Getsemani Gesù ha offerto tutto. Ci chiede di donare tutto a Dio. La nostra vita è nelle sue mani. Confidiamo nel fatto che Egli conosca la via migliore perché la mia vita sia piena.

Spesso ci facciamo padroni della nostra vita. Crediamo di avere il diritto di fare tutto. Abbiamo già una linea retta tracciata e non vogliamo interruzioni né blocchi. Che figlio è quello che non voglio donare a Dio?

La santità passa per offrire tutto ciò che sono e che possiedo. Per legarmi al Dio delle opere e non alle opere di Dio. Per rinunciare al mio io che si aggrappa tanto facilmente ai beni.

In questa Quaresima dobbiamo offrire simbolicamente a Dio ciò che ci lega di più, quello che non vogliamo perdere. Cos'è? Saliamo sul monte Moria. Ci inginocchiamo lì davanti all'altare. Gli offriamo il nostro sogno. Il cammino della nostra felicità. È l'atto più sublime. Il più libero. Tutto per amore. La rinuncia è feconda. L'abbandono dà vita.

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