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''CHI CREDE NON E' MAI SOLO''

30/3/2017

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Pubblico alcuni passaggi significativi dell’omelia nella Santa Messa e imposizione del Pallio, consegna dell’Anello del Pescatore e inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma. Nel testo troviamo alcuni temi di grande attualità: i nuovi ed antichi deserti del mondo, la rete della Chiesa, la fede in Cristo.

La santa inquietudine. (…) La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza (…).

Solo l’Amore redime. (…) Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini (…).

La rete del Vangelo. (…) Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo (…).

Aprite le porte a Cristo. (…) Il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!” Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita.

​S.S. Benedetto XVI
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PERCHE' GESU' E' MORTO A 33 ANNI?

21/3/2017

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Perché Gesù è morto a 33 anni?
Non è una casualità…

Molti si sono chiesti perché Gesù sia morto così giovane. L’età di 33 anni è stato il riferimento obbligato della sua crocifissione, morte e risurrezione. Ma pochi si chiedono quello che chiede monsignor Charles Pope nel suo articolo sul portale Community in Mission. Perché è morto sulla trentina e non più tardi, potendo avere più tempo per insegnare e consolidare la dottrina della Chiesa?

Pope ricorda la tripla risposta di san Tommaso d’Aquino: Gesù è morto a quell’età per mostrare il suo amore per noi nell’età perfetta della vita; perché era completamente sano; perché, resuscitando così giovane, ci insegna la condizione futura di coloro che resusciteranno nell’ultimo giorno.

Certo, dice Pope, non è un caso che Cristo sia morto, ovviamente, all’età in cui è morto. “Dio non fa nulla arbitrariamente” e i dettagli del Vangelo – per esempio, l’ora della morte di Gesù – ci insegnano molto più della speculazione.

Un modello da imitare
Inoltre, c’è la questione della perfezione (Cristo era perfettamente Dio e completamente uomo). La perfezione può venire meno per eccesso o per difetto. “Si consideri – dice Pope – il caso dell’età: a una persona troppo giovane può mancare maturità fisica o spirituale, mentre ad una persona anziana la mente diventa meno chiaro”.

E poi, nell’epoca in cui ha vissuto San Tommaso d’Aquino (nel XIII secolo), trent’anni erano considerati come il momento della perfezione umana. “È certamente ancora così, anche se sembra che in questi giorni ci voglia molto più tempo per raggiungere la maturità intellettuale ed emotiva”, dice Pope.

San Tommaso dice che il fatto Gesù è morto mentre era nel momento migliore della sua vita, mostra che il suo sacrificio sia stato maggiore. Anche il fatto che non avesse alcuna malattia o imperfezione fisica ha reso maggiore il suo sacrificio.

“È un modello per noi”, dice infine Pope nel suo articolo, “perché dobbiamo dare a Dio, in sacrificio, il meglio di ciò che abbiamo”, proprio come ha insegnato Gesù nella perfezione della propria vita.

da aleteia.org
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NOMINA SUNT SUBSTANTIA RERUM

20/3/2017

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La parola italiana "padre" deriva dal latino "pater", che a sua volta deriva dal termine sanscrito "pati" che significa "recinto di protezione".

"Padre" quindi deriva da "recinto", in quanto il padre è colui che protegge.

Egli delimita anzitutto un limite, un argine, un confine oltre il quale non si può andare. Tutto ciò non va visto come una costrizione, un impedimento che ci opprime o che, peggio ancora, ci priva della nostra libertà, ma come quelle mura di protezione robuste, sicure, solide, affidabili, che ci difendono e ci proteggono dalle minacce e dagli attacchi che provengono dall'esterno. E' un argine finalizzato al nostro bene, perché al di là di esso potremmo imbatterci da soli nei pericoli del mondo.

Il padre, quindi, è l'autorità che stabilisce i no, le regole da rispettare per non rischiare di valicare il limite di ciò che è lecito, buono e giusto.

Quelle regole sono volte al nostro bene, perché ci preservano dai pericoli assicurati.

Come prima, la regola non è una privazione della nostra libertà, anzi ne è il suo pieno compimento, perché garantisce l'ordine nel creato e l'armonia nella nostra vita.

Ma un recinto di protezione è anche tutto ciò contro cui si abbattono i colpi dei nemici scagliati dall'esterno pur di non danneggiare quanto di prezioso è custodito al suo interno.

Il padre, dunque, è la cinta muraria che sa sacrificarsi per la sua famiglia, che sa soffrire, che sa combattere, che sa dare la sua vita, che è pronto a incassare i colpi provenienti dall'esterno, pur di preservare indenni la sua regina e i suoi figli.

​Se infatti la madre insegna ai propri figli come vivere, il padre insegna loro come morire.
Il segreto di una famiglia felice è in questa immagine: un padre che governa e protegge la famiglia, una madre che custodisce la vita e l'unità.

Dario Maria Minotta

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