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REALTA' DIMINUITA

15/7/2016

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by Berlicche

Il gioco del momento è Pokemon Go, credo ne abbiate sentito parlare. Si inquadra con il telefonino quanto circonda, e si vedono sullo schermo sovrapposti al paessaggio i famosi mostriciattoli da acchiappare.
La chiamano realtà aumentata, ma non è così. Non è realtà quella che viene aggiunta dal gioco, è fantasia. La realtà vera è nascosta dietro la bestiolina digitale. Non la si vede più, c'è davanti l'immagine fasulla.
Ci dicono: credete a quello che vi facciamo vedere, vi divertirete. Ma la cosa è seria, perché sempre più quello che ci viene mostrato tende non solo a sovrapporsi, ma a sostituire il reale. Tanto che a chi non ci crede, chi rimane attaccato al vero, viene consigliato di tacere. Viene fatto tacere. E' strano, è diverso, è qualcosa-fobo. Tranquilli, può venire curato. Curiamo anche te, se fosse necessario.

Così noi tutti siamo stirati, divisi, contesi tra  quanto ci dicono i nostri occhi, la nostra intelligenza e quanto ci dicono che dovremmo fare di quello che vediamo. Tra quanto vediamo e quello che ci dicono di vedere.
Mi ha colpito, stanotte, mentre seguivo le notizie che arrivavano da Nizza, la richiesta di non condividere le immagini più cruente. Devo confessare che la mia prima reazione è stata pensare "così sarà più facile minimizzare, edulcorare, fare finta". Oggi ho sentito dire, "E' stato un pazzo". No, la tragedia è proprio la sanità mentale di chi compie questi atti. La follia è pensare che vengano compiuti per ragioni diverse da quelle da loro dichiarate. Al mostro sovrapposto.
E di questo ci rendiamo conto; o forse no, se preferiamo piuttosto credere a quel filtro imposto a quanto accade. Da cui a volte, al di sotto, spuntano frammenti che non ci sappiamo spiegare, e quindi preferiamo ignorare.

E' solo un caso. Ma la vita ne è piena, più di quanto ce ne rendiamo conto.
Dovremmo mettere in dubbio, dare voce a quel disagio di fronte alle assurdità che ci impongono. Che ci è chiesto di accettare senza discutere. Facendo tacere la nostra intelligenza e il nostro cuore. Tutti sappiamo che ci sono maschi e femmine, tutti sappiamo chi uccide e perché, tutti sappiamo le ragioni di certe decisioni di potere...tutti sappiamo, ma non osiamo più dirlo. Non è più possibile dirlo.
La realtà diminuita ha preso il sopravvento, ci hanno ormai presi.
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LO SCHIAVO IDEALE

8/7/2016

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by Berlicche

Lo schiavo ideale non è quello che non si lamenta della sua situazione, ma colui al quale la schiavitù piace. E magari ne fa propaganda, convinto di essere il padrone.
Ne abbiamo ampio esempio guardandoci attorno. Ci sono tanti che un tempo si atteggiavano a ribelli, ma ormai è così evidente che il potere è dalla loro che rimane solo un vezzo. Nel concreto, il potere è passato a reprimere i residui liberi, chi non la pensa come loro.
Chi non la pensa come loro? Tutti quelli che chiamano ancora il bene "bene", l'amore "amore", la vita "vita". Chi pensa che la persona sia sacra. Chi pensa che i bambini nascano da mamma e papà. Insomma, i cultori dell'ovvio, i simpatizzanti del concreto, i seguaci del normale.

Il potere sta imponendo un altro modo di pensare. Prende l'eccezione, l'anomalia, e pretende di considerarla la norma. Fatto questo provvede a perseguitare e proibire ciò che in precedenza era la realtà. Non solo nell'atto, anche nel pensiero.
Un tempo il ritornello era "che male ti fa se..."; oggi si è passati a "se non sei d'accordo, ti faccio male". Usando la forza bruta di una legge che non riconosce niente di più alto di se stessa. L'ultimo caso, per oggi, è quello della clinica belga multata per non avere ucciso una paziente. Sì, perché sapete, nel 2003 il Belgio ha introdotto l'eutanasia, motivandola con pochi casi pietosi; poco più di un decennio dopo si ammazzano i bambini, i pazzi, chiunque ne fa richiesta anche per futili motivi. E' la prima causa di morte; la maggioranza delle volte al "paziente" non viene neanche chiesto il consenso. Non manca poi così tanto all'obbligo della soppressione di chi si pensa inutile o inferiore.

Perché, è chiaro, se una clinica cattolica viene condannata a rimborsare i parenti per essersi rifiutata di ammazzare la vecchia zia, detta clinica sarà obbligata a diventare schiava o a chiudere. Come le agenzie di adozioni che non vogliono affidare bambini a coppie gay, i farmacisti che non vogliono vendere farmaci mortiferi, le scuole che rifiutano l'ideologia gender, prossimamente i tabaccai che non vendono droga. Si tratterà di scegliere tra la propria fede e la vita sociale, il lavoro, una carica. Si tratterà? E' già così: sarà peggio.
Come abbiamo detto molte volte, è questo lo scopo ultimo di quelle lotte per i diritti, condotte da un potere a cui dei diritti non frega niente, ma che vuole schiavi. Possibilmente ideali: ne fa ampia propaganda. "Il domani ci appartiene", cantano gli schiavi felici. Appartenere, considerate bene la scelta delle parole. Una volta che sarà loro, vedremo cosa ne faranno.

Vediamo già torme di anziani impazienti di affidarsi alle mani di chi non vede l'ora di ammazzarli. Sarà punita severamente l'ostetrica che, sollevando il neonato, oserà dire "è un bambino", "è una bambina". Chi prova a mettere su famiglia è già guardato con disprezzo e dissuaso con ogni mezzo; sarà indicato a dito come i folli e i lebbrosi di un'altra era. Se proverà ad educare i figli gli sarà impedito: il nuovo futuro non ammette altri maestri oltre se stesso.
Quel giorno tutto ciò che è male sarà non solo permesso, ma obbligatorio. Ciò che è bene sarà proibito. In altre parole, saremo all'inferno.
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BACIA LA VITA PER COME E' ORA

7/7/2016

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Nella salute e nella malattia, nel successo e nel fallimento... ama!
di PADRE CARLOS PADILLA 

Rendo grazie a Gesù per la vita che ho, per la missione che mi ha affidato, per il dono che mi ha fatto nella vita. Bacio la mia vita per com’è. È l’unico modo di vivere bene il mio cammino.

Non voglio essere il primo, e a volte mi confondo provandoci. Mi sfianco in una lotta per i primi posti, cercando un riconoscimento che mi sfugge, un’ammirazione che poi finisce.

Vorrei dare la mia vita senza che tener conto del risultato finale. Della meta sognata. Del successo che cercavo. Offrire la vita con generosità. Darla e non toglierla a nessuno.

Vorrei vivere nella salute e nella malattia con lo stesso atteggiamento di vita. Vivere la mia missione nelle circostanze in cui mi trovo.

La mia missione ha a che vedere con la mia dedizione. È un atteggiamento di vita. Non consiste nell’ottenere molti successi, nel lasciare molte cose ben fatte. È piuttosto un modo di vivere, di guardare, di amare.

Per questo mi commuove la vita di una madre italiana, Chiara, morta a seguito di una grave malattia. Chi l’ha conosciuta sottolinea il suo atteggiamento pieno d’amore anche nei momenti più difficili, dicendo che Chiara non era come la maggior parte dei malati terminali, che si aggrappano alla vita con tutte le loro forze. Dopo averla vista, la gente tornava a casa confortata. Non assorbiva la vita di chi andava a trovarla, gliela donava.

Donava la propria vita, la offriva con umiltà. Non ci si aggrappava. Non tratteneva per sé ciò che Dio le aveva dato. Confortava chi voleva incoraggiarla. Non consumava la vita di chi andava a consolarla. Offriva la propria vita in una semplice testimonianza d’amore.

Le sue ultime forze sono state offerte con amore. Il suo desiderio di arrivare più in alto, più lontano, era custodito nel suo cuore consacrato a Dio.

Il suo atteggiamento mi ricorda quello di suor Cecilia, monaca carmelitana che ha vissuto la propria malattia con un sorriso sul volto. La chiamavano la monaca del sorriso.

So bene che non è che chi sorride in mezzo alla sofferenza soffra meno, ma so che il suo sorriso fa soffrire di meno chi lo circonda. Non consuma la vita di quanti lo accompagnano. Al contrario, dà loro vita e incoraggia chi va a dare incoraggiamento.

Vorrei vivere sempre così la mia missione. Nella salute e nella malattia, nella croce e nei momenti di gioia. Voglio vivere senza consumare la vita altrui. Senza esaurire le sue energie. Voglio vivere donando, non aspettando sempre qualcosa in cambio della mia dedizione.

Vorrei vivere così, dando speranza e motivazione per continuare a lottare fino alla fine. Dando gioia e motivi per sorridere sempre.

È chiaro che ciò che conta è il mio atteggiamento davanti alla vita. La mia via di santità non consiste nell’essere il primo, nel vincere sempre, nell’avere ragione in ogni momento, nel raggiungere tutto quello che mi propongo.

La mia missione consiste piuttosto nel non darmi mai per vinto, nel cadere e rialzarmi, con un sorriso, partendo dalla mia povertà.

Consiste nel sorridere quando apparentemente non ci sono motivi per essere felici. Se credo nell’amore di Gesù che sostiene la mia vita sarà possibile arrivare alla fine del cammino. Non voglio angosciarmi pensando all’importanza dei successi. Non voglio perdere lo sguardo corretto sulle cose.
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