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CARD. BURKE: AMORIS LATITIA VA ACCOLTA CON RISPETTO. MA NON E' MAGISTERO, LO DICE PAPA FRANCESCO

12/4/2016

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Burke: Amoris Laetitia va accolta con rispetto Ma non è magistero, lo dice papa Francesco
di S,E. Card. Raymond Leo Burke

I media laici ed anche alcuni media cattolici stanno dipingendo la recente Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia “Sull’amore nella famiglia” come una rivoluzione nella Chiesa, come un radicale allontanamento dall’insegnamento e dalla prassi della Chiesa, sul matrimonio e la famiglia, così come trasmesso fino ad ora. Una lettura del documento di questo tipo è sorgente di preoccupazione e di confusione per i fedeli, ed anche potenzialmente di possibile scandalo non solo per i fedeli, ma anche per tutte le persone di buona volontà che guardano a Cristo e alla Chiesa per insegnare e rispecchiare nella vita la verità sul matrimonio ed i suoi frutti, la vita della famiglia, cellula primaria della vita della Chiesa e di ogni società.

E’ anche un cattivo servizio alla natura del documento, quale frutto del Sinodo dei Vescovi, un incontro di Vescovi che rappresenta la Chiesa universale “per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo” (can. 342). In altre parole, sarebbe in contraddizione con il lavoro del Sinodo generare confusione su ciò che la Chiesa insegna, tutela e promuove con la sua disciplina. L’unica chiave per la corretta interpretazione di Amoris Laetitia è l’insegnamento costante della Chiesa e della sua disciplina che protegge e promuove questo insegnamento. Papa Francesco ha chiarito fin dall’inizio che l’Esortazione Apostolica Post-sinodale non è un atto di Magistero (cf. n. 3). 

La tipologia stessa del documento conferma la stessa cosa. È scritto come una riflessione del Santo Padre sul lavoro delle ultime due sessioni del Sinodo dei vescovi. Per esempio, nel capitolo ottavo, che ad alcuni piace interpretare come il progetto di una nuova disciplina con implicazioni ovvie per la dottrina della Chiesa, Papa Francesco, citando l’Esortazione Apostolica post-sinodale, Evangelii Gaudium, afferma:
«Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”» (n. 308).

In altre parole, il Santo Padre sta proponendo ciò che lui personalmente ritiene essere la volontà di Cristo per la sua Chiesa, ma egli non intende imporre il suo punto di vista né condannare coloro che insistono su quella che lui chiama “una pastorale più rigida”. La natura personale cioè non magisteriale del documento emerge anche dal fatto che le citazioni riportate provengono principalmente dal documento finale della sessione 2015 del Sinodo dei Vescovi, nonché dai discorsi e dalle omelie di Papa Francesco stesso. Non si ha un impegno costante di collegare il testo in generale o tali citazioni al Magistero, ai Padri della Chiesa e agli altri autori provati.

Oltretutto, come evidenziato sopra, un documento che è il frutto del Sinodo dei Vescovi deve essere sempre letto alla luce dello scopo del Sinodo stesso, ossia la tutela e la promozione di ciò che la Chiesa ha sempre pensato e praticato conformemente al suo insegnamento. In altre parole, un’Esortazione Apostolica post-sinodale, per la sua propria natura, non propone una nuova dottrina e una nuova disciplina, ma applica la dottrina e la disciplina costanti alle situazioni del mondo contemporaneo.

Allora come deve essere recepito questo documento? Prima di tutto, deve essere accolto con quel profondo rispetto dovuto al Romano Pontefice in quanto Vicario di Cristo, che è, secondo le parole del Concilio Ecumenico Vaticano II, “perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen Gentium, n. 23). 

Alcuni commentatori confondono questo rispetto con un presunto obbligo di credere “per fede divina e cattolica” (can. 750, § 1) tutto ciò che è contenuto nel documento. Ma la Chiesa cattolica, mentre insiste sul rispetto dovuto all’Ufficio pietrino, in quanto istituito da Nostro Signore stesso, non ha mai sostenuto che ogni affermazione del Successore di San Pietro debba essere ricevuta come parte del suo Magistero infallibile.

La Chiesa storicamente è stata sensibile a quelle tendenze erronee che interpretavano ogni parola del Papa come vincolante per la coscienza, il che è certamente assurdo. Secondo l’insegnamento tradizionale, il Papa ha due “corpi”, uno in quanto membro individuale dei fedeli e perciò soggetto a mortalità e l’altro in qualità di Vicario di Cristo sulla Terra, e questo, secondo la promessa di Nostro Signore, perdurerà fino al suo ritorno nella gloria. Il primo corpo è il suo corpo mortale; il secondo è l’istituzione divina dell’Ufficio di San Pietro e dei suoi successori. I riti liturgici e gli abiti che rivestono il Papa sottolineano tale distinzione, cosicché una riflessione personale del Papa, mentre è ricevuta con il rispetto dovuto alla sua persona, non viene confusa con la fede vincolante dovuta all’esercizio del Magistero. Nell’esercizio del Magistero, il Romano Pontefice quale Vicario di Cristo agisce in una ininterrotta comunione con i suoi predecessori a partire da San Pietro.

Ricordo la disputa che accompagnò la pubblicazione delle conversazioni tra il beato Paolo VI e Jean Guitton nel 1967. La preoccupazione risiedeva nel pericolo che i fedeli avrebbero confuso le riflessioni personali del Papa con l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Se da un lato il Romano Pontefice ha delle riflessioni personali che possono essere interessanti e stimolanti, la Chiesa deve essere sempre vigile nel segnalare che la pubblicazione di tali riflessioni è un atto personale e non un esercizio del Magistero papale. Diversamente, quanti non comprendono la distinzione o non la vogliono comprendere, presenteranno tali riflessioni ed anche aneddoti del Papa come dichiarazioni di un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa, causando grande confusione nei fedeli. Una tale confusione è dannosa per i fedeli e indebolisce la testimonianza della Chiesa quale Corpo di Cristo nel mondo.

Con la pubblicazione di Amoris Laetitia, l’obiettivo dei pastori e di coloro che insegnano la fede è di presentarla nel contesto dell’insegnamento della disciplina della Chiesa, così che sia a servizio dell’edificazione del Corpo di Cristo nella sua prima cellula vitale, cioè il matrimonio e la famiglia. In altre parole, l’Esortazione Apostolica post-sinodale può essere correttamente interpretata, in quanto documento non magisteriale, solamente usando la chiave del Magistero, come spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 85-87).

La dottrina ufficiale della Chiesa infatti fornisce l’insostituibile chiave interpretativa dell’Esortazione Apostolica, di modo che possa veramente servire al bene di tutti fedeli, unendoli ancor più strettamente a Cristo, che è l’unica nostra salvezza. Non ci può essere opposizione o contraddizione tra la dottrina della Chiesa e la sua prassi pastorale, dal momento che come ci ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica, la dottrina è naturalmente pastorale: 

“La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell'Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo Popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l'autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i pastori del carisma d'infallibilità in materia di fede e di costumi. L'esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità” (n. 890).

Si può vedere la natura pastorale della dottrina, in maniera eloquente, nell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Cristo stesso mostra la profonda natura pastorale della verità della fede nel suo insegnamento sul santo Matrimonio nel Vangelo (cf. Mt 19, 3-12), nel quale insegna nuovamente il piano di Dio sul matrimonio “fin dal principio”. Durante gli ultimi due anni, nei quali la Chiesa è stata coinvolta in una intensa discussione sul matrimonio la famiglia, ho richiamato spesso un episodio della mia infanzia. Sono cresciuto in una fattoria familiare nelle campagne del Wisconsin; ero il più giovane di sei figli di buoni genitori cattolici. La Messa domenicale delle 10 presso la nostra parrocchia nelle vicinanze del paese era chiaramente il cuore della nostra vita di fede; a un certo punto, mi sono accorto di una coppia, amici dei miei genitori provenienti dalla fattoria vicina, che era sempre presente alla Santa Messa, ma non riceveva mai la Santa Comunione. Quando chiesi a mio padre perché non ricevessero mai la Santa Comunione, egli mi spiegò che l’uomo era sposato con un’altra donna e perciò non poteva ricevere i Sacramenti.

Ricordo chiaramente che mio padre mi spiegò la prassi della Chiesa, nella fedeltà al suo insegnamento, in un modo sereno. La disciplina ovviamente aveva un significato per lui e aveva un significato per me; infatti la sua spiegazione fu per me la prima occasione di riflettere sulla natura del matrimonio come legame indissolubile tra il marito la moglie. Nello stesso tempo devo dire che il parroco trattava la coppia coinvolta con il più grande rispetto, anche se loro prendevano parte alla vita parrocchiale nella modalità appropriata allo stato irregolare della loro unione. Da parte mia, ho sempre avuto l’impressione che, sebbene debba essere stato veramente difficile non poter ricevere i Sacramenti, loro erano tranquilli nel vivere secondo la verità della loro situazione matrimoniale.

Dopo oltre quarant’anni di vita e ministero sacerdotale, per ventuno dei quali ho svolto il ministero episcopale, ho conosciuto molte altre coppie in situazioni irregolari, per le quali io o gli altri miei confratelli sacerdoti abbiamo avuto una cura pastorale. Sebbene la loro sofferenza fosse evidente ad ogni anima compassionevole, ho visto sempre più chiaramente negli anni che il primo segno di rispetto e amore nei loro confronti era dir loro la verità con amore. In quel modo, l’insegnamento della Chiesa non è qualcosa che li affligge ancora di più, ma in verità li libera per amare Dio e il loro prossimo.

Potrebbe essere di aiuto illustrare con un esempio la necessità di interpretare il testo di Amoris Laetitia alla luce del Magistero. Nel documento ci sono frequenti riferimenti all’ “ideale” del matrimonio. Una tale descrizione del matrimonio può essere fuorviante. Può condurre il lettore a pensare al matrimonio come ad un’idea eterna, alla quale gli uomini e le donne debbano più o meno conformarsi nelle circostanze mutevoli. Ma il matrimonio cristiano non è un’idea; è un sacramento che conferisce la grazia a un uomo e una donna per vivere in un fedele, permanente e fecondo amore reciproco. Ogni coppia cristiana validamente sposata, dal momento del consenso, riceve la grazia di vivere l’amore che si sono promesso reciprocamente. Siccome tutti soffriamo degli effetti del peccato originale e poiché il mondo in cui viviamo si fa fautore di una visione completamente differente del matrimonio, gli sposi sono tentati di tradire la realtà obiettiva del loro amore. Ma Cristo dà sempre loro la grazia di rimanere fedeli a quell’amore fino alla morte. La sola cosa che li può limitare nella loro risposta fedele è venir meno nel corrispondere alla grazia data loro nel sacramento del Santo Matrimonio. In altre parole, la loro difficoltà non è con una qualche idea che gli ha imposto la Chiesa. La loro lotta è con quelle forze che li conducono a tradire la realtà della vita di Cristo in loro. Negli anni e particolarmente durante gli ultimi due anni, ho incontrato molti uomini e donne che per svariate ragioni, si sono separate o hanno divorziato dai loro coniugi, ma che stanno vivendo nella fedeltà alla verità del loro matrimonio e stanno continuando a pregare ogni giorno per l’eterna salvezza dello sposo, anche se lui o lei li ha abbandonati. Nelle nostre conversazioni, essi riconoscono la sofferenza in cui sono coinvolti, ma soprattutto la profonda pace che provano nel rimanere fedeli al proprio matrimonio.

Alcuni ritengono che una tale reazione alla separazione o al divorzio sia un eroismo al quale la media dei fedeli non può giungere, ma in verità noi siamo tutti chiamati a vivere eroicamente, in qualunque stato di vita. Papa San Giovanni Paolo II, a conclusione del Grande Giubileo del 2000, riferendosi alle parole di Nostro Signore che concludono il Discorso della Montagna – “Siate perfetti come il Padre vostro” (Mt 5, 48) - ci ha insegnato la natura eroica della vita quotidiana in Cristo con queste parole:

“Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni « geni » della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa « misura alta » della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Novo Millennio Ineunte, no. 31).

Incontrando uomini e donne che, malgrado una rottura della vita matrimoniale, rimangono fedeli alla grazia del sacramento del Matrimonio, io sono stato testimone della vita eroica che la grazia rende a noi possibile ogni giorno.

Sant’Agostino di Ippona, in una predica per la festa di San Lorenzo, Diacono e Martire, nel 417, utilizza una bellissima immagine per incoraggiarci nella nostra cooperazione con la grazia che Nostro Signore ha ottenuto per noi con la sua Passione e Morte. Egli ci garantisce che nel giardino del Signore non ci sono solo le rose dei martiri, ma anche i gigli delle vergini, le edere degli sposi e le viole delle vedove. Egli perciò conclude che nessuno dovrebbe disperare riguardo alla propria vocazione perché “Cristo è morto per tutti” (Sermone 304). La ricezione di Amoris Laetitia, nella fedeltà al Magistero, possa confermare gli sposi nella grazia del sacramento del Santo Matrimonio, così che essi possano essere segno dell’amore fedele e duraturo di Dio per noi “fin dal principio”, un amore che ha raggiunto la sua piena manifestazione dell’Incarnazione redentiva del Figlio di Dio. Che il Magistero, quale chiave della sua comprensione, faccia sì che “il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 890). 
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COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI? RESTA IL ''NO'', IN OGNI CASO IL PAPA NON HA CAMBIATO

9/4/2016

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Granados: Comunione ai divorziati risposati? Resta il "no" in ogni caso, il Papa non ha cambiato
di Riccardo Cascioli


«La peculiarità della Amoris Laetitia va cercata nello slancio pastorale e misericordioso di papa Francesco, nella premura per tutte le famiglie, da accompagnare nella Chiesa, nell’educazione dei figli. Ma per quanto riguarda l’ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia non ci sono novità rispetto al passato». È il giudizio sintetico del professore José Granados, Vicepreside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia presso l’Università Lateranense, dove è anche e professore ordinario di Teologia del matrimonio e della famiglia. Il professor Granados è stato anche nominato dal Papa quale consultore della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi del 2015.

Professor Granados, dopo le tante discussioni in questi due anni e mezzo, era fatale che nell'esortazione, che pure è lunghissima e tratta molti temi, tutti andassero a cercare gli eventuali cambiamenti riguardo la comunione ai divorziati risposati. Malgrado i titoli di molti giornali facciano pensare il contrario, nel testo però questo cambiamento non sembra esserci. Mai si parla di ammissione all'Eucaristia.
La lettura del capitolo ottavo, dove si parla di questo tema, porta alla conclusione che non c’è stato cambiamento riguardo a Familiaris Consortio 84 e Sacramentum Caritatis 29. Infatti, se il Papa volesse introdurre un cambiamento in una disciplina così importante, con radici dottrinali nel Vangelo stesso, sarebbe necessaria una sua affermazione chiara. Ma in nessuna parte del documento troviamo scritto che i divorziati in nuova unione civile possono, almeno in qualche caso, essere ammessi all’Eucaristia senza osservare la possibilità aperta da FC 84 di vivere in continenza. Con il suo slancio pastorale e misericordioso il Papa ha voluto dunque insistere sul fatto che non dobbiamo giudicare questi fratelli e sorelle, perché non conosciamo i condizionamenti, il grado di conoscenza e responsabilità delle persone; dobbiamo invece metterci in cammino con loro per integrarli pienamente nella Chiesa. D’altra parte il testo cita (al n. 302), approvandolo, un documento del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi dove si spiega molto bene la questione. La Chiesa non ammette queste persone, non per la loro colpevolezza soggettiva, ma perché il loro stato oggettivo di vita è in contraddizione con il sacramento del matrimonio e dell’Eucaristia. Il problema non è la colpevolezza soggettiva delle persone coinvolte, ma il bene comune della Chiesa, la confessione ecclesiale di fede in Gesù davanti al mondo (che avviene proprio nella pratica sacramentale), e il mantenere chiara la meta ultima a cui conduce il cammino pastorale di misericordia: vivere la vita piena del Vangelo. La norma rimane dunque per ogni caso, ed è una grande luce pastorale per la Chiesa, perché indica la meta verso cui camminare e accompagnare queste persone per condurli alla vita piena di Gesù.

Possiamo dire allora che la «linea Kasper» esce fortemente ridimensionata?
La proposta del cardinale Kasper, possiamo dire, è stata recepita nella sua visione positiva e bella del Vangelo della famiglia. Ma non nel punto concreto che si riferiva alla possibile ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia. Su questo punto non c’è nessuna affermazione chiara del Papa che indichi un cambiamento della disciplina, che quindi rimane in vigore come una luce per guidare la pastorale misericordiosa della Chiesa con queste persone. D’altronde, questa era stata anche la via indicata dal Sinodo: aprire un cammino paziente per integrare le persone pian piano, con sguardo misericordioso, alla pienezza della vita ecclesiale e del Vangelo di Gesù. 

Quali sono allora le novità di questa esortazione apostolica, che lei giudica positive?
C’è soprattutto il grande slancio pastorale e misericordioso di Papa Francesco, che ci invita ad uscire e proclamare il vangelo della famiglia a coloro che sono più lontani. In questo contesto ci offre una bella esposizione di 1Cor 13, l’inno alla carità di San Paolo, per poter sviluppare un’antropologia fondata sulla verità dell’amore, rivelato pienamente in Gesù. C’è inoltre un’insistenza grande sull’accompagnamento delle famiglie, piccole chiese domestiche, nella grande famiglia che è la Chiesa. Indicherei, per ultimo, l’aver guardato direttamente il grande tema dell’educazione dei figli, ampliando così i temi trattati al Sinodo, e aprendo la riflessione su un argomento di grande rilevanza per il futuro, come aveva ormai notato Benedetto XVI nei suoi discorsi sull’educazione.

Le discussioni però e la “guerra delle interpretazioni”, inevitabilmente, si stanno già concentrando sul capitolo 8, dove si prendono in considerazione i casi irregolari. Quali sono, a suo avviso, le parti più problematiche o poco chiare che possono dare adito a interpretazioni contrastanti?
Se si separa il testo dal contesto della discussione sinodale oppure dalla sua continuità con il magistero precedente, certamente ci possono essere interpretazioni sbagliate. Io direi che per interpretare questo capitolo bisogna tenere conto, in primo luogo, della Relatio Finalis dei due Sinodi, citati continuamente nel documento. Il Papa, che tanto insiste sulla sinodalità, ha voluto raccogliere il messaggio del Sinodo, e non andare oltre. In secondo luogo, è importante sottolineare la continuità con il magistero precedente, specialmente di San Giovanni Paolo II, che Papa Francesco ha chiamato "il Papa della famiglia".
Bisogna in tutte le affermazioni ricordare che il Papa non vuole giustificare il peccato né le situazioni di peccato, ma aiutare la persona perché possa tornare alla vita piena di Gesù. Si tratta di comprendere le persone, di saper guardare i loro problemi, di accettare la difficoltà culturale che c’è per vivere la verità dell’amore... per ricondurli a Gesù e al suo Vangelo. Il Papa insiste che lo sguardo ultimo a cui la Chiesa vuole condurre le persone è la vita piena del Vangelo, il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, senza riduzioni della sua grandezza. Penso che con questi criteri si possono evitare molti malintesi.

C'è il rischio di poterci leggere un allentamento dell'oggettività della norma morale, in contrasto con la Veritatis Splendor di Giovanni Paolo II?
Il Papa ha detto ripetute volte che non voleva cambiare la dottrina. L’Enciclica Veritatis Splendor è un documento dottrinale di alto livello sulla teologia morale, che il Papa dunque non ha voluto negare, né una esortazione apostolica con un intento pastorale sarebbe il luogo per farlo. Questo vuol dire che il testo deve interpretarsi sempre alla luce di Veritatis Splendor. Così, quando il testo afferma che non ci sono norme assolute, non si riferisce certamente alle norme che vietano atti intrinsecamente cattivi, perché affermare che ci siano queste norme è il principale intento di Veritatis Splendor. Inoltre, il documento stesso raccoglie queste norme, quando dice, ad esempio, con forza, al n. 245: “Mai, mai, mai, prendere il figlio come ostaggio”. Il Papa stesso ha dunque individuato norme assolute come del resto ha già fatto con il divieto di tortura, di appartenenza ad associazioni mafiose, la pedofilia... 
In realtà, se vediamo il contesto, la chiave per capire di quali norme si tratti, è data dal n. 299, dove si parla delle norme disciplinari sui sacramenti che la Chiesa ha autorità per cambiare, come ad esempio il fatto che un divorziato in nuova unione possa essere padrino o madrina di battesimo. A questo, si dice, non si può dare una norma canonica generale, ma s’invita ad un discernimento, che tenga conto se la persona sta facendo un cammino verso la conversione.

C'è chi ha notato l'ambiguità di alcune note, a proposito di disciplina dei sacramenti e di coscienza. Lei cosa ne dice?
Una delle note (351) del documento apre una domanda generale a cui non si offre poi una risposta specifica. Si dice che in certi casi la Chiesa può dare l’aiuto dei sacramenti a chi vive in una situazione di peccato obiettivo, se non è soggettivamente colpevole. È un’affermazione che non si applica dunque direttamente al caso dei divorziati in nuova unione civile. Questo caso è specifico e differente da altre situazioni obiettive di peccato, infatti, perché in esso si vive in contraddizione con un sacramento, come ha insegnato Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis29. Il Papa Francesco, dunque, non specificando di più, non ha neanche cambiato la disciplina stabilita. Sarebbe stato strano, infatti, che egli avesse proposto questo cambiamento così importante in una nota a piede di pagina.

Lei che ha partecipato al Sinodo, trova che l'esortazione rispecchi fedelmente quanto emerso nel dibattito sinodale o la sensibilità del Papa rispecchia maggiormente la sintonia con una tendenza particolare?
All’inizio del documento (n. 3) il Papa critica, per così dire, due atteggiamenti opposti che possono essere stati presenti al Sinodo: coloro che vogliono cambiamenti a qualsiasi costo senza riflessione, e coloro che vogliono solo applicare normative. Penso che Francesco indichi dunque la chiave di una riflessione ragionata alla luce del Vangelo di Gesù e in fedeltà alla Chiesa (n. 3). In questo senso, più che vedere una sintonia con una tendenza o un’altra, penso che il Papa abbia voluto indicare i criteri, mostrandosi sempre in sintonia con il documento finale del Sinodo, che tante volte egli si accontenta di citare lungamente. Un criterio chiave per leggere il testo è dato appunto dai due documenti sinodali, che il Papa ha voluto accogliere ed esplicitare, in tutto il suo impegno pastorale, senza andare oltre le linee indicate dal Sinodo. 

Mettendo a confronto la Familiaris Consortio e la Amoris Laetitia, quali sono - brevemente - le principali differenze?
Direi che in Amoris Laetitia si vede la preoccupazione molto grande per avvicinarsi ai lontani, per fare tutto il possibile per attirarli verso la vita del Vangelo. Questo era presente anche in Familiaris Consortio, molte volte citata dal documento, ma non con così tanto sviluppo. Ci sono anche sfide nuove a cui Amoris Laetitia risponde, perché si è aggravata la difficoltà culturale riguardo alla famiglia (penso, ad esempio, all’ideologia di gender). Le linee generali di Familiaris Consortio sono confermate, sviluppate e illuminate: la visione della persona alla luce dell’amore, l’importanza di una cultura della famiglia, il desiderio di partire dal Vangelo per illuminare la situazione odierna...

Il concetto di "bene possibile" e la valorizzazione del bene anche in situazioni oggettivamente sbagliate - che nell'esortazione sono richiamati - sono solo una preoccupazione pedagogica o rischiano di essere gravemente fraintese?
Penso che per rispondere a questa domanda sia importante ricordare il rifiuto esplicito del documento (n. 295) per una gradualità della legge, affermando con Familiaris Consortio 34 la “legge della gradualità”. FC 34 rifiuta che ci siano “vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse”. Secondo la “gradualità della legge”, Dio richiederebbe solo gradualmente l’esigenza della legge alle persone con difficoltà per compierla; la legge non obbligherebbe quindi tutti allo stesso modo. La legge della gradualità, invece, assume pedagogicamente il concetto di legge, senza contraddire le sue esigenze normative minimali. Queste esigenze, infatti, identificano ciò che distrugge i beni essenziali della persona, e hanno così proprio il compito di permettere questa pedagogia. Le affermazioni di questo documento devono capirsi secondo le idee di FC 34, che Amoris Laetitia ha voluto esplicitamente confermare. 
Riguardo alla valorizzazione del bene in situazioni sbagliate il testo certamente farebbe problema se si interpretasse accettando il bene della situazione in se stessa. Queste situazioni (come la convivenza, l’adulterio, ecc) hanno una logica contraria al matrimonio, e quindi sono un ostacolo al cammino verso l’amore. Ma i testi possono interpretarsi anche come valorizzazione del bene che è nel cuore della persona che vive in quella situazione. La situazione è un ostacolo per l’amore, ma il desiderio di amore pieno che è nel cuore dell’uomo è seminato da Dio ed è buono. Gesù con la samaritana ha usato appunto questo metodo: parlare al desiderio di amore pieno del cuore della donna, per poi fare vedere che la decisione presa da lei (non è il tuo marito) e la situazione in cui si trovava erano un ostacolo per l’amore.
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''AMORIS LAETITIA'' L'ENCICLOPEDIA DI PAPA FRANCESCO SULLA FAMIGLIA

8/4/2016

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Ecco l’Esortazione apostolica "Amoris laetitia" L’enciclopedia di papa Francesco sulla famiglia 
di Massimo Introvigne

È stata pubblicata l'8 aprile l'esortazione apostolica post-sinodale sull'amore nella famiglia Amoris laetitia, formalmente datata 19  marzo 2016, Festa di San Giuseppe, che fa seguito ai due Sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015 e consta di nove capitoli, 325 paragrafi e 264 pagine complessive. Prima di provare a presentare questo testo enciclopedico, va premessa obbligatoriamente un'osservazione. 

Il Papa stesso all'inizio del documento mette in guardia contro tutte le «letture generali affrettate» e ogni commento che non parta da un esame attento dell'intero documento. Un esame, evidentemente, impossibile a caldo. Nello stesso tempo è evidente che testate quotidiane come la nostra non possono esimersi dal presentare subito il testo ai lettori. Quella che propongo dunque è una presentazione, spero fedele, della semplice “architettura” del documento, che privilegia la struttura generale sugli aspetti particolari. Non è, in nessun modo, un commento, né ovviamente presenta le mie opinioni o reazioni al testo, che tutti dovremo approfondire e digerire nei prossimi giorni. Se posso dare un consiglio, è proprio quello di leggere con calma l'intero documento, che ha fra l'altro numerosi passaggi dotati di una loro bellezza anche letteraria. 

Il fatto che la Sala stampa della Santa Sede abbia fornito anche una sintesi è una cortesia per i giornalisti. Ma si rivelerà un boomerang se i cronisti leggeranno, o peggio commenteranno, solo la sintesi senza accedere al testo completo, che tra l'altro interviene su temi di grande attualità - uno per tutti: le leggi che riconoscono le unioni civili fra persone dello stesso sesso sostanzialmente equiparandole al matrimonio, che sono condannate senza ambiguità - di cui nel riassunto sintetico non si trova nessuna menzione. Trattandosi di fare emergere l'architettura del testo, occorre seguire la sua divisione in nove capitoli. 

Una premessa indica che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero», e precisa che «nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano». E il Papa mette in guardia sia contro il «desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento», sia contro «l’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da ìalcune riflessioni teologiche».

Il primo capitolo presenta alcuni insegnamenti sull'amore familiare tratti dalla Sacra Scrittura. Il Papa nota che, proprio all'inizio della Bibbia e contro ogni prospettiva gnostica, è rivendicata la bontà della differenza sessuale fra l'uomo e la donna. «Sorprendentemente, l’“immagine di Dio” ha come parallelo esplicativo proprio la coppia “maschio e femmina”». Francesco segue poi la traccia del Salmo 128, commentandolo passo passo. Più in generale, il capitolo nota che la Scrittura è una storia di famiglie, con le loro gioie e i loro dolori. 

Lo sguardo della Parola di Dio sulla famiglia è molto realistico. «Non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino». La Scrittura esalta la bellezza dell'amore sponsale e la gioia dei figli, ma presenta anche «un sentiero di sofferenza e di sangue» che la famiglia deve attraversare nella storia, e che spesso riesce a superare grazie a «una virtù piuttosto ignorata in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali: la tenerezza».

Nel secondo capitolo, dalle vette del messaggio biblico il Papa scende ai «piedi per terra» della realtà attuale, che vede l'istituzione familiare ampiamente in crisi, anche se non va sottovalutata la sua capacità di resistere e va evitata una cultura della lamentela sterile. Il Papa cita fra le cause della crisi l'accelerazione del «ritmo di vita attuale» - un tema caro ai sociologi che studiano il tempo - e l'individualismo che induce molti giovani a diffidare del matrimonio e della famiglia o ad averne paura. Ma «come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di  inferiorità di fronte al degrado morale e umano». Tra le conseguenze della crisi, il Papa ricorda la rottura dell'unità familiare spesso causata dalle migrazioni, la mentalità antinatalista, l'aborto, l'eutanasia, la fecondazione artificiale, la pornografia, la droga, l'abuso dei minori, la trascuratezza verso i disabili e gli anziani, la violenza sulle donne di cui molti parlano evitando però di denunciare le sue forme costituite dalla «pratica dell’“utero in  affitto” o la strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica».

«Contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto» sono «inaccettabili anche in luoghi con alto tasso di natalità, ma è da rilevare che i politici le incoraggiano anche in alcuni Paesi che soffrono il dramma di un tasso  di natalità molto basso». Per le autorità, questo è «agire in un modo contraddittorio e venendo meno al proprio dovere». Dura la condanna anche di «un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia». Ed è grave quando la teoria del gender cerca di «imporsi come un pensiero unico che determina anche l’educazione dei bambini». Occorre evitare la tentazione di «non riconoscere più la decadenza culturale» o di rinunciare a denunciarla. D'alto canto, è difficile far comprendere, specie ai giovani, la bellezza dell'amore familiare «solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla Grazia».

Il terzo capitolo presenta il Magistero della Chiesa sulla famiglia. Un'ampia sintesi rivendica il carattere profetico e sempre attuale dell'enciclica Humanae vitae del Beato Paolo VI è dei testi di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ribadisce che la Chiesa non può in alcun modo rinunciare ad annunciare la sua dottrina secondo cui il matrimonio è indissolubile, perché «nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo». Questo non toglie che forme di impegno positivo almeno potenziali possano essere riscontrate - ma al fine di accompagnarle verso la «conversione» e dove possibile verso «il sacramento del matrimonio» - anche tra coloro che vivono forme di convivenza diverse da quella matrimoniale.«Mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».
Il quarto capitolo è un inno all'amore matrimoniale, fatto di pazienza, amabilità, tenerezza, fiducia, perdono. Non manca un accenno alle gioie della bella tavola e della buona cucina, con una citazione del film prediletto dal Papa, «Il pranzo di Babette». Dal Concilio Vaticano II e dal ricco Magistero di papa Wojtyla sul corpo umano si ricava l'insegnamento secondo cui il matrimonio non si riduce alle sue componenti affettive e sessuali, tuttavia queste non vanno sottovalutate, ma vanno anzi valorizzate. Se «non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si spersonalizza ed anche si colma di patologie», in generale «in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi». 

Verginità e celibato sacerdotale non negano questo insegnamento, ma con la loro speciale testimonianza, che non è per tutti, lo rafforzano. Il Papa accenna pure alla «trasformazione dell’amore» negli anziani, quando «il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni». «L'aspetto fisico muta, ma questo non è un motivo perché l’attrazione amorosa venga  meno. Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore».

Il quinto capitolo presenta la fecondità dell'amore: la bellezza della gravidanza, della nascita, delle relazioni familiari che si estendono ai nonni, ai fratelli, alle sorelle, agli zii e si allargano ad abbracciare nella solidarietà politica ed ecclesiale i più poveri e i più bisognosi. Si fa anche cenno al fatto che la nostra è spesso una «società senza padri», che ha assoluto bisogno di ritrovare il senso sia dell'essere padre sia dell'essere figlio. 
Nel sesto capitolo il Papa affronta il problema della pastorale familiare, rilevando come spesso i sacerdoti non abbiamo una preparazione sufficiente per fare fronte alle sfide che si pongono alla famiglia nel XXI secolo. Se sono poco preparati i sacerdoti, e va quindi migliorata la formazione sul punto nei seminari, anche i laici e i fidanzati arrivano spesso mal preparati al matrimonio, a causa della cattiva qualità dei corsi prematrimoniali nelle parrocchie, che andranno dunque rivisti e riformati. I sacerdoti dovranno anche imparare ad accompagnare i primi anni di matrimonio, spesso difficili, i vedovi, e le persone separate o divorziate. Dopo avere sottolineato l'importanza della recente riforma della procedura canonica per il riconoscimento della nullità matrimoniale, il Papa invita a ribadire anzitutto che «il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi». 

Nello stesso tempo, «ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale. Queste situazioni esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità», mai però a scapito della «testimonianza circa l'indissolubilità matrimoniale», cui la Chiesa non può rinunciare. Un rapido cenno è dedicato alle persone omosessuali, che vanno accolte, come insegna il «Catechismo della Chiesa cattolica» con «rispetto, compassione e delicatezza». 

Quanto però al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, il Papa fa sue integralmente le conclusioni del Sinodo del 2015. «Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia ed è inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».

Il settimo capitolo è dedicato all'educazione. Ribadisce i principi della dottrina sociale della Chiesa in materia di libertà di educazione e presenta elementi di pedagogia per fare fonte alla crisi educativa attuale. Afferma che la Chiesa oggi accetta l'educazione sessuale, purché non abbia come risultato quello di «banalizzare e impoverire la sessualità» e si colleghi a una integrale «educazione all'amore». È sbagliato educare al «sesso sicuro» insegnando a usare gli anticoncezionali, perché così si promuove «un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza».

Il capitolo ottavo era certamente molto atteso, perché è quello che riguarda le situazioni di fragilità - in particolare quelle dei divorziati risposati - e il loro statuto nella Chiesa. Deludendo certamente qualche aspettativa giornalistica, il Papa afferma che non ci si doveva aspettare «da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi». Si possono ammettere alla comunione, in alcuni casi, i divorziati risposati? Il Pontefice risponde appunto di non volere promulgare una «nuova normativa». Vescovi e sacerdoti dovranno ribadire le «norme generali» per cui il matrimonio è indissolubile e il divorzio è sempre un male. 

Nello stesso tempo è loro affidato «un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari». «I divorziati che vivono una nuova unione possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento» dei singoli casi, dove colpe, responsabilità e «circostanze attenuanti» possono essere molto diverse. Il discernimento «dovrebbe riconoscere che, poiché il “grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi», e questo - precisa una nota a piè di pagina - «nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave».

Francesco invita «i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale». Ai pastori, il Papa raccomanda la «logica della misericordia», la quale considera che, «pur conoscendo  bene la norma», «in determinate circostanze le persone trovano grandi  difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento  pastorale,  pur tenendo conto della coscienza rettamente  formata delle persone, deve farsi carico di queste  situazioni».

Infine, il nono capitolo presenta la spiritualità coniugale e familiare, e riafferma con forza che la condizione matrimoniale non è un ostacolo e neppure una via minore alla santità.«Coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica». La preghiera conclusiva del lungo documento è un esempio di questa spiritualità.

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NON MI POSSO COMUNICARE... MI SALVERO'?

4/4/2016

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La Comunione eucaristica è la perfetta unione del cristiano con Dio, ma non è l'unica: ci sono la preghiera, la carità, la Parola di Dio... e soprattutto la sua misericordia
di PADRE HENRY VARGAS HOLGUÍN

Il Signore contempla emozionato il minimo progresso di buona volontà sulla via della conversione caricandosi la croce. Il Signore gioisce vedendo che si permette a un tenue raggio della sua luce divina di entrare nell’anima.

Il cristiano che NON PUÒ confessarsi per qualsiasi motivo e che quindi non si può comunicare è invitato, nel suo dolore, a permettere in qualche modo che quella luce divina, pur se tenue, illumini tutta la sua interiorità.

La persona che non si può confessare farebbe male ad aumentare la distanza o l’abisso che ha stabilito e che lo allontana da Dio; al contrario, farebbe bene a sforzarsi di ridurre quella distanza.

Dio non spezzerà una canna incrinata né spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (Is 42, 3). Matteo descrive nel suo Vangelo che in Gesù si dà compimento a questa profezia (Mt 12, 20). Ciò significa che il Servo di cui Isaia dice che non spezzerà una canna incrinata né spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta è Gesù.

L’apostolo Pietro è stato una delle canne incrinate quando ha rinnegato il Signore. Come poteva quell’uomo diventare poi la pietra sulla quale Gesù avrebbe costruito la sua Chiesa? La risposta è nel ministero del Signore, che ha ripristinato con cura Pietro e gli han detto “Pasci le mie pecolre”: altre canne incrinate o stoppini dalla fiamma smorta sono stati Maria Maddalena, il buon ladrone, l’adultera, Zaccheo, Matteo…

L’immagine dello stoppino dalla fiamma smorta serve a indicare la persona la cui testimonianza è diventata inefficace, ma che Gesù cercherà sempre di ripristinare perché continui a brillare.

La canna incrinata e lo stoppino dalla fiamma smorta rappresentano ogni classe di miserie, pene e dolori a cui è soggetta l’umanità.

Dio non finirà di spezzare la canna già incrinata; al contrario, si china su di essa, la raddrizza con estrema cura e le dà la forza e la vita che le mancano. Non spegnerà neanche lo stoppino che sembra estinguersi, ma impiegherà tutti i mezzi perché torni a illuminare. È questo l’atteggiamento di Gesù davanti agli uomini.

La misericordia di Gesù per gli uomini non è venuta meno neanche un istante, malgrado le ingratitudini, le contraddizioni e gli odi che ha incontrato. Il suo amore per gli uomini è profondo perché si preoccupa dell’anima per guidarla, con aiuti efficaci, alla vita eterna. E quell’amore di Cristo è universale, immenso, e vuole estendersi a tutti.

È la stessa cosa che si esprime con l’immagine del buon pastore. Egli va a cercare la pecorella smarrita, e se questa si lascia trovare e aiutare confidando nel suo pastore, Questi la salverà.

Egli è il Buon Pastore di tutte le anime, conosce tutte e le chiama per nome. Non ne lascia nessuna perduta sul monte. Ha dato la propria vita per ogni persona.

Il suo atteggiamento, quando qualcuna si allontana, è aiutare a far sì che ritorni, e tutti i giorni va a vedere se la intravede in lontananza.

E anche se è vero che la Comunione eucaristica è la cosa migliore, la più sublime, la più grande, la più ineffabile e la più importante, al punto che – per chi è in stato di grazia – è la perfetta unione del cristiano con Dio, è anche vero che non è l’unico modo di stare in comunione con Dio, di essere uniti a Lui e di amarlo.

È per questo che i fedeli che NON POSSONO confessarsi e quindi comunicarsi sono invitati a mettere del proprio perché non scompaia nella sua totalità la comunione che può esistere con Dio. Come? Mediante la vita di preghiera – preghiera di pentimento, il Santo Rosario, la Messa facendo la Comunione spirituale, Via Crucis… -; le opere di misericordia con spirito o senso penitenziale perché la carità coprirà una moltitudine di peccati (1 Pt 4,8); l’offerta a Dio della propria vita, dei propri sacrifici e delle proprie sofferenze; la lettura della Parola di Dio e di testi che rafforzino la fede; servizi nella Chiesa e rapporto con il parroco e la parrocchia…

Questo tipo di fedeli è invitato a favorire la vicinanza a Dio e a lottare perché ogni giorno sia più piena e perfetta. Che Dio veda che siamo su questa linea d’onda o, il che è lo stesso, “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (Lc 12, 37); ciò che conta è voler stare sulla via della salvezza. Dio vuole salvare il salvabile. Gesù non dà nessuno per perso. Ci aiuta anche se abbiamo peccato.

A volte diciamo di un malato che la sua malattia è incurabile, e si dà per perso tutto ciò che umanamente si può fare per lui o si ritiene inefficace qualsiasi cura. Nella vita spirituale non è così: Gesù è il Medico che non dà mai come irremediabilmente perduto chi si è ammalato nell’anima. Non giudica nessuno irrecuperabile.

L’uomo più indurito dal peccato, quello che è caduto più volte e in mancanze più gravi, non è mai abbandonato dal Maestro; è ancora più amato, la pecora che Gesù va a cercare. Anche per lui ha la medicina che cura.

In ogni uomo Egli sa vedere la capacità di conversione che esiste sempre nell’anima. La sua pazienza e il suo amore non danno nessuno per perso. Noi lo facciamo? E se, per disgrazia, qualche volta ci trovassimo in questa triste situazione, dubiteremo di chi ha detto di Se stesso che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto? (Lc 19,10).

“Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo” (Gv 3,17). Gesù quindi si avvicina, e se uno dei suoi discepoli è lontano da Dio non favorisce ulteriormente questo allontanamento.

Una cosa, ad ogni modo, è non potersi confessare e quindi comunicare, e un’altra molto diversa è non volersi confessare pur potendolo fare e non volersi comunicare pur potendolo fare.

Sicuramente Dio guarderà con più benevolenza i primi, che avranno più opzioni di salvarsi, perché pur nel loro peccato lottano per avvicinarsi a Dio, a differenza di coloro che non credono di aver bisogno di Dio. Gesà lo diceva bene: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31).

Cosa dice Gesù a coloro che sono spezzati dal peccato, a quelli che non danno più luce perché la luce divina nella loro anima si è spenta? Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Ha pietà della grande miseria alla quale li ha condotti il peccato; li porta al pentimento senza giudicarli con severità.

Essere nel peccato non implica necessariamente condanna assoluta alla fine del nostro viaggio terreno, come neanche il fatto di dire “Ma di cosa mi confesso?” o dire “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano”… (Lc 18, 11) implica necessariamente la salvezza alla fine del nostro viaggio terreno, perché Dio scruta il nostro cuore e sa cosa contiene. Dio ha l’ultima parola.

Che gran bene per la nostra anima sentirci oggi davanti al Signore come una canna incrinata che ha bisogno di molte cure o come uno stoppino dalla fiamma smorta che ha bisogno dell’olio dell’amore divino per splendere come vuole il Signore.

Non perdiamo mai la speranza se ci vediamo deboli, con difetti, con miserie. Il Signore non ci lascia né si lascia allontanare da noi; basta che mettiamo a disposizione i mezzi e che non respingiamo la mano che ci tende. Quando l’uomo compie un passo verso Dio, Dio ne fa due verso l’uomo.
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