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GIUBILEO DELLA DIVINA MISERICORDIA: l'indulgenze

6/12/2015

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L'8 dicembre nella Solennità dell'Immacolata Concezione si svolgerà la cerimonia di apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro. Ecco un elenco, non esaustivo, dei principali simboli e significati del Giubileo della Misericordia.

Che cosa significa Giubileo? Viene detto anche Anno santo, perché promuove la santità della vita dei credenti. Chiedeva il Papa Paolo VI in occasione dell'Anno santo del 1975: "L'Anno santo pone la questione: tu conosci te stesso? Che cosa sai di te stesso? Chi sei? Sei cristiano? E che cosa significa essere cristiano?". Dunque è l'anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, della conversione e della penitenza sacramentale. Per Papa Francesco sarà "un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina".

Che cos'è la Bolla d'indizione del Giubileo? Il 13 marzo 2015, giorno dell'ingresso nel terzo anno del suo Pontificato, Francesco ha indetto l'Anno santo straordinario della misericordia attraverso la Bolla. Si tratta di un documento ufficiale e solenne che indica la data e definisce le modalità principali di svolgimento del Giubileo. 

Qual è il motto del Giubileo? Nel motto del logo, tratto da Lc 6,36, "Misericordiosi come il Padre", si propone di vivere la Misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura (cfr Lc 6,37-38).

Chi sono i missionari della misericordia? Sono 800 sacerdoti provenienti da ogni parte del mondo, indicati dai loro vescovi ma nominati direttamente dal Papa. Segno della vicinanza e del perdono di Dio avranno la facoltà di rimettere i peccati il cui perdono è riservato alla Sede Apostolica, e cioè la profanazione dell’Eucaristia, l’assoluzione del complice, la consacrazione episcopale senza mandato papale, la violazione del sigillo sacramentale e la violenza fisica contro il Pontefice. Tutti i sacerdoti, invece, potranno rimettere anche il peccato di aborto procurato.

Che significato ha il logo del Giubileo? Il logo è opera di padre Ivo Marko Rupnik. L’immagine, molto cara alla Chiesa antica, che indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione, propone il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. 

Che cos'è la Misericordia? La misericordia è uno dei nomi di Dio, uno dei suoi attributi. La parola italiana deriva dal latino miser e cor, indicando il cuore toccato dalla miseria. Misericordia allora significa amore compassionevole, che si prende cura della persona. Avere misericordia significa imitare il Signore che si china sulle povertà dell’uomo, guardare all’altro con cuore compassionevole, pronto al perdono. Nella Misericordiae vultus il Papa definisce la misericordia “architrave della Chiesa”.

Quali sono i segni del Giubileo? Il pellegrinaggio, la porta santa e le indulgenze.

Cos'è il pellegrinaggio? Come scrive Francesco nella bolla Misericordiae Vultus: "Il pellegrinaggio è un segno peculiare dell'Anno santo perché icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l'essere umano è viator, pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata". Il pellegrinaggio è dunque un percorso di pentimento e di preparazione al rinnovamento interiore che il fedele compie sui passi di Gesù. È anche un itinerario “materiale”: per ottenere l’indulgenza giubilare bisogna andare pellegrini a Roma e recarsi in una delle basiliche patriarcali (San Pietro; San Giovanni in Laterano; Santa Maria Maggiore; San Paolo fuori le Mura; attenzione: possono essere indicate anche altre mete) dove si deve partecipare alla Messa o a una celebrazione liturgica (lodi, vespri…), o a un “esercizio di pietà” (come la Via Crucis o il Rosario).

Che significato ha la Porta Santa? Gesù ha detto: "Io sono la porta" (Gv 10,7) per indicare che nessuno può avere accesso al Padre se non per mezzo suo. Gesù è l'unica via di accesso alla salvezza. Di conseguenza il passaggio attravero la Porta santa evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia attraverso Cristo, che chiama tutti a partecipare ai frutti della redenzione del Signore e della sua misericordia. Papa Francesco ha ricordato nella Misericordiae Vultus: «Attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi».

Che cos’è l’indulgenza? E' l'espressione dell'amore indulgente e misericordioso di Dio nei confronti dell'uomo peccatore. L’indulgenza è la remissione della pena temporale per i peccati già “perdonati” da Dio attraverso la Confessione. 
La teologia cattolica insegna che ogni nostro peccato ha duplice conseguenza:
-genera una colpa che è rimessa all'assoluzione sacramentale nella Confessione, attraverso cui il peccatore è rimesso allo stato di grazia e alla comunione con Dio. 
-comporta una pena che permane oltre l'assoluzione. L'uomo peccatore, pur riconciliato con Dio, è ancora segnato da quei "residui" del peccato che non lo rendono totalmente aperto alla grazia.
In particolare, la pena temporale può essere scontata sulla terra con preghiere e penitenze, con opere di carità e con l'accettazione delle sofferenze della vita. Per estinguere il debito della pena temporale la Chiesa permette ai fedeli battezzati di accedere alle indulgenze. L’indulgenza può essere parziale (è solo un passo nel cammino di purificazione) o plenaria, totale (com’è quella giubilare), perché è una grazia straordinaria che guarisce completamente l'uomo, facendone una nuova creatura. 

Come si ottiene l'indulgenza giubilare? L’indulgenza plenaria è concessa in occasione del Giubileo al cristiano che segue questi comportamenti:
In primis, ci si deve accostare con cuore contrito al sacramento della Penitenza. 
Va compiuto un pellegrinaggio in una delle grandi Basiliche giubilari, a Roma, in Terra Santa e nelle Chiese designate in ogni diocesi.
Nel visitare queste Chiese si deve partecipare alla Messa, oppure ad un'altra preghiera: Lodi, Vespri, Via Crucis, Rosario, Adorazione o preghiera personale concluse col "Padre nostro", la Professione di fede, la Preghiera a Maria. La preghiera va recitata secondo le intenzioni del Papa, a testimonianza di comunione con tutta la Chiesa.
In terzo luogo, ci si deve impegnare in opere di carità e penitenza che esprimano la conversione del cuore.

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DON DORDI, SACERDOTE BERGAMASCO, DA OGGI E' BEATO

5/12/2015

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Beato Alessandro Dordi Sacerdote missionario, martire
Gromo San Marino, Bergamo, 23 gennaio 1931 – Santa, Perù, 25 agosto 1991

Don Alessandro Dordi (noto anche come padre Sandro Dordi Negroni; l’ultimo è il cognome della madre) è stato un sacerdote diocesano di Bergamo, appartenente alla Comunità Missionaria del Paradiso. Immediatamente dopo l’ordinazione sacerdotale, venne inviato nel Polesine, poi in Svizzera come cappellano degli emigranti italiani e, dal 1980, in Perù. S’impegnò a fondo nella pastorale familiare e nella promozione umana, che riteneva fosse l’antidoto ai movimenti guerriglieri che imperversavano nel Paese. Cadde vittima di un attentato da parte di alcuni militanti di Sendero Luminoso, un movimento armato maoista, il 25 agosto 1991. Aveva sessant’anni ed era sacerdote da trentasette. La sua causa di beatificazione si è svolta nella diocesi di Chimbote dal 9 agosto 1996 al 25 agosto 2002, unita a quella dei padri Francescani conventuali Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, uccisi sedici giorni prima di lui. Il decreto che sancisce ufficialmente il loro martirio in odio alla fede cattolica è stato promulgato il 3 febbraio 2015, mentre la beatificazione si è svolta il 5 dicembre 2015 a Chimbote. I resti mortali di don Alessandro riposano nel cimitero adiacente alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente a Gromo San Marino, il suo paese d’origine.


1.
Sotto la ruvida scorza del montanaro c’è un uomo dallo stile sbrigativo e senza fronzoli, generoso e disponibile, che non ha paura di “lavorare con le mani” e che ogni giorno si sforza di “credere al Signore che ci manda non per raccogliere, ma per essere suoi testimoni”.
Nasce nel 1931 a Gandellino (Bergamo) e prima ancora di essere prete chiede di entrare nella “Comunità Missionaria del Paradiso”, che prepara i preti per le diocesi che ne sono carenti. Così, subito dopo l’ordinazione, nel 1954 è spedito nel Polesine, che sta faticosamente riemergendo dall’alluvione del 1951 e per questo ha bisogno di riscatto e speranza. Vi resta fino al 1965, quando lo mandano a lavorare tra gli emigrati italiani in Svizzera. Qui resta fino al 1979, facendo anche il prete operaio in una fabbrica di orologi a Le Locle; poi la scelta della missione “ad gentes”: prima strizza l’occhio al Burundi, infine gli preferisce il Perù, che gli sembra il più bisognoso di aiuto. Vi arriva, “con un biglietto aereo di sola andata”, nel 1980, assegnato alla parrocchia del Señor Crucificado a Santa, diocesi di Chimbote: un vasto territorio, poverissimo e sottosviluppato, in cui lui è chiamato a portare pane e Vangelo. Dovendo “decidere quel poco che si può fare per non seminare al vento… “, subito dà priorità alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti. 
Crea un Centro per la promozione della donna e anche un’associazione per le madri, fornendo loro gli strumenti per piccoli lavori di taglio e cucito, organizzando anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute. Le cappelline e le case parrocchiali costruite in tutta la valle del fiume Santa sono un modo per far sentire Dio vicino alla gente. Pienamente convinto che “il missionario non è un conquistatore, ma un servitore ed un amico”, si sforza in tutti i modi di non “presentarsi con una stupida superiorità che impedisce di met¬tersi accanto agli altri come uguale e come servitore”. Talmente “uguale”, ricordano i confratelli, che “indossava le abarcas o ojotas, sandali fatti con i copertoni delle macchine e cinghie di gomma perché voleva usare le stesse calzature della gente comune”. È sobrio anche nel mangiare e nel vestire, fino a non voler comprare la pompa per l’acqua ed a non avere in casa né doccia né acqua corrente.
La sua pastorale incentrata sulla famiglia e sul ruolo della donna è, secondo lui, il miglior antidoto contro le intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo perché distribuiscono gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamano la giustizia e la verità del Vangelo. Lo capiscono perfettamente anche i guerriglieri, che poco dopo il suo arrivo già sentenziano “Quello lì o se ne va o lo ammazziamo”. Pur sentendo il loro fiato sul collo, non modifica di una virgola la severità dei suoi giudizi sugli abusi e sui loschi affari dei guerriglieri, che gestiscono traffici di prostituzione e giri di droga, tanto che quando in città compare la scritta “straniero, il Perù sarà la tua tomba”, capisce subito che è indirizzata a lui.  “Adesso torno laggiù e mi uccideranno”, dice ai suoi, salutandoli dopo un breve periodo di vacanza in Italia. “La prossima volta non sbaglieremo mira”, gli fanno sapere nei primi mesi del 1991, quando per miracolo sfugge ad un attentato, mentre la macchina su cui viaggia insieme al vescovo viene ridotta ad un colabrodo. I confratelli gli consigliano di tornare in Italia, per aspettare che si calmino le acque e, anche, per curare i suoi polmoni malati, ma pensando ai suoi parrocchiani dice subito: “se li abbandono anch’io, non hanno proprio più nessuno”.
Il 9 agosto 1991 i guerriglieri uccidono due frati polacchi (di cui abbiamo parlato in questa rubrica un paio di mesi fa) a Pariacoto, accusati di "ingannare il popolo con le bibbie e i rosari". Scrive: “La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?». La risposta non si fa attendere a lungo: il 25 agosto i guerriglieri gli tendono un’imboscata mentre ritorna da una celebrazione in un villaggio e si sta dirigendo verso un altro per l’ultima messa della giornata. Risparmiano i due catechisti, mentre a lui sparano alla testa e al cuore.
“È un martire della fede”, ha sentenziato la Chiesa, dopo un’accurata indagine, il 3 febbraio 2015. Don Alessandro (per tutti Sandro) Dordi è stato beatificato a Chimbote il 5 dicembre seguente: primo sacerdote diocesano “fidei donum” (cioè “prestato” ad un’altra diocesi) ad essere beato.
Autore: Gianpiero Pettiti

2.
Alessandro Dordi nacque a Gromo San Marino, frazione del comune di Gandelino, in provincia di Bergamo e alta val Seriana, il 22 gennaio 1931. Fu il secondo di una numerosa famiglia, composta in tutto da nove figli. Cresciuto in una comunità montana, tra poche comodità e grandi sacrifici, in una famiglia di fede, maturò il pensiero di diventare prete.
Entrato quindi nel Seminario diocesano di Bergamo, aderì alla Comunità Missionaria del Paradiso, fondata per sostenere le diocesi con carenza di clero e gli emigranti italiani. Il 12 giugno 1954, per l’imposizione delle mani del vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi, venne ordinato sacerdote.
A breve distanza dall’ordinazione, insieme al confratello don Antonio Locatelli, partì per Porto Viro, nel Polesine, località duramente provata da una terribile alluvione. La gente del luogo ricorda ancora quel giovane sacerdote in bicicletta, con la veste talare, pronto a correre dovunque ci fosse bisogno, si trattasse di costruire condutture o di sostenere chi credeva di aver perso tutto.
In seguito, fu a Taglio di Donada, nella diocesi di Chioggia, dove restò fino al 1958. Il suo successivo incarico fu quello di parroco a Mea di Contarina, dal 1958 al 1964. Contemporaneamente, fino al 1965, fu direttore della scuola professionale San Giuseppe Operaio (fondata dal già menzionato don Locatelli) a Donada. Quello strumento gli servì per fornire lavoro ai giovani del posto, che altrimenti avrebbero faticato a vivere solo di pesca.
Lasciato il delta del Po nel 1965, trascorse quindi tredici anni in Svizzera (dal 1966 al 1979), a Le Locle, come cappellano degli emigrati italiani. La sua successiva terra di missione non fu il Burundi, cui inizialmente aspirava mentre stava per lasciare la Svizzera, ma il Perù, scelto a seguito di un viaggio in America Latina.
Nel 1980 don Sandro, com’era più conosciuto, s’installò nella parrocchia del Señor Crucificado a Santa, nella regione di Áncash, accettando l’invito dell’allora vescovo della diocesi di Chimbote, monsignor Luis Armando Bambarén Gastelumendi. Gli si prospettava un vasto territorio, che comprendeva il paese di Santa e tutta la valle del Rio Santa fino a Vinzos, 24 km a nord-est.
Da subito diede priorità alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti, a costo di percorrere grandi distanze. Grazie all’appoggio di Caritas Spagna, poté attuare un Centro per la promozione della donna e, in seguito, organizzò un’associazione per le madri, per fornire loro gli strumenti per piccoli lavori manuali, taglio e cucito, ma anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute.
Tutte le sue realizzazioni, che compresero anche cappelline e case parrocchiali in tutta la valle del fiume Santa, erano un modo per far sentire Dio vicino a quello che, ormai, considerava il suo popolo. Per avere un aiuto in più, fece venire in parrocchia le Suore di Gesù Buon Pastore, dette Pastorelle (uno dei rami femminili della Famiglia Paolina), che per carisma si occupano proprio di sostenere l’attività pastorale dei parroci nelle situazioni più marginali.
L’insistenza di don Sandro sulla famiglia e sul ruolo della donna era, per lui, la miglior forma di lotta contro intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusavano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo, semplicemente perché distribuivano gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamavano la giustizia e la verità che vengono dal Vangelo. 
Quanto a lui, sapeva di essere in pericolo di vita. Nel 1990, lui e monsignor Bambarén si salvarono da una raffica di colpi lungo il fiume Santa, sdraiandosi sul fondo della jeep su cui viaggiavano e facendo velocemente marcia indietro, per allontanarsi dal luogo dell’imboscata. Pochi mesi dopo, gli capitò lo stesso mentre era in casa. L’ultima volta che aveva visitato i suoi, in Italia, li aveva salutati dicendo: «Addio, adesso torno laggiù e mi uccideranno».
Ma il campanello d’allarme più forte, per lui, fu la notizia dell’uccisione dei padri Francescani conventuali Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, il 9 agosto 1991. Così scrisse a un amico sacerdote: «In questi giorni siamo particolarmente angosciati e preoccupati. Sicuramente hai saputo come il 9 di agosto Sendero Luminoso ha ammazzato due sacerdoti della Diocesi di Chimbote. Sono due francescani polacchi che lavoravano in una vallata come la mia: avevano 32 e 34 anni. Puoi immaginare la situazione di ansia in cui viviamo; ci sono inoltre delle minacce chiare di prossime uccisioni. Sendero Luminoso, che con il terrore vuole arrivare al potere, ha preso di mira la Chiesa… La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?».
Quella terribile domanda trovò risposta poco più di quindici giorni dopo, alle 17.15 di domenica 25 agosto 1991. Don Sandro stava tornando in camionetta da Vinzos, un villaggio vicino, dove aveva celebrato Messa e amministrato alcuni battesimi, e stava andando a Rinconada, dove avrebbe celebrato l’ultima Eucaristia di quella domenica. Era accompagnato da due catechisti (nelle prime ricostruzioni dell’accaduto, erroneamente identificati come seminaristi) Gilberto Ávalos Tolentino e Orlando Orué Pantoja. Non interruppe il viaggio finché non si trovò impedito da due grandi rocce che bloccavano la strada. Scese dal mezzo, ma venne fermato da due uomini incappucciati: uno portava un fucile, l’altro una pistola.
I suoi accompagnatori lo sentirono chiedere agli aggressori di non far nulla di male contro di loro. Mentre venivano fatti allontanare, sentirono degli spari: il sacerdote era morto, colpito al viso per tre volte, a pochi passi dalla camionetta. Aveva sessant’anni ed era prete da trentasette. Due ore dopo, una delle Pastorelle telefonò a monsignor Lino Belotti, superiore della Comunità del Paradiso e compagno di Seminario della vittima, per riferirgli l’accaduto. L’uccisione venne subito attribuita, da parte della polizia peruviana, ai guerriglieri di Sendero Luminoso.
La salma venne riportata in Italia nel tardo pomeriggio di domenica 1 settembre 1991. I funerali si tennero prima nella cattedrale di Bergamo, officiati dall’allora vescovo monsignor Giulio Oggioni, poi, il giorno successivo, nella chiesa parrocchiale di Gromo San Marino, intitolata a Santa Maria Nascente; fra i concelebranti, c’era anche monsignor Bambarén. Da allora, i resti mortali di don Alessandro riposano nella tomba di famiglia del cimitero del paese, proprio accanto alla parrocchiale.
Il suo ricordo non è mai venuto meno in nessuna delle comunità che hanno visto il suo passaggio. Nel Polesine gli hanno dedicato una cooperativa sociale e, nel 2011, la sua bicicletta è stata incastonata in una statua di bronzo situata a Taglio di Donada, nella piazza che porta il suo nome.
La causa di beatificazione di don Alessandro Dordi, unita a quella dei sopra citati padri Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, si è svolta nella diocesi di Chimbote dal 9 agosto 1996 al 25 agosto 2002, aperta e chiusa da monsignor Bambarén, che già nel giorno dei funerali ne auspicò l’avvio. In contemporanea, si tennero anche le inchieste rogatorie; quella per il sacerdote bergamasco si svolse nella diocesi d’origine, come d’uso. Convalidato il tutto il 24 ottobre 2003, si lavorò alla “Positio super martyrio”, che il 25 novembre 2011 venne consegnata presso la Congregazione vaticana delle Cause dei Santi.
Eppure i consultori teologi, che esaminarono il contenuto della Positio il 14 novembre 2013, chiesero d’indagare meglio se l’uccisione dei Servi di Dio non fosse avvenuta per motivi politici e se non fossero stati coinvolti in azioni di guerriglia. Alla documentazione del processo venne quindi accluso il Rapporto Finale della Commissione per la Verità e per la Riconciliazione sulle vittime della violenza armata interna, pubblicato dal governo Peruviano il 23 agosto 2003.
Il 3 febbraio 2015 la sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi si è riunita per dichiarare se don Alessandro, padre Michał e padre Zbigniew sono stati effettivamente uccisi in odio alla fede. Nella stessa data, ricevendo in udienza privata il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha autorizzato a promulgare il decreto che li dichiarava ufficialmente martiri; nello stesso gruppo di decreti, c’era anche quello che confermava il martirio di monsignor Romero.
La data stabilita per la beatificazione dei tre martiri è il 5 dicembre 2015, a Chimbote. Tuttavia, l’attuale vescovo del luogo, monsignor Ángel Francisco Simón, è venuto a sapere il 17 luglio 2015 che due fratelli di don Sandro si sono opposti alla ricognizione canonica dei suoi resti, in quanto non hanno mai ricevuto risposte alle lettere con cui domandavano alle autorità peruviane di sanzionare i colpevoli del suo assassinio. Monsignor Bambarén, di passaggio in Italia a settembre, ha cercato di convincerli a procedere all’esumazione, ma senza nessun risultato. Ciò non ha tuttavia ostacolato la celebrazione del rito con cui don Sandro e i due francescani sono stati dichiarati Beati: come infatti dichiara l’Istruzione «Sanctorum Mater», al n. 141, la ricognizione dei resti mortali in vista della beatificazione o della canonizzazione non è più obbligatoria.

Autore: 
Emilia Flocchini



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