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8 suggerimenti per trarre più profitto dalla Messa - Come fare qualcosa di più che scaldare il banco

28/2/2015

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8 suggerimenti per trarre più profitto dalla Messa.
Come fare qualcosa di più che scaldare il banco.

Molti vanno a Messa con l'aspettativa di doverne trarre grande profitto, ma ciò che si ottiene dalla Messa dipende da quale tipo di cambiamento si è disposti a fare prima, durante e dopo la celebrazione, perché ciò che si mette nella Messa determina ciò che se ne trae.

Permettetemi di darvi qualche suggerimento che mi ha aiutato a trarre più profitto dalla Messa. Ecco allora otto semplici e rapide dritte:

1. Preparatevi adeguatamente per la Messa

• Leggete e studiate le letture prima di andare a Messa.
  Ascoltatele con attenzione quando viene proclamata la Parola.

• Studiate gli insegnamenti della Chiesa. Più conoscete Gesù e la sua Chiesa, più c'è da amare. 
  Non si può amare quello che non si conosce.

• Confessatevi regolarmente. Questo vi aiuterà a prepararvi spiritualmente.

• Pregate ogni giorno. Senza preghiera non avete potere spirituale!

• Vestitevi in modo appropriato. State andando a incontrare il Re dei Re. 
  Non vestitevi come fareste per andare a un appuntamento a pranzo, a una festa o a lezione. 
  È un'occasione speciale.

• Arrivate per tempo e sedetevi davanti. Meno distrazioni e più tempo per la preghiera prima della Messa.

• Una volta in chiesa, non parlate e non guardate le persone. Pregate. 


2. Il vostro atteggiamento sia quello adatto

• Non aspettatevi di essere intrattenuti. Siete lì per offrire a Dio adorazione e ricevere grazia.


• Cercate Dio in ogni parte della Messa.

• Non permettete che le distrazioni esterne disturbino la vostra pace interiore.

• Trovate nella predicazione un'informazione preziosa da portare a casa con voi.


3. Partecipate pienamente

• Cantate, anche se non siete intonati.

•Rispondete e pregate con piacere. Date a Dio tutto e non preoccupatevi degli altri.

• Ricordate che la Messa non è un momento per socializzare.

• Offrite a Dio il vostro dolore, le vostre sofferenze, le gioie e le preghiere.


4. Ascoltate la Parola e permettete che vi cambi

• Siete aperti alla possibilità di lasciarvi cambiare da Dio? Se non lo siete, allora non cambierete.

• Ascoltate la Parola che viene proclamata e permettete che vi sfidi.

• Trovate un elemento dell'omelia da applicare durante la settimana.


5. Conoscete, comprendete e proclamate la vostra fede

• Non limitatevi a recitare il Credo – proclamatelo comprendendo ciò che state dicendo.


6. Date la decima. Se ogni cattolico offrisse la decima, pensate cosa potremmo fare.

• Sì, è nostro dovere sostenere la Chiesa, ma più per la nostra fede che per la Chiesa.

• La maggior parte della gente dà una “mancia”, non la “decima” - date la decima e non la mancia.

• Offrire la decima ci aiuta a ordinare correttamente i doni che Dio ci ha dato.


7. Quando ricevete Gesù nell'Eucaristia, comprendete cosa state facendo

• State assumendo il Corpo, il Sangue, l'anima e la divinità di DIO.

• Vi state unendo al cielo sulla terra.

• State diventando una cosa sola con il Corpo di Cristo.

• Siate reverenti.

• Comprendete che Egli è in chiunque altro Lo abbia ricevuto.


8. Parlate agli altri di Lui

• Ora avete il potere di evangelizzare (condividere la Buona Novella di Cristo), che è il motivo per cui esiste la Chiesa.
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Ostensione 2015: Decreto dell'Arcivescovo per remissione, nell'atto della Confessione, della scomunica relativa all'aborto procurato   

24/2/2015

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Ostensione 2015: decreto dell'Arcivescovo per remissione, nell'atto della Confessione, della scomunica relativa all'aborto procurato   

Il testo integrale della disposizione valida dal 19 aprile al 24 giugno 2015

In allegato il testo integrale del decreto del 18 febbraio 2015 con cui l'Arcivescovo concede - per il periodo della prossima Ostensione della S. Sindone (19 aprile - 24 giugno 2015) - a tutti i sacerdoti, sia diocesani o extradiocesani sia membri di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica che siano regolarmente abilitati a ricevere le confessioni dei fedeli per l'intero territorio dell’Arcidiocesi di Torino, la facoltà di rimettere nell'atto della confessione sacramentale la scomunica non dichiarata relativa all'aborto procurato senza l'onere del ricorso a favore specialmente di quanti programmano il proprio pellegrinaggio alla Santa Sindone.

Decreto Arcivescovo Torino per la remissione, nell'atto della Confessione, della scomunica relativa all'aborto procurato - periodo 19/4-24/6/2015, Torino 18 febbraio 2015 (pdf, 179 Kb)
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IL PROBLEMA DELLA FEDE LIQUIDA. «TUTTI PROFESSANO LE STESSE VERITÀ, OGNUNO LE INTENDE IN MODO DIVERSO»

23/2/2015

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IL PROBLEMA DELLA FEDE LIQUIDA. «TUTTI PROFESSANO LE STESSE VERITÀ, OGNUNO LE INTENDE IN MODO DIVERSO»
 
Con grande dolore e profonda preoccupazione, si deve constatare che il pensiero non cattolico avanza nella Chiesa. È molto grave l'affermazione del moderatore del Sinodo diocesano di Bolzano, secondo il quale, il lavoro svolto, «rispecchia la situazione generale della Chiesa, che sta vivendo un cambiamento radicale». Si può ancora affermare che i cattolici formino un cuor solo e un'anima sola? O, per dirla con sant'Ignazio d'Antiochia, che manifestino un tale accordo della voce e del cuore, sì da raggiungere la sinfonia? Purtroppo siamo divisi tra noi, proprio sulla verità, e attratti da false dottrine. In nome del pluralismo? Civiltà Cattolica riporta un intervento dell'allora Padre Bergoglio: «il pluralismo non sembra così inoffensivo e neutrale come alcuni lo considerano a prima vista. Se infatti giungesse a non preoccuparsi dell’unità della fede, questo comporterebbe la rinuncia alla verità, l’accontentarsi di prospettive parziali e unilaterali».

Succede, invece, che molti cattolici, preferiscano andare d'accordo con i non cattolici, i non credenti e gli avversari della Chiesa, più che con i fratelli di fede. I loro modi di pensare e di agire, sono penetrati in casa cattolica, al punto che sembra rivolto a noi, quel che Giovanni Paolo II, nel 1980, ricordava ai protestanti tedeschi: «ci riferiamo tutti a Gesù Cristo, ma il dissenso verte su “ciò che è di Cristo”, su “ciò che è suo”: la sua Chiesa e la sua missione, il suo messaggio, i suoi sacramenti e i ministeri posti al servizio della parola e del sacramento». Il dissenso è, soprattutto, sui contenuti e fondamenti stessi della fede, e di conseguenza sulla morale. Se un parroco, in un ritiro del clero, afferma che bisogna smetterla con la verità oggettiva, perché è venuto il tempo di chinarsi sulle soggettività, e il vescovo, presente, tace: un problema c'è; se una ragazza, lusingata dalle avances di un uomo coniugato, si sente, in confessione, rimproverare dal sacerdote, perché, a suo dire, avrebbe dovuto cogliere l'occasione, in quanto non è peccato, allora qualcosa è successo. Si segue ancora la verità cattolica, reperibile senza difficoltà nel Catechismo, oppure le falsità che vanno di moda?

Confusione e divisione, sono ormai diffuse e attraversano tutto il popolo di Dio, dal collegio cardinalizio all'episcopato, dai teologi al clero e al laicato. Ha ancora senso cercare l'unione con gli ortodossi e altri cristiani, mentre tra noi cattolici siamo sempre più divisi? Se nei seminari, si esortano i giovani, ricorrendo anche a intimidazioni, ad avere una “nuova visione di Chiesa”, in discontinuità col passato? Una molto simile – c'è da pensarlo – a quella descritta in una canzone di Jovanotti: «una grande Chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa passando da Malcom X attraverso Gandhi e San Patrignano arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano». 

Nel Conclave del 2005, il cardinal Giacomo Biffi avvertiva: «Vorrei dire al futuro Papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i piccoli». La questione viene da lontano: se n'era accorta nel 1966, a meno di un anno dalla chiusura del Vaticano II, la Congregazione per la dottrina della fede, che inviava una lettera ai presidenti delle Conferenze episcopali, in cui si riferivano le notizie giunte dalle nunziature, sui crescenti abusi nell'interpretazione della dottrina del Concilio, e su opinioni azzardate che sorgevano qui e là, turbando i fedeli, perché oltrepassavano le semplici opinioni e ipotesi, per giungere ad intaccare i fondamenti del dogma e della fede. Seguiva, in dieci punti, l'elenco di tali idee ed errori.  Va ripassato, perché sono tutti constatabili ancora oggi, anzi aumentati. «É in crisi l'idea di Chiesa»: avvertì, nel 1985, Joseph Ratzinger a Vittorio Messori, in Rapporto sulla fede. Urgeva riproporre, o meglio, ridefinire cos'è la fede cattolica: nacque il Catechismo della Chiesa Cattolica. 

Il contraccolpo dell'indefinitezza attuale della fede cattolica, lo ha subito la liturgia, della quale si continua a ripetere: lex credendi-lex orandi – ma, di “legge” o norme che la regolino, guai a parlarne, non solo, ma il modo di pregare in essa, contraddice sempre di più il credo. Il culto dell'emozione, non rende, il popolo cristiano, consapevole di dover annunciare la Parola divina, più tagliente di una spada a doppio taglio, di cui il mondo ha bisogno per essere salvato. Così, non siamo più sicuri che Dio sia soddisfatto del culto che gli viene tributato. I preti rimproverano i fedeli perché vengono in chiesa – ancora – a ricevere i sacramenti, ma poi spariscono: non pensano che proprio i sacramenti sono le reti dell'evangelizzazione, efficaci per la conversione, se solo li si celebrasse senza prendere a modello la Tv. 

Basta recitare il Simbolo di fede, il Credo, per rigettare le opinioni erronee? Scrive sant'Ireneo: «tutti professano le stesse verità, ma non vi credono allo stesso modo». Ai nostri giorni, i contorni della verità cattolica sono liquidi, come si suol dire, perché si crede che essa nasca dal dialogo, e sia meno importante della libertà. Dunque, chi si dedica alla sua “definizione”, deve sapere che ne sarà segnata la sua esistenza, come è accaduto a Paolo VI. Sarà attaccato, da chi cercherà di far passare l'idea che la dottrina non muta se cambia la disciplina. Sarà denunciato per presunta intolleranza e insubordinazione. Sarà accusato, come Atanasio, per la sua intransigenza, la scarsa o nulla misericordia. Si leveranno voci per condannarlo, deporlo ed esiliarlo, beninteso, in nome del pluralismo e della tolleranza. Una esperienza che sconcerterà molti fedeli e farà esultare molti altri: «l'universo gemette», annota san Girolamo, «nello sbalordimento d'essere diventato ariano». Che farà constatare, con san Basilio: «Solo un peccato è ora gravemente punito: l'attenta osservanza delle tradizioni dei nostri padri. Per tale ragione, i buoni sono allontanati dai loro paesi e portati nel deserto». Ma quegli resisterà, difendendo l'ortodossia, come ha scritto Bulgakov, e smascherando l'eresia. Atanasio continuò a dirigere la sua Chiesa dal deserto, con l'aiuto di sant'Antonio, e trovò il tempo di scrivere quei trattati, che contribuirono alla condanna dell'arianesimo da parte del concilio di Costantinopoli del 381 e gli meritarono il titolo di dottore.

Oggi, tra i cattolici, i punti di dissenso – leggi eresie - sono tanti, a cominciare dall'escatologia, parola mai così usata negli ultimi decenni e ridotta alla ricerca spasmodica della felicità terrena dell'individuo: basta sentirsi bene nella condizione in cui ci si trova. Si è abbandonata l'idea che c'è un cammino verso la santità. La felicità eterna, se esiste, ha poca importanza: la felicità è in questa vita e si identifica col vivere bene e la vita buona. É questa la speranza cristiana per cui val la pena nascere e vivere? É vero che Gesù ha promesso a chi lo segue il centuplo quaggiù e l'eternità, ma non secondo la versione di Benigni. Se a chi sta in regola, san Paolo arriva a dire: «d'ora innanzi, chi ha moglie, viva come se non l'avesse» (1 Cor 7,29), si comprende perché dica, a chi vive nell'irregolarità: «Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!» (1 Cor 6,9-11). È parola rivelata che resta per sempre.

«Dio, che non desideri la morte dei peccatori, ma vuoi che si pentano», prega la liturgia quaresimale, tornando annualmente a ricordare la via stretta della salvezza - le ceneri ne sono segno eloquente –, ad abbandonare la condizione di peccato in cui ci fossimo induriti. «Lasciatevi riconciliare con Dio», ovvero, «convertitevi e credete al Vangelo», deve diventare l'ammonizione di chi si definisce un “prete sociale'” o “di strada” o “antimafia”. La Chiesa evangelizza per far star bene la gente in questo mondo, nel senso di farla vivere nella verità e guidarla alla salvezza eterna. Conversione e riconciliazione sono necessarie, affinché il Signore dimentichi i peccati di quanti si convertono (Sap 11,25).

Dinanzi al pensiero non cattolico penetrato nella Chiesa, causa prima del relativismo che  induce i giovani occidentali a passare da internet al terrorismo: una versione eroico-religiosa del culto dell'emozione; dinanzi all'avanzata di musulmani che uccidono, convinti di rendere gloria ad Allah, i sacerdoti, piangendo, facciano propria la supplica posta in capite quadragesimae: «Perdona Signore,al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio e alla derisione delle genti». Perché si dovrebbe dire fra i popoli: «Dov'è il loro Dio?» (Gioele 2,17). Di certo, il pensiero non cattolico non prevarrà nella Chiesa. E non verrà meno la virtù della fortezza, perché i cristiani non temono il martirio.

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Cattedra di San Pietro Apostolo

21/2/2015

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Cattedra di San Pietro Apostolo
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Il 22 febbraio per il calendario della Chiesa cattolica rappresenta il giorno della festa della Cattedra di San Pietro. Si tratta della ricorrenza in cui viene messa in modo particolare al centro la memoria della peculiare missione affidata da Gesù a Pietro. In realtà la storia ci ha tramandato l'esistenza di due cattedre dell'Apostolo: prima del suo viaggio e del suo martirio a Roma, la sede del magistero di Pietro fu infatti identificata in Antiochia. E la liturgia celebrava questi due momenti con due date diverse: il 18 gennaio (Roma) e il 22 febbraio (Antiochia). La riforma del calendario le ha unificate nell'unica festa di oggi. Essa - viene spiegato nel Messale Romano - "con il simbolo della cattedra pone in rilievo la missione di maestro e di pastore conferita da Cristo a Pietro, da lui costituito, nella sua persona e in quella dei successori, principio e fondamento visibile dell'unità della Chiesa".

Martirologio Romano: Festa della Cattedra di san Pietro Apostolo, al quale disse il Signore: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Nel giorno in cui i Romani erano soliti fare memoria dei loro defunti, si venera la sede della nascita al cielo di quell’Apostolo, che trae gloria dalla sua vittoria sul colle Vaticano ed è chiamata a presiedere alla comunione universale della carità. 

OBOLO DI SAN PIETRO
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Si Chiama Obolo di San Pietro l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo Padre, come segno di adesione alla sollecitudine del Successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi.

In qualunque momento puoi inviare il tuo obolo a:
Sua Santità Papa Francesco - 00120 Città del Vaticano

O se preferisci, attraverso:
Conto corrente Postale
"Obolo di San Pietro" n. 75070003
00120 Città del Vaticano
IT 27 S 0760 10320 0000075070003 EUR
SWIFT: BPPIITRRXXX

Conto Corrente Bancario 
FinecoBank S.p.A.
IT 52 S 03015 03200 000003501166
BIC/SWIFT: UNCRITMM
BIC beneficiario: FEBIITM1
Beneficiario: Obolo di San Pietro 
(Indicare il proprio nome, cognome ed indirizzo completo)

Si informa che il servizio di donazioni tramite carta di credito è temporaneamente sospeso.
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Sanremo gender: Una famiglia cattolica non è equiparabile a Conchita

14/2/2015

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Nel Belpaese, si sa, le tradizioni sono importanti. Qualcuna, minacciata dall’avanzata inesorabile degli anni, rischia di scomparire. Altre invece purtroppo non muoiono mai, come il festival di Sanremo.

Forse saremo i soli ad essersene accorti ma guardandolo ogni anno, più per curiosità e folclore che per altro, la principale rassegna della musica italiana da molto tempo ormai sembra produrre più polemiche e scandali che nuovi talenti e nuovi brani da scoprire.

Ogni anno ce n’è una nuova e tutti, dai critici musicali alle testate nazionali in prima pagina, sono pronti a commentare in diretta ciò che accade: come si veste il conduttore, quanto fanno ridere le battute dell’ospite d’onore, chi è stato invitato e chi invece è rimasto escluso, quanto è corto il vestito della soubrette accompagnatrice. Come se il festival di Sanremo fosse un grande carrozzone dove far salire tutti quanti, parlare di tutto e tutti e poi, alla fine, in secondo piano, ascoltare anche qualche canzone. Nelle settimane a venire, gli strascichi di polemiche e commenti a volte imbarazzanti.

Saremo sempre i soli a crederlo ma stentiamo a ricordare un vincitore che sia passato alla storia dopo essersi aggiudicato la vittoria del festival. Piuttosto ci ricordiamo benissimo tutti i cattivi esempi in salsa trash-popolare che si sono avvicendati sul palco dell’Ariston. Ultimo il transgender austriaco Tom Neuwirth, in arte Conchita Wurst, eroina LGBT esibitosi in abito super scollato, corpetto chiaro e gonna lunga blu, con la barba e i capelli più corti rispetto a come ci aveva abituato in passato. È stato a dir poco imbarazzante vedere l’altra sera Carlo Conti prodursi in un faticosissimo slalom senza mai sapere come rivolgersi al cantante, se con il femminile o con il maschile.



“Che barba” verrebbe da dire, ma non quella di Conchita, che barba intesa come noia. La noia che il popolo italiano deve subire ogni anno, imboccato davanti al teleschermo con la scusa dei diritti civili e del politicamente corretto, che barba dover scorrere i canali e guardare questi tristi spettacoli. Tristi come gli sceneggiatori che, ben immaginando le critiche a cui andava incontro, hanno pensato bene di invitare ad inizio festival anche una famiglia numerosa sul palco, pensando così di equilibrare l’ago della bilancia. “Se da una parte sponsorizziamo il gender, dall’altra portiamo in mondovisione una famiglia cattolica”, avranno pensato. Come se la famiglia numerosa fosse uno spettacolo di quelli che si possono ammirare allo zoo.

La verità che ci piace affermare, cara mamma Rai, è che la famiglia cattolica è la normalità che tu vuoi spacciarci come anormale, mentre un travestito con la barba, vestito da donna, che canta al festival della musica italiana non lo è.

Saremo politicamente scorretti? Sì, e se difendere la famiglia e la vita significa esserlo, allora siamo fieri di ostentarlo.

E pensiamo di non essere soli. La gente è stufa.

Stufa di dover sentire settimane di commenti sulla farfallina di Belen Rodriguez, di sapere quante centinaia di migliaia di euro abbia guadagnato in dieci minuti di apparizione la guest star americana invitata. Stufa di sentire sempre la solita solfa e pochi minuti di canzoni, stufa di vedere una donna barbuta dirci quanto è importante “essere chi siamo”.

Noi lo sappiamo benissimo chi siamo: fin quando la normalità non sarà rimessa al centro del festival, noi non siamoSanremo, noi non guardiamo Sanremo.

Luca Colavolpe Severi


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La statua della Madonna non c’è, ma la gente la vede

13/2/2015

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L’immagine si vede molto bene dalla porta d’ingresso (ed anche nella nostra foto) ma svanisce se ci si avvicina all’altare

Può sembrare incredibile, ma è vero. Nella nicchia della pala d’altare di una cappella del santuario di Nostra Signora di Lourdes ad Alta Gracia (Argentina) non c’è alcuna statua della Vergine, ma di fatto si può vedere la sua immagine anche se è stato verificato che il luogo è vuoto.

L’immagine non è piatta ma in rilievo, tridimensionale; si possono avvertire le pieghe del vestito. Assomiglia a un’olografia. Non è un’illusione psicologica frutto della devozione esaltata di alcuni pellegrini.

Tutti coloro che si recano al santuario – credenti o meno – la vedono, e resta registrata nelle fotografie che vengono scattate.

L’immagine si vede molto bene dalla porta d’ingresso e svanisce avvicinandosi all’altare.

Avvicinandosi all’altare si può notare che l’immagine della statua scompare

Da quando si verifica questo fenomeno?

La cappella è stata costruita e benedetta nel 1927, e per molti anni al centro della pala d’altare c’è stata una statua della Madonna di Lourdes. Nell’agosto 2011 la statua è stata tolta dalla nicchia per essere restaurata. Uno dei sacerdoti del santuario si accingeva a chiudere la cappella e dalla porta principale ha visto un’immagine che sembrava di gesso nel luogo che prima era occupato dalla statua. Si è avvicinato e man mano che lo faceva vedeva che l’immagine svaniva. La statua non era lì, ma dove era stata riposta.

Di fronte al fenomeno, visibile per chiunque si rechi sul posto, i frati carmelitani scalzi del santuario di Nostra Signora di Lourdes hanno diffuso un comunicato in cui affermavano: “La manifestazione dell’immagine della Santissima Vergine Maria non ha finora una spiegazione razionale. Deve essere interpretata dal popolo di Dio come un segno per aumentare e approfondire la fede cristiana e suscitare nel cuore degli uomini la conversione all’amore di Dio e la partecipazione alla vita della Chiesa”.

Il fenomeno è visibile da tutti, ed è anche fotografabile

Storia

La cappella si trova in un ampio edificio situato in un parco di vari ettari nel quale nel 1916 è stata inaugurata una replica della grotta di Massabielle, a Lourdes, in cui la Vergine è apparsa nel 1858 a Santa Bernadette Soubirous.

Il progetto e la realizzazione sono stati a carico di Guillermina Achával Rodríguez de Goyena e Delfina Bunge de Gálvez, scrittrice e moglie dello scrittore Manuel Gálvez.

Da quando è stata costruita la grotta, il luogo è diventato meta di pellegrinaggio con crescenti manifestazioni d’amore per la Madre di Dio. Nel 1922 è stata formata una commissione per costruire accanto alla grotta una cappella, la cui pietra angolare è stata collocata nel 1924 e che è stata benedetta dall’allora vescovo di Córdoba, monsignor José Anselmo Luque, nel 1927.
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La «gogna» web (anche Rai) sulla famiglia Anania 

11/2/2015

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È bastato che apparisse al Festival una famiglia con 16 figli che crede nello Spirito Santo e nella provvidenza per scatenare insulti e ironie sul web. Persino dal conduttore Rai del Dopofestival che li ha invitati ad abortire.

La «gogna» web (anche Rai) sulla famiglia Anania 

Eppure qualcosa di male la famiglia Anania deve averlo fatto. 
Solo i "colpevoli" di solito si prendono, in pochi minuti, quasi 3.000 tweet di insulti sul web. Per non parlare dei commenti al vetriolo dei cosiddetti blogger, spuntati ieri su siti prestigiosi. Sulle 120mila pagine web dedicate alla più numerosa famiglia d'Italia, ce ne sono molte che raccontano la loro storia. Ma il clima che si respira nei commenti è nel migliore dei casi ironico ("Sono Dio e volevo informare gli Anania che sono sempre stato per il Figlio unico") e nei peggiori di un'aggressività che fa riflettere, tanto più che un attacco ferocissimo è arrivato dal conduttore del Dopo Festival Rai, in onda (in tutto il mondo) solo sul web («Ricordo alla famiglia Anania che l'aborto è passato in Italia»).

Dunque, il primo "reato" commesso dagli Anania – per il "popolo del web" – è stato quello di mettere al mondo 16 figli. «Perché Sanremo ha dato spazio a loro e non alle famiglie normali lasciate sole con i figli?» ha tuonato una blogger del Fatto, indignata dalla scelta del Festival.
A peggiorare la situazione è stato papà Anania, quando si è permesso (orrore!)di dire dal palco del festival «che un essere umano può creare qualcosa di così grande solo con l'aiuto dello Spirito Santo».

Non l'avesse mai detto. Il "popolo della Rete" è insorto. Quello che un mese fa scriveva #jesuischarliehebdo per rivendicare il diritto di parola e di libertà opinione, non ce l'ha fatta. Davanti a una famiglia con 16 figli e alla sola citazione dello Spirito Santo e della provvidenza durante Sanremo è andato in tilt.
Per favore, non ditegli che Renato Zero al Festival cantò persino un'Ave Maria. Potrebbero perdere qualunque freno. Per fortuna, che loro sono "in" mentre quelli "strani" sarebbero gli Anania.

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''SE NON VAI A MESSA SEI UNO SCEMO'' 

9/2/2015

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"Se non vai a messa sei uno scemo”

Il Papa venuto «dalla fine del mondo» e dai confini miserabili dell'umanità, questo papa pur sempre gesuita, ma sinceramente pop, sta curando molto la divulgazione della sua idea di pontificato e di pastorale, al di fuori - al di sopra - degli schemi, nemmeno a parlarne dei protocolli.

Il mondo, colto ogni volta di sorpresa, fatica a prendere il passo. Ancora non ci eravamo ripresi dalla famosa scenetta in aereo, «se il dottor Gasparri, grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno, è normale, è normale...», quando improvvisamente ne arriva a ruota una della stessa specie, durante la visita domenicale alla parrocchia romana di Pietralata. «C'è chi dice io non vado a messa perché sono stanco. Io dico: sei uno scemo. Perché sei tu che perdi. Se vai a messa ricevi Gesù e sei più forte per lottare nella vita». Così, papale papale.

Ovviamente siamo in molti a sentirci scemi. Ma non c'è come sentirselo dire direttamente dal vicario di Cristo. Questo è il classico caso che ci mette di fronte al bivio, proprio come quando il dito indica la luna: qualcuno si ferma al dito, qualcuno prova a scrutare la luna. Nel caso dello «scemo», molto poco ortodosso, molto poco curiale, possiamo tranquillamente riprendere la tiritera su questo strano Papa, tanto bravo e tanto caro, così umano e così umile, tu pensa che si porta da solo la cartella e continua a calzare le scarpacce di quand'era prevosto, però diciamolo, certe volte si lascia prendere la mano, come si fa a parlare di pugni in piena bufera «Charlie Hebdo», significa legittimare la violenza, un Papa dovrebbe misurare le parole, adesso poi dare dello scemo a chi non va a messa...

Ecco, potremmo proprio usare anche lo «scemo» per continuare indefessi, come diligenti farisei, a fissare il dito, lanciando contro il Papa imprudente e screanzato qualche anatema dei nostri, ma santo cielo, come fa un Pontefice a dare dello scemo al prossimo, non siamo mica al bar, hanno ragione quelli della curia vaticana a temere la dissacrazione e lo svilimento del ruolo. Per chi vuole fermarsi alla forma, c'è davvero tutto il terreno. Non è accettabile, proprio non è concepibile, che un Papa si atteggi e si esprima come un curato di estrema provincia, peggio, come un facchino dei mercati generali.

Oppure. Oppure potremmo smetterla di stupirci, indignarci, accigliarci, e finalmente accettare quello che di sconvolgente è successo negli ultimi tempi: la Chiesa, molto prima e molto meglio della società civile, ha saputo trovare dentro di sé l'uomo giusto al momento giusto. Guardando la luna che il suo dito indica, si vede quanto gli stia a cuore un rapporto diretto con il popolo, senza i filtri di vuote liturgie e di astrusi eufemismi, buttando a mare la forma per puntare dritto alla sostanza. Bisognerà farsene una ragione, per forza o per amore: ciascun Papa è fatto a modo suo. Dopo il raffinato teologo Ratzinger - per la cronaca accusato di non essere comunicativo e diretto: servirebbe un pastore con più calore e più umanità, s'era detto -, dopo il Papa così colto da diventare quasi criptico, ecco la Provvidenza provvedere immediatamente per compensazione, inviando al sacro soglio una guida che usa le parole della sua gente, che a chi non va a messa dice paternamente sei uno scemo, non sai cosa ti perdi, come un'ovomaltina dello spirito e si riparte di slancio.

Via, non è poi così astrusa e choccante, la metafora dello scemo. È un'accorata esortazione a favore dello scemo, perché non si lasci sfuggire l'occasione d'oro per essere meno scemo. È persino avvilente dovercelo spiegare. Quale sarebbe il problema: troppo forte? Troppo esplicito? Troppo volgare? Francesco viene dalle favelas e dai sobborghi metropolitani, tra quella gente si è sempre sentito uno di quella gente, è sempre a quella gente che pensa di parlare con il suo linguaggio brutalmente ed efficacemente universale. Se qualche dotto e qualche erudito lo trovano di bassa lega, poco divino, il problema non è del Papa: è del dotto e dell'erudito. Evidentemente hanno capito pochino di tutto quanto hanno studiato. Proprio non riescono a guardare oltre il dito, dov'è il fulgore illuminante della luna.
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GIORNATA MONDIALE DEL MALATO: MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO

8/2/2015

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11 FEBBRAIO - Madonna di Lourdes
MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

Sapientia cordis. «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29,15)


Cari fratelli e sorelle, in occasione della XXIII Giornata Mondiale del Malato, istituita da san Giovanni Paolo II, mi rivolgo a tutti voi che portate il peso della malattia e siete in diversi modi uniti alla carne di Cristo sofferente; come pure a voi, professionisti e volontari nell’ambito sanitario. Il tema di quest’anno ci invita a meditare un’espressione del Libro di Giobbe: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (29,15). Vorrei farlo nella prospettiva della “sapientia cordis”, la sapienza del cuore.

1. Questa sapienza non è una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti. Essa piuttosto, come la descrive san Giacomo nella sua Lettera, è «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (3,17). È dunque un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio. Facciamo nostra, pertanto, l’invocazione del Salmo: «Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90,12). In questa sapientia cordis, che è dono di Dio, possiamo riassumere i frutti della Giornata Mondiale del Malato.

2. Sapienza del cuore è servire il fratello. Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova (vv.12-13). Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere “occhi per il cieco” e “piedi per lo zoppo”! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

3. Sapienza del cuore è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Gesù stesso ha detto: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Chiediamo con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla “qualità della vita”, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!

4. Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello. Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo, dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40). Per questo, vorrei ricordare ancora una volta «l’assoluta priorità dell’“uscita da sé verso il fratello” come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179). Dalla stessa natura missionaria della Chiesa sgorgano «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove» (ibid.).

5. Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe: «Poi sedettero accanto a lui in  terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,13). Ma gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto. L’esperienza di Giobbe trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014). Anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis. Si comprende perciò come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5). Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo.

6. Affido questa Giornata Mondiale del Malato alla protezione materna di Maria, che ha accolto nel grembo e generato la Sapienza incarnata, Gesù Cristo, nostro Signore. O Maria, Sede della Sapienza, intercedi quale nostra Madre per tutti i malati e per coloro che se ne prendono cura. Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore. Accompagno questa supplica per tutti voi con la mia Benedizione Apostolica.

Papa Francesco
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