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IL CARDINALE BURKE SPIEGA IL «CHI SONO IO PER GIUDICARE» ALLA LUCE DEL CATECHISMO E DELLA TRADIZIONE

17/9/2014

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IL CARDINALE BURKE SPIEGA IL «CHI SONO IO PER GIUDICARE» ALLA LUCE DEL CATECHISMO E DELLA TRADIZIONE

Il cardinale Raymond Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ha rilasciato una lunga intervista televisiva in cui rettifica le errate interpretazioni del “Chi sono io per giudicare?” di papa Francesco, citazione che frequentemente è stata usata per insinuare un cambiamento dell’insegnamento della Chiesa in materia di omosessualità.

L’intervistatore, Thomas McKenna, del Catholic Action Insight, ha chiesto a Burke di indicare qualche caso in cui si possano esprimer giudizi alla luce del “Chi sono io per giudicare?” di Francesco.

«Io devo giudicare gli atti, lo devo» ha risposto il cardinale. «Tutti i giorni noi  giudichiamo certi atti; questa è la legge naturale: scegliere il bene ed evitare il male».

Il cardinale ha aggiunto che, mentre possiamo giudicare atti gravemente peccaminosi, non possiamo invece affermare che una particolare persona sia in istato di peccato grave, perché «forse si commettono quegli atti perfino senza aver conoscenza della loro grave peccaminosità o forse si commettono senza pieno consenso, chi può saperlo?». «Questa enunciata è solo una parte del giudizio, ma gli atti, sì, dobbiamo giudicarli, altrimenti non potremmo condurre una vita buona e morale» ha aggiunto.

McKenna ha proseguito affermando che sarebbe errato interpretare la frase del Papa sostenendo che si tratta di un appoggio al matrimonio omosessuale, e Burke ha condiviso. Il cardinale allora ha toccato il tema della tolleranza e dell’intolleranza, che è al cuore del dibattito.

«Io non sono intollerante verso coloro che si sentono attratti da persone dello stesso sesso», ha detto. «Ho una profonda compassione per loro e specialmente a causa della nostra odierna società in cui molti giovani sono trascinati alla pratica omosessuale, in cui non sarebbero caduti nel passato, per via della totale rilassatezza della morale e della corruzione dei costumi».

«Io ho una profonda compassione per loro ma questa compassione significa che io voglio ch’essi conoscano la verità, per evitare atti peccaminosi per il loro bene e per la loro salvezza; è così che si cerca di aiutare una persona» ha aggiunto. «Oggi tale posizione è contestata da un’aggressiva propaganda omosessualista ma questo non significa che non sia il retto approccio da perseguire».

Burke ha ammonito che ove noi rimanessimo in silenzio di fronte alle pressioni di un’aggressiva campagna omosessualista «contribuiremmo alla distruzione della nostra società». Per il cardinale l’approccio non è solo teorico ma anche pratico. Racconta che un giorno, dopo una Messa di Confermazione, una madre gli si avvicinò accusandolo di aver parlato «male» di sua figlia. Quando chiese a cosa lei si riferisse, la signora rispose che si trattava di articoli che egli aveva scritto per un giornale diocesano sulla tradizionale definizione di matrimonio. Sua figlia, disse la donna, era «sposata» con un’altra donna.

«No», rispose Burke, «sono gli atti che commette tua figlia ad essere cattivi, non è tua figlia, ma lei ha bisogno di arrivare a comprendere la verità sulla sua situazione».
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13.09.2014 - PAPA FRANCESCO A REDIPUGLIA NEL 100' DELL'INIZIO DELLA 1a GUERRA MONDIALE

13/9/2014

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13.09.2014
PAPA FRANCESCO A REDIPUGLIA NEL 100' ANNIVERSARIO DELL'INIZIO DELLA 1a GUERRA MONDIALE
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QUESTE PAROLE CREDO SI ADATTINO MOLTO BENE ANCHE AL TEMA DELLA ''CORREZIONE FRATERNA''...
CHI NON SENTE L'ESIGENZA AMOREVOLE DI CORREGGERE UN FRATELLO, CHE SEONDO L'INSEGNAMENTO DI CRISTO STA ERRANDO, E OPTA PER UN FACILE ''BUONISMO'' E/O UN PILATESCO ''AFFIDIAMOLO ALLA MISERICORDIA DI DIO (cosa peraltro giusto e doveroso), E' COME DICESSE  “A me che importa?” (…), «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).

OMELIA DI PAPA FRANCESCO

Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, (…) trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.
Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!

La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?” (…), «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”.

Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone che riposano qui, i cui resti riposano qui, avevano i loro progetti, i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? L’umanità ha detto: “A me che importa?”.

Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni… Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: “A me che importa?”. Caino direbbe: «Sono forse io il custode di mio fratello?».

Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori. Qui, e nell’altro cimitero, ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore. E da qui ricordiamo tutte le vittime di tutte le guerre.

Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”

E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.

Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Quel “A me che importa?” impedisce di piangere. Caino non ha pianto. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni. Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da quel “A me che importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo: il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto.
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IL MATRIMONIO NON SI ANNULLA: O C'E' O NON C'E'

3/9/2014

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Comunione ai divorziati risposati? Chiesa più tollerante? Ma la Chiesa non ci può far niente: i sacramenti li ha stabiliti Gesù e vanno rispettati
di Rino Cammilleri

Letta attentamente, e condivisa, la bella paginata di Marcello Veneziani sul «Giornale» (11 maggio 2014) a proposito del quarantennale del referendum sul divorzio, una frase verso il finale, tuttavia, mi ha lasciato perplesso: «Reputo saggio, umano e realistico che la Chiesa accolga i divorziati. Un conto è condannare il divorzio, un altro è dannare i divorziati».

IL SOLITO EQUIVOCO
L'equivoco, qui, è il solito: il «divorzio» non esiste, è un lemma giuridico, esistono i divorziati, persone concrete. E la Chiesa, questi, non li ha mai respinti. La Chiesa - meglio: la dottrina cattolica - non si interessa del matrimonio-contratto, istituto pubblico che attiene allo Stato. Il quale, a mio avviso e dato l'andazzo, ormai forse farebbe bene a derubricarlo, lasciando in pace i funzionari comunali: chi vuole accoppiarsi con chi gli pare lo faccia a suo ludibrio senza coinvolgere le istituzioni ma rivolgendosi a privatissimi notai. No, la Chiesa si occupa solo del matrimonio-sacramento. Questo, dice il catechismo, ha due soli ministri: i nubendi; il prete serve solo ad aggiungere la comunione (che è un altro sacramento). Ora, un sacramento (e i sacramenti sono sette) c'è o non c'è. Per esempio, il battesimo. Se sei stato battezzato non puoi più tornare indietro: sei cristiano. Puoi anche smettere di comportarti da tale e puoi perfino ricorrere, come fanno alcuni fanatici, alla richiesta di farti cancellare dai registri parrocchiali (c.d. «sbattezzo», roba da fissati ateisti militanti). Ma battezzato rimani. Per sempre. Sul piano terrestre, non essendo un marchio a fuoco sulla faccia, non ha alcuna conseguenza. Ce l'ha sul piano soprannaturale ma, se non ci credi, la cosa è del tutto –per te- irrilevante: nell'Aldilà, se esiste (ed esiste), si vedranno le carte.

IL MATRIMONIO-SACRAMENTO O C'È O NON C'È
Così è per il matrimonio-sacramento: o c'è o non c'è. Se c'è, permane per sempre. Lo stesso vale per i preti cosiddetti spretati: sono ridotti allo stato laicale, nel senso che non fanno più i preti, ma preti restano per l'eternità. Il sacramento matrimoniale, tra i sette, è l'unico a far problema, perché coinvolge non un singolo ma due persone. Così, è importante il consenso, cum sensum o idem sentire. Perché il sacramento ci sia occorre dire «sì» a un sacco di cose: la persona scelta, l'indissolubilità, l'educazione cristiana di un numero potenzialmente imprecisato di figli, la fedeltà fino all'eroismo. Certo, l'uomo odierno, vittima della civiltà del fatuo, spesso dà il consenso più che altro all'abito bianco, la festa coi parenti, le foto, la torta, ma non al resto. Perciò è sempre più probabile che il sacramento non ci sia per difetto di consenso. La Chiesa, infatti, con la Rota Romana (che non è affatto un tribunale e si chiama così solo perché sulla sede romana c'è un bassorilievo a forma di ruota) accerta se il (pienamente consapevole) consenso c'era e, dunque, c'è il sacramento. Se non c'è, si limita a dichiarare che il matrimonio è nullo. Nullo, non "sciolto" o, come dicono i giornalisti, "annullato". Ma, se c'è, deve allargare la braccia. Se non c'è e uno, in seguito, vuole riprovare con altro partner, la Rota lo sottopone a severo esame, onde assicurarsi che questa volta sappia davvero quello che fa. Appunto perché un sacramento è eterno.

LA CHIESA NON PUÒ DARE LA COMUNIONE AI CONCUBINI
Ora, tutto questo non c'entra con la faccenda dei divorziati risposati. Il punto è un altro.
La dottrina cristiana vieta la fornicazione. Anche a chi non è sposato.
Dunque, non può dare la comunione (altro sacramento) a chi vive in stato di peccato mortale (v. catechismo). 
Tutto qui. Che un cardinale tedesco sollevi il caso e che i suoi dubbi teologici trovino ampio spazio sui media non ha alcuna importanza. Ma la Chiesa non può dare la comunione ai concubini, punto e basta. La comunione si dà a chi si toglie da una situazione di «peccato» e sinceramente promette di non più tornarvi. Ammesse le ricadute, ma non la cronicità strutturale. Se la Chiesa cambiasse questo punto, ammetterebbe che la dottrina di Cristo non esiste ma l'ha inventata lei e, perciò, può farne quel che vuole. E' vero, è difficile, sempre più difficile, vivere da cristiani cattolici. Ma non è obbligatorio, non lo è mai stato. Che direste di uno che, dopo essersi iscritto al club del bridge, pretendesse regole diverse perché le trova troppo dure? Vada al club dello scopone, e saremo contenti tutti.

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Dal Vocabolario
CONCUBINO s.m. / Uomo che convive con una donna senza il vincolo matrimoniale
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Dialogo sulle Immagini

2/9/2014

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Una coppia Testimoni di Geova ferma una ragazza cattolica per interpellarla sulla fede. Un imprevisto, che scombussola i loro piani: la ragazza cattolica è preparata. Vediamo che succede.

Approccio "T.d.G (Testimone di Geova) - Catt (Cattolico)”

T.d.G: Sapevi che la Bibbia proibisce di avere le immagini perché sono idoli?
Non sono i Testimoni di Geova e altri ad affermare che le immagini sono idoli, ma è la Bibbia. Infatti io l’ho riscontrato in (Es 20,3-5)" Non devi avere altri dei. Non devi farti immagine scolpita ne forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è sulla terra di sotto. Non devi inchinarti davanti a loro."…
Qui dice di non avere nessun'immagini perché sono idoli.

Catt: Io invece ti voglio fare una domanda. Per te, è lo stesso immagine e idolo?

T.d.G: Ma certo che è la stessa cosa.

Catt: Per noi cattolici non è così, c'è una grande differenza, adesso ti spiego.
Immagine: E' la rappresentazione di una persona, cosa o idea. Esempio: una pittura, una scultura o fotografia.
L’idolo invece è un’immagine o statua considerata come dio, con vita e potere proprio.
Come vedi nella citazione che mi hai presentato lo dice chiaro, parla di idoli, considerati con potere e divinità. Noi non pensiamo che le immagini abbiano dei poteri. Inoltre la Bibbia non proibisce d’avere delle immagini, anzi la stessa Bibbia presenta casi in cui Dio permette o addirittura comanda fare delle immagini. Vediamo alcuni esempi:
(Es 25,18)"Farai due Cherubini d'oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio."
(Num 21,8)" Il Signore disse a Mosè: "fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita.”"

T.d.G: Ma anche nel (Sal 115,4-5) dice…
Vedi le statue che tu hai, proprio come dice il salmo, hanno occhi e non vedono, allora perché li portate in giro, li baciate quando la Bibbia proibisce di commettere queste idolatrie?

Catt: Guarda che il salmo non si sta riferendo alle statue dei santi visto che allora non esistevano. Parla di idoli, cioè immagini o statue considerate come dio, con vita e potere proprio.
- Per te adorare e venerare è la stessa cosa?

T.d.G: Certo che è la stessa cosa.

Cat: Invece per noi non è così, adesso ti spiego
Adorare: Significa riconoscere qualcuno come essere supremo, accettare il suo dominio totale e assoluto e amarlo su tutte le cose e ciò è possibile soltanto con Dio.
Venerare: Significa rispettare o rendere onore ad una persona o cosa per un motivo speciale, e si riferisce agli angeli e ai santi con le relative rappresentazioni.

T.d.G: Come mi spiega allora (Dt 7,25) dove dice.. 
Infatti io avevo tante immagini di santini e le ho bruciate tutte, perché quando uno conosce la Bibbia bisogna fare quello che essa dice.

Cat: Quindi, tu hai bruciato tutto, sicuro?

T.d.G: Sì.

Cat: Hai la carta d’identità?

T.d.G: Ma che c’entra la carta d’identità.

Cat : Fammi vedere.

- ( il T.d.G. consegna la carta d’identità e si distrae un po’).

- (La cattolica parlando, parlando, prende l’accendino e l’avvicina alla carta d’identità alla vista di tutti…)

- (allora il T.d.G. si rende conto e fa un gesto di…Ma che sta facendo!)

- (La cattolica consegna la carta d'identita e conclude dicendo, come vedi non è lo stesso un'immagine e un idolo.)

Con questa battuta finisce il dialogo
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