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È vero, papa Francesco non giudica le persone omosessuali. Ma l’omosessualità sì. Ecco come 

30/1/2015

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È vero, papa Francesco non giudica le persone omosessuali. Ma l’omosessualità sì. Ecco come 
Leggere l’Evangelii Gaudium e scoprire che le presunte “aperture” del Pontefice sbandierate dai giornali sulle unioni gay sono categorie che proprio non appartengono alla Chiesa


Le parole di papa Francesco sono apparentemente semplici, nel senso che il loro significato letterale è perfettamente comprensibile anche alle persone con una modesta preparazione religiosa e dottrinale. Vanno dritte al cuore, entrano nell’anima e la fecondano con l’immediatezza del loro valore. Ma sono anche parole molto profonde e nessun termine è utilizzato casualmente o impropriamente. E se questo vale per i discorsi di papa Francesco, a maggior ragione vale per quanto egli scrive.

Non è per caso, dunque, che alla propositio numero 64 dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, papa Francesco citi un documento della Conferenza episcopale degli Stati Uniti relativo alla pastorale delle persone che vivono un’inclinazione omosessuale. È importante leggere le parole nel loro contesto. Capitolo II: “Nella crisi dell’impegno comunitario”; Parte I: “Alcune sfide del mondo attuale”; Propositio: “Alcune sfide culturali”. Una collocazione molto precisa e molto significativa. Esplicito anche il riferimento alla Propositio 13: «Neppure dovremmo intendere la novità di questa missione come uno sradicamento», dice. Parla di una memoria “Deuteronomica” (il Libro della Legge, dei precetti). Conclude: «Il credente è fondamentalmente uno “che fa memoria”». C’è bisogno di altro per affermare che, seppure adattato al tempo attuale, il Messaggio è Rivelazione e, quindi, non può cambiare?

L’esortazione ha per tema l’“Annuncio del Vangelo nel mondo attuale”, quindi risponde alla precisa esigenza di riaffermare, qui ed oggi, la Verità rivelata e immutabile. Il documento è rivolto «ai Vescovi, ai Presbiteri e ai Diaconi, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici». Colui che si è presentato al mondo, nella sua umiltà, come Vescovo di Roma parla qui da Pastore della Chiesa Universale, e investe della Missione dell’Annuncio, in perfetta sintonia con il Concilio Vaticano II e col costante magistero, tutti coloro che sono rivestiti del sacerdozio battesimale, ciascuno nel proprio ordine e stato di vita. Il pastore che ha l’odore delle pecore è, molto semplicemente, il pastore di tutti.

Sa di parlare da Papa, e infatti sceglie e soppesa ogni singola parola delle 224 pagine della sua prima esortazione apostolica. Chissà come mai i media che stanno appollaiati da mesi in piazza San Pietro per cogliere una “rivoluzione” in ogni parola e in ogni gesto del Papa, a questo documento hanno prestato una così superficiale attenzione… Forse perché cita per ben 21 volte il suo predecessore come maestro, proprio mentre essi si affannano ad osannarne la presunta diversità? O perché cita 46 volte papa Giovanni Paolo II, 16 volte papa Paolo VI, 9 volte san Tommaso d’Aquino?

Meglio non parlarne, meglio concentrarsi sull’immagine del Papa che si porta da solo una borsa salendo in aereo. Meglio sbandierare il battesimo del bimbo di una coppia non sposata (come se questo non accadesse ogni giorno, da sempre, in ogni luogo della terra). Meglio. Altrimenti, dopo aver venduto copie e fatto audience su una presunta diversità dell’uomo vestito di bianco venuto dalla fine del mondo, bisognerebbe dire che anche questo Papa, per l’ennesima volta, ci ripeterà, certo in modo più simpatico, che Dio è si Amore, ma che ci chiede delle cose ben precise, e per giunta sempre le stesse. Che nemmeno questo Papa dirà che si può abortire, che quello che va bene a me va bene anche a Dio, che in fondo non c’è niente di male nelle unioni omosessuali, nell’eutanasia, nel divorzio.

Ricordiamo bene i titoli delle prime pagine dei giornali, no? “Il Papa apre alle unioni omosessuali”. Poi, leggendo, scoprivamo che aveva detto: «Chi sono io per giudicare?». Parole non molto nuove, le aveva dette un Tizio duemila anni fa a una prostituta. Ma aveva anche aggiunto: «Va’ e non peccare più». E poi “omosessuale”, per la Chiesa e per un gesuita semplice e profondo, vuol dire alcune cose precise. Anzitutto vuol dire “persona”, nella sua interezza di essere creato e sessuato, maschio o femmina. Poi vuol dire che questo uomo prova attrazione verso persone dello stesso sesso, non che “è” omosessuale. Poi vuol dire che vive in castità, perché questa attrazione non è un peccato in sé se non viene agita. Poi vuol dire che si sforza per comprendere e superare questa deviazione dall’ordine naturale del Creato, per tendere alla santità. E, soprattutto, vuol dire che la Chiesa e il suo pastore sono qui per accogliere, per amare, per guidare quella persona, condannando il peccato che la allontana dalla Verità e dalla Salvezza.

Nel caso qualcuno nutrisse ancora dubbi su questi significati, tanto profondi quanto sicuramente voluti, può andare a pagina 54 della Evangelii Gaudium. Meglio lasciare a lui la parola:
«Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo. Inoltre, con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato, specialmente nella fase dell’adolescenza e della giovinezza, tanto vulnerabile dai cambiamenti. Come bene osservano i Vescovi degli Stati Uniti d’America, mentre la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti, “ci sono coloro che presentano questo insegnamento, come ingiusto, ossia opposto ai diritti umani basilari. Tali argomentazioni scaturiscono solitamente da una forma di relativismo morale, che si unisce, non senza inconsistenza, a una fiducia nei diritti assoluti degli individui. In quest’ottica, si percepisce la Chiesa come se promuovesse un pregiudizio particolare e come se interferisse con la libertà individuale” (59).Viviamo in una società dell’informazione che ci satura indiscriminatamente di dati, tutti allo stesso livello, e finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali. Di conseguenza, si rende necessaria un’educazione che insegni a pensare criticamente e che offra un percorso di maturazione nei valori».

E se qualcuno nutrisse ancora dubbi sul fatto che il Papa si riferisca proprio all'”ideologia del genere”, potrà leggere la nota (59): United States Conference of Catholic Bishops, Ministry to persons with a Homosexual Inclination: Guidelines for Pastoral Care (2006). Anche a molti fedeli, destinatari dell’esortazione apostolica ciascuno nel proprio ordine e stato di vita, sarà utile approfondire questo documento, sintesi magistrale tra amore, sollecitudine pastorale e chiarezza dottrinale.

Ministero alle persone con inclinazioni omosessuali – Linee guida di cura pastorale: 25 pagine di amorevole chiarezza.

«Ci sono molte forze nella nostra società che promuovono una visione della sessualità in generale, e dell’omosessualità in particolare, non in accordo con gli scopi ed i piani di Dio sulla sessualità umana. Per offrire una guida, di fronte alla pervasiva confusione…». Vi si parla di dignità umana innata, di accettazione rispettosa, compassionevole e delicata, di condanna per ogni mancanza di rispetto verso le persone interessate, di necessità di purificazione, di crescita nella santità, di chiamata alla Verità di Cristo.

Vivendo in tempi nei quali siamo chiamati a riscoprire e a dover dimostrare l’ovvio, il discorso prende le mosse dal ruolo complementare della sessualità umana creata nella dualità, della differenza nella pari dignità tra maschio e femmina e dell’apertura alla vita. Si afferma chiaro e tondo che gli atti omosessuali non possono rispondere al fine naturale della sessualità umana in quanto atti errati, disordinati e moralmente sbagliati. Al pari, certo, di altri atti della sessualità vissuta come mera ricerca del piacere individuale (adulterio, fornicazione, masturbazione, contraccezione); in più però, rispetto a questi, l’omosessualità contraddice la finalità stessa della sessualità umana. Il testo in lingua originale è chiaro perfino per coloro che masticano poco l’inglese: «Consequently, the Catholic Church has consistently taught that homosexual acts “are contrary to the natural law… Under no circumstances can they be approved”».

Si cita anche la Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale – Persona humana, del 29 dicembre 1975, emessa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo testo, in effetti, non sembra del 1975 ma di oggi. 

Mette in guardia, profeticamente, dalla lusinga del cedimento morale alle unioni omosessuali come analoghe al matrimonio. Parla di accoglienza e sostegno ma non ammette giustificazione morale. Ordina ai vescovi e al clero di insegnare la verità e di vigilare che gli insegnamenti nei seminari e da parte dei teologi non devino dalla retta via. Invita genitori ed educatori a far crescere il senso morale dei ragazzi fino al pieno sviluppo integrale della persona. 

Ammonisce scrittori, artisti e operatori della comunicazione sociale sulla delicatezza della loro enorme influenza. Chiede con insistenza che sia sempre rispettata la libertà e la doverosità dell’istruzione morale e religiosa dei bambini e dei ragazzi.

1975: aveva visto lungo, la Chiesa. Quarant’anni fa aveva già intuito come si sarebbe svolto l’attacco alla base ontologica dell’uomo. Papa Francesco non richiama per mero caso questa sapienza profetica, lo fa per aprirci gli occhi, per spingerci ad essere testimoni della Parola che ci rende e ci mantiene liberi. Francesco non ci dice nulla di nuovo, ci insegna solo una lingua nuova con la quale vivere e proclamare la Verità
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È possibile ancora pregare dopo Auschwitz?

27/1/2015

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È possibile ancora pregare dopo Auschwitz?
Di fronte al male devastante della sofferenza dei piccoli e degli innocenti, si reagisce spesso con una forma di rigetto nei confronti di Dio 

Nel 1967, il filosofo ceco Milan Machovec chiese al teologo cattolico tedesco Johann Baptist Metz se i cristiani potessero ancora pregare dopo Auschwitz. Metz rispose: “Possiamo pregare dopo Auschwitz perché la gente ha pregato ad Auschwitz" . Quindi, sì è possibile pregare perché ebrei e cristiani sono morti recitando lo Shema' Jisra'el ed invocando il Padre nostro.
 
È possibile pregare soprattutto per il cristiano che fonda la possibilità della sua preghiera nella situazione di silenzio e di abbandono da parte di Dio, sull'invocazione che Gesù ha fatto sulla croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27, 46).

È possibile, perché nell’inferno dei lager è proseguita la storia della santità, da Edith Stein a Dietrich Bonhoeffer, a san Massimiliano Maria Kolbe, ai tanti ebrei e cristiani che sono stati modelli luminosi di vita e spiritualità come Etty Hillesum, senza nome e senza senza volto.

Di fronte al degenerare della violenza umana, in ogni sua forma, c’è da chiedersi allora se è ancora vivo il senso di umanità nell’uomo, se è ancora vivo il desiderio di rapporto con la realtà di Dio. Allora la domanda da fare non è “dov’era Dio ad Auschwitz?” ma “dov’era l’uomo?”.

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Famiglia, il Papa «sorpreso e dispiaciuto»

25/1/2015

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Famiglia, il Papa «sorpreso e dispiaciuto»

«Sorpreso» per il fatto che le sue parole, volutamente espresse con il linguaggio di tutti i giorni, non fossero state pienamente contestualizzate da molti media nell’ampio ragionamento. E «dispiaciuto » per il «disorientamento» causato specie alle famiglie numerose, alle quali, infatti, ieri durante l’udienza generale ha prontamente rivolto parole di affetto e di incoraggiamento. Sono stati questi i due sentimenti prevalenti nel Papa, al momento della lettura dei giornali, il giorno dopo il ritorno da Manila. Lo riferisce in questa intervista ad Avvenire, il sostituto della segreteria di Stato della Santa Sede, monsignor Angelo Becciu. L’arcivescovo, uno dei più stretti collaboratori di papa Bergoglio, lo ha accompagnato nel viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine ed era presente alla conferenza stampa sul volo da Manila a Roma. Ha ascoltato personalmente le domande dei giornalisti e le risposte del Pontefice ed è perciò in grado di ricostruire il senso autentico delle parole di Francesco. 

Monsignor Becciu, il Papa si è riconosciuto nell’interpretazione prevalente data dai media alle sue parole, quando diceva che per essere buoni cattolici non è necessario fare figli come conigli? 
Al vedere i titoli dei giornali, il Santo Padre, con il quale ho parlato ieri, ha sorriso ed è rimasto un pochino sorpreso del fatto che le sue parole – volutamente semplici – non sono state pienamente contestualizzate rispetto a un passo chiarissimo della Humanae Vitae sulla paternità responsabile. 

Il ragionamento del Papa era chiaro. La lettura che ne è stata fornita, isolando una sola frase, molto meno... 
La frase del Papa va interpretata nel senso che l’atto procreativo nell’uomo non può seguire la logica dell’istinto animalesco, bensì è frutto di un atto responsabile che si radica nell’amore e nella reciproca donazione di sé. Purtroppo, molto spesso la cultura contemporanea tende a sminuire l’autentica bellezza e l’alto valore dell’amore coniugale, con tutte le negative conseguenze che ne derivano. 

Parlando di tre figli per coppia, Papa Francesco secondo alcuni avrebbe voluto indicare un numero 'tassativo'. 
Ma, no! Il numero tre si riferisce unicamente al numero minimo indicato da sociologi e demografi per assicurare la stabilità della popolazione. In nessuno modo il Papa voleva indicare che esso rappresenta il numero 'giusto' di figli per ogni matrimonio. Ogni coppia cristiana, alla luce della grazia, è chiamata a discernere secondo una serie di parametri umani e divini quale sia il numero di figli che deve avere. 

Molte famiglie numerose sono disorientate di fronte alla versione fornita dai media delle parole del Santo Padre. Che cosa si sente di dir loro? 
Il Papa è davvero dispiaciuto che si sia creato un tale disorientamento. Egli non voleva assolutamente disconoscere la bellezza e il valore delle famiglie numerose. Oggi stesso, all’Udienza Generale, ha affermato che la vita è sempre un bene e che avere tanti figli è un dono di Dio per il quale bisogna rendere grazie. 

Qual è dunque la corretta interpretazione della paternità responsabile di cui parla l’Humanae vitae, più volte sottolineata anche da Francesco? 
È l’interpretazione che nasce dall’insegnamento stesso del beato Paolo VI e dalla tradizione millenaria della Chiesa ribadita nella Casti Connubii (enciclica pubblicata da Pio XI nel 1930, ndr): ossia che senza mai dividere il carattere unitivo e procreativo dell’atto sessuale, esso si deve sempre inserire nella logica dell’amore nella misura in cui la persona intera (fisica, morale e spirituale) si apre al mistero del dono di sé nel vincolo del matrimonio. Possiamo dire che Francesco ha riaffermato la perdurante validità di quel documento in tutti i suoi aspetti? Non ne ho il minimo dubbio. Papa Francesco è un grande ammiratore di Paolo VI, l’ha manifestato in varie occasioni. Del resto è stato lui a beatificarlo e nelle Filippine pochi giorni fa, contemplando una nazione così giovane, ha voluto sottolineare che la posizione espressa nel 1968 da Paolo VI era «profetica». 

Come conciliare dunque l’indispensabile apertura alla vita con i dubbi reali delle coppie che devono affrontare tanti problemi, talvolta incompatibili con l’accoglienza di una nuova vita? 
Sappiamo che questo è un vero dramma per tante coppie. Qui si inserirebbe il discorso del sostegno economico da parte dei governi alle famiglie con redditi bassi. Tuttavia, come ribadisce spesso Papa Francesco, ogni caso va trattato con misericordia e con premura pastorale. I problemi possono nascere da questioni mediche o economiche o psicologiche. Per alcuni coniugi la sfida è enorme e la Chiesa ha come primo dovere di aiutarli e di confortarli. 

Il Papa ha fatto per due volte riferimento alla crisi demografica in Italia. Qual è il messaggio del Papa per il nostro Paese? 
Potrei dire che questa gravissima spia sociologica è rappresentativa di una cultura che non ha speranza né gioia, una cultura dello scarto. Il desiderio di avere bambini è infatti la prova che si crede nel futuro, che si crede in quello che si è: l’Italia e l’Europa stanno perdendo la loro identità, stanno diventando vecchi. Lo spettacolo della gioventù straripante dei Paesi asiatici ha confermato ancor più nella mente del Papa una simile percezione.

#nazarethfamigliadidio #cattolico #cattolici
DA QUANDO I PAPI HANNO SMESSO DI PONTIFICARE, PONTIFICANO TUTTI GLI ALTRI
#CIARLATANIINMALAFEDE
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Il dono di parlar chiaro e quello di voler intendere... 

23/1/2015

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''...nessuna persona intelligente ha potuto pensare che il gesto del pugno dato a chi «insulta mia mamma» intendesse in qualche modo giustificare la violenza.''
di Maurizio Patriciello


La fantasia di Dio ci sorprende sempre e in ogni cosa. Dai fiori, agli animali; dagli uomini, agli angeli, alle stelle. La fantasia di Dio continua a sorprenderci anche nel Papa che guida la sua Chiesa. Chi avrebbe potuto prevedere, alla morte di san Giovanni Paolo II, un papa austero, timido, nobile come Benedetto? Eppure comprendemmo presto che era proprio il Timoniere che ci voleva dopo il ciclone buono del Papa polacco. Benedetto: un Pontefice che si è fatto amare per la dolcezza, la parola misurata, il coraggio. Oggi presente nella Chiesa come radice invisibile che tanta linfa dona all’Albero. Un Papa al quale vorremmo che arrivassero sempre la nostra riconoscenza e il nostro affetto. Dopo lo sconcerto e il dolore che provammo alla notizia della sua rinuncia al Soglio di Pietro, ricominciò l’attesa. Quante preghiere. Quanta preghiera. Il mondo cattolico, e non solo, stava con il fiato sospeso. 'Chi sarà il prossimo Pontefice? Da dove verrà?'. Fino a quando dalla loggia non si affacciò lui, Francesco, il vescovo venuto dalla fine del mondo. 

«Buonasera», disse e divenne nostro. Nostro perché di Dio, di Cristo, della Chiesa. Nostro perché non più suo. Il popolo, forse prima degli ' esperti' di cose vaticane, capì quanto grande fosse il cuore di Francesco. E se ne innamorò. Il suo linguaggio era profondo eppure estemporaneo, immediato, ricco di gesti e di espressioni mimiche. Francesco divenne il parroco del mondo. Simpatico, la battuta facile, gioioso, ironico senza mai fare male a chicchessia. La fantasia di Dio ci sorprende sempre, anche coi Papi. Le chiacchierate con i giornalisti che lo accompagnano nei viaggi apostolici, sono a loro volta profonde eppure leggere, efficaci, comprensibili. 

Anche se la tentazione di strumentalizzare (e tagliare a misura) le sue parole e la sua mimica in qualcuno è sempre in agguato, nessuna persona intelligente ha potuto pensare che il gesto del pugno dato a chi «insulta mia mamma» intendesse in qualche modo giustificare la violenza. Al contrario, era un accorato invito a una coraggiosa prudenza: libertà di stampa sì, ma rispetto per chi la pensa e crede diversamente da te. E il discorso sulla paternità responsabile? 
Nemmeno un parroco di campagna avrebbe mai pensato di potere osare tanto. La frase, che a qualcuno potrebbe non piacere: «Essere cattolico non vuol dire fare figli come conigli» ha avuto una risonanza mondiale ed è stata compresa da tutti i poveri di tutte le periferie del mondo. 

Occorre ammettere che a non usare un linguaggio chiaro e trasparente si rischia di soffrire e far soffrire. Diciamolo: a volte imbarazzati nel rispondere a qualche domanda scomoda, fingiamo di ignorarla. E invece no. I problemi vanno guardati in faccia e affrontati. I figli sono un dono di Dio. Immenso, stupendo dono che ci supera e ci trascende. Ma i figli-dono vengono affidati alle donne e agli uomini che debbono provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione, al loro sviluppo. Si può volere bene a Gesù, ai propri cari e rimanere sereni nel tentare di non avere altri figli cui badare? Certo, ha detto il Papa. E in quel omento la pace è scesa nei cuori di tanti sinceri credenti tormentati e dei loro parroci. Attenzione, però: non ha inventato una dottrina nuova, Francesco, ma una nuova modalità di comunicare con i diretti interessati senza mediazioni. 

Forse anche questo dobbiamo imparare dal Santo Padre: a farci capire. Alla sua scuola possiamo metterci tutti: preti, vescovi, giornalisti, scrittori, politici. A san Giovanni Bosco che per una sua omelia aveva definito san Pietro 'clavigero', mamma Margherita chiese: «Che vuol dire clavigero, Giovannì?» «Che ha le chiavi, mamma», rispose don Giovanni. «E allora dici così. Se non ho capito io, non penso che capiranno gli altri…». E quell’elogio delle lacrime che tanti poveri non cessano di versare anche per l’ingordigia e l’insensibilità dei ricchi e di cui a volte sono costretti a vergognarsi? Il Papa: «Una delle cose che si perde quando c’è troppo benessere, o i valori non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia, a questa cultura dello scarto, è la capacità di piangere. È una grazia che dobbiamo chiedere». 

Chi di noi, poi, a una domanda complessa, difficile, insidiosa come quella sulla corruzione avrebbe risposto non con una teoria, ma con una testimonianza vissuta in prima persona? Nel 1994 gli viene offerta una grossa somma di denaro con la clausola di restituirne in nero la metà. Un imbroglio, dunque, forse per riciclare denaro sporco. «In quel momento, ho pensato cosa fare: o li insulto e gli do un calcio dove non batte il sole o faccio lo scemo…», ha raccontato il Papa. 
Altro che scemo, la risposta dice tutta la semplicità e la scaltrezza evangelica che il Signore richiede a chi lo segue. Ma non è finita. La lezione non vale solo per chi è fuori dalla Chiesa. Accorgendosi che il 'benefattore' restava meravigliato e intuendone il pensiero, il Papa aggiunge: «È una piaga nella Chiesa, ma ci sono tanti santi, e santi peccatori, ma non corrotti. Guardiamo all’altra parte, anche nella Chiesa santa». Ce n'è per tutti. Fuori e dentro la Chiesa. Chi ha orecchie per intendere, intenda. Noi vogliamo solo rendere grazie a Gesù per averci donato Francesco, un Papa che, nella sua evangelica semplicità, tanto gli somiglia.
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LA REALTA' E I CONIGLI

21/1/2015

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di A. Tornielli

Dedicato a tutti coloro che fingono di non vedere che cosa è accaduto la scorsa settimana nello Sri Lanka e nelle Filippine, a coloro che non si curano della realtà, degli incontri commoventi, delle parole di Francesco a Tacoblan, all’incontro con le famiglie, all’incontro con i giovani. O del messaggio forte e coraggioso contro la “colonizzazione ideologica” con la quale si cercano di imporre ai popoli, in cambio di aiuti finanziari, visioni e teorie che non appartengono alla loro identità. 

Dedicato a tutti coloro che per sostenere quella che ormai è diventata la loro tesi preconcetta – se guardassero alla realtà di ciò che è avvenuto durante il viaggio, dovrebbero ricredersi – censurano regolarmente le parole del Papa. Le ignorano quando non rientrano nel loro schema, facendo esattamente ciò che per decenni hanno imputato a certi giornalidi fare con i predecessori di Francesco.

Dedicato a tutti coloro che si attaccano alla battuta sui conigli facendo finta di non capire il messaggio del Papa.

Queste sono le parole di Giovanni Paolo II una delle diverse volte in cui ha espresso lo stesso concetto, all’Angelus del 17 luglio 1994, l’Anno della Famiglia. “Il pensiero cattolico è sovente equivocato come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così”.

E intanto, questa mattina, ricordando i giorni del viaggio di fronte ai pellegrini all’udienza del mercoledì, Francesco ha detto: “Dà consolazione e speranza vedere tante famiglie numerose che accolgono i figli come un vero dono di Dio“. Ha aggiunto che “è semplicistico dire che famiglie con molti figli e nascita di tanti bambini sono cause della povertà”, e ha ribadito che “la causa principale della povertà è un sistema economico che ha tolto la persona dal centro e vi ha posto il dio denaro”.
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Il gesto delle corna fatto dal Papa è legato al satanismo?

20/1/2015

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Il gesto delle corna fatto dal Papa è legato al satanismo?

A Manila il pontefice e il cardinale Tagle hanno salutato la folla con un saluto che ha suscitato diverse critiche
Ha fatto il giro del mondo la foto di Papa Francesco che fa le "corna" accanto al cardinale filippino Luis Antonio Tagle. Molte volte le persone immortalate in quel modo vengono indistintamente e con una certa superficialità associate all'occulto in quanto si tratterebbe di un segno di adesione a qualche società segreta o al satanismo.

UN SALUTO CHE DA' ENERGIA
Un'interpretazione fuorviante. Come scrive rainews.it (18 gennaio), «come due popstar su un palcoscenico musicale, il papa e il cardinale hanno salutato i fedeli con il linguaggio dei segni: le corna a tre dita. Simbolo della musica rock, che esprime approvazione, forza e trasporto. Il gesto significa "I love you". Un saluto affettuoso che il Pontefice ha riservato alle famiglie filippine durante un incontro a Manila».

I-L-Y TRA I NON UDENTI
Più precisamente, quello delle corna è un segno da American Sign Language, che, poi è stato esteso a livello internazionale. E' nato tra gli scolari non udenti che utilizzano la lingua dei segni americana per creare un segno da una combinazione dei segni per le lettere I, L e Y (Ti amo) (American Sign language University).

STIMA E AMORE
Il segno è un modo molto informale di esprimere una serie di emozioni positive, che vanno dalla stima generale all'amore per il destinatario del segno. Ha ricevuto una notevole esposizione mediatica negli Usa grazie a Richard Dawson che lo mostrava in ogni episodio di Family Feud, celebre quiz televisivo americano, tra il 1976 al 1985. Ebbe successo anche grazie al  candidato presidenziale Jimmy Carter che lo utilizzò durante la sua campagna elettorale quando incontrò un gruppo di sostenitori non udenti nel Midwest.
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Non profaniamo la parola “martire”

16/1/2015

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Non profaniamo la parola “martire”

Il 21 dicembre scorso l’agenzia di informazione religiosa Zent annunciava che la Pontificia Congregazione  per le Cause dei Santi, nella sua prossima riunione ordinaria del 3 febbraio 2015 prenderà in esame per la decisione definitiva la Causa riguardante la Beatificazione di due frati minori di nazionalità polacca e del nostro bergamasco Don Sandro Dordi, della comunità del Paradiso, trucidati dai terroristi di Sendero Luminoso in Perù nell’agosto del 1991.

La stessa agenzia pochi giorni dopo informava che I teologi della stessa Congregazione, hanno riconosciuto all’unanimità che monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di El Salvador, assassinato dagli squadroni della morte durante la Messa il 24 marzo 1980, per punirlo della sua concreta adesione alla “scelta preferenziale dei poveri” decisa dalla Conferenza Episcopale dell’America Latina a MedellÍn, è stato ucciso inodium fidei , cioè per odio alla fede. (Questo riconoscimento è un passo decisivo per portare avanti l’iter della Beatificazione del vescovo latinoamericano).

Non facciamo confusione!

Nel tragico contesto della strage perpetrata a Parigi a motivo (ma sarebbe meglio dire a pretesto) religioso, viene all’evidenza una sostanziale differenza fra i martiri cristiani e certi cosiddetti martiri islamici (che, secondo me, non hanno niente a che fare nemmeno con l’Islamismo). I martiri cristiani non sono mai portatori di morte; sono persone che accettano la morte piuttosto che rinunciare alla loro fede in Dio o venir meno alla loro dedizione al prossimo a motivo di Dio, a differenza di terroristi islamici che si fanno esplodere disintegrando se stessi e seminando volutamente strage di innocenti intorno a sé.

Testimonianza su Don Sandro Dordi

A questo proposito, ho una mia personale testimonianza da rendere al discreto eroismo del nostro Don Sandro Dordi. Con lui ho condiviso sette anni di ministero tra gli emigranti italiani in Svizzera tra il 1971 e il 1978. Io poi per motivi di salute tornai in Italia nel 1978; egli, per seguire la sua vocazione ad un servizio più generoso ai poveri, nel 1980 andò missionario a Santa in Perù come sacerdote “fidei donum” (dono della fede della Diocesi di Bergamo alla Diocesi di Chimbote).

Quando don Sandro venne in Italia per l’ultima volta, mi venne a trovare insieme con mons. Lino Belotti. Sapevo già del suo zelo e del suo impegno nella nuova missione, come anche dei grossi rischi che correva a causa dell’ostilità dei terroristi di Sendero Luminoso, i quali ritenevano che i sacerdoti con il loro “assistenzialismo” e con il “buonismo” della loro predicazione, spegnevano… le aspirazioni rivoluzionarie del popolo oppresso.

Durante quella nostra conversazione, Mons. Belotti mi informò che Don Sandro era stato trovato ammalato di polmoni. Allora, mi rivolsi a lui e gli dissi: «Ma, Don Sandro, ora hai un buon motivo per tornare in Italia a curarti come ho fatto io dalla Svizzera. Poi, se ti rimetti, potrai sempre tornare alla tua missione». Vedo ancora Don Sandro: mi guardò con un accenno di sorriso  e mi disse con la sua asciuttezza nel parlare che conoscevo bene: «Don Giacomo, in questo momento, se li abbandono anch’io, non hanno proprio più nessuno».

I martiri cristiani, coscientemente disposti al sacrificio di sé

E sapeva bene a che cosa andava incontro. Continuarono le minacce dei terroristi, finché, tempo dopo, sui muri del mercato di Santa apparve la terribile scritta: “Yankees, el Perù sarà la tu tomba”. Le minacce cominciarono a diventare tragica realtà, il 9 agosto del 1991. A Pariacoto , nelle vicinanze di Santa, furono processati in piazza e “giustiziati” due giovani sacerdoti francescani polacchi, che stavano facendo un lavoro simile al suo, Padre Michel  Tomaszek di 32 anni e Padre Zbignew Stralkowiscki di 35. Dopo quell’esecuzione, sui muri di Santa apparve la scritta minacciosa “Il prossimo sarai tu”. Non si indicava il nome, ma non fu difficile capire a chi si riferivano.

Don Sandro fu ucciso in un’imboscata, mentre tornava dalla celebrazione della Messa in un villaggio, il pomeriggio del 25 agosto, quindici giorni dopo l’uccisione del Francescani, che ora sono associati a lui nel processo di Beatificazione che sta per concludersi.

Martiri per amore della vita

Torno ad insistere sulla necessità che tutti, e specialmente i media, in questo contesto di violenza con il pretesto della religione, imparino a cogliere e anche a mettere in risalto che i martiri cristiani non tolgono la vita a nessuno, ma la donano come Gesù, perché i fratelli, soprattutto i più poveri, “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

In un cartello, portato bene in vista alla partenza della salma dall’aeroporto di Lima (che poi l’ha accompagnata fino a Bergamo) c’era scritto: “Sandro, contigo decìmos sì a la vida, no a la muetrte” (Sandro, con te diciamo sì alla vita, no alla morte).

Bella differenza con i terroristi di Parigi e di tante altre parti del mondo.

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Cinque Gesù: i quattro che inventiamo e quello che incontriamo Come evitare di fraintenderlo

6/1/2015

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Cinque Gesù: i quattro che inventiamo e quello che incontriamo
Come evitare di fraintenderlo

“Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori”, ha detto papa Francesco il 1° gennaio.

È senz'altro vero. Lo riscriviamo (come ne Il codice da Vinci), lo ripensiamo senza fede (come nelle opere scettiche di Bart Ehrman) o reimmaginiamo la fede senza la religione (come hanno cercato di fare i libri recenti di James Carroll e Bill O'Reilly).

Nella nostra testa vagano vari Gesù, e ho pensato che fosse utile dire quali sono. Non fraintendetemi. Non intendo elencare tutte le risposte sbagliate della gente alla domanda “Chi è Gesù?” e poi dare la risposta giusta. La verità è che io cado regolarmente in ciascuna di queste risposte sbagliate, e sospetto che accada anche ad altri.

Il primo Gesù: un amico immaginario particolarmente vivido e amorevole

Mia moglie e io siamo catechisti per la preparazione alla Cresima nella nostra parrocchia di Atchison (Kansas, Stati Uniti), e ho sempre iniziato il primo incontro dicendo: “Alzate la mano se questa affermazione è vera: Gesù è un amico immaginaro che vi abbraccerà ogni volta che ne avete bisogno”.

In genere almeno la metà delle mani si alza, e a volte quasi tutte. Sono orgoglioso dei miei studenti di quest'anno: nessuno ha alzato la mano, e anzi hanno protestato dicendo: “Signor Hoopes, non è immaginario”.

Ma anche la classe di quest'anno ha avuto un po' di problemi a capire che Gesù non ci abbraccia sempre: a volte è arrabbiato con noi, e a volte trattiene il suo amore per far sì che il nostro desiderio di lui sia più intenso.

La verità è che tutti noi a volte rendiamo Gesù una “coperta emotiva”, ma farlo è molto pericoloso. Gesù ha detto “Chi mi ama osserverà i miei comandamenti”, ma se il nostro Gesù è un amico immaginario da abbracciare questo non avrà senso e non avrà alcuna influenza su di noi. E il mondo accantonerà rapidamente questo Gesù come una nostra debolezza psicologica che non si condivide.

Il secondo Gesù: il sostegno morale alla mia ideologia

Viviamo in una società politicizzata, in cui le domande sul chi siamo per noi non sono più “Qual è la tua religione?” o “Da quale famiglia provieni”, ma “Qual è il tuo partito politico?”

In una società di questo tipo, ci troviamo nel pericolo costante di politicizzare Cristo. Una parte si convince che Gesù sia la base dei repubblicani, perché sono pro-vita (o almeno contro la diffusione dell'aborto) e contro la ridefinizione del matrimonio (almeno nell'ultima riunione di partito), un'altra è convinta che Gesù sia la base dei democratici perché sono contro la guerra (tranne quando sono loro a iniziarla) e a favore dei più piccoli (a patto che i più piccoli siano già nati, non troppo anziani e non lavorino in una fabbrica in Cina).

In questo fraintendimento riduciamo Gesù a uno dei tanti fattori che formano ciò che è più importante per noi: le nostre opinioni politiche. A questo Gesù non è permesso di sfidare queste opinioni, ma siamo tutti dalla sua parte quando le sostiene.

Il terzo Gesù è un talismano magico

Questo errore è compiuto sia da quanti vogliono evocare Gesù insieme alla religione che da quanti temono di opporsi a lui, ma altrimenti non ci fanno caso.

Per i religiosi, Gesù può diventare un genio della lampada che ha proposto di realizzare i nostri desideri all'unica condizione che li ripetiamo in continuazione con sentimento. Per quelli che non sono più praticanti, diventa una sorta di spauracchio: non ne teniamo grande conto, ma evitiamo di mancargli di rispetto per paura di cattiva sorte o rappresaglie misteriose.

In entrambi i casi, questo atteggiamento rende un terribile “disservizio” a Gesù, e alla fin fine distrugge la fede in lui. Se Dio per noi è “un fattorino per soddisfare i nostri desideri erranti”, per usare le parole memorabili di Bob Dylan, scopriamo rapidamente che è un fattorino davvero inefficiente. Se è una forza karmica alla quale non dobbiamo opporci, scopriamo presto che è una forza decisamente debole.

Il quarto è il Gesù apologetico

Un'altra trappola nella quale i cattolici attivi, che leggono i blog e difendono la Chiesa possono cadere facilmente è ridurre Gesù al passe-partout dell'apologetica: la figura che fa sì che le nostre argomentazioni abbiano un senso.

Scopriamo l'apologetica, realizziamo che la nostra fede non è assurda e questo rafforza la nostra vita e ci riporta per un po' in un rapporto con Dio. Il problema si verifica quando ci fermiamo a questo. Il nostro rapporto deve progredire dal “Finalmente 'colgo' Gesù. Egli mostra come la Chiesa abbia ragione e il mondo torto!” a “Gesù è vero, e bellissimo, e misterioso, e sia io che il mondo dobbiamo lottare per comprenderlo meglio”.

Alla fin fine, il Gesù apologetico non è diverso dal “Gesù storico” su cui gli scettici amano speculare: è un oggetto di studio umano, una figura affascinante ma remota del nostro intelletto.

Il quinto Gesù è il figlio di Maria – e la seconda Persona della Trinità

Come evitare i fraintendimenti? Purtroppo non riuscirò a riassumere il vero Gesù in poche frasi, ma nell'omelia del 1° gennaio papa Francesco ha fornito una chiave: “La nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo”, il vero Dio che ha davvero condiviso la nostra umanità ed è davvero con noi nei sacramenti.

La verità è che i miei fraintendimenti su Gesù non sono tanto diversi da quelli su altre persone nella mia vita. Tendo a diffamare, idealizzare o accantonare anche mia moglie in vari punti della nostra relazione prima di ricordare che è fatta di carne e sangue. Il modo migliore di correggere la mia comprensione di mia moglie è trascorrere più tempo con lei – parlandole e ascoltandola. E succede lo stesso con Gesù.

Il problema con tutti questi fraintendimenti è che rendono Gesù un mezzo per raggiungere un fine piuttosto che un fine in sé. Non capiremo mai il vero Gesù fino a che non lo incontreremo laddove può essere trovato: nelle Scritture, nel tabernacolo, nel confessionale, nella comunità di credenti e negli insegnamenti della Chiesa.

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Sette grandi ragioni per confessarsi domani (e spesso)

4/1/2015

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Sette grandi ragioni per confessarsi domani (e spesso)
La confessione è un dono che dona a sua volta. Andate presto, andate spesso e portate i bambini


All'Istituto Gregoriano presso il Benedictine College crediamo sia il momento che i cattolici promuovano con creatività e vigore la confessione.

“Il nostro rinnovamento dipende dal rinnovamento della prassi della penitenza”, ha detto papa Benedetto al Nationals Stadium a Washington.

Papa Giovanni Paolo II ha trascorso i suoi ultimi anni sulla terra pregando i cattolici di tornare alla confessione, includendo questa supplica in un urgente motu proprio sulla confessione e in un'enciclica sull'Eucaristia.

Il pontefice ha definito la crisi nella Chiesa la crisi della confessione, e ha scritto ai sacerdoti:

“Sento il desiderio di invitarvi caldamente, come ho già fatto lo scorso anno, a riscoprire personalmente e a far riscoprire la bellezza del sacramento della Riconciliazione”.

Perché tutta questa ansia nei confronti della confessione? Perché quando saltiamo la confessione perdiamo il senso del peccato. La perdita del senso del peccato è alla base di tanti mali nella nostra epoca, dagli abusi di bambini alla disonestà finanziaria, dall'aborto all'ateismo.

Come promuovere allora la confessione? Ecco qualche spunto di riflessione. Sette ragioni per tornare alla confessione, a livello sia naturale che soprannaturale.

1. Il peccato è un peso

Un terapista ha raccontato la storia di una paziente che aveva attraversato un terribile ciclo di depressione e disprezzo di sé fin dalle scuole superiori. Nulla sembrava essere d'aiuto. Un giorno, il terapista ha incontrato la paziente davanti a una chiesa cattolica. Si sono riparati lì dentro mentre iniziava a piovere e hanno visto le persone che andavano a confessarsi.

“Dovrei andare anch'io?”, ha chiesto la paziente, che aveva ricevuto il sacramento da bambina. “No!”, ha detto il terapista. La paziente è andata comunque, ed è uscita dal confessionale con il primo sorriso che faceva da anni, e nelle settimane successive ha iniziato a migliorare. Il terapista ha studiato di più la confessione, alla fine è diventato cattolico e ora consiglia la confessione regolare a tutti i suoi pazienti cattolici.

Il peccato porta alla depressione perché non è solo una violazione arbitraria delle regole: è una violazione dell'obiettivo inscritto nel nostro essere da Dio. La confessione solleva la colpa e l'ansia provocate dal peccato e ti guarisce.

2. Il peccato fa peggiorare


Nel film “3:10 to Yuma”, il cattivo Ben Wade dice “Non perdo tempo a fare niente di buono, Dan. Se fai una cosa buona per qualcuno, immagino che diventi un'abitudine”. Ha ragione. Come diceva Aristotele, “Siamo quello che facciamo ripetutamente”. Come sottolinea il Catechismo, il peccato provoca un'inclinazione al peccato. La gente non mente, diventa bugiarda. Noi non rubiamo, diventiamo ladri. Fare una pausa decisa dal peccato ridefinisce, permette di iniziare nuove abitudini di virtù.

“Dio è determinato a liberare i suoi figli dalla schiavitù per condurli alla libertà”, ha detto papa Benedetto XVI. “E la schiavitù più grave e più profonda è proprio quella del peccato”.

3. Abbiamo bisogno di dirlo

Se rompi un oggetto che appartiene a un amico e che gli piaceva molto, non ti basterà mai limitarti a dispiacerti. Ti sentirai costretto a spiegare quello che hai fatto, a esprimere il tuo dolore e a fare qualsiasi cosa sia necessaria per rimettere a posto le cose.

Accade lo stesso quando rompiamo qualcosa nel nostro rapporto con Dio. Abbiamo bisogno di dire che ci dispiace e di cercare di sistemare le cose.

Papa Benedetto XVI sottolinea che dovremmo provare la necessità di confessarci anche se non abbiamo commesso un peccato grave. “Facciamo pulizia delle nostre abitazioni, delle nostre camere, almeno ogni settimana, anche se la sporcizia è sempre la stessa. Per vivere nel pulito, per ricominciare; altrimenti, forse la sporcizia non si vede, ma si accumula. Una cosa simile vale anche per l'anima”.

4. Confessarsi aiuta a conoscersi

Ci sbagliamo molto su noi stessi. La nostra opinione di noi stessi è come una serie di specchi deformanti. A volte vediamo una versione forte e splendida di noi, che ispira rispetto, altre volte una visione grottesca e odiosa.

La confessione ci costringe a guardare alla nostra vita con obiettività, a separare i peccati reali dai sentimenti negativi e a vederci come siamo realmente.

Come indica Benedetto XVI, la confessione “ci aiuta ad avere una coscienza più svelta, più aperta e così anche di maturare spiritualmente e come persona umana”. 

5. La confessione aiuta i bambini


Anche i bambini devono accostarsi alla confessione. Alcuni scrittori hanno sottolineato gli aspetti negativi della confessione infantile - essere messi in fila nelle scuole cattoliche ed essere “costretti” a pensare alle cose delle quali sentirsi colpevoli.

Non dovrebbe essere così.

L'editrice del Catholic Digest Danielle Bean ha spiegato una volta come i suoi fratelli e le sue sorelle strappavano la lista dei peccati dopo la confessione e la gettavano nel canale di scolo della chiesa. “Che liberazione!”, ha scritto. “Rimandare i miei peccati nel mondo oscuro da dove erano venuti sembrava del tutto appropriato. 'Ho picchiato mia sorella sei volte' e 'ho parlato dietro mia madre quattro volte' non erano più pesi che dovevo portare”.

La confessione può dare ai bambini un posto per sfogarsi senza paura, e un luogo in cui ottenere gentilmente il consiglio di un adulto quando temono di parlare con i propri genitori. Un buon esame di coscienza può guidare i bambini alle cose da confessare. Molte famiglie rendono la confessione un “outing”, seguito da un gelato.

6. Confessare i peccati mortali è necessario


Come sottolinea il Catechismo, il peccato mortale inconfessato “provoca l'esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili”.

Nel XXI secolo, la Chiesa ci ha ricordato più volte che i cattolici che hanno commesso un peccato mortale non possono accostarsi alla Comunione senza essersi confessati.

“Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso”, afferma il Catechismo.

I vescovi statunitensi hanno ricordato ai cattolici i peccati comuni che costituiscono materia grave nel documento del 2006 “Beati gli invitati alla sua cena”. Questi peccati includono mancare alla Messa la domenica o una festa di precetto, aborto ed eutanasia, qualsiasi attività sessuale extramatrimoniale, furto, pornografia, maldicenza, odio e invidia.

7. La confessione è un incontro personale con Cristo

Nella confessione, è Cristo che guarisce e ci perdona, attraverso il ministero del sacerdote. Abbiamo un incontro personale con Cristo nel confessionale. Come i pastori e i magi alla mangiatoia, proviamo stupore e umiltà. E come i santi alla crocifissione, proviamo gratitudine, pentimento e pace.

Non c'è maggior risultato nella vita che aiutare un'altra persona a tornare alla confessione.

Dovremmo voler parlare della confessione come parliamo di qualsiasi altro evento significativo nella nostra vita. Il commento “Riuscirò a farlo solo dopo, perché devo andare a confessarmi” può essere più convincente di un discorso teologico. E visto che la confessione è un evento significativo nella nostra vita, è una risposta appropriata alla domanda “Cosa fai questo weekend?”. Molti di noi hanno anche storie di confessione interessanti o divertenti, che vanno raccontate.

Fate sì che la confessione torni ad essere un evento normale. Fate sì che più gente possibile scopra la bellezza di questo sacramento liberatorio.


Tom Hoopes è vicepresidente di College Relations e scrittore presso il Benedictine College di Atchison, Kansas (Stati Uniti). I suoi scritti sono apparsi su First Things’ First Thoughts, National Review Online, Crisis, Our Sunday Visitor, Inside Catholic e Columbia. Prima di entrare al Benedictine College, era direttore esecutivo del National Catholic Register. È stato segretario stampa per il presidente dello U.S. House Ways & Means Committee. Insieme alla moglie April è stato codirettore editoriale della rivista Faith & Family per 5 anni. Hanno nove figli. I loro punti di vista espressi in questo blog non riflettono necessariamente quelli del Benedictine College o dell'Istituto Gregoriano.

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C'è aria di "Tribunale del popolo" nella Chiesa 

3/1/2015

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C'è aria di "Tribunale del popolo" nella Chiesa 
di Riccardo Cascioli

È un dato di fatto. Chi vive di ideologia perde il senso del ridicolo. Solo così si può spiegare il crescendo di attacchi – e anche insulti – a Vittorio Messori per l’articolo pubblicato il 24 dicembre sul Corriere della Sera e da noi ripubblicato il 28 dicembre (clicca qui). Commenti feroci di cui abbiamo dato un saggio ieri (clicca qui), ma che sono straordinariamente ampi e che hanno trovato il loro vertice in una petizione online per “Fermare gli attacchi contro papa Francesco” (clicca qui), in cui l’articolo di Messori è giudicato addirittura «una dichiarazione di guerra» e «un avvertimento di stampo mafioso», evocando dei «mandanti» non meglio specificati. 

Le critiche scendono nel ridicolo ponendo il Corriere della Sera al centro di una oscura trama che mira a boicottare il pontificato di Francesco. Evidentemente questi signori non leggono molto spesso il Corriere se non si sono accorti di quanto invece abbia contribuito il quotidiano milanese a mettere all’indice tutti quei vescovi e cardinali che nel recente Sinodo hanno osato criticare le posizioni del cardinale Kasper, bollandoli come «nemici del Papa» (basterebbe ricordare certi articoli di Massimo Franco).

Così chi non avesse letto l’articolo di Messori sarebbe portato a pensare che vi siano contenute chissà quali critiche terribili a papa Francesco, mentre il cuore del discorso è tutto un altro: partendo dalla constatazione di una «apparente contraddittorietà» di alcuni interventi del Papa che disorientano molti cattolici, Messori ricorda che il credente «sa che non si guarda a un Pontefice come a un Presidente eletto di repubblica o come a un re, erede casuale di un altro re. Certo, in conclave, quegli strumenti dello Spirito Santo che, stando alla fede, sono i cardinali elettori condividono i limiti, gli errori, magari i peccati che contrassegnano l’umanità intera. Ma capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa un po’ meglio di noi quale sia la scelta migliore, quanto al suo temporaneo rappresentante terreno. Una scelta che può apparire sconcertante alla vista limitata dei contemporanei ma che poi, nella prospettiva storica, rivela le sue ragioni».

Insomma Messori – molto cattolicamente - ricorda che i papi, tutti i papi, possono essere più o meno simpatici, più o meno alla mano, più o meno chiari, ma non è per le loro qualità personali o per le loro idee in fatto di pastorale che li seguiamo. Il Papa è il vicario di Cristo, è il segno visibile dell’unità della Chiesa e non ci può essere vera appartenenza alla Chiesa senza l’unità con il Papa. Punto. Ciò non toglie la possibilità di esprimere riserve o perplessità riguardo ad alcuni comportamenti o interventi (cosa peraltro prevista anche dal Codice di Diritto Canonico), pur sempre nell’umiltà e nel rispetto che la missione di Pietro richiede.

Ma è proprio questo il vero motivo per cui assistiamo all’assalto a Messori. Certi "pasdaran" di papa Francesco infatti sono gli stessi che hanno gettato fango a palate sui suoi predecessori. Basta scorrere la lista dei firmatari della petizione, che inizia con don Paolo Farinella e poi prosegue – tanto per citarne alcuni – don Alessandro Santoro (Comunità Le Piagge di Firenze), don Luigi Ciotti, don Albino Bizzotto (Beati i Costruttori di pace), padre Alex Zanottelli, l’associazione Noi Siamo Chiesa. Insomma tutto quel bel mondo che si è sempre vantato di sparare a zero sulla Chiesa istituzionale, di fregarsene della dottrina cattolica sostituendola con la propria personale, di aver pubblicamente disprezzato i papi precedenti. Per loro il Papa è esattamente come il presidente della Repubblica, dipende se è del mio partito o di quello avversario. Basta leggere cosa dice di sé don Farinella sul blog che tiene sul sito de Il Fatto Quotidiano: «Contrasto il pontificato di Benedetto XVI che ritengo una sciagura per la Chiesa, visto che è solo capace di guardare indietro senza lasciarsi soggiogare dallo Spirito che guarda avanti sulla prospettiva del Regno di Dio».

Questi personaggi stanno cercando di prendere papa Francesco come ostaggio, lo usano contro i papi precedenti, come confessano nella stessa petizione quando affermano che papa Francesco annuncia il vangelo «ripartendo dal Concilio Vaticano II, per troppo tempo congelato», come se Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI fossero stati anti-conciliari. Non per niente sono gli stessi che chiedono la cancellazione delle encicliche Humanae Vitae e Familiaris Consortio. In papa Francesco vedono la possibilità di realizzare quel progetto di Chiesa “protestante” che è nei loro auspici, contano di poter usare il Papa contro la Chiesa stessa: sono i peggiori nemici di papa Francesco, e di chi desidera seguire il suo Magistero (quello vero, non quello veicolato da media interessati).

E sarebbero ridicoli se non fossero inquietanti nelle loro intenzioni: cosa vuol dire «fermare gli attacchi», ammesso e non concesso che di attacchi si tratti? Vogliono occupare la tipografia del Corriere, vogliono imporre la risoluzione del contratto di Messori? Oppure vogliono condannare al silenzio Messori e tutti quelli che lo leggono e ne condividono i giudizi? O forse è il solito metodo "colpirne uno per educarne cento".

C’è aria di “tribunale del popolo” nella Chiesa, e purtroppo a questa atmosfera non sono estranei anche certi vescovi. E a presiederlo magari potranno chiamare il filosofo Massimo Borghesi che, pur da altra sponda ecclesiale, non ha mancato di unirsi a questo linciaggio mediatico attribuendo tra l'altro a Messori un giudizio di «inaffidabile e sconcertante» riferito al Papa: cose che lo scrittore cattolico non si è mai sognato di scrivere. Ma non importa, la menzogna è funzionale all’ideologia, alla tesi che si vuole dimostrare, e il presidente di un “tribunale del popolo” si riconosce dal fatto che sa mettere in bocca all’imputato quelle parole che ne giustifichino la condanna.  
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