Quesito
La domanda che le pongo riguarda il concetto del peccato
Presupponendo che le risposte alle precedenti domande potrebbero convincere sull'assoluta e esclusiva bontà di Dio, vorrei soffermarmi sul concetto di peccato; informandomi qua e la, sono venuto a sapere che si commetterebbe un peccato verso Dio soltanto nel momento in cui qualcuno trasgredisce la legge divina sotto piena consapevolezza, volontà e coscienza.
Questa domanda è rivolta all'umanità in senso universale.
Ora mi chiedo: presupponendo che Dio sia onnisciente, egli assolverebbe le persone in base al fatto che non sapevano ma che se avessero saputo non avrebbero peccato, o in base al fatto che non sapevano ma anche se avessero saputo avrebbero commesso ugualmente il peccato? Dio punirebbe soltanto in base ad una semplice macchia sulla coscienza, quindi ognuno potrebbe commettere peccati diversi senza macchiarsi di peccato, perchè per la sua coscienza non lo sono? Queste domande intendono sia credenti "veri", sia credenti a modo proprio, sia agnostici, sia non credenti e sia appartenenti ad altre religioni, che conoscono perfettamente, discretamente, quasi nulla o nulla della teologia cristiana, compresi i peccati.
Come risponderebbe ufficialmente la dottrina cattolica a questi quesiti?
Risposta del sacerdote
1. è vero quanto riporti della dottrina cattolica circa il peccato mortale.
Perché uno lo compia si richiede materia grave, piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà.
Tu mi chiedi però se compiano peccato solo quelli che, pur conoscendo la legge di Dio e la trasgrediscono o invece lo compiano anche quelli che non ne sono a conoscenza.
2. A proposito della legge di Dio è necessario distinguere tra legge naturale e legge ulteriormente data nella Divina Rivelazione. Quest’ultima viene chiamata anche legge positiva.
È chiaro che sono tenuti all’osservanza della legge ulteriormente data nella Divina Rivelazione solo i cristiani.
Sono leggi ulteriormente date ad esempio sono i precetti riguardanti la confessione, l’Eucaristia, la recezione degli altri sacramenti e le leggi stabilite dalla Chiesa (digiuno, astinenza…).
Ma la legge naturale è scritta nel cuore di ogni uomo e tutti devono essere in grado di comprenderla. Ne parla chiaramente san Paolo a proposito della salvezza dei pagani.
Dice: “Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono” (Rm 2,14-15).
La Legge cui fa riferimento San Paolo è la legge degli ebrei, quella data attraverso Mosè nell’Antico Testamento.
Ebbene San Paolo dice che i Pagani, pur non avendo la Divina Rivelazione, osservano la legge che è scritta nei loro cuori. Questa Legge ora li accusa ora li scusa.
3. Il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes dice la stessa cosa a proposito della coscienza:
“Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.
L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” (GS 16).
Come vedi, il Concilio risponde alla tua domanda: ogni uomo sarà giudicato secondo quanto Dio ha scritto nel cuore di ognuno.
Nessuno può dire in quel giorno a Dio: “io non sapevo che non era lecito rubare, non era lecito uccidere, non era lecito commettere adulterio, che non era lecito commettere atti impuri…”.
4. Purtroppo qualcuno può giungere ad un punto di depravazione da non riconoscere più facilmente i confini del bene e del male.
Sicché accanto ad una coscienza invincibilmente e incolpevolmente erronea esiste anche il caso di una coscienza invincibilmente ma colpevolmente erronea.
E questo si verifica “quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato” (GS 16).
Ho l’impressione che quest’ultimo caso si verifichi abbastanza di sovente: la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato” (GS 16).
Non dobbiamo dimenticare quanto ha detto il Signore: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19).
Il peccato, se non viene rimediato col pentimento e un cambiamento di vita, poco per volta fa diventare insensibili alla voce della coscienza e alla fine non la si percepisce più.
5. Non è dunque sufficiente dire: “ho seguito la mia coscienza”.
La coscienza potrebbe anche essere ottenebrata, depravata.
Nessuno allora si può scusare davanti a Dio.
Giovanni Paolo II scrive: “Come dice l'apostolo Paolo, la coscienza deve essere illuminata dallo Spirito Santo (cf Rm 9,1), deve essere «pura» (2 Tm 1,3), non deve con astuzia falsare la parola di Dio ma manifestare chiaramente la verità (cf 2 Cor4,2). D'altra parte, lo stesso Apostolo ammonisce i cristiani dicendo: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Il monito di Paolo ci sollecita alla vigilanza, avvertendoci che nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell'errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare” (Veritatis splendor 62).
6. Come vedi è necessario essere sempre integri nel proprio agire morale, perché questo ha risonanze sulla nostra coscienza: la rende limpida.
Al contrario il peccato la ottenebra.
Giovanni Paolo II quando parla degli effetti del peccato dice che il peccato finisce col rivolgersi contro l’uomo stesso, con un’oscura e potente forza di distruzione” (Reconciliatio et Paenitentia, 17).
Dice anche che “il peccato ha le sue prime e più importanti conseguenze sul peccatore stesso: cioè nella relazione di questi con Dio, che è il fondamento stesso della vita umana; nel suo spirito, indebolendone la volontà ed oscurandone l’intelligenza” (Reconciliatio et Paenitentia, 16).
Quello che è successo ai tempi del Signore quando ha detto “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19) si verifica in tutte le epoche, compresa la nostra.
di Padre Angelo Bellon
Dal sito Amici Domenicani
(link)
La domanda che le pongo riguarda il concetto del peccato
Presupponendo che le risposte alle precedenti domande potrebbero convincere sull'assoluta e esclusiva bontà di Dio, vorrei soffermarmi sul concetto di peccato; informandomi qua e la, sono venuto a sapere che si commetterebbe un peccato verso Dio soltanto nel momento in cui qualcuno trasgredisce la legge divina sotto piena consapevolezza, volontà e coscienza.
Questa domanda è rivolta all'umanità in senso universale.
Ora mi chiedo: presupponendo che Dio sia onnisciente, egli assolverebbe le persone in base al fatto che non sapevano ma che se avessero saputo non avrebbero peccato, o in base al fatto che non sapevano ma anche se avessero saputo avrebbero commesso ugualmente il peccato? Dio punirebbe soltanto in base ad una semplice macchia sulla coscienza, quindi ognuno potrebbe commettere peccati diversi senza macchiarsi di peccato, perchè per la sua coscienza non lo sono? Queste domande intendono sia credenti "veri", sia credenti a modo proprio, sia agnostici, sia non credenti e sia appartenenti ad altre religioni, che conoscono perfettamente, discretamente, quasi nulla o nulla della teologia cristiana, compresi i peccati.
Come risponderebbe ufficialmente la dottrina cattolica a questi quesiti?
Risposta del sacerdote
1. è vero quanto riporti della dottrina cattolica circa il peccato mortale.
Perché uno lo compia si richiede materia grave, piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà.
Tu mi chiedi però se compiano peccato solo quelli che, pur conoscendo la legge di Dio e la trasgrediscono o invece lo compiano anche quelli che non ne sono a conoscenza.
2. A proposito della legge di Dio è necessario distinguere tra legge naturale e legge ulteriormente data nella Divina Rivelazione. Quest’ultima viene chiamata anche legge positiva.
È chiaro che sono tenuti all’osservanza della legge ulteriormente data nella Divina Rivelazione solo i cristiani.
Sono leggi ulteriormente date ad esempio sono i precetti riguardanti la confessione, l’Eucaristia, la recezione degli altri sacramenti e le leggi stabilite dalla Chiesa (digiuno, astinenza…).
Ma la legge naturale è scritta nel cuore di ogni uomo e tutti devono essere in grado di comprenderla. Ne parla chiaramente san Paolo a proposito della salvezza dei pagani.
Dice: “Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono” (Rm 2,14-15).
La Legge cui fa riferimento San Paolo è la legge degli ebrei, quella data attraverso Mosè nell’Antico Testamento.
Ebbene San Paolo dice che i Pagani, pur non avendo la Divina Rivelazione, osservano la legge che è scritta nei loro cuori. Questa Legge ora li accusa ora li scusa.
3. Il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes dice la stessa cosa a proposito della coscienza:
“Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.
L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” (GS 16).
Come vedi, il Concilio risponde alla tua domanda: ogni uomo sarà giudicato secondo quanto Dio ha scritto nel cuore di ognuno.
Nessuno può dire in quel giorno a Dio: “io non sapevo che non era lecito rubare, non era lecito uccidere, non era lecito commettere adulterio, che non era lecito commettere atti impuri…”.
4. Purtroppo qualcuno può giungere ad un punto di depravazione da non riconoscere più facilmente i confini del bene e del male.
Sicché accanto ad una coscienza invincibilmente e incolpevolmente erronea esiste anche il caso di una coscienza invincibilmente ma colpevolmente erronea.
E questo si verifica “quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato” (GS 16).
Ho l’impressione che quest’ultimo caso si verifichi abbastanza di sovente: la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato” (GS 16).
Non dobbiamo dimenticare quanto ha detto il Signore: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19).
Il peccato, se non viene rimediato col pentimento e un cambiamento di vita, poco per volta fa diventare insensibili alla voce della coscienza e alla fine non la si percepisce più.
5. Non è dunque sufficiente dire: “ho seguito la mia coscienza”.
La coscienza potrebbe anche essere ottenebrata, depravata.
Nessuno allora si può scusare davanti a Dio.
Giovanni Paolo II scrive: “Come dice l'apostolo Paolo, la coscienza deve essere illuminata dallo Spirito Santo (cf Rm 9,1), deve essere «pura» (2 Tm 1,3), non deve con astuzia falsare la parola di Dio ma manifestare chiaramente la verità (cf 2 Cor4,2). D'altra parte, lo stesso Apostolo ammonisce i cristiani dicendo: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Il monito di Paolo ci sollecita alla vigilanza, avvertendoci che nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell'errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare” (Veritatis splendor 62).
6. Come vedi è necessario essere sempre integri nel proprio agire morale, perché questo ha risonanze sulla nostra coscienza: la rende limpida.
Al contrario il peccato la ottenebra.
Giovanni Paolo II quando parla degli effetti del peccato dice che il peccato finisce col rivolgersi contro l’uomo stesso, con un’oscura e potente forza di distruzione” (Reconciliatio et Paenitentia, 17).
Dice anche che “il peccato ha le sue prime e più importanti conseguenze sul peccatore stesso: cioè nella relazione di questi con Dio, che è il fondamento stesso della vita umana; nel suo spirito, indebolendone la volontà ed oscurandone l’intelligenza” (Reconciliatio et Paenitentia, 16).
Quello che è successo ai tempi del Signore quando ha detto “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19) si verifica in tutte le epoche, compresa la nostra.
di Padre Angelo Bellon
Dal sito Amici Domenicani
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