La Chiesa pur disapprovando il suicidio come rifiuto del dono straordinario della vita concesso da Dio, opera un discernimento sulle cause che possono aver spinto a compiere questo tragico gesto e ammette l'esistenza di una speranza di salvezza per tutti in punto di morte. Il destino ultimo dell'anima del suicida è riposto nell'infinita misericordia di Dio e per questo, attualmente, non esiste alcuna norma canonica che vieti direttamente la celebrazione dei funerali di chi si è dato la morte.
1. Nei suoi insegnamenti la Chiesa non tralascia mai di richiamare la sacralità e unicità della vita cristallizzate nella formulazione lapidaria e potente del quinto comandamento: “non uccidere”. Un precetto recepito dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che considera il suicido un peccato intrinsecamente grave che vanifica il progetto divino sull'uomo. E, infatti, in passato la Chiesa negava le esequie religiose ai suicidi proprio per dissuadere dal compiere un oltraggio così grave nei confronti di Dio.
Ecco cosa ci dice il Catechismo a questo proposito:
a. “Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel’ha donata. E’ lui che ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo gli amministratori, non i proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo” (CCC 2280).
b. “Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente” (CCC 2081).
c. “Se è commesso con l’intenzione che serva da esempio, soprattutto per i giovani, il suicidio si carica anche della gravità dello scandalo. La cooperazione volontaria al suicidio è contraria alla legge morale. Gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida” (CCC 2282).
d. “Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita” (CCC 2283).
2. Il cardinale Gianfranco Ravasi nel volume “Questioni di fede” scrive: “Solo Dio, ‘che conosce i cuori e i reni’, come dice la Bibbia, ossia il conscio e l’inconscio più intimo di una persona, può giudicare il segreto ultimo del suicida. Un teologo francese, Roger Troisfontaines, negli anni Sessanta nel saggio ‘Je ne meurs pas’ ha pensato che Dio conceda all’uomo, giunto alla frontiera estrema della vita, la possibilità di un’ultima opzione attraverso uno sguardo sintetico e supremo della propria esistenza: ormai la persona è sul crinale tra tempo ed eterno e ha l’istantanea illuminazione che la abilita alla scelta netta e radicale tra bene e male, conversione e ostinazione, Dio e orgoglio”. Come se la libertà dell'uomo fosse in bilico tra la perdizione e un estremo, segreto appello lanciato all'infinita volontà salvifica di Dio. Ed è proprio a partire da questa speranza, e alla luce di un giudizio quasi sospeso, fermo su questa soglia estrema, che anche la prassi ecclesiale è ora molto più rispettosa nei confronti dei suicidi.
Tra l'altro anche la Bibbia, le cui pagine evocano più volte degli atti suicidi, si mantiene estremamente sobria sul tema quasi volendo evitare ogni giudizio sbrigativo. La cupa e disperata figura del primo re d'Israele, Saul, è ritratta nel suo gesto estremo, con una sola frase centrata su due semplici verbi: “Allora Saul prese la spada e vi si gettò sopra” (1 Sam 31,4). Nulla si aggiunge e nulla di questa fine dirà Davide nella splendida elegia che intonerà per la morte di Saul e del figlio Gionata, suo amico carissimo (2 Sam 1,17-27). Analoga essenzialità per Giuda, il traditore di Gesù, il cui suicidio viene suggellato nel Vangelo di Matteo da una frase: “Giuda, scagliate nel tempio le monete d'argento, si allontanò e andò a impiccarsi” (27,5). Questo silenzio, che non esclude l'orrore, è così rispettoso del mistero di quell'anima da aver permesso alla tradizione successiva persino di aprire uno squarcio di luce sulla sua memoria. Santa Caterina da Genova, una mistica quattrocentesca, afferma di aver ascoltato in visione un Cristo sorridente dirle: “Se tu sapessi quello che io ho fatto per Giuda...!”.
3. Ecco quindi che la Chiesa cattolica, nella sua azione pastorale come anche nella codificazione giuridica, propone che la comunità celebri i funerali religiosi dei suicidi, tenendo conto proprio del mistero intimo, del travaglio, delle complesse e delicate dinamiche psicologiche e mentali che stanno alla base di quel gesto e dell'immensa sofferenza dei familiari. Il Codice di Diritto Canonico indica alcune circostanze in base alle quali un cattolico non può ricevere i funerali in Chiesa. Si tratta, in generale, di quei casi in cui il defunto aveva apertamente e pubblicamente abbandonato la fede o la comunione ecclesiale. In queste circostanze sembra coerente, infatti, non celebrare un rito proprio di quella fede che la persona stessa aveva rifiutato apertamente. Altri casi riguardano invece comportamenti che contraddicono la vocazione cristiana, tali da far ritenere le persone come “peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli” (Codice di Diritto Canonico, canone 1184, §1). Sempre lo stesso canone aggiunge che nei casi dubbi la decisione finale spetti comunque al vescovo locale. Per questa ragione chi con spregio ostentato della vita, talvolta superficialità o per scelta ideologica, in piena autonomia e per sfida si è dato la morte non potrà avere esequie ecclesiali. La Chiesa è però chiamata ad essere in ogni istante autentica madre e maestra di misericordia, testimoniando vicinanza, rispetto, promuovendo l'affidamento al Signore della vita di quei tanti infelici che si abbandonano a questi tragici gesti.