Non si tratta solo di un invito alla prudenza (che non a caso è la 1.a fra le 4 virtù cardinali –prudenza, giustizia, fortezza, temperanza- in quanto virtù cardine della vita buona), ma anche di un perentorio richiamo alla necessità di mettersi dei limiti e di assegnarli a se stessi prima che agli altri…Un messaggio in controtendenza rispetto al verbo imperante: il “No-limit” è non solo una nota pubblicità, ma anche lo slogan di una corrente di pensiero (il famoso «Il est interdit d’interdire!» del maggio ’68 alla Sorbona), di uno stile educativo (“Nadie educa a nadie” cioè nessuno educa nessuno. Ognuno educa se stesso…del pedagogista Paulo Freire), di un modo di pensare: guai a mettere limiti, a tarpare le ali. Il nostro è un tempo in cui la trasgressione, l’andare oltre è diventato segno di creatività e vitalità così che il motto latino “Non plus ultra” sulle colonne d’Ercole, è diventato “Plus ultra” e bisogna ammettere che ha permesso all’uomo di raggiungere mete impensabili o addirittura impossibili prima. Ma –perché c’è sempre un ma per tutto- il limite anzi i limiti rimangono e non si possono negare: il limite dell’esistenza “Gli anni della vita dell’uomo sono settanta, ottanta per i più robusti, ma…passano presto e noi ci dileguiamo” Sal 89. I limiti della legge: “non uccidere, non rubare…”. Il limite che l’altro è per me: “la mia libertà finisce dove inizia la tua” e così via.
Ce lo richiama S. Paolo nella 1a lettera Corinzi 7,25ss: “Fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero: passa infatti la figura di questo mondo!”.
Cosa vuol dire?
Tutti riconosciamo che i limiti sono necessari per impedire all’egoismo di dominare e all’amore di spegnersi, al bene di essere sconfitto e al male di dilagare, all’audacia di trasformarsi in temerarietà e al coraggio di creare rischio. Ma sia S. Bernardo, sia S. Paolo dicono qualcosa di meno scontato e non facile da capire: in pratica dicono che anche il bene deve avere limiti, anche la fiducia e in un certo senso persino l’amore. Deve averli non in sé, ma in noi. C’è infatti in ognuno di noi un’insopprimibile tendenza al “troppo” che minaccia la verità, integrità e completezza anche delle realtà più belle e buone e rischia di comprometterle.
A differenza di noi, Dio non è mai troppo: Egli è Tutto. Invece il “troppo” stroppia, come afferma la sapienza popolare cioè dà l’idea di qualcosa in eccesso, che non serve, è dannoso. Gli antichi dicevano che “est modus in rebus”, c’è una misura in tutte le cose, anche nel bene. E questa misura (cioè il limite) è dovuta al fatto che siamo uomini, creature, mortali e lo rimaniamo anche da cristiani redenti e salvati da Dio. “Non fare tutto ciò che puoi e non dare tutto ciò che hai” perché?
Ma è evidente: per non impedire a Dio di fare la sua parte! Infatti l’uomo d’oggi è così impegnato a voler migliorare, cambiare, salvare il mondo e gli altri uomini che rischia di fare tutto lui da solo. Ne consegue che di fatto chiede a Dio di farsi da parte e non interferire e siccome Dio è un Signore, si mette da parte e non interferisce. A questa volontaria rinuncia al troppo, la chiesa ha dato un nome preciso: umiltà che viene da “humus” =terra che è poi ciò di cui siamo fatti. Alcuni esempi: cosa significa mettere limiti alla fiducia? Ammettere che anche la persona più buona (io pure) può sbagliare, tradire e non scandalizzarsi delle debolezze altrui. Cosa significa mettere limiti all’amore? Non che devo amare di meno, ma accettare che la persona che io amo possa stancarsi di me e non ricorrere a tutti i mezzi, anche a quelli illeciti per riconquistarlo. Cosa significa limitarsi nell’amare il prossimo? Amare con tutto il cuore, ma senza piegare la libertà dell’altro alla mia volontà. Cosa significa il limite nella preghiera? Lasciare che Dio sia Dio e accettarne il mistero. Capita a volte che un’istituzione benefica sia disposta a mettere in atto di tutto, pur di garantirsi la sopravvivenza…Ma ricordiamo che al mondo tutto, sia il bene e sia il male, nasce, cresce, si consolida, ma alla lunga decade e infine muore. E non dimenticare che se io voglio che la mia opera viva per se stessa e non per Dio, forse la farò sopravvivere, ma di certo ne provocherò la rovina.
don Davide Rota
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