Se questa maternità, frutto dell'obbedienza vergine, è diventata anche fisica in Maria, qualche cosa di analogo accadde anche per il vero sposo di Maria, Giuseppe. La sua fede vergine, piena, totale, e la sua umiltà, che poneva Giuseppe al suo posto nel piano di Dio, fecero di Giuseppe "padre" (Lc 2,33), padre adottivo, s'intende, ma non per questo meno padre di Gesù.
Come accade per i padri e le madri adottivi, che per i figli addottati si mostrano ancora più padri e ancora più madri che non per i figli naturali, perché, non avendoli potuti generare fisicamente, la loro speciale tenerezza e amore per i figli adottati li rende quasi più che padri e più che madri.
Giuseppe fu tanto vergine nella sua obbedienza che in lui l'obbedienza diventò esecuzione della sua fede. "Fece come gli ordinò l'angelo del Signore " (Mt 1,24).
"Anche Giuseppe salì dalla Galilea alla città di Nazaret nella città di Davide, Betlemme" (Lc 2,4), per obbedire all'autorità politica di Roma; "si alzò e prese il bambino e sua madre " (Mt 1,14 e Mt 2,21).
Mai un'obiezione nell'obbedienza. Gli scarni dati evangelici ci parlano di quattro obbedienze di Giuseppe, tre, in sogno, all'angelo del Signore, e una all'autorità politica che ordinava il censimento.
Giuseppe non obietta nulla circa la veridicità degli annunzi dell'angelo a nome di Dio: eppure Dio gli parlava attraverso sogni. Chi poteva garantire a Giuseppe che la fonte del comando era veridica? Se non fosse stato un uomo spirituale, un profeta in diretta connessione con Dio attraverso la fede e l'umiltà, come avrebbe potuto Giuseppe credere all'angelo e quindi obbedire a Dio?
L'obbedienza suppone sempre fede e umiltà, come qualità della verginità. La fede e l'umiltà permettono di discernere ciò che viene da Dio e ciò che non viene da Dio. Giuseppe è uomo spirituale, in cui lo Spirito ha sostituito lo spirito naturale (1 Cor 2), perciò immediatamente riconosce la volontà di Dio, e con l'apporto del proprio consenso razionale e della propria libertà (Giuseppe non è un automa!) egli obbedisce, cioè fa.
Da notare come Matteo usi il verbo greco "poiein" per esprimere il "fece" dell'obbedien-za di Giuseppe. "Poieo " in greco è il verbo della creatività. Come a dire: Giuseppe, obbedendo, si dimostrò creativo, cioè generò, divenne padre. Così anche nel caso del censimento (Lc 2,4), Giuseppe non presentò l'obiezione della sua moglie incinta, ma obbedì all'autorità umana e salì a Betlemme. Quella era la riga storta necessaria a Dio perché si compisse la nascita di Gesù come profetizzata da Michea.
L'obbedienza, cioè, suppone sempre un linguaggio e un contesto di fede, che si accoglie razionalmente e liberamente. L'obbedienza è affermare che: credo, acconsento e liberamente eseguo! È il triplice passaggio della verginità che diventa paternità nelle Opere di Dio. Quando si leggono i differenti momenti che caratterizzano l'obbedienza di San Giuseppe, si prova la sensazione di trovarsi di fronte ad un uomo, umano, umanissimo, ma pieno di pace, ben identificato con la sua vocazione e con il Disegno di Dio.
L'obbedienza per San Giuseppe è, allora, di fatto l'esercizio della sua fede e della sua umiltà.
Quando i genitori di Gesù andranno in cerca del loro figlio nel tempio di Gerusalemme, nonostante l'incomprensione della risposta loro data da Gesù "Gli disse sua madre: 'Figlio perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre ed io con sofferenza ti abbiamo cercato... ". Ma essi non compresero la parola che egli aveva loro rivelato" (Lc 2,48-50), Gesù obbedì ai suoi genitori obbedienti "e tornò con loro a Nazaret ed era loro obbediente" (Lc 2,51). Si può dire che Gesù imparò l'obbedienza a Dio, attraverso le mediazioni umane, proprio dai suoi genitori obbedienti.