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COME SCONFIGGERE I DEMONI 

22/3/2015

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L’inganno più sottile del Maligno è indurre a pensare che lui non esista. Il diavolo invece c’è e agisce: lo ripete spesso Papa Francesco. Ne parliamo con chi è in prima linea per aiutare le sue vittime. Papa Francesco sull’esistenza del maligno ha le idee chiare: «Hanno voluto farci credere che il diavolo fosse un mito, una figura, un’idea, l’idea del male» ha detto nell’omelia del 30 ottobre scorso a Santa Marta. Invece «il diavolo esiste e noi dobbiamo lottare contro di lui». Sembra un tema d’altri tempi, ma se un papa innovativo come Francesco usa parole così esplicite, deve averne motivo.

Oggi già parlare di bene e male in senso oggettivo è difficile, se poi si nomina l’azione del maligno si rischia di essere derisi. Ma c’è poco da scherzare per chi, come don Aldo Buonaiuto, quotidianamente ha a che fare con gli effetti deleteri della sua influenza. Sacerdote marchigiano della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha cominciato ad interessarsi a questi temi negli anni ’90, sollecitato dallo stesso don Benzi. «Molte persone, specialmente genitori, si rivolgevano a noi sacerdoti per capire come soccorrere i propri figli caduti nelle trappole dell’occultismo» racconta don Aldo. «Altre volte erano le stesse vittime delle sette a cercarci, e così ho rispolverato i miei studi di antropologia in cui ero specializzato, concentrandomi sull’occultismo». Per la Comunità si apre un nuovo campo d’azione, dai confini sempre più vasti, tanto che nel 2002 viene avviato uno specifico Servizio anti-sette occulte, con un numero verde dedicato a chi cerca aiuto: 800 228866.

Don Aldo, come si diventa esorcisti?
«Ogni sacerdote è potenzialmente un esorcista, perché ha nel suo ministero la facoltà di intercedere per la persona posseduta chiedendone al Signore la liberazione e la guarigione. L’importante è avere il mandato dal proprio Vescovo diocesano per svolgere tale ministero, che può essere “ad actum”, e quindi per dei singoli casi, o con incarico stabile.»

Ma cosa vuol dire “fare un esorcismo”?
«È una potente preghiera di liberazione dalle forze del male, all’interno di un rituale ufficiale approvato dalla Congregazione del Culto Divino e consegnato ai Vescovi e poi ai sacerdoti delegati dagli Ordinari per svolgere questa preghiera. L’esorcismo può essere eseguito sia attraverso la formula invocativa che quella imperativa, cioè comandando direttamente al maligno di uscire dalla persona.»

Il diavolo è il male o un essere vivente?
«Il catechismo della Chiesa Cattolica indica che la Scrittura e la Tradizione della comunità ecclesiale vedono in questo essere un angelo creato da Dio. All’inizio era buono, ma poi è caduto perché da se stesso si è trasformato in malvagio. Giovanni dice che “il diavolo è peccatore fin dal principio” (1 Gv 3,8) ed è “padre della menzogna” (Gv 8,44). Papa Francesco con molta chiarezza afferma che esiste. Possiamo definirlo uno spirito malvagio e ribelle che ama l’odio e odia l’amore».

Lo dici perché l’hai studiato o ne hai fatto esperienza diretta?
«L’operosità del maligno la possiamo sperimentare tutti attraverso quelle che la Chiesa definisce “le tentazioni”. Personalmente, però, mi è capitato più volte di vedere la reazione del maligno in quelle anime che ha imprigionato, anche con modalità soprannaturali e apparentemente inspiegabili.»

C’è qualche episodio che ti ha particolarmente colpito?
«Il caso di due ragazze, che tra loro non si conoscevano: durante l’esorcismo si formavano delle ferite sul corpo con dei nomi, segni e numeri, che poi scomparivano entro 24 ore. Il sentire le voci di un uomo che improvvisamente parla con il suono di un bambino, o correttamente in altre lingue, oppure che ti rivela i tuoi pensieri o cose che nessuno avrebbe potuto sapere… Ma ciò che più mi colpisce è la grande sofferenza di persone consacrate cadute nelle mani di Satana.»

A volte si incontrano persone che ritengono di essere vittime di forze negative perché qualcuno ha invocato una sorta di maledizione su di loro. Si tratta di suggestioni o sono cose realmente possibili?
«Può succedere, ma bisogna valutare caso per caso. Spesso ci troviamo dinanzi a fenomeni di suggestione, o tentativi di deresponsabilizzarsi dicendo: “È il male che si è accanito contro di me, io non c’entro niente”. In questi casi siamo noi stessi la causa dei nostri mali. A volte può esserci un problema psicologico o psichiatrico. Quindi prima bisogna rivolgersi alla scienza medica; se lo specialista non riscontra patologie e la persona intuisce di avere un male spirituale allora è bene rivolgersi ad un sacerdote esorcista.»

Dove lo si può trovare?
«È bene rivolgersi primariamente al proprio parroco che saprà indirizzare il fedele all’esorcista incaricato dal vescovo della propria diocesi. È un errore andare a cercare in giro per il mondo il prete più carismatico o con più poteri. Tutti i sacerdoti esorcisti sono uguali con la medesima dignità sacerdotale perché chi ci libera dalle forze del male è sempre e solo Gesù. L’esorcista non è un mago né un guaritore ma solo uno strumento di Cristo liberatore; chi riconosce Gesù può essere liberato dal maligno o questo può accadere anche per pura Grazia di Dio o grazie alla fede dei familiari»

Come distinguere la possessione dalla malattia mentale?
«Molte persone con disturbi psichici sono convinte di essere possedute da demonio. L’esorcista deve sempre collaborare con i medici e spingere il paziente a fare i giusti accertamenti medici. A volte capita che l’indemoniato abbia anche problemi psichici. Qui entriamo in un mistero complesso e bisogna avere sempre molta prudenza e tempo per discernere. Non esiste una tabella di manifestazioni precise. Per esperienza, le più comuni distinzioni si evidenziano quando la grande avversione al sacro – in modo particolare a Gesù e Maria – porta la persona a compiere gesti inspiegabili come la capacità di parlare lingue mai studiate, anche molto antiche come l’aramaico, la lingua di Gesù, e la conoscenza di fatti anche intimi di terze persone che nessuno aveva precedentemente rivelato.»

L’azione del demonio è sui singoli o si può esercitare anche su un gruppo, su una comunità?
«Una seduta spiritica, magari fatta per gioco, è il tipico esempio di azione del maligno su un gruppo di persone. Non parliamo poi delle messe nere, autentici rituali di adorazione al diavolo. Qui penso soprattutto i giovani: attenzione a non fare questo tipo di “esperienze”, non scherzate col fuoco… le conseguenze di quelli che pensiamo siano semplici scherzi possono influenzare in modo nefasto mente e spirito per lunghi anni! Tante persone ritrovano la serenità interiore solo dopo aver confessato la frequentazione di tali sedute. Satana può con le sue Legioni impadronirsi anche di intere comunità piegandole alla propria volontà. Tanti fatti orribili che vediamo possono essere riconducibili a questa malvagia alleanza tra l’uomo e il principe delle tenebre.»

Come ci si difende da Satana?
«Per chi è cattolico con i sacramenti, in particolare con la confessione, l’Eucarestia, con la preghiera e il digiuno. Il rosario, poi, è uno strumento molto potente contro le insidie del maligno perché la Vergine Maria è colei che non ha mai ceduto alle lusinghe del male, prescelta da Dio e quindi nemica del peccato. Chi si affida alla Madonna avrà sempre un’arma importante. Però per chiunque vuole allontanare il maligno dalla propria vita possiamo rispondere con le parole di San Bernardo da Chiaravalle, il quale diceva che il demonio fugge e teme principalmente coloro che si amano, coloro che vivono nell’amore vero. Questo è il segreto per non soccombere mai al suo odio antico».

​di Alessio Zambon
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SAN GIUSEPPE

19/3/2015

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Nella Solennità di San Giuseppe riproponiamo il testo in italiano del Decreto con cui Papa Francesco vuole far menzionare insieme alla Beata Vergine Maria anche san Giuseppe, suo Sposo, ad ogni Messa celebrata nel Rito Romano. In questo modo, qualunque preghiera eucaristica il celebrante scelga di usare, verrà ricordata la coppia dei genitori a cui fu affidato Gesù dall’Eterno Padre.

Un fratello mi suggeriva che questa può essere vista come la risposta di Papa Francesco a quanti gli dicono di non farsi sentire abbastanza sul matrimonio omosessuale e sulle forme alternative di famiglia, che oggi inondano i discorsi e i dibattiti. Il Papa sceglie la preghiera, anzi il vertice della preghiera, per mostrare la sacra Famiglia come modello: Maria, Giuseppe e Gesù, mamma, papà e figlio. San Giuseppe è qualificato “sposo”: un uomo per una donna, non ci sono altri sposalizi.

Dobbiamo anche notare che nonostante l’anno scorso sia stato ricordato il cinquantenario dell’inserimento di san Giuseppe nel Canone romano, Papa Ratzinger non ha proceduto ad uniformare le altre preghiere eucaristiche postconciliari per un motivo - credo - piuttosto evidente. Il suo nome di battesimo è Ioseph: chiaramente Benedetto XVI, vista la cattiva stampa di cui godeva, non avrebbe passato indenne un tale gesto (conflitto di interessi?).
Francesco, con questa delicatezza, rende anche omaggio al suo predecessore (menzionato esplicitamente nel decreto), oltre a rinnovare la devozione della Chiesa universale al suo celeste Patrono e custode.

Decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti
''Mediante la cura paterna di Gesù, San Giuseppe di Nazareth, posto a capo della Famiglia del Signore, adempì copiosamente la missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza e, aderendo pienamente agli inizi dei misteri dell’umana salvezza, è divenuto modello esemplare di quella generosa umiltà che il cristianesimo solleva a grandi destini e testimone di quelle virtù comuni, umane e semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo. Per mezzo di esse quel Giusto, che si è preso amorevole cura della Madre di Dio e siè dedicato con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre ed è stato incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa.
Nella Chiesa cattolica i fedeli hanno sempre manifestato ininterrotta devozione per San Giuseppe e ne hanno onorato solennemente e costantemente la memoria di Sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa, al punto che già il Beato Giovanni XXIII, durante il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, decretò che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano.
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha voluto accogliere e benevolmente approvare i devotissimi auspici giunti per iscritto da molteplici luoghi, che ora il Sommo Pontefice Francesco ha confermato, considerando la pienezza della comunione dei Santi che, un tempo pellegrini insieme a noi nel mondo, ci conducono a Cristo e a lui ci uniscono.
Pertanto, tenuto conto di ciò, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice Francesco, di buon grado decreta che il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, apposto dopo il nome della Beata Vergine Maria come segue: nella Preghiera eucaristica II: «ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis»; nella Preghiera eucaristica III: «cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis»; nella Preghiera eucaristica IV: «cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis».

Quanto ai testi redatti in lingua latina, si utilizzino le formule che da ora sono dichiarate tipiche.
La Congregazione stessa si occuperà in seguito di provvedere alle traduzioni nelle lingue occidentali di maggior diffusione; quelle da redigere nelle altre lingue dovranno essere preparate, a norma del diritto, dalla relativa Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Sede Apostolica tramite questo Dicastero.
Nonostante qualsiasi cosa in contrario.
Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 1 maggio 2013, S. Giuseppe artigiano

Antonio, Card. Cañizares Llovera, Prefetto
+ Artur Roche, Arcivescovo Segretario''


ATTENZIONE: La Congregazione ha già provveduto a tradurre in forma ufficiale le formule da inserire nel messale anche in Italiano. Da oggi in poi i sacerdoti devono perciò ricordare di menzionare San Giuseppe a TUTTE LE MESSE:


FORMULE CHE SPETTANO A SAN GIUSEPPE IN LINGUA ITALIANA
Nella Preghiera eucaristica II:
«insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli…»;
Nella Preghiera eucaristica III:
«con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli…»;
Nella Preghiera eucaristica IV:
«con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli…».
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LE DIFFERENZE TRA LA VOCAZIONE AL MARTIRIO NELL’ISLAM E NEL CRISTIANESIMO

18/3/2015

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Le differenze tra la vocazione al martirio nell'islam e nel cristianesimo
Per i cristiani è costruito sulla figura di Gesù Cristo, per gli islamici significa farsi testimoni di Dio


Una nostra lettrice ci chiede se ci sono differenze tra ciò che ispira il martirio cristiano e ciò che ispira quello islamico. 

PER I CRISTIANI E' TESTIMONIANZA
«Il martirio cristiano è anzitutto "testimonianza" nell'antichità cristiana, prima di definire specificamente colui che versa il proprio sangue per fedeltà al Vangelo e a motivo di Cristo, il termine designava colui che dava la sua testimonianza di coerenza di fede davanti a un tribunale romano incorrendo in gravi rischi, anche, ma non necessariamente, nella pena capitale». Agostino affermerà che "non è il supplizio (poena) che fa i martiri, ma il motivo (causa)" (Sul Salmo 34, discorso II,13). 

PER GLI ISLAMICI E' PROFESSIONE DI FEDE RADICALE
Anche nell'Islam il termine che indica il martire, shahīd, significa "testimone". «Il vocabolo della stessa radice che indica il martirio designa anche la professione di fede. Il martirio è pertanto la manifestazione più radicale della professione di fede». 

CENTRALITA' DI GESU' CRISTO
Una differenza sostanziale tra le due "forme" di martirio, è che quello cristiano «è costruito sulla centralità della figura di Gesù Cristo: il martire cristiano si fa, mediante la fede come adesione personale, epifania nella sua vita e perfino nella sua morte della passione di Cristo e diviene una vivente memoria passionis». 

TESTIMONE DI DIO
Il martire musulmano, invece «si fa testimone del Dio che è il primo testimone» ("Dio testimonia, e con lui gli angeli e i dotati di sapienza, che non v'è altro dio che Lui, certo: è Colui che mantiene la Giustizia. Non altro dio se non lui, il Potente, il Sapiente": Corano 3,18). "Il Testimone", prosegue il biblista, «è uno dei novantanove bellissimi nomi di Dio e la testimonianza è il primo dei cinque pilastri della fede islamica». 

ABBANDONO, OBBEDIENZA, SOTTOMISSIONE
Il martirio dunque è ispirato «dalla volontà di vivere l'obbedienza, la sottomissione, l'abbandono fiducioso all'unico Dio, di servire Dio e Lui solo. Esso può avvenire anche a chi combatte "nella Via di Dio"» ("Non dite 'morti' coloro che sono uccisi sulla Via di Dio. Sono vivi, invece, ma voi non ne siete consapevoli": Corano 2,154). 

LE DUE "FUNZIONI"
Senza entrare nelle diversità di concezioni del martirio tra sunniti e sciiti e nelle sue reinterpretazioni in epoca moderna e contemporanea, «possiamo affermare - conclude Manicardi - che il martirio nell'Islam comprende il senso del sacrificio di sé e anche l'idea della lotta contro l'ingiustizia, l'oppressione, l'idolatria». 
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LA CHIESA EVANGELIZZARE CON LA BELLEZZA DELLA LITURGIA

5/3/2015

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Dalla Sacrosanctum Concilium all'Evangelii Gaudium: un convegno ripercorre il rapporto tra "Liturgia ed evangelizzazione". Tomatis: "La liturgia è una realtà vivente"

"L'evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella liturgia. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia": questo passo dell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium è ispirazione e approdo del congresso "Liturgia ed evangelizzazione" che si apre il 25 febbraio alla Pontificia Università Gregoriana per iniziativa della Conferenza episcopale italiana. La Cei, che ha chiesto all'ateneo dei gesuiti di curare la parte scientifico-pedagogica del simposio, propone la riflessione sul rapporto tra liturgia ed evangelizzazione nel cammino della Chiesa in Italia, impegnata nel decennio 2010-2020 con il progetto pastorale "Educare alla vita buona del Vangelo". Alle cinque relazioni principali saranno affiancati 21 laboratori tematici sulle questioni aperte nel cammino di attuazione della riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II con la "Sacrosanctum Concilium". Aleteia ne ha parlato con don Paolo Tomatis, direttore della pastorale liturgica della diocesi di Torino, a cui è affidata la relazione di apertura del convegno.

Dalla Sacrosanctum Concilium all'Evangelii Gaudium: la liturgia si adatta, in qualche modo, alle esigenze dell'evangelizzazione?
Tomatis: La liturgia è una realtà storica che muta con il tempo, nel contatto con le varie culture. Il rapporto con le culture cambia anche la Chiesa e muove il cammino dell'evangelizzazione. Così nel corso del tempo la liturgia ha mutato l'apporto all'evangelizzazione. In questo cammino c'è però una costante, cioè la convinzione che la liturgia evangelizza. Il Concilio Vaticano II ha affermato coraggiosamente che la liturgia è "fonte e culmine" dell'evangelizzazione, cioè dell'intera missione della Chiesa.

In questo cammino da SC a EG quali sono stati i grandi cambiamenti della liturgia per il servizio all'evangelizzazione: la lingua, per prima cosa...
Tomatis: Tutta la riforma liturgica è stata concepita come un servizio non solo alla liturgia in sè, ma alla Chiesa. Con la riforma della liturgia, il Concilio aveva in mente la riforma della Chiesa e il suo rinnovamento. Avvicinando di più il popolo alla liturgia e la liturgia al popolo, si avvicinava di più il popolo alla Chiesa e viceversa. Questo obiettivo ha dettato il passaggio dal latino alle lingue nazionali, nell'ottica di una maggiore comprensibilità, e l'adattamento alle culture, non solo dei testi, dei gesti, ma anche dei linguaggi come quello della musica e del canto. Una liturgia più aperta, cioè, alla varietà delle culture.

Nella riforma qualcosa è riuscito meglio e qualcosa peggio. E' vero? I canti "moderni", per esempio, per alcuni hanno costituito un modo di avvicinare soprattutto i giovani, per altri la distruzione di un patrimonio della tradizione...
Tomatis: Fin da subito ci si è accorti di un problema: la liturgia deve evangelizzare in modo proprio, cioè attraverso la celebrazione e il linguaggio liturgico che non può essere manomesso o appiattito. E' questa la grande sfida posta dalla liturgia nei decenni dopo il Concilio. E in ogni decennio le sensibilità sono state diverse: negli anni '70 c'era soprattutto l'esigenza di avvicinare la liturgia ai linguaggi della quotidianità e della vita; negli anni '80 e ' 90 è arrivata una maggiore consapevolezza della necessità di rispettare il linguaggio della liturgia; negli anni 2000 e nel decennio del pontificato di Benedetto XVI c'è stato l'invito ad orientare la liturgia su Dio, privilegiando una liturgia che evangelizza soltanto se mette al centro il protagonista divino più che le azioni di chi celebra. Oggi papa Francesco porta le sue sottolineature che sono quelle di una celebrazione attenta al popolo e alle culture, di una celebrazione fraterna, "nella gioia e nella bellezza", i due termini che usa al n. 24 dell'Evangelii Gaudium, per dire che la liturgia è chiamata ad essere un'esperienza di gioiosa evangelizzazione nella bellezza.

Dal punto di vista dei gesti come si traducono queste coordinate?
Tomatis: Spetta al lavoro – non facile - dei liturgisti e degli operatori pastorali quello di discernere i linguaggi più adatti. La fraternità può esprimersi in un canto partecipato in modo tale che non sia espressione solo della cultura o dei gusti di qualcuno, ma cerchi un'intesa con l'assemblea. Si esprime anche in una giusta prossimità, per esempio attraverso l'omelia sulla quale si sofferma molto papa Francesco, affermando che deve avere il "linguaggio della madre", quasi un dialetto materno, così da essere in ascolto della Parola di Dio, ma anche del popolo. Si tratta di comprendere questi inviti componendoli con altre sottolineature: quelle di una "liturgia filiale" che sta davanti a Dio non solo con affetto, ma anche con rispetto. La composizione di questi temi è la sfida della riforma liturgica.

In che modo la liturgia per i grandi eventi – come l'ostensione straordinaria della Sindone che vi apprestate a celebrare a Torino oppure, in dimensioni ancora maggiori, le Giornate mondiali della gioventù – può diventare un luogo di evangelizzazione?
Tomatis: C'è sempre un lavoro di negoziazione tra quelle che sono le esigenze della liturgia e quelle di eventi legati alla presenza del pontefice. La Messa non è una celebrazione adatta per un'assemblea troppo grande e bisogna interrogarsi su quale sia il limite – numerico, prima di tutto - per considerare una "folla" come una "assemblea". Tuttavia è stato dimostrato che, pur in presenza di questo rischio, i grandi eventi con il papa sono occasioni di evangelizzazione perchè accade che persone molto lontane dalla Chiesa si avvicinino anche solo per curiosità e c'è l'occasione di mostrare il volto di Chiesa attraverso il canto o la preghiera. In questi incontri c'è, inoltre, la possibilità di usare altri tipi di linguaggio che possono essere più popolari, come accade recandosi a contemplare la Sindone o più vicini alla sensibilità giovanile, magari proponendo momenti diversi dalla celebrazione eucaristica.

Quali sono i problemi o le possibilità che un liturgista deve affrontare in queste occasioni?
Tomatis: Negli eventi di popolo c'è una caratteristica fondamentale che è la tendenziale apertura, il carattere di ospitalità: il fatto stesso che si svolgano all'aperto fa sì che non ci siano biglietti, chiunque può avvicinarsi e sentirsi parte di un evento di Chiesa. La presenza di papa Francesco a Torino amplificherà questo aspetto perché molti si riconoscono in lui e lo aspettano. Ci sono vantaggi e svantaggi. In una grande celebrazione occorre cercare la giusta solennità da coniugare con una grande sobrietà, perchè in genere le persone sono all'aperto, in piedi, esposte al freddo o al caldo e devono poter comunque apprezzare la celebrazione e sentirsi partecipi. Occorre, quindi, lavorare sulla programmazione dei gesti e dei tempi. Però dipende dai pontefici e dalle chiese: si può sottolineare la solennità con un gloria più lungo, eseguito dal coro, oppure ricercare di più il contatto con l'assemblea; si può conservare la lingua latina come lingua dell'universalità, oppure pregare nella lingua nazionale. Tutto questo ci dice che la liturgia non è realtà fissa, immobile, ma è una realtà vivente.
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Pio XII non fu uno"Schindler", È UN SANTO

4/3/2015

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Caso Pio XII: l’«Osservatore Romano» boccia il film «Sfumature di verità»L’opera sul rapporto fra il Papa e gli ebrei durante la Shoah presentata a Roma in anteprima mondiale: «Prodotto ingenuo e quindi poco credibile, si poteva fare meglio»

ROMA - Una stroncatura senza appello, quella riservata dall’«Osservatore Romano» al film Sfumature di verità ( Shades of Truth ), che la regista Liana Marabini ha dedicato al rapporto tra Pio XII e la questione ebraica. Il film è stato presentato ieri a Roma in anteprima mondiale. La tesi dell’autrice, già molto discussa, è che papa Pacelli avrebbe salvato ben 800.000 ebrei nel mondo e avrebbe dunque diritto al titolo di «Schindler Vaticano». Ma il quotidiano della Santa Sede diretto da Gian Maria Vian non lascia spazio a interpretazioni: «Non è certo con lavori come Shades of Truth che si aiuta la comprensione storica dell’operato di Pio XII e della sua Chiesa nei confronti del popolo ebraico durante la Seconda guerra mondiale». 

«Mezzi produttivi e artistici scarsi» Per l’«Osservatore Romano», «quando i mezzi produttivi e artistici non sono all’altezza di un compito di tale spessore, allora è meglio rinunciare. La regista Liana Marabini affronta con un atteggiamento volenteroso i limiti di una produzione piccolissima. Eppure, anche con ambientazioni un po’ arrangiate e con pochi attori, fra l’altro validi come Remo Girone e Giancarlo Giannini, si poteva fare molto meglio». La conclusione è più dura e inequivocabile, perché sottolinea l’inattendibilità delle fonti: «Dal punto di vista del dossier storico siamo ai minimi termini, anche se qua e là filtrano ovviamente spiragli di verità. Ma è nel tentativo francamente maldestro di dare forma drammaturgica al tutto, che l’autrice rende il prodotto complessivo ingenuo e di conseguenza poco credibile». 

La replica della regista L’«Osservatore Romano» appare quasi in sintonia con un altro verdetto severissimo, quello espresso da «Pagine ebraiche», organo dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Basterebbe il titolo, Ciak si beatifica. E anche l’incipit: «Non esiste preparazione spirituale sufficiente ad affrontare un’esperienza tanto catastrofica». Perché, si legge nel pesante corsivo, «vicende drammatiche che hanno segnato indelebilmente i destini di milioni di persone sono degradate alla stregua di una goffa soap opera di dubbia qualità, infarcita di luoghi comuni e di fattoidi che non spostano di un capello quanto era già noto. Prima che cali il sipario appare sullo schermo un onirico Pio XII che sfoggia persino la stella gialla. La storia e le sofferenze vengono riaccomodate a piacimento, l’immaginazione galoppa». 

Il periodico ebraico registra la telegrafica opinione della storica dell’ebraismo Anna Foa, dopo la proiezione. «Questi temi sono molto seri e importanti. Devono essere lasciati alla ricerca, allo studio dei documenti. L’immaginazione della gente di spettacolo sarebbe più prudente metterla da un canto». La regista, intervistata da Radio Vaticana, assicura di «aver consultato sull’operato di Pio XII in favore degli ebrei tutte le fonti storiche esistenti, che sono accessibili a tutti sia per verifica che per informazione. Spero che il film porti con sé il desiderio della gratitudine verso questo grande Papa e anche il desiderio di giustizia, perché chi è vittima di ingiustizia soffre moltissimo, soffre di solitudine e di impotenza, e ritengo che Pio XII sia vittima di un’enorme ingiustizia». 
Pio XII non fu uno "Schindler", è un Santo
di Stefano Magni

Pio XII, uno “Schindler in Vaticano”? L’uscita del nuovo film-inchiesta Sfumature di Verità, tutto costruito attorno al ruolo di Papa Pacelli nel salvataggio di 800mila ebrei dallo sterminio nazista, ha riacceso una vecchia e mai tramontata polemica storica. Nella locandina, Pio XII viene ritratto con la stella gialla (quella dei deportati ebrei) al petto. Intervistato dal Corriere della Sera, Marcello Pezzetti, direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah, reagisce male alla tesi della pellicola: “Ma come si fa a sostenere che Pio XII salvò 800 mila ebrei? Non è nemmeno una interpretazione, è semplicemente una tesi di stampo ideologico, è completamente un’altra cosa. Insomma, non è nemmeno scandaloso. È fuori luogo”. E nelle sue parole riecheggia lo stereotipo sul “Papa di Hitler” che “non condannò il nazismo” e rimase silente di fronte all’Olocausto. La tesi di Pezzetti e tanti altri storici progressisti, è però contrastata da quella di un altro storico e diplomatico israeliano, riportato sullo stesso articolo del Corriere, Pinchas Lapide: fu lui a calcolare per primo la stima degli ebrei salvati dalla Chiesa durante la Seconda Guerra Mondiale.

Su questo dibattito “sempre verde”, La Nuova Bussola Quotidiana ha intervistato lo storico Vittorio Messori, che si definisce subito: “stanco, più che arrabbiato. C’è da sbadigliare, più che da indignarsi. Le cose che ora dirò a lei, le ho già dette e ripetute per una trentina d’anni. E già negli anni 80 suonavano vecchie e stantie. Perché ormai è tutto chiaro, non so chi e perché possa continuare a rinnovare certe accuse contro Pio XII. Che, per altro, sono accuse recenti”.

Come è nato lo stereotipo del “Papa di Hitler”?

Fino a quando non apparve la pièce teatrale Il Vicario, nel 1963, era unanime l’ammirazione e la gratitudine del mondo ebraico per Pio XII. Fu dunque una campagna di denigrazione creata a tavolino. Ed è ormai provato che Il Vicario venne finanziato dai servizi segreti dell’Unione Sovietica, nell'ambito della sua lotta anticlericale. Fra i documenti che conservo, ho il manifesto che venne pubblicato nel maggio del 1945 dagli ebrei torinesi, appena usciti dalla clandestinità. Ringraziavano di vivo cuore l’arcivescovo Fossati e tutto il mondo cattolico. Se qualcuno di noi si è salvato, lo si deve all’intervento caritatevole della Chiesa: questo era il messaggio che la comunità ebraica esprimeva. E dappertutto, non solo a Torino, si ritrova questo senso di gratitudine degli ebrei nei confronti della Chiesa. Al monastero delle Tre Fontane a Roma, su un muro si vede una lapide fatta incidere da una famiglia di ebrei romani che ringraziano i monaci trappisti di averli salvati dallo sterminio. Quando Pio XII morì, tutte le comunità ebraiche nel mondo e le autorità di Israele onorarono la memoria di quel grande pontefice. Il Vaticano era invaso dai messaggi di cordoglio provenienti da tutto l’ebraismo mondiale. Pio XII divenne una “bestia nera” all’improvviso, come se si fossero scoperti chissà quali segreti sul suo conto. Ed è possibile datare il momento in cui si verificò questo ribaltamento di fronte. E per questo non si tratta di un cambiamento di opinione che possa essere preso sul serio.

Un’altra polemica riguarda “il silenzio” di Papa Pacelli sul regime nazista…

E’ stato più volte dimostrato che il presunto silenzio di Pio XII fosse l’unico modo per non peggiorare ulteriormente il dramma. E’ stato mille volte ricordato l’esempio olandese: la Conferenza Episcopale inviò una lettera ai cattolici, condannando la deportazione degli ebrei. Il giorno successivo furono rastrellati e inviati nei campi di concentramento anche quegli ebrei che si erano convertiti al cattolicesimo, che fino ad allora erano stati risparmiati. L’uscita dei vescovi olandesi, sicuramente coraggiosa, ma inopportuna per la sua tempistica, provocò la morte di migliaia di altri ebrei, già battezzati, che avrebbero potuto evitare la deportazione.

Anche da Berlino il vescovo Von Preysing inviò 10 lettere a Papa Pacelli, in 6 mesi del 1943, al culmine delle deportazioni, chiedendogli di intervenire contro la persecuzione. Il Papa non rispose. Come si spiega?

L’atteggiamento di Pio XII fu simile a quello di Giovanni XXIII e a quello del Papa attuale, Francesco. Giovanni XXIII, poiché teneva che il Concilio Vaticano II, appena convocato, fosse ecumenico, scese a patti con i sovietici. Quello che restava della Chiesa ortodossa russa, allora, era solo un fantasma. Basti pensare che, in una sola notte, erano stati annegati 20mila pope: quelli che sopravvivevano erano funzionari del Kgb travestiti da archimandriti e vescovi locali. Papa Roncalli, malgrado tutto, venne a patti proprio con quei servizi segreti sovietici, nel nome dell’ecumenismo. E non è una tesi da dietrologo, è ormai accertato, comprovato da documenti emersi dagli archivi dopo la fine dell’Urss. I patti erano chiari: vescovi sovietici avrebbero partecipato al Concilio, ma in quest’ultimo non si sarebbe, non solo condannato, ma neppure nominato il comunismo. Il risultato fu questo: in tutti i documenti del Concilio Vaticano II, il comunismo non è mai menzionato, non una sola volta. Questo perché? Per lo stesso motivo per cui Pio XII mantenne un atteggiamento riservato sul nazismo. In caso di condanna, la tragedia sarebbe stata ancora peggiore, per i credenti sotto il tallone del regime. L’attuale papa, Francesco, è accusato da molti di essere altrettanto blando nelle sue dichiarazioni sulle atrocità dell’islamismo. Papa Bergoglio fa lo stesso ragionamento di Roncalli e Pacelli: ogni esplicita condanna della barbarie islamista, comporterebbe vendette e tante sofferenze in più per i cristiani locali. Pio XII fece la scelta più corretta e il caso olandese è lì a dimostrarlo: una condanna esplicita avrebbe ulteriormente aggravato la situazione dei credenti. Cosa restava da fare? Fingere di niente a livello teorico, ma darsi da fare a livello pratico. E infatti tutte le sedi religiose di Roma (e non solo Roma) traboccavano di ebrei. E’ la strategia di chi è realista, di chi non vuole ergersi ad eroe mettendo a rischio le vite degli altri.

Lo storico e ambasciatore israeliano Sergio Minerbi, pur non negando il salvataggio di tanti ebrei da parte dei cattolici, ritiene però che non vi siano prove sul fatto che l’ordine di salvarli partisse da Pio XII. Il Papa intervenne in prima persona?

Nella Chiesa monolitica degli anni ’40 (e non abbiamo neanche idea, oggi, di quanto lo fosse) in cui i vescovi non facevano nulla senza l’input, l’assenso o almeno il tacito consenso del Papa, è impensabile che una gigantesca operazione di salvataggio, in tutta Europa, sia avvenuta senza che il Vaticano ne sapesse nulla. Un vescovo non avrebbe mai neppure pensato di nascondere migliaia di ebrei nella propria diocesi, senza prima avvertire Roma, o per lo meno senza sapere con certezza di avere un tacito assenso da parte del Papa. Sarebbe assurdo. Solo chi non conosce la Chiesa di Pacelli può pensare che il Papa non c’entrasse nulla con il salvataggio di quasi un milione di ebrei in tutto il continente. Quanto all’assenza di prove: in tempi di crisi, la Chiesa torna alla tradizione orale, niente di scritto, tutto è comunicato a voce. E poi, per ragioni cronologiche, buona parte dei documenti del periodo della Seconda Guerra Mondiale non possono ancora essere consultati. E non è da escludere che si possa trovare anche un ordine scritto di Pio XII. Però è un ordine che, quasi sicuramente, non fu mai messo per iscritto, ma trasmesso oralmente. Esattamente per lo stesso motivo per cui non credo che, in questi mesi, Papa Bergoglio stia mandando una circolare ai vescovi in cui chiede loro di essere teneri con l’islamismo.

Marcello Pezzetti, sul Corriere della Sera, torna a parlare di “Papa pre-conciliare” e dunque “vissuto nella stagione delle accuse ai perfidi giudei”. Ancora il pregiudizio sul cattolicesimo quale “precursore” dello sterminio nazista?

Anche qui è stato precisato tantissime volte, nell’ultimo mezzo secolo, che l’anti-giudaismo cristiano (non solo cattolico: anche Lutero e Calvino furono durissimi) non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo moderno. La stessa voce “antisemitismo” ha origine alla fine dell’Ottocento. E’ stata inventata dai vari Lombroso e dalla scienza positivista: in quanto ebreo sei marchiato nella carne, qualunque cosa tu faccia o pensi, in un sistema di pensiero per cui l’umanità è divisa in razze superiori e inferiori. L’anti-giudaismo cristiano è unicamente religioso. L’ebreo che si convertiva, non solo era accolto a braccia aperte, ma era trattato come un beniamino, come colui che aveva riconosciuto che il Messia era venuto. Anche le persecuzioni anti-giudaiche sono state sempre effettuate per motivi religiosi, non razziali. L’antisemitismo nazista, invece, nasce da una scienza anti-cristiana ed è razzismo puro, frutto dell’Ottocento positivista. Sotto il nazismo non era possibile neppure alcuna “conversione”, un ebreo avrebbe anche potuto chiedere la tessera del partito e partecipare disciplinatamente a tutti i raduni, ma non sarebbe ugualmente stato risparmiato.

Era poi pronta un’enciclica contro il nazismo?

Anche questo è un fantasma della storia. La sola enciclica in lingua tedesca la Mit brennender Sorge (“Con viva preoccupazione”), di Pio XI, del 1937, non era affatto un’apologia del nazismo. Il Reich, infatti, impedì rigorosamente la sua diffusione e ne fece sequestrare tutte le copie. Quando Hitler venne in visita a Roma, il Papa si trasferì a Castel Gandolfo, anticipando il suo soggiorno estivo di ben due mesi. Hitler teneva molto a visitare i Musei Vaticani, da pittore mancato quale era. Ma il Papa, oltre ad andarsene a Castel Gandolfo, fece chiudere i Musei con il pretesto ufficiale di “lavori in corso”, il giorno prima dell’arrivo di Hitler. Invece di predicare contro di lui da Piazza San Pietro, scelse di non riceverlo.

Oggi si definisce Pio XII uno “Schindler in Vaticano”. E’ d’accordo?

No, perché Schindler non era affatto un eroe senza macchia come oggi viene ricordato. Io lascerei perdere quel paragone. Le faccio una piccola confidenza. Ogni sera, prima di addormentarmi, dialogo con alcuni Santi che sento più vicini. E non manca mai San Pio XII e una richiesta di intercessione da parte sua. Perché non solo sono convinto che sia in Paradiso, ma anche in posizione eminente. Personalmente sono un gran devoto di Pio XII, come fosse già Santo. D’altro canto condivide la sorte di un altro Pio, un altro grande diffamato: Pio IX. Fino a poco tempo fa pareva impossibile la beatificazione di Pio IX, mentre invece ci siamo arrivati. Verrà anche il giorno della beatificazione e poi quello della canonizzazione di Papa Pacelli.

​di Paolo Conti
Dal sito la Nuova Bussola Quotidiana
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