Nel magistero di Francesco, tuttavia, il concetto di discernimento sembra aver preso una connotazione diversa, al punto da lasciar intendere che discernere significa soprattutto vedere fino a che punto è possibile seguire la dottrina e in quale misura sia invece possibile aderire a ciò che la coscienza suggerisce. In questo senso il discernere assomiglia sempre di più a un giustificare il limite umano e un separare quella che sarebbe la fredda legge «rigida», lontana dall’uomo e in sostanza impossibile da osservare, rispetto a una accompagnamento amichevole e comprensivo, in grado di cogliere i condizionamenti ai quali la creatura è esposta e quindi di scagionarla dalla colpa.
Affrontare il tema del discernimento nel quadro dell’attuale magistero pontificio significa entrare in uno degli aspetti decisivi del modello di fede e di pastorale che Francesco sta indicando alla Chiesa.
Ritengo dunque altamente istruttivo il saggio che propongo qui di seguito. Opera del professor Benedetto Rocchi, dell’Università di Firenze, non nasconde lo sconcerto per l’abuso del termine discernimento che oggi si fa in molti ambienti ecclesiali. Scrive il professore nella premessa al testo che mi ha gentilmente inviato: «Ho fatto parte delle Comunità di Vita Cristiana e ho avuto la fortuna di praticare gli esercizi spirituali secondo sant’Ignazio: ma lì il discernimento è un’altra cosa».
Propongo il saggio del professor Rocchi, che ringrazio, come un contributo al dibattito.
Aldo Maria Valli
Dal blog di Aldo Maria Valli
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Una parola risuona sempre più frequentemente nella Chiesa al tempo di papa Francesco: discernimento. La si invoca sopratutto nelle rinnovate controversie sui temi più scottanti della morale, in particolare relativi a matrimonio e sessualità, ma ormai il suo uso sconfina nei terreni più squisitamente legati alla dottrina, come nel caso dell’accesso all’Eucaristia per i divorziati risposati o, più recentemente, per i protestanti sposati ad un cattolico. Certe interpretazioni permissive dei passaggi meno chiari della Amoris laetitia, certe esternazioni progressiste in materia morale, ad esempio sugli atti omosessuali, invocano sempre più spesso il primato della coscienza sulle formulazioni della dottrina, descrivendo in genere quest’ultima come una fredda lista di norme e divieti invece che come il cuore pulsante del cristianesimo, dove fede e ragione si abbracciano sostenendosi a vicenda. Nel discernimento, si dice, la coscienza può guidare il credente attraverso e oltre la dottrina, verso una comprensione “dinamica” di quella che è la volontà di Dio per lui, nella sua concreta condizione esistenziale. Lo ha fatto recentemente monsignor Paglia (ma è in ottima e qualificata compagnia tra i suoi confratelli vescovi), durante un incontro formativo organizzato dalla diocesi di Oppido Palmi a Gioia Tauro (Avvenire, 17/05/2018) affermando che Amoris laetitia inviterebbe la Chiesa “…ad operare un ulteriore discernimento pastorale e personale che preveda, all’interno di un cammino di accompagnamento e in casi specifici la possibilità che i due accedano ai sacramenti mantenendo a tutti gli effetti … una vita coniugale”. Questo servirebbe a superare “facili schematismi” che a volte chiuderebbero “… la via della grazia e della crescita” e scoraggerebbero “… percorsi di santificazione che danno gloria a Dio”.
Non mi interessa discutere la forzatura di un passo (pure in sé ambiguo) dell’enciclica fatta da Paglia, un passo peraltro che lo stesso Papa non ha mai voluto chiarire ufficialmente, lasciando così a ciascuno la libertà di intenderlo come reputa giusto. Per quanto mi riguarda monsignor Paglia è chiaramente in errore. Mi sembra però urgente riflettere sul tema sempre più abusato del discernimento perché la coscienza è luogo essenziale del nostro rapporto personale con Dio ed un insegnamento erroneo sul discernimento potrebbe allontanare tanti cristiani dalla giusta strada verso il Padre.
Poiché il Papa regnante è un gesuita la rinnovata enfasi sul discernimento non deve stupire. Il “discernimento degli spiriti” (Esercizi spirituali 176b) è un tratto caratteristico dell’insegnamento di Sant’Ignazio di Loyola ed una esperienza tipica di chi pratica gli esercizi spirituali da lui proposti. Poiché ho fatto parte delle Comunità di Vita Cristiana durante gli anni della mia formazione, ho avuto il dono di sperimentare più volte gli esercizi e la fecondità della spiritualità ignaziana. Eppure non ricordavo un tale incoraggiamento ad una esame della coscienza totalmente svincolato dall’insegnamento ormai consolidato della Chiesa. Così, dopo tanti anni, ho cercato nella libreria gli Esercizi Spirituali per controllare cosa Ignazio scrivesse sul discernimento. E quello che ho trovato non assomiglia neanche un po’ a ciò di cui parlano monsignor Paglia e altri prelati come lui.
Alla fine della seconda settimana di esercizi Ignazio spiega come il cristiano deve affrontare una scelta che riguarda il suo stato di vita. Nel suo stile asciutto ed allo stesso tempo pieno di fuoco e di tensione a Dio, Ignazio guida l’esercitando, cioè qualsiasi cristiano che capisca di dover fare una scelta importante per la sua vita e desideri farla davanti a Dio. Al punto 169 parte da una premessa fondamentale: In ogni buona scelta, per quanto dipende da noi, l’occhio della nostra intenzione deve essere puro, badando solo al fine per cui siamo stati creati, cioè per la lode di Dio Nostro Signore e per la salvezza della nostra anima. (ES, 169a)
Qualunque scelta dovrebbe essere subordinata a questo fine. Con il suo sano realismo Ignazio riconosce che molto spesso gli uomini fanno esattamente il contrario: prima compiono le scelte in base ai loro “desideri disordinati” e poi cercano di servire Dio dentro tali scelte.
In pratica, invece, succede che molti scelgono di sposarsi e poi di servire nel matrimonio Dio Nostro Signore, mentre servire Dio è il fine … In tal modo questi non vanno con rettitudine a Dio ma vogliono che Dio vada di filato ai loro desideri disordinati, e perciò fanno del fine un mezzo e di un mezzo il fine e così quello che avrebbero dovuto considerare dopo lo considerano prima. (ES, 169b-c)
Questa è una premessa “generale” a tutte le scelte, per vivere in modo orientato “al servizio di Dio Nostro Signore” (ES, 169e) ma vale anche quando le scelte sono richieste dalle conseguenze di precedenti scelte che si è compreso non essere state rettamente orientate alla volontà di Dio. Come ad esempio quando constatiamo il fallimento del rapporto umano con il coniuge e sopratutto quando comprendiamo che la scelta di sposarlo non è stata fatta “… per dare lode a Dio e per la salvezza della nostra anima” ma semplicemente per assecondare quello che era un nostro desiderio.
L’ideale proposto al cristiano da Ignazio è una vita in cui ogni scelta, grande o piccola che sia, è fatta per dare lode a Dio. Nella realtà, poiché siamo peccatori, prima o poi tutti ci troviamo a riconsiderare le nostre scelte passate, a valutarne le conseguenze per la nostra anima, a cercare di recuperare un orientamento alla volontà di Dio. Ignazio, che è un vero maestro d’anime, ne è ovviamente consapevole e guida l’esercitando ad affrontare anche questi snodi difficili e talvolta dolorosi della vita di fede. In questo caso introduce una distinzione fondamentale tra scelte “immutabili” e scelte “mutabili”: Ci sono delle cose oggetto di una scelta immutabile come il sacerdozio, il matrimonio, ecc, e ce ne sono altre oggetto di una scelta mutabile come accettare o lasciare benefici, prendere o rifiutare beni temporali. (ES, 171).
Nel primo caso per Ignazio è chiaro che non possiamo tornare indietro:
In caso di scelta immutabile, quando cioè già sia stata fatta la scelta, non vi è più nulla da scegliere, perché quella non si può annullare, come è per il matrimonio, il sacerdozio ecc. (ES, 172a)
Mi sembra significativo che nel giro di poche righe Ignazio ripeta come unici due esempi di scelte immutabili gli “stati di vita” che per i cattolici vengono assunti in forza di un sacramento. Sono scelte che coinvolgono non solo la nostra volontà ma anche quella del Padre. In sostanza il santo dice: il Signore ci chiama, per amore verso di noi, ad uno stato di vita che Lui ha pensato per noi e per il nostro bene. A tale chiamata dovremmo conformare la nostra scelta (e proprio a questo, per inciso, dovrebbe servire il discernimento). Tuttavia Dio rispetta la nostra libertà ed opera attraverso i sacramenti con la sua potenza creatrice e redentrice anche quando la nostra scelta è “disordinata e distorta” (ES, 172c) dai nostri desideri e non è la risposta ad una “…vocazione divina, come alcuni pensano erroneamente” (ES, 172c).
E’ questo rispetto di Dio per noi che fa sì che le scelte di vita che implicano una specifica grazia di stato, come nel caso del matrimonio e del sacerdozio, siano “immutabili”. Perciò quando si comprende che la scelta è stata fatta per seguire i nostri desideri piuttosto che quello che Dio stesso ha desiderato per noi, non possiamo tornare indietro. Non ci resta che servire Dio nella condizione nella quale abbiamo in qualche modo “preteso” che Dio ci ponesse: Se quella scelta non è stata fatta con rettitudine e nel modo dovuto, cioè senza inclinazione disordinata, si dovrà cercare dopo essersi pentito, di condurre una vita onesta in quella propria scelta. (ES, 172b)
Questa interpretazione dei passi degli Esercizi Spirituali che ho citato è coerente con quanto Ignazio afferma altrove nello stesso libro. I consigli sulle scelte seguono gli esercizi relativi alla considerazione sugli “stati di vita”. Al punto 135d il santo fondatore dei Gesuiti propone un esercizio che riguarda il “come dobbiamo comportarci per arrivare alla perfezione in qualunque stato e condizione di vita Dio Nostro Signore ci concedesse di scegliere (ES, 135d). Dio per Ignazio “ci concede di scegliere” in senso pieno: scegliere anche quella che NON è la nostra vocazione divina. Drammatica libertà davvero, quella che ci viene concessa!
Nel caso di scelte immutabili fatte seguendo inclinazioni disordinate, per tendere alla perfezione, dobbiamo condurre “una vita onesta in quella propria scelta”. Come dobbiamo dunque interpretare questa onestà della vita raccomandata da Ignazio? Nel caso di un matrimonio che ormai appare un errore, una scelta non corrispondente alla vera vocazione, cosa significa vivere “onestamente”? Non mi sembra plausibile alcuna interpretazione che ammetta una relazione di tipo coniugale con qualcuno che non sia colui che Dio ha reso nostro coniuge. Non vorrei davvero essere nei panni di Monsignor Paglia se per ventura gli toccasse di spiegare la sua interpretazione di Amoris laetitia a Sant’Ignazio! Vivere “onestamente” per Ignazio non può significare che vivere nella fedeltà al significato sacramentale del matrimonio stesso: che ci piaccia o meno siamo ormai una sola carne con il nostro coniuge anche se non lo amiamo più, in modo del tutto evidente quando ci sono figli ma altrettanto vero anche quando non ci sono. Dio infatti non ritira i suoi doni, e la grazia concessa per quel matrimonio che forse abbiamo “preteso” come un diritto invece che “accolto” come un dono rimane comunque viva, pronta ad agire in noi.
A queste premesse fondamentali sul giusto orientamento da seguire nel caso di scelte immutabili seguono una serie di suggerimenti bellissimi su come fare discernimento riguardo alle scelte mutabili, nel caso delle quali non solo si deve cercare di “perfezionarsi al massimo” quando le abbiamo fatte “con rettitudine e nel modo giusto, senza tenere conto della sensualità e del mondo” (ES, 173) ma si può in qualche modo correggere scelte sbagliate o abbandonandole oppure scegliendole nuovamente ma questa volta con il giusto orientamento: … se quella scelta mutabile non è stata fatta rettamente e sinceramente, allora è utile farla come si deve qualora si desideri che da essa nascano frutti notevoli e molto graditi a Dio. (ES, 174)
Nelle agili annotazioni di Ignazio (ES, 173 – 189) la ragione dialoga e si pone al servizio della fede e la fede illumina continuamente la ragione. Il discernimento secondo Ignazio di Loyola non è un narcisistico interrogarsi su quali siano i propri veri desideri, come molta sentimentale catechesi di oggi sembra credere, ma piuttosto, al contrario, è un cercare di distaccarci per quanto possibile dai nostri desideri per consentire a Dio di farceli guardare con i suoi occhi, secondo verità. Dopo avere ricordato il fine per cui è stato creato il cristiano deve … in base a ciò, rimanere indifferente, senza nessuna propensione disordinata, in modo tale da non essere incline o mosso a prendere la cosa in esame piuttosto che a lasciarla, nè a lasciarla piuttosto che a prenderla. (ES, 179b)
Solo quando saremo “indifferenti” verso di essa, infatti, potremo chiedere a Dio di orientare la nostra scelta pregando (ES, 180a) e “riflettendo bene e fedelmente col proprio intelletto” (ES, 180b).ù
Benedetto Rocchi