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Sesto comandamento: Non commettere atti impuri PORNOGRAFIA, IDOLATRIA DEL CORPO, PECCATO IMPURO SOLITARIO

14/11/2014

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I DIECI COMANDAMENTI - SESTO COMANDAMENTO: Non commettere atti impuri

1. PORNOGRAFIA
La pornografia è indubbiamente un’altra tra le piaghe più purulente sorte dalle macerie di una “civiltà” che ha scelto di rinnegare due millenni di vita cristiana rinnovando il grido luciferino “non serviam!”. Il mare di fango e immondizia a cui assistiamo è indubbiamente frutto di una progressiva erosione della moralità e dei costumi, che ha portato, gradualmente, a considerare l’oscenità, l’indecenza e la volgarità come cose assolutamente ordinarie e normali all’interno della società post-moderna e, a detta di qualcuno, post-cristiana. I moderni mezzi di telecomunicazione (cinema, televisione e musica) hanno contribuito fortemente ad agevolare e accelerare forme e tempi di tale degradazione. Chi non ricorda le prime scene “osé” di alcune celebri pellicole dell’immediato dopoguerra, oppure le violente provocazioni dei nascenti “astri” della musica rock negli anni ’50 e ’60? Come ignorare l’effetto dirompente che ha avuto la rivoluzione studentesca e quella sessuale, concomitanti con la messa in circolazione delle prime pellicole a contenuto decisamente erotico? Di lì, il passo verso la vera e propria pornografia, con tutto il mare di oscenità che essa propina, è stato brevissimo. La prima tristemente celebre pellicola pornografica, un vero e proprio “cult” per gli appassionati di tale squallido settore, è datata 1972. Non citiamo volutamente né il titolo né gli attori perché ci sembrerebbe dare troppa importanza a ciò che dovrebbe essere cancellato ed eliminato per sempre dalla terra dei viventi. Da questa tragica data tuttavia, è stato un crescendo inarrestabile di provocazioni, scandali e perversioni di ogni genere, che oggi purtroppo trovano in Internet un canale propulsore incontrollabile ed altamente accessibile, con gravissimi danni soprattutto per i più giovani. Alcuni sondaggi non molto datati condotti tra gli adolescenti circa l’uso di Internet davano questa emblematica risposta: “Facebook, Messenger e siti porno”. I social network, in particolare, rappresentano la nuova frontiera della trasgressione, attraverso l’erotismo virtuale e l’adescamento dei minori. Le legislazioni, dapprima molto tolleranti, hanno cercato di prendere qualche distanza da tali fenomeni e di porre qualche limite, in modo comunque non sufficientemente adeguato. Nelle reti pubbliche di carattere nazionale è proibita la messa in onda di materiale pornografico in senso stretto, ma è diventato praticamente impossibile vedere un varietà, un talk-show o anche un innocente quiz televisivo dove non si debba assistere all’immancabile valletta o presentatrice in abiti a dir poco procaci, con una continua esposizione oscena e immorale di corpi statuari al pubblico spettacolo. L’età dell’innocenza dei fanciulli, grazie alla diffusione ormai apparentemente inarrestabile di tale immonda cultura, si è dapprima ridotta, fino, a detta di qualche esperto, a scomparire del tutto. 
Tale peccato è ovviamente quanto di più grave possa esistere in questa materia, in qualunque modo sia commesso: attraverso la visione di film, la lettura di libri o riviste, l’imitazione ed emulazione degli atti osceni compiuti dagli operatori di tale infernale settore, il parlarne e il diffonderne in qualunque modo i contenuti. Sappiamo che Padre Pio era oltremodo severo in questa materia non solo, ovviamente, con i protagonisti, ma anche con coloro che anche in modo minimo e accidentale vi cooperassero in qualunque forma. Il santo del Gargano ripeteva che coloro che offendono Dio in tale gravissima materia pagano tutti e pagano caro, anche l’operaio che abbia messo un solo chiodo sul set dove si debba girare una scena a contenuto erotico. Una delle conseguenze più gravi del dilagare di tale pseudocultura è stata la diffusione del nudismo non solo tra gli addetti ai lavori del mondo dello spettacolo, ma anche tra la gente comune. Le mode invereconde dilaganti e pullulanti ormai da diversi anni, sotto gli occhi indifferenti e abituati di quasi tutti, non risparmiano più nemmeno i luoghi sacri, in un clima di imbelle e rassegnato silenzio, che diventa complicità con la diffusione del vizio e dell’immoralità. San Pio diceva che bastava avere le braccia scoperte per bruciare in Purgatorio… Sarebbe assai interessante vedere e sentire cosa direbbe e come reagirebbe dinanzi alla situazione attuale…
Il corpo dell’uomo e della donna è tempio dello Spirito Santo e deve essere trattato con rispetto e con pudore. La Madonna diede l’allarme a Fatima, ammonendo circa l’imminente diffusione di mode che avrebbero offeso molto Dio… Il mare di fango è divenuto ormai una marea montante dalle dimensioni incontrollabili… Non resta che augurarci che il Signore del cielo e della terra, che ama la purezza e aborre l’impurità, trovi il modo di porre fine a tali ignobili e indegni spettacoli.

2. IDOLATRIA DEL CORPO, PECCATO IMPURO SOLITARIO
Siamo giunti all’ultima tappa del lungo itinerario di meditazione sui peccati contro il sesto comandamento. La materia ha richiesto una così ampia trattazione perché la Madonna, a Fatima, ammonì che i peccati che portano più anime all’Inferno sono quelli della carne, sentenza confermata da Satana in persona che, come ebbe a riferire don Giuseppe Tomaselli (esorcista salesiano morto in concetto di santità), affermò che tutti gli abitanti dell’Inferno erano lordati di impurità, specificando che molti erano dannati solo per questo peccato, altri per questo ed altri peccati, ma che comunque nessuno degli abitanti dei “piani inferiori” era esente da almeno qualche peccato contro il sesto comandamento. 
Si ricorderà che, a suo tempo, avevamo distinto la trattazione in quattro parti: peccati impuri contro la santità del matrimonio, peccati contro la vita come frutto naturale dell’amore umano, impurità consistenti in aberrazioni della legge naturale e infine profanazioni della santità del corpo umano in quanto tale. Con la scorsa puntata siamo entrati in quest’ultimo punto, che oggi concluderemo trattando lo scabroso e spinoso tema del peccato impuro solitario, comunemente noto come masturbazione. È bene anzitutto – a titolo di premessa necessaria alla comprensione di quest’ultimo aspetto – riprendere  un passo quanto mai chiaro dell’Apostolo delle genti che senza mezzi termini e con estrema chiarezza proclama la santità e l’inviolabilità del corpo umano: “Il corpo non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1Cor 6,13.19-20).
Il corpo umano di un battezzato ha dunque, oltre la naturale e intrinseca dignità che inerisce alla persona umana in quanto tale, un’ulteriore e ancor più alta onorabilità che gli deriva dall’essere tempio dello Spirito Santo, ovvero della grazia santificante ricevuta nel Battesimo e accresciuta con la celebrazione e la ricezione dei sacramenti che si possono ripetere (penitenza e eucaristia). Il corpo, secondo la visione paolina, è dunque analogo al Tempio inteso come luogo di culto, al cui interno è custodito e abita il Santo dei Santi. Come dunque dentro una Chiesa non si possono compiere atti indegni della sacralità del luogo, sotto pena del gravissimo peccato di profanazione (come vedemmo a suo tempo), così il corpo non può essere oggetto di atti turpi, bassi e vergognosi, che costituiscono un’autentica profanazione della sua dignità e sacralità. 
Come abbiamo visto nel precedente episodio, la pornografia compie tale profanazione in modo spudorato, violento ed esecrabile. Simile discorso va fatto per il nudismo dilagante e imperante, così come per il vero e proprio culto del corpo (a cui assistiamo specialmente in Occidente), in nome del quale ci si sottopone a diete esasperanti, massacranti allenamenti in palestra, uso e abuso di cosmetici (al femminile ma sempre più spesso anche al maschile…), mode invereconde. Non si parla altro che di crisi e di austerity, eppure il consumo di cosmetici non diminuisce e palestre, saune, centri di fitness e di bellezza sono sempre pieni di clienti… Sta dilagando in maniera incontrollata la brutta (e satanica) moda dei tatuaggi, per cui ci si sottopone a dolori non lievi e a salassi economici ancor meno lievi per decorare il corpo con segni che nel 90% dei casi (cifra arrotondata per difetto!) sono direttamente o indirettamente connessi col mondo dell’occulto e del satanismo. Apparire, piacere e godere costituiscono ormai una triste triade, perseguita e condivisa dalla stragrande maggioranza degli abitanti del mondo occidentale.
Oltre a queste forme, l’altra gravissima profanazione del corpo è costituita dl peccato impuro solitario, tema sul quale occorre per prima cosa sfatare alcuni luoghi comuni. Anzitutto non è un problema circoscritto all’età adolescenziale (numerosissimi sono gli adulti che lo commettono) e non è appannaggio esclusivo (o quasi) delle persone di sesso maschile (sempre più numerose sono le donne che cadono, anche in maniera abituale e compulsiva, in questo vizio). Non è inoltre affatto vero che costituisca una sorta di “peccatuccio” quasi scusabile, per il fatto che non reca danno al prossimo, che spesso accade in un’età di “tempesta ormonale” (quella adolescenziale) e che dovrebbe essere non solo scusato ma anche (come fa più di qualche psicologo…) addirittura consigliato come valvola di sfogo per stress o situazioni di esasperazione emotiva.
In realtà con questo peccato tutti i caratteri impressi nell’ordine della sessualità dal Creatore svaniscono e scompaiono: l’ordinazione degli atti sessuali al reciproco dono e alla vita è infatti completamente assente in un atto che, oltre a non essere diretto a procreare, è compiuto al di fuori di ogni relazione, riducendosi meramente ad una egoistica e disordinata ricerca di un piacere basso ed effimero di qualche secondo, in modo totalmente fine a se stesso. Tale atto costituisce un evidente avvilimento della dignità della persona (che è stata creata per “piaceri” ben più elevati) e del corpo umano (che viene profanato con un atto degradante), non essendo altro in definitiva che una neanche troppo larvata manifestazione di egoismo e narcisismo. Il senso di vergogna che provano le persone che cadono in questo vizio e la difficoltà che si ha nel confessarlo, non sono altro che una conferma indiretta della verità circa l’intrinseca malizia e disordine di questi atti. Voglia il Signore, per intercessione dell’Immacolata, aiutare tutti e ciascuno a riscoprire la bellezza dell’amore umano, a ricollocare l’esercizio della sessualità solo al suo interno, in un contesto autenticamente umano e ad elevare ciò che di per sé è legato alle leggi naturali della riproduzione sessuata (per nulla differenti, nella sostanza, a quelle del mondo animale) in uno strumento di santificazione e nobilitazione degli sposi, che assumono con gioia onori e oneri della vita coniugale, ordinandola alla perfetta glorificazione di Dio, all’obbedienza ai suoi voleri e al bene della Chiesa e di tutta l’umana famiglia.
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Sesto comandamento: Non commettere atti impuri           IL PECCATO IMPURO CONTRO NATURA

13/11/2014

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I DIECI COMANDAMENTI - SESTO COMANDAMENTO: Non commettere atti impuri

1. L'OMOSESSUALITA'
La terza serie di impurità che abbiamo individuato a suo tempo nel sommario introduttivo alla presente disanima, era quella relativa ai comportamenti che offendono direttamente la legge naturale, dando vita ad una serie di vere e proprie aberrazioni sommamente invise all’Altissimo. Il catechismo tradizionale ha unificato questa fattispecie nella categoria del “peccato impuro contro natura”, che per la sua straordinaria gravità rientra nei quattro peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio” (insieme all’omicidio volontario - in cui ovviamente è da comprendere l’aborto - all’oppressione dei poveri e alla frode della giusta mercede agli operai). Il fatto che gridino vendetta al cospetto di Dio significa che essi rappresentano una sorta di “provocazione” della divina giustizia che, pur essendo ordinariamente lenta a punire e incline alla clemenza, non può tuttavia non intervenire assai severamente contro questi crimini, non solo con punizioni esemplari nell’altra vita, ma anche con gravi castighi in questa presente. Prima di addentrarci dentro questo scabroso ma purtroppo attualissimo argomento, è bene citare un passaggio della lettera di san Paolo ai Romani che a suo tempo abbiamo volutamente omesso di riportare, riservandone la presentazione alla sede – questa – più consona e opportuna. Scrive l’Apostolo delle genti: “Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d`invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1,24-32).
San Paolo si sta riferendo ai pagani, che afferma essere stati “abbandonati da Dio all’impurità” e a “passioni infami”, menzionando successivamente, in modo abbastanza chiaro ed esplicito, la duplice forma di omosessualità (femminile e maschile), dichiarando che ciò costituisce un’alterazione del “rapporto naturale” tra uomo e donna, tipica di “un’intelligenza depravata” ed accompagnata, ordinariamente, da un’altra inquietante sfilza di gravi peccati. La pericope si chiude stigmatizzando come colpevole non solo chi opera simili abominazioni, ma anche chi le approva. Il linguaggio è crudo e forte, chiaro e netto, senza esitazioni o tentennamenti. Oggi lo si definirebbe, senza ombra di dubbio, “politicamente scorretto” nel modo più assoluto. L’Apostolo sarebbe senz’altro oggetto di denunce penali e, presumibilmente, di condanne esemplari da parte di qualche “zelante e moderno” Tribunale. Di certo, ciò che appare palese, è la distanza, grande, troppo grande, tra simili affermazioni e l’acquiescenza, spesso connivente, sempre codarda e condannabile, di non pochi cattolici dinanzi alle pretese, sempre più dilaganti, di innumerevoli lobbies omosessuali di far dichiarare la “normalità” di comportamenti che rappresentano una evidentissima alterazione delle più elementari norme del diritto naturale. Queste devianze, che una volta (ora non più) erano riconosciute come tali anche dai manuali di psichiatria, ci sono sempre state durante la storia e in non poche culture. Mai però si era giunti all’aberrazione di una loro approvazione legislativa, con equiparazione dei diritti alla famiglia naturale e perfino, in non pochi Stati d’Europa, con diritto di adozione (cosa, peraltro, caldamente auspicata dall’attuale sindaco di Milano). Personalmente penso che nulla come questa materia rappresenti la cartina tornasole del degrado a cui è giunta una cultura che ha voluto defenestrare Domine Iddio con tutti i suoi annessi e connessi, pavoneggiandosi dietro improbabili autoencomi di civiltà, modernità e progresso. Il chiamare bene il male e male il bene è diventata abitudine consueta, sotto lo sguardo timido e spesso impaurito dei cristiani, incapaci di alzare la voce e dimentichi del monito di un santo uomo di Dio che qualche tempo addietro ammoniva: “il male dilaga anche per colpa di coloro che dovendo denunciarlo, tacciono”. E’ noto come anche alcuni membri della classe politica che si definiscono “cattolici” hanno, pur fra molti ipocriti (per non dire ridicoli) “distinguo”, manifestato atteggiamenti di “civile apertura” e tolleranza verso questa materia. La Chiesa, che grazie a Dio non si identifica con alcuni discutibili uomini di Chiesa o membri di essa, ha sempre continuato a mantenere alta la bandiera della verità, affermando la distinzione tra peccato e peccatore e ribadendo la duplice condanna sia dei comportamenti e degli atti omossessuali, che degli atti di odio, ingiusta discriminazione, violenza o oppressione compiuti nei confronti delle persone vittime di questo peccato che essa, al pari di altri peccatori, considera come destinatari privilegiati delle sue cure amorevoli tese a sottrarli dalle spire sataniche e dai magli di questi orridi vizi, ben ricordando le parole dell’Apostolo, giusta le quali “gli autori di tali cose meritano la morte” (ossia peccano mortalmente e quindi vanno incontro alla morte eterna).

La legge naturale è il luogo primo in cui si manifesta per tutti, cattolici e non cattolici, atei e credenti, orientali e occidentali, il volere dell’Altissimo. Il Creatore di tutte le cose ha stabilito delle leggi inviolabili e categoriche, il cui stravolgimento comporta solo miseria, degradazione, disordine e immoralità. Nessuna legge e nessuna cultura potranno mai rendere lecito il vizio e il peccato. Speriamo che presto i cristiani, soprattutto i cattolici, ritrovino il coraggio della testimonianza, non temendo, come ci esorta Gesù, coloro che potranno anche arrivare ad uccidere il nostro corpo, ma piuttosto Colui che ha il potere di gettare corpo e anima (dei pusillanimi) all’Inferno. Vergognarsi di Lui e delle sue parole per paura di passare per obsoleti o incivili, vorrà dire accettare che quando ci troveremo al suo cospetto anche Lui si vergognerà di noi… che ci siamo vergognati di alzare la voce per stigmatizzare ciò che è realmente e assolutamente vergognoso.

2. L'USO IMMORALE E INNATURALE DEL MATRIMONIO
Il peccato impuro contro natura conosce purtroppo anche una variante che coinvolge le relazioni ordinarie e naturali tra uomo e donna. Si tratta di materia particolarmente scabrosa, che va affrontata molto velocemente e con linguaggio estremamente sobrio, nella consapevolezza che al lettore attento non sfuggirà ciò a cui ci si sta riferendo. È necessario tuttavia, anche se nel debito modo, fare chiarezza anche su questi punti, stante l’ignoranza che circola su di essi, spezzando il muro del silenzio e della connivenza.
Questa materia introduce il discorso sul crimine odioso e vomitevole della pornografia, che di tali atti fa la propria bandiera e che ne rappresenta uno degli strumenti di maggiore incentivazione e diffusione. Quando una coppia, come ricorda san Paolo nella lettera citata nel precedente articolo, si unisce in modo non naturale, ma con atti innominabili (peraltro identici a quelli compiuti tra di loro dalle coppie omosessuali) al fine di raggiungere in modo assai basso e degradante il piacere venereo, commette un gravissimo atto impuro contro natura, che non è certamente consentito dal fatto che i coniugi siano uniti dal sacramento del matrimonio. Tale comportamento costituisce colpa grave, anzi gravissima (per il suo intrinseco carattere degradante la dignità della persona), anche quando fosse compiuto senza la volontà che da questi atti consegua, in maniera causale e diretta, il raggiungimento del piacere sessuale. 
Questo uso indegno e disordinato del matrimonio, si badi, deve essere oggetto di confessione, accusandolo per quello che è, con linguaggio ovviamente sobrio e decoroso, ma anche secondo la sua specie propria. Come ricorda il Concilio di Trento, nel decreto sul sacramento della Penitenza, i peccati mortali vanno confessati per specie, numero e circostanze. Trattandosi in questo caso di specie particolarmente grave, l’accusa di essa dovrà essere fatta in modo tale da far comprendere al confessore di cosa si tratta.
Occorre inoltre ricordare ciò che a suo tempo si disse della castità coniugale, per comprendere che non è affatto vero l’adagio in base al quale all’interno del matrimonio sacramento tutto sarebbe lecito. Né le donne, spesso vittime di richieste “strane” da parte dei rispettivi coniugi, devono pensare che sia loro dovere far contenti gli sposi anche dinanzi a tali pretese. Lecito è e rimane solo l’atto coniugale compiuto naturalmente e aperto alla vita, in modo onesto e umano. Nessuna forma alternativa di ricerca del piacere fisico può essere mai e in nessun caso direttamente cercata o scelta, salvi, come insegnano i teologi, gli atti che servono a preparare le condizioni affettive e fisiche dell’atto coniugale (sempre nel rispetto della dignità della persona) e le effusioni e manifestazioni affettive, anche quelle che possono coinvolgere la materia venerea in senso proprio (tanto per riallacciarci a un esempio concreto, il bacio profondo all’interno del matrimonio è ovviamente sempre consentito, purché non ci sia il pericolo che da esso consegua direttamente il piacere fisico). Su questa materia i coniugi devono aiutarsi reciprocamente, ricordando che non è mai lecito, per nessun motivo, accondiscendere o cedere su questi punti (come, del resto, sul tema della contraccezione, affrontato a suo luogo), perché l’obbedienza a Dio e alla sua legge viene sempre prima e al di sopra di tutto e nemmeno in nome dell’amore coniugale (che in questi casi sarebbe falso e disordinato) è possibile trasgredirla. Il rispetto reciproco e la reciproca sottomissione a Dio è condizione e salvaguardia dell’autenticità e della bellezza dell’amore sponsale e condizione indispensabile perché sul matrimonio scendano copiose le benedizioni e le grazie dell’Altissimo.
Purtroppo la bassezza raggiunta dalla nostra sciagurata cultura in questa materia è sotto gli occhi di tutti. La violenza invadente del linguaggio della pornografia, vero spettacolo di degradazione, avvilimento e abbrutimento dell’uomo e della donna e delle loro reciproche relazioni; la diffusione sempre più capillare di un erotismo sfrontato, presente anche in non pochi spot pubblicitari; la vastissima diffusione di materiale pornografico di ogni tipo attraverso i canali del web, purtroppo conosciutissimi e frequentatissimi dai più giovani; un uso improvvido e scellerato dei social network, dove vengono incautamente pubblicati e messi in piazza foto e video tutt’altro che edificanti; tutto questo ha contribuito a creare una pseudo-cultura pansessualista, dove l’unica cosa che sembra importante è “la soddisfazione e la gratificazione sessuale”, da ricercarsi in ogni modo e a tutti i costi, senza limiti e senza “paletti” e senza che nessuno possa osare dire mezza parola in merito. Ribadiamo, tuttavia, con forza le esigenze della Parola di Dio, contenuta nel monito di san Paolo: «Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, [...] orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio» (Gal 5,19-21).  Ricordiamo anche i moniti del grande San Pio da Pietrelcina che ricordava come in questa materia, chiunque, anche minimamente, cooperi e collabori all’esecuzione o alla diffusione anche l’operaio che mette un chiodo su un set dove si gireranno scene immorali...), dovrà vedersela con la giustizia severa dell’Altissimo.
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Sesto comandamento: Non commettere atti impuri: FECONDAZIONE ARTIFICIALE E INSEMINAZIONE

12/11/2014

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I DIECI COMANDAMENTI - SESTO COMANDAMENTO: Non commettere atti impuri

1 FECONDAZIONE ARTIFICIALE E INSEMINAZIONE
Esaminati nell'articolo precedente i peccati di contraccezione, ovvero la pretesa di separare la concezione di una vita dal mistero dell'amore, ci resta da trattare la fattispecie diametralmente speculare, cioè la pretesa di concepire forzatamente una vita al di fuori del matrimonio e della legge naturale stabilita da Dio, per la quale una vita umana è e deve essere concepita solo all'interno di un atto coniugale. Si tratta delle distinte tipologie della fecondazione e dell'inseminazione artificiale, sulle quali occorre ora riprendere, approfondire e completare il discorso a suo tempo accennato. La fecondazione artificiale, detta anche fecondazione in vitro, consiste nel realizzare il concepimento in provetta, completamente al di fuori dell'utero materno, facendo incontrare il seme maschile con l'ovulo femminile attraverso delle sofisticate tecniche mediche realizzate in laboratorio. La fecondazione si dice omologa quando sia il seme maschile che l'ovulo femminile appartengono a due persone regolarmente unite in matrimonio, che percorrono questa via non riuscendo a concepire figli attraverso le vie ordinarie e naturali; si dice invece eterologa quando almeno uno dei due princìpi generativi (o in alcuni casi entrambi) provengono dal di fuori della coppia e pertanto gli embrioni impiantati dopo la fecondazione nel grembo della materna sono, biologicamente parlando, in tutto o in parte figli di terze persone. Distinta da questa fattispecie è l'inseminazione, su cui vigono gli stessi gravissimi equivoci esistenti per il peccato di interruzione anticipata dell'atto coniugale, che abbiamo visto essere da non pochi fedeli erroneamente ritenuto un "metodo naturale" di controllo delle nascite. Infatti molti ritengono assolutamente lecita la fecondazione omologa, ritenendola un semplice "aiuto" atto a superare le difficoltà di incontro del seme maschile e dell'ovulo femminile all'interno del normale rapporto coniugale. L'inseminazione, infatti, come dice il nome stesso, consiste nell'immissione diretta del seme maschile (precedentemente estratto) nell'utero della donna, che può essere del marito (inseminazione omologa) oppure di un donatore esterno alla coppia (inseminazione eterologa). Sembrerebbe quindi una mera operazione "meccanica" che, almeno nel primo caso (inseminazione omologa), non sembrerebbe avere nulla di illecito, riducendosi a un metodo artificiale che si adegua al modo con cui ordinariamente viene concepita la vita, con l'unica differenza che l'incontro tra spermatozoo e ovulo non avviene come esito dell'atto coniugale ma per immissione diretta nell'utero della donna del seme maschile.
Diciamo anzitutto che la fecondazione artificiale è moralmente molto più disordinata dell'inseminazione. Come infatti abbiamo detto a suo luogo, parlando del quinto comandamento, il successo di questa tecnica è proporzionato al numero di embrioni fecondati che vengono impiantati nell'utero della donna, alcuni dei quali destinati a morte certa. Questo comportamento costituisce un gravissimo oltraggio alla sacralità e alla dignità della vita umana e pertanto rende gravemente immorale questa tecnica a prescindere da ogni altra considerazione. Si badi inoltre che, attraverso la fecondazione eterologa, viene aperto il campo alle più gravi aberrazioni, di cui purtroppo non mancano numerosissime testimonianze anche in Europa (non - grazie a Dio - in Italia dove, almeno per ora, la fecondazione eterologa non è permessa dalla famosa legge 40), soprattutto in ordine al concepimento di figli all'interno di coppie omosessuali. Una coppia di omosessuali donne, infatti, può tranquillamente prestare i propri ovuli perché siano fecondati e vivere l'esperienza della gravidanza e della maternità, costringendo la povera creatura che nasce da questa abominazione a crescere e vivere con due mamme. Ancora più aberrante è quanto successo in Inghilterra, che ha visto protagonista la celebre pop star Elton John, che ha coronato il sogno di avere un figlio con il suo "compagno" (regolarmente sposato, dato che l'Inghilterra - ahinoi - ha riconosciuto i matrimoni gay) attraverso un utero preso in affitto e fecondato dal seme di uno dei due. Tuttavia anche la fecondazione omologa, ammesso (e, ovviamente, non concesso) che non presentasse i gravissimi problemi della soppressione degli embrioni, nondimeno resterebbe illecita perché costituirebbe un atto non secondo natura, ovvero una arbitraria manipolazione delle leggi naturali che il Creatore ha stabilito per la concezione e la nascita di una vita, legandola inscindibilmente, almeno nell'attuale stato dell'umanità (segnato, lo si ricordi, dalle conseguenze della colpa d'origine), al compimento degli atti coniugali, per mezzo dei quali l'amore umano viene sigillato nel divenire "una sola carne". Questo ultimo punto, in effetti, è ciò che costituisce l'unica motivazione del disordine dell'inseminazione, anche omologa. Infatti anche se si tratta di marito e moglie e anche se non si viola la dignità della vita umana, si viola però la dignità dell'amore umano e il diritto del concepito ad essere generato come natura vuole, quella natura che porta impresse e sigillate in sé la Legge e la volontà del Creatore.
Il problema di fondo, tuttavia, che accomuna queste fattispecie è l'idea che avere un figlio costituisca una sorta di diritto, per ottenere il quale (essendo appunto "un diritto") ogni mezzo sarebbe lecito. In realtà non esiste alcun diritto al figlio, essendo la vita un puro dono di Dio, anche se Egli ha voluto responsabilizzare la coppia nel renderla sua collaboratrice. Dio, infatti, non solo  stabilisce quanti figli debba avere una coppia (come abbiamo visto parlando della contraccezione), ma anche sedebba averli, oltre che quando sia il tempo giusto e come debbano essere. Se Dio ad una coppia dà la grande croce della sterilità, la si deve prendere, offrire ed aprirsi ad altre forme di amore, spesso molto più grandi di quella dell'accettazione di un figlio naturale. 

Per concludere se è sempre illecito limitare il numero dei figli considerando la vita come una minaccia attraverso la contraccezione, è peccato altrettanto grave forzare la natura considerando i figli come un diritto. Si lasci a Dio il compito di fare ciò che gli compete e le creature tornino ad essere e sentirsi onorate di collaborare con Lui ma sempre in spirito di umiltà e ubbidienza, aprendosi ai suoi voleri quand'anche sembrassero duri e severi, ricordando il monito della sapienza popolare che Dio, quando chiude una porta, lo fa sempre per aprire un portone... Piuttosto che sfondare una porta chiusa è assai meglio aprire gli occhi e entrare per i portoni aperti dalla divina volontà.   
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Sesto comandamento: Non commettere atti impuri             I PECCATI CONTRO L'APERTURA DELL'AMORE SPONSALE ALLA VITA: LA CONTRACCEZIONE

11/11/2014

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I DIECI COMANDAMENTI - Sesto comandamento: Non commettere atti impuri

Il secondo genere di atti impuri è quello dei comportamenti contrari alla concezione della vita come frutto naturale dell’amore umano tra un uomo e una donna. Si tratta dell’attualissimo e delicatissimo tema della contraccezione e di quelli, speculari ma non meno gravi e inquietanti, delle tecniche artificiali per forzare o pilotare il concepimento della vita umana, di cui peraltro abbiamo già in larga parte accennato durante la trattazione del quinto comandamento.
Nella visione cristiana dell’amore tra uomo e donna, la vita, come la dottrina classica sul matrimonio sapientemente insegnava, è vista come il bene principale e assolutamente primario dell’unione coniugale, quasi come la sua determinante e imprescindibile ragion d’essere. Il fratello sacerdote di santa Giovanna Beretta Molla, in un’intervista rilasciata all’interno di uno splendido documentario sulla figura della sorella santa, ebbe a dire che “per la Gianna” ogni nuova vita concepita era una festa, un evento che la riempiva di gioia, di cui avvisava tutti i parenti ed amici per invitarli a rallegrarsi con lei, aggiungendo che per ricevere una vita in dono non esitava ad elevare continuamente fervide preghiere a Dio, convinta com’era che la fecondità era segno di grande benedizione e che procreare vuol dire permettere a Dio di creare un’anima destinata alla vita eterna. La vita non deve, pertanto, e non può per nessun motivo essere pensata come una preoccupazione, un fastidio, una minaccia o, nei casi peggiori, una disgrazia, un male da evitare ad ogni costo (anche quello sciagurato ed estremo dell’aborto) o da cui difendersi in ogni caso e con ogni mezzo. Questa mentalità di morte, tanto coraggiosamente denunciata dal beato Giovanni Paolo II nella splendida enciclica Evangelium vitae, deve essere condannata, combattuta, denunciata e boicottata con ogni mezzo lecito e le famiglie cristiane, quelle poche che restano, devono osteggiarla non a chiacchiere, ma coi fatti e nella verità, vivendo l’apertura alla vita nella dimensione massimamente auspicata da Dio e dalla Chiesa: accogliere, come hanno promesso nel giorno del matrimonio, tutti i figli che Dio vorrà donare loro, non quelli che loro vogliono, scelgono o “si programmano”, peraltro quasi sempre col contagocce.
I crimini contro la vita, perché tali sono i mezzi contraccettivi, sono, in ordine di gravità: la spirale, la sterilizzazione diretta, la piccola anticoncezionale, il preservativo e, cosa ignorata da moltissimi fedeli (e parlo per lunga esperienza pastorale), l’interruzione anticipata dell’atto coniugale. Vedremo che anche l’uso dei cosiddetti “metodi naturali”, per essere conforme alla legge e ai voleri di Dio, richiede l’esistenza di alcune condizioni soggettive da parte di coniugi. Di tale materia parlò a chiare lettere il Papa Paolo VI nella combattutissima e contestatissima enciclica Humanae vitae, i cui chiari e coraggiosi insegnamenti sono stati pienamente recepiti dalla nuova edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Prima di Paolo VI un altro Papa del secolo scorso, Pio XI, scrisse parole illuminanti nell’enciclica Casti connubii, che avremo modo di citare ampiamente. Prima di scendere nel merito delle singole fattispecie, mi permetto, anche qui alla luce di innumerevoli esperienze pastorali, di segnalare che la confusione e l’ignoranza in questa materia largheggiano e che sembra che più di qualche ministro si senta autorizzato a disattendere totalmente le indicazioni del Magistero in materia, contribuendo a confermare nel peccato mortale le coscienze dei fedeli, peraltro non sempre in buona fede, dato che spesso vanno in cerca di confessori di manica larga e senza troppi scrupoli. L’ampia diffusione di costumi perversi nella società contemporanea, in questa come in altre fattispecie del sesto comandamento, non toglie minimamente forza e vigore vincolante alla legge di Dio; ne rende solo, purtroppo, un po’ più difficile l’osservanza, esigendo dai fedeli lo sforzo e il coraggio di andare controcorrente, tenendo alta, senza paura e vergogna, la bandiera della santa fede cattolica.
Il più grave tra i mezzi contraccettivi è la spirale, perché il suo compito non è quello di impedire che l’uovo sia fecondato dal seme maschile, ma quello di impedire l’annidamento dell’uovo fecondato. In altre parole ogni volta che la spirale realizza il suo effetto, lo fa, praticamente, attraverso la realizzazione di un micro aborto, producendo, sul piano degli effetti, lo stesso sciagurato effetto della cosiddetta pillola del giorno dopo, la famosa RU486. Conseguentemente, le donne che si macchiano di tale crimine (di cui rispondono, ovviamente, anche i mariti consenzienti), rispondono davanti a Dio di trasgressione non solo del sesto ma anche del quinto comandamento, giacché è dottrina comune tra i dottori cattolici che l’infusione dell’anima razionale da parte di Dio avviene al momento del concepimento, ossia dal momento in cui i due gameti (maschile e femminile) si fondono nello zigote; pertanto, impedire l’annidamento di un ovulo fecondato equivale a sopprimere una vita umana incipiente.
Gravissimo, inoltre, è il ricorso alla sterilizzazione diretta, purtroppo non infrequente anche in Italia e, come tristemente noto, diffusa e imposta per legge da parte di alcuni sciagurati governi di nazioni straniere. Il fatto è gravissimo per la sua definitività e irreversibilità, togliendo radicalmente al peccatore la possibilità di emendare il suo errore con una successiva conversione, che gli consenta di tornare sui suoi passi aprendosi di nuovo all’accoglimento del dono della vita.
Segue, per gravità, la piccola anticoncezionale, peccato principalmente dalla donna, a cui è equiparabile il ricorso al preservativo, che costituisce un peccato principalmente dell’uomo. Si sappia bene che, in entrambi i casi, il coniuge innocente, per non farsi complice di tale peccato, è tenuto a non acconsentire all’atto coniugale, vigendo in questo caso l’obbligo grave di obbedire a Dio prima e più che al proprio coniuge, per quanto lo si ami e lo si desideri. Per questo non ci si può nascondere dietro il “mia moglie non ne vuole sapere” né dietro il marito che non vuole assolutamente sentir parlare di figli. È necessario armarsi di santo coraggio evangelico ricordando le parole di Gesù: “chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia, la moglie o il marito più di me, non è degno di me”.

Infine qualche parola sull’interruzione del rapporto, peccato antichissimo e severamente stigmatizzato già nella Sacra Scrittura, al capitolo 38 del libro della Genesi (cf Gen 38,4-10). In esso si legge che un certo Onan si univa a sua moglie e “disperdeva [il seme] per terra”. Lapidariamente la Genesi sentenzia: “ciò che faceva non fu gradito al Signore ed egli lo fece morire”. Come già ho accennato, ripeto che molti fedeli ritengono tale peccato mortale “un metodo naturale”, lecito e consentito per evitare la vita. La verità è che l’uomo che lo fa è sempre responsabile di peccato mortale, così come la moglie che glielo chiede o che, sapendolo, vi acconsente. Solo la donna che, dopo aver tentato di dissuadere il marito da tale perversa condotta, si unisce a lui sperando che egli non faccia questa azione cattiva è scusata, secondo gli autori probati, da peccato mortale. Fermo restando tuttavia il suo dovere di insistere con lo sposo perché desista da tale pratica, non escluso, in caso di continua pertinacia e recidiva, e sempre previa consultazione del confessore, il ricorso alla negazione dell’atto coniugale, che in questo caso avrebbe una giusta motivazione.
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Sesto comandamento: Non commettere atti impuri             I PECCATI CONTRO LA SANTITA' DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

10/11/2014

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I DIECI COMANDAMENTI - SESTO COMANDAMENTO: Non commettere atti impuri

1. DIVORZIO E ADULTERIO
Abbiamo visto, anche passando in rassegna alcuni testi biblici del Nuovo Testamento, come il sesto comandamento intenda tutelare le dimensioni della santità dell’amore umano aperto alla vita e del corpo umano in quanto tempio dello Spirito Santo. Dobbiamo ora addentrarci nell’analisi dei singoli peccati impuri. A mio avviso è quanto mai opportuno distinguere le singole tipologie in quattro generi di peccato: alcuni, infatti, sono direttamente contrari alla santità del matrimonio; altri colpiscono la vita come frutto naturale dell’amore umano tra un uomo e una donna; altri costituiscono delle aberrazioni della legge naturale; ed altri, infine, sono profanazioni della santità del corpo umano in quanto tale.
Appartengono al primo gruppo l’adulterio, il divorzio, le unioni civili, le libere convivenze e i rapporti prematrimoniali. Il matrimonio è un vero sacramento, istituito da Cristo per sigillare e santificare con la benedizione di Dio il patto coniugale con cui un uomo e una donna, liberamente, si donano l’uno all’altro con atto di consegna totale e indissolubile, valido e vincolante fino alla morte di uno dei coniugi. 
L’adulterio, che in tempi non troppo lontani era perseguito come reato dal Codice Penale italiano, è un gravissimo peccato in quanto infrange la promessa sacra di fedeltà reciproca contratta dai coniugi davanti a Dio. Nei primi secoli di vita della Chiesa, insieme all’aborto e all’apostasia, era ritenuto peccato talmente grave che qualcuno addirittura dubitava che potesse essere rimesso sulla terra dai ministri di Dio. La gravità intrinseca di questo peccato permane assolutamente intatta anche nei nostri sciagurati tempi, dove sembra essere diventato un diversivo o una “variante” del tutto normale della “vita di coppia” (?), oltre ad essere pubblicamente sbandierato e incoraggiato da telenovelas, soap opera, film e telefilm di vario genere. Come tutti i peccati di cui si è realmente pentiti, può senz’altro essere rimesso in questo mondo, ma è necessario quanto mai che i confessori facciano attenzione a verificare la sussistenza di un vero pentimento che, dovendo abbracciare il proposito di non più peccare, richiede nel penitente la promessa di tagliare ponti e contatti con il complice, di evitare ulteriori frequentazioni, di rompere insomma radicalmente e definitivamente questo scellerato legame. A parere di chi scrive, inoltre, è quanto mai inopportuno rivelare l’avvenuto adulterio al coniuge innocente, cosa che compromette gravemente la stabilità del matrimonio. La confessione va fatta a Dio attraverso il confessore e la penitenza data per questo peccato deve essere ovviamente seria e proporzionata, ma raccontare il tutto alla parte innocente, per un malinteso senso di sincerità, è da evitarsi. Si badi, infatti, che il vigente Codice di Diritto Canonico, esprimendo la consapevolezza della ferita mortale che tale delitto infligge al matrimonio, esorta il coniuge innocente che viene a conoscenza dell’adulterio a perdonare generosamente la parte colpevole, ma qualora non dovesse riuscirci le consente addirittura di interrompere, ovviamente pro tempore, la coabitazione. L’adulterio, infatti, costituisce una delle due “giuste cause” canoniche di temporaneaseparazione. Basti questo per comprendere circa la gravità e serietà di questo turpe delitto.
Il divorzio, vera e propria piaga sociale, che ha dilaniato e distrutto migliaia di famiglie e rovinato migliaia di bambini e bambine, costretti a vivere orbati di un genitore, è un altro sciagurato e disgraziato segno della decadenza morale del mondo contemporaneo, che con questo istituto, per imporre il quale sono state fatte delle vere e proprie battaglie sociali (con non pochi cattolici complici o quanto meno conniventi…), ha voluto opporsi direttamente al severo monito di nostro Signore Gesù Cristo, ricordato da ogni ministro nel momento stesso in cui suggella il patto coniugale: “non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce”. Il matrimonio è, infatti, per sua natura (e non solo in forza del sacramento) intrinsecamente indissolubile, come appare evidente dal discorso fatto da Gesù per screditare la concessione del divorzio fatta, a suo tempo da Mosè, “a causa della durezza di cuore degli israeliti”, rimandando al progetto originario di Dio che volle l’uomo e la donna, “fin dal principio”, uniti nel vincolo indissolubile di una sola carne (cf Mt 19,1-12). Pertanto qualunque cattolico osi impugnare il matrimonio dinanzi ad una autorità civile, viola direttamente questo comandamento e la sentenza di scioglimento che eventualmente venisse pronunciata non ha, agli occhi di Dio, alcun valore, né tanto meno sono lecite ulteriori unioni con altri partners, siano esse civilmente sigillate oppure vissute come coppia di fatto. Il motivo per cui la Chiesa, ubbidiente al Vangelo, nega ai divorziati risposati o conviventi l’accesso alla santa comunione così come l’assunzione di alcuni uffici ecclesiali (tra cui quello di padrino o madrina di Battesimo e di Cresima) è da ricercare nel fatto che il divorziato o la divorziata che abbiano intrapreso una nuova unione, si trovano “in stato di peccato mortale” momentaneamente irreversibile, in quanto una eventuale confessione sarebbe necessariamente priva dell’elemento fondamentale del pentimento (contrizione unita al proposito di non peccare più) che è la condizione unica per cui Dio concede il perdono al peccatore. Non potendo dunque essere assolti e trovandosi in stato di peccato pubblico (cioè di vero e proprio scandalo) è impossibile l’accesso all’eucaristia (che richiede lo stato di grazia) e agli uffici ecclesiali (che richiedono una situazione esteriore e oggettiva di conformità alle leggi di Dio).
Vorrei chiudere l’argomento divorzio con qualche considerazione di natura personale, anzitutto cercando la causa del fallimento di tanti matrimoni (siamo arrivati a percentuali superiori a uno su tre, per non parlare dell’aumento vertiginoso delle unioni civili di fatto, che in alcune zone del nord Italia hanno ampiamente superato i matrimoni religiosi). Vorrei al riguardo citare una frase che pronunziò la piccola e beata Giacinta di Fatima poco prima di morire (nel lontano 1917): “ci sono molti matrimoni che non piacciono a Dio, non sono da Dio”. Confesso che quando lessi questa frase, diversi anni fa, rimasi perplesso per non dire sconcertato. Come è possibile che nel 1917, in Portogallo, con quel clima di fede profonda, quando tutti si sposavano in Chiesa, alcuni matrimoni non piacevano a Dio? Non sono sigillati da un sacramento? Se ancora non sono riuscito a spiegarmi bene come fosse possibile nel 1917, mi risulta molto meno difficile ipotizzare perché alcuni matrimoni di oggi non piacciano a Dio. Può Dio, infatti, dare la sua benedizione a case costruite sulla sabbia, cioè a coppie che arrivano al matrimonio dopo aver “bruciato tutte le tappe”, con anni di vita sessuale “attiva” alle spalle, con cerimonie che sfiorano il sacrilegio, con spose che si presentano all’altare seminude (ma con abito rigorosamente bianco…) e invitati che fanno loro degno corollario, con coppie che si sposano dopo anni di convivenza senza porre in essere un minimo segno di pentimento, anzi spesso unendo al matrimonio il battesimo del figlio (magari il secondo o il terzo, con i più grandi che fanno da paggetti a papà e mamma…) e con tanto di applauso finale? Sono esempi ovviamente e volutamente provocatori, con cui non si intende generalizzare né tanto meno escludere chi avesse sbagliato dalla possibilità di redimersi e correggersi. Fotografano tuttavia, forse in modo un po’ impietoso, una triste realtà, sempre più diffusa in uno strano e generalizzato silenzio di chi dovrebbe parlare, che di certo non sembra poter avere l’approvazione e tanto meno la benedizione dell’Onnipotente…

2. LIBERE CONVIVENZE E UNIONI CIVILI
Altre due grandissime piaghe purtroppo diffusissime ai nostri giorni sono le unioni civili e le libere convivenze. In attesa dei risultati del censimento del 2011, che fotograferà la situazione reale del fenomeno, i numeri di cui è possibile reperire notizie al riguardo (aggiornati al 2009 per le unioni civili, al 2007 per le libere convivenze) sono quanto mai allarmanti. Nel 2009 sono stati celebrati 144.384 matrimoni religiosi e 86.475 civili. Nel 2008 furono 156.031 matrimoni religiosi e 90.582 civili. Significa che più di un matrimonio su tre viene oggi celebrato davanti al sindaco e non davanti a Dio. Inoltre, nel 2009, in diverse regioni del Nord Italia i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Toscana, Emilia Romagna e Liguria), mentre nel centro, pur prevalendo i matrimoni religiosi, le cifre sono abbastanza ravvicinate (24.173 religiosi contro 19.466 civili). Le libere convivenze, nel 2007, si attestavano ad una percentuale del 12,5%, ma se si fa attenzione il numero dei matrimoni (sia religiosi che civili) è in netto calo, il che significa che le libere convivenze sono in aumento tendenziale.
Le unioni civili, per quanto siano da molti scelte senza rendersi conto dell’estrema gravità che ciò significa per un battezzato, costituiscono un esecrabile oltraggio al sacramento del matrimonio, che, come insegna la Chiesa, è la via unica e normale di celebrazione delle nozze per un fedele di Cristo. La gravità di tale scelta è ribadita dalla disciplina canonica della Chiesa che non consente la “regolarizzazione” della posizione dei fedeli coniugati solo civilmente senza che prima sia istruita una procedura (obbligatoria) di verifica delle disposizioni dei nubendi e del loro pentimento, verifica che sfocia in una relazione da presentare al Vescovo diocesano che deve autorizzare espressamente la celebrazione delle nozze. I parroci in cura d’anime sanno, per esperienza, la sorpresa e lo sbigottimento che manifestano le coppie che si presentano tranquillamente a chiedere il matrimonio religioso dopo aver contratto quello civile. Tuttavia tale disciplina, giustamente severa, contribuisce se non altro a far prendere coscienza della gravità del peccato commesso, da chi, sia pur indirettamente, disprezza il sacramento del matrimonio, come se l’unione coniugale non avesse bisogno della benedizione di Dio e, ancor più, della grazia di Dio, per essere santa, stabile e feconda.
Una simile disciplina, peraltro, non si applica alle libere convivenze, stante il carattere fluttuante e instabile che le caratterizza. A parere di chi scrive, tuttavia, pur essendo vero che in una libera convivenza non si reca un vero e proprio “oltraggio formale” al sacramento (mancando la celebrazione “alternativa” davanti all’autorità civile), esse comunque costituiscono, al pari delle unioni civili, un pubblico scandalo per la comunità cristiana, a cui, inoltre, si unisce sovente l’estrema irresponsabilità di chi vuol vivere come marito e moglie senza prendersi alcuna responsabilità, né verso l’altro, né, spesso, verso eventuali figli. Pur nella loro peccaminosità, infatti, le unioni civili rappresentano un’assunzione di precise responsabilità (anche patrimoniali) almeno su un piano civile, che pongono tale tipologia di “famiglia” in una situazione di tutela giuridica almeno sul piano civilistico di alcuni diritti fondamentali, suscettibili di esecuzione coatta tramite l’autorità giudiziaria nel caso di una loro eventuale lesione e inosservanza. Tutto questo in una libera convivenza non c’è, mentre permane il pubblico scandalo e la grave immoralità degli atti e dei comportamenti, anche sessuali, vissuti in questo stato di vita. 
A questo punto, purtroppo, dovrò aprire nuovamente una parentesi provocatoria, perché una simile diffusione di tali gravissimi mali non sarebbe stata possibile senza connivenze o complicità molteplici. Anzitutto da parte della famiglia di origine dei “conviventi” o degli “sposati civilmente”. Chi scrive si chiede: è giusto o, quanto meno, è educativo o opportuno che un genitore vada tranquillamente al matrimonio al Comune del proprio figlio? È giusto che un genitore non faccia alcuna resistenza alla scelta di un figlio di andare a convivere e riconosca tale “pseudo-famiglia” come se nulla fosse? Dico questo perché c’è, grazie a Dio, una sparuta minoranza di genitori coraggiosi che sono stati capaci di non andare alla cerimonia civile del matrimonio del figlio o di compiere qualche gesto profetico nei confronti di un figlio che si è impuntato nel voler andare a convivere contro la loro volontà (per esempio non accettando inviti a pranzo o a cena in casa dei conviventi prima che la situazione si regolarizzasse…). È ovvio che un genitore, come abbiamo visto trattando del quarto comandamento, non ha il potere di imporre “obbedienze” in senso stretto a un figlio adulto, ma ha comunque il sacrosanto dovere di ricordaregli che Dio e l’osservanza della sua legge vengono al primo posto. Non ha forse detto Gesù che “chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10,37)? Non ha detto anche che chi non odia il figlio, o la figlia  non può essere suo discepolo (cf Lc 14,26)? L’eroismo richiesto ai genitori in tali circostanze estreme si potrebbe tranquillamente leggere alla luce di questi forti ma quanto mai chiari moniti evangelici.
Anche la comunità ecclesiale, tuttavia, e spesso anche alcuni pastori hanno spesso manifestato una bontà e uno spirito di accoglienza e di comprensione talora alquanto inopportuni e che rischiano di poter essere intesi come una sorta di connivenza con l’errore. Mi chiedo: è possibile celebrare un matrimonio di due conviventi senza chiedere loro un minimo segno di penitenza anche esterna (quale l’interruzione della convivenza prima della celebrazione del matrimonio)? E ciò sia per riparare lo scandalo dato alla comunità cristiana, sia per fugare il sospetto, in chi vi partecipa, che questa possa essere una variante tranquillamente ammissibile, data l’assenza di conseguenze per chi ha sbagliato e non essendoci alcuna differenza di trattamento con chi si sposa essendosi preparato come Dio vuole? Non è ridicolo vedere spose, che celebrano il matrimonio dopo anni di convivenza e con figli, presentarsi all’altare con l’abito bianco? Non è ancora più grave celebrare il Battesimo di un figlio nato da una convivenza durante la celebrazione del matrimonio, con tanto di applauso finale (cosa che, grazie a Dio, alcune Diocesi cominciano espressamente a vietare)? Lascio ai lettori il giudizio su queste provocazioni. A qualcuno potrebbero sembrare inficiate da rigidità eccessiva; ma di certo non si può continuare ad assistere a questi spettacoli senza aprire bocca. La saggezza popolare ha sentenziato: “Chi tace, acconsente”. Penso che non pochi fedeli – e forse anche qualche pastore – farebbero bene a ricordarlo…

3. RAPPORTI PREMATRIMONIALI: BACI, PETTING E FORNICAZIONE
La serie dei peccati impuri formalmente e direttamente contrari alla santità del matrimonio è completata da un’altra gravissima fattispecie oggi quanto mai diffusa: i rapporti prematrimoniali.

Sotto questa categoria rientrano i contatti a carattere precipuamente sessuale che si intrattengono nel tempo precedente il matrimonio, con una gradazione di intensità che, ferma restando la materia grave comune a tutti, vanno dal bacio cosiddetto “profondo” fino al peccato di fornicazione in senso stretto (la vera e propria congiunzione carnale al di fuori del matrimonio).
Prima di scendere nel particolare, è bene fare qualche premessa sul fidanzamento nel disegno di Dio, perché nell’attuale cultura pansessualista, libertina e permissivista senza dubbio alcune indicazioni della morale cattolica potrebbero, ad un osservatore poco formato, sembrare rigide, eccessive o anacronistiche. Ma così non è.
Il fidanzamento, nella prospettiva di ciò che abbiamo ampiamente descritto nelle puntate precedenti, è un tempo in cui si deve operare un discernimento, da parte dei fidanzati, su due distinte ma complementari questioni: primo, se si abbia la vocazione al matrimonio, cioè a vivere l’amore nella forma della donazione totale ed esclusiva ad una creatura, alla cui felicità si dedica ed offre la propria vita, e a collaborare con Dio nel grande compito della procreazione; secondo, se la persona che si sta frequentando o verso cui si nutre stima, interesse, simpatia, è davvero la persona con cui Dio vuole che ci si formi una famiglia. Il fidanzamento, in questo senso, è necessariamente e intrinsecamente caratterizzato dalla precarietà, dall’incertezza e da una certa libertà, di cui i fidanzati non solo possono ma debbono sentirsi in condizione di poter usufruire. L’appartenenza reciproca non solo non è piena, ma semplicemente ancora non c’è. È questo il motivo per cui i grandi maestri di spirito hanno sempre consigliato di evitare fidanzamenti precoci o eccessivamente lunghi. È necessario il raggiungimento di un’età matura in cui si sia già fatto un minimo di chiarezza circa lo stato di vita da scegliere. Inoltre, prima di impegnarsi seriamente in un fidanzamento vero e proprio, operare una prima sommaria valutazione della persona che si ha dinanzi, certo non sufficiente, ma comunque non del tutto mancante.
Alla luce di tale dottrina, i moralisti cattolici (tra cui si distingue per chiarezza e lucidità di pensiero sant’Alfonso M. De Liguori) hanno sempre insegnato che lo “spazio” per eventuali “effusioni” tra fidanzati è ristretto all’affettività, ma è precluso quando si invadono gli ambiti della sensualità o sessualità in senso stretto. Ciò semplicemente perché, fino al matrimonio, i fidanzati non si appartengono l’uno all’altro e non hanno quindi alcun diritto sul corpo dell’altro, che anzi devono rispettare e custodire con somma castità e purezza, anche perché potrebbe accadere che qualcun altro e non il soggetto interessato sia quello che dovrà unirsi in matrimonio con colui con cui si sta insieme.
Rebus sic stantibus, se possono ritenersi leciti alcuni gesti con cui i fidanzati esprimono castamente il loro affetto reciproco scambiandosi tenere e pulite effusioni, la soglia si alza inesorabile quando all’affetto subentra la passione o la libido, che nel periodo prematrimoniale deve essere contenuta, controllata e sacrificata in nome della custodia dell’amore autentico. Non solo dunque il vero e proprio rapporto more uxorio (fornicazione), ma anche i gesti a carattere sessuale atti a stimolare il piacere venereo (tutti, nessun escluso – il lettore ovviamente capirà) costituiscono ciascuno e singolarmente un vero e proprio peccato mortale, anche quando non consegua direttamente il raggiungimento del piacere fisico. Che il bacio profondo fosse peccato mortale era non solo patrimonio comune delle nostre nonne e oggetto di insegnamento molto chiaro e severo da parte dei santi (celebre è il caso di san Pio da Pietrelcina che negò l’assoluzione ad una sua figlia spirituale che, solo una settimana prima del matrimonio, cedette alla tentazione di dare un bacio al fidanzato!), ma costituisce una vera e propria pronuncia dogmatica da parte di Papa Alessandro VII. Ai suoi tempi i teologi lassisti insegnavano che un bacio dato senza il pericolo di “ulteriori conseguenze” fosse peccato soltanto veniale (si badi: neppure i lassisti pensavano che non fosse peccato, ma che fosse peccato “soltanto veniale”). Il Papa, tuttavia, respinse tale dottrina condannando esplicitamente la seguente proposizione: “Probabile è l’opinione che dice che soltanto veniale è un bacio per piacere carnale e sensibile che viene da esso, fin quando non c’è pericolo di ulteriore consenso o di polluzione” (Denz 2060). La sentenza di trova nel Denzinger, che, come tutti i teologi sanno, raccoglie le proposizioni vincolanti in materia di fede e di morale. Nessuno dunque può osare opporvisi o contestarla.
Si pensi, per comprendere la gravità dei rapporti prematrimoniali, alla vicenda eroica della grande santa pontina, la piccola Maria Goretti, che subì un’orrenda uccisione con 14 colpi di punteruolo per non cedere ad una violenza carnale e che, sotto i colpi, aveva come unica preoccupazione quella di tenere abbassate le sue vesti, come ebbe a testimoniare lo stesso aggressore, Alessandro Serenelli. Si badi, a questo proposito, alla speculare vicenda, alquanto sconvolgente, dell’amica di suor Lucia dos Santos, di cui sappiamo il nome “Amelia”, di cui la Madonna, richiesta dalla veggente, disse, nella prima apparizione di Fatima (13.5.1017) che sarebbe dovuta rimanere in Purgatorio fino al giudizio universale. Si trattava di una giovane ragazza che, a differenza di santa Maria Goretti, di fronte ad un tentativo di violenza carnale, per paura di essere uccisa, non si ribellò al suo aggressore. Perché un’espiazione così lunga? La risposta, per chi conosce un po’di catechismo, è molto semplice: mancando il deliberato consenso (anche se la ragazza aveva la piena avvertenza che l’impurità è una colpa grave) il suo non poteva essere un peccato mortale (passibile di Inferno) e quindi da espiare in Purgatorio, come tutti gli altri peccati veniali. Un’espiazione così lunga e, presumibilmente, dolorosa è dunque motivata solo dall’estrema gravità della materia di questo peccato. Riflettano i molti che sottovalutano l’impurità, che pensano che sia normale avere rapporti a dodici anni (cosa purtroppo non rara) o che sorridono dinanzi ai pochi giovani coraggiosi che hanno la forza di mantenere la castità. Su questa materia non si scherza: è sempre grave e intrinsecamente cattiva. Come dicevano i teologi classici, è sempre da ricordare che “in re venerea non datur parvitas materiae”.

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Sesto comandamento: non commettere atti impuri.

9/11/2014

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I DIECI COMANDAMENTI - Sesto comandamento: non commettere atti impuri

Introduzione

Il sesto comandamento rappresenta senz’altro un tema di scottante attualità. Dopo lo sciagurato 1968 e la “rivoluzione sessuale”, il precetto “non commettere atti impuri” è stato letteralmente messo sotto i piedi dalla quasi totalità degli uomini (cristiani compresi), che ritengono anche di poter pacificare la coscienza grazie al beneplacito dell’odierna cultura contemporanea, nudista, iper-erotizzata e pansessualista. Precisiamo subito, che Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre e che, su questa materia, la Legge di Dio non si è mossa (e mai si muoverà) neppure di un millimetro. Le attuali disgraziate congiunture storico-culturali rendono solo estremamente difficile una perfetta osservanza del sesto comandamento, ma nulla tolgono alla sua cogente, immutata e immutabile obbligatorietà.
L’importanza di questo comandamento la si comprende alla luce dell’estrema importanza che tutta la tradizione della Chiesa ha dato a questa materia, per il semplice motivo che gli atti contrari a questo comandamento sono sempre e comunque “gravi” (si pensi all’antico adagio della teologia morale: “in re venerea non datur parvitas materiae”: “in tema di piaceri venerei non esiste materia lieve”) e, purtroppo, per il loro alto “tasso di attrazione” dovuto al godimento che provocano sono quelli più frequentemente commessi. Conseguentemente sono quelli che danno il maggior numero di clienti all’Inferno. La Madonna a Fatima disse chiaramente che “i peccati che portano più anime all’Inferno sono quelli della carne”, aggiungendo che in breve (eravamo nel 1917) sarebbero venute mode che avrebbero offeso molto Dio. Anche uno dei luogotenenti di questo sciagurato luogo (il cui sinistro nome è “Melid”), ha avuto modo di dire queste parole, durante un esorcismo di cui dà testimonianza il reverendo Padre Giuseppe Tomaselli, morto in concetto di santità: “- Melid, più volte ti ho chiesto negli esorcismi: qual è il peccato che manda più anime all’inferno? Tu mi hai risposto: – Non occorre che io te lo dica; tu lo sai. - Secondo me è l'impurità. - Vedi che lo sai! Tutti coloro che stanno nel pozzo infernale, vi si trovano per l’impurità. Hanno fatto anche altri peccati, ma si sono dannati sempre per questo peccato o anche con esso […] Io, Melid, faccio comprendere a costoro che le parole del Cristo sono da disprezzare e non faccio riflettere che con l’Altissimo c'è poco da scherzare. - A te, Melid, piacciono di più i peccati privati, solitari, che non hanno ripercussioni sugli altri, oppure i peccati che danno scandalo e spingono gli altri al male? - Certamente io preferisco gli scandalosi, perché con essi i peccati si moltiplicano. Il mondo è pieno di scandali e perciò io ed i miei compagni stiamo più vicini agli scandalosi, che sono i nostri migliori aiutanti”.

A titolo introduttorio, possiamo dire che questo comandamento è diretto alla promozione e alla tutela della virtù della castità, che non è altro che la capacità di vivere la sessualità in modo autenticamente umano, integrandola all’interno della totalità della persona umana (che è non solo corpo, ma anche emotività, affettività e spiritualità) e nel suo essere intrinsecamente linguaggio di amore atto alla trasmissione della vita. Ad essere casti si impara, ricorrendo fondamentalmente a tre mezzi: volontà ferma di non peccare, fuga dalle occasioni, ricorso ai sacramenti e alla preghiera, specialmente mariana. La castità è una virtù unica, ma che ha diverse espressioni e modalità di esercizio: celibato e verginità consacrata, persone celibi o nubili, fidanzati e coniugati. I consacrati rinunciano all’esercizio fisico della sessualità sublimandola in un amore più grande, che ha Dio come termine esclusivo e tutti gli uomini come termini inclusivi. Anche celibi e nubili devono vivere la castità nella dimensione della continenza, che ha però come motivo l’attesa di scoprire la propria vocazione o di trovare l’uomo o la donna della propria vita. I fidanzati possono vivere, non certo in età prematura, una molto limitata forma di esercizio della sessualità umana, che sia però polarizzata esclusivamente sulla dimensione affettiva senza raggiungere quella dei veri e propri contatti sessuali. La castità coniugale implica la fedeltà reciproca, l’indissolubilità del matrimonio, l’apertura alla vita nel compimento degli atti coniugali, l’uso ordinato e lecito della sessualità umana. Il vizio della lussuria, che si oppone direttamente alla castità, si esplica nei seguenti atti: uso della sessualità al di fuori della relazione al fine di trarne piacere fisico, unione sessuale tra uomo e donna al di fuori del matrimonio, in forma parziale o totale, adulterio, uso di metodi contraccettivi contrari alla legge morale, rapporti sessuali contro natura, prostituzione, stupro, incesto, pornografia, poligamia, inseminazione, omosessualità, perversioni sessuali, divorzio, convivenze e matrimoni civili. Il fatto che la materia del sesto comandamento sia in se stessa sempre e intrinsecamente grave, ha come conseguenza il fatto che tutti i peccati impuri compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso costituiscono veri e propri peccati mortali. 

IL PECCATO IMPURO NEL NUOVO TESTAMENTO

Il punto fondamentale da comprendere è che le numerose proibizioni e divieti coperti da questo comandamento rappresentano una sorta di siepe e baluardo perché possa essere vissuto, felicemente e santamente, uno dei più bei misteri della vita terrena: il mistero dell’amore umano. L’amore, parola oltremodo inflazionata, è ciò che tutti vogliamo e cerchiamo, verso cui ci sentiamo irresistibilmente attratti, ma sovente ne constatiamo tristemente l’assenza o la scomparsa: cerco amore e non lo trovo, voglio amare e non ci riesco… Come mai? Personalmente, quando mi trovo a parlare del tema dell’amore con gli adolescenti lancio una provocazione ironica: “Ricordate, ragazzi, che l’ottavo comandamento proibisce di dire le bugie e alla vostra età spesso se ne dice una grossa quanto una casa”… “Ma che dici, don? Quale sarebbe?”. “Ve lo dico subito, ragazzi. Avete mai detto a qualcuno: ‘ti amo’? Bene, sappiate che in età adolescenziale questa è quasi sempre una bugia… per dire la verità basta sostituire una consonante, mettendo una “m” al posto di una “t”… Mi amo, non ti amo”.
L’amore, infatti, anche e soprattutto quello tra uomo e donna che ne è un po’ l’emblema, consiste fondamentalmente, come ha luminosamente insegnato papa Benedetto XVI nell’enciclica “Deus caritas est”, in un movimento che parte dall’io e termina al “tu”: è un volere il bene dell’altro, desiderare il bene, fare il bene, adoperarsi per la felicità dell’altro… Mi tornano in mente le parole della prima lettera che santa Giovanna Beretta Molla scrisse a Pietro Molla: “dimmi cosa devo fare per renderti felice”… Aveva trentadue anni e stavano per fidanzarsi… Una splendida sintesi dell’amore di coppia: spendermi perché tu sia felice.
Purtroppo questo splendido mistero è stato minato alla radice dal peccato originale e dai molti peccati attuali, per cui dietro tante dichiarazioni d’amore (purtroppo non solo tra adolescenti) c’è spessissimo un neanche troppo celato egoismo… Non far felice l’altro, ma cercare la propria felicità, la propria gratificazione, il proprio piacere attraverso l’altro, talora strumentalizzandolo, a volte addirittura asservendolo. Nient’altro che una colossale bugia o, se si preferisce, una gigantesca illusione.
Pertanto prima di addentrarci nelle singole tipologie di peccato contro il sesto comandamento, è anzitutto da ribadire che i divieti e le proibizioni in tema di morale sessuale sono delle indicazioni e dei moniti che ci indicano le varie modalità in cui questo stupendo mistero creato da Dio, il rapporto tra uomo e donna, luogo dell’amore e della vita, può diventare la tomba dell’uno e dell’altro. Non più un donarsi totalmente fino ad essere “una sola carne” (come insegna Gesù sulla scia del libro della Genesi) per cooperare con Dio alla generazione della vita, ovvero l’amore che si autotrascende nella generazione, ad immaginazione del vortice di vita trinitaria; ma un usarsi per scopi bassi e brutali, rinnegando ed escludendo la vita in via preventiva o, peggio, in via successiva (con l’orribile delitto dell’aborto, di cui abbiamo già ampiamente parlato).
Infine è bene passare in rassegna, come sempre abbiamo fatto, alcuni passi significativi della Sacra Scrittura in merito a questo comandamento, cosa tanto più necessaria in quanto non poche persone (e non solo tra i più giovani) ritengono le norme della morale sessuale cattolica “invenzioni” di qualche vescovo o prete un po’ retro’, demodé, o sessuofobo, completamente al di fuori del tempo e della cultura in cui viviamo. Ci renderemo così subito conto che non solo la Sacra Scrittura ne parla, ma con un linguaggio così chiaro e severo che non lascia adito a dubbi o problemi di interpretazione. Per cui a chi interessa sinceramente cosa Dio pensa, non resta che piegarsi all’evidenza ed eloquenza delle parole che stiamo per ascoltare.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli il corpo non è per l’impudicizia, ma per il Signore. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! (1Cor 6,13.15-20)


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 
La volontà di Dio è la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito (1Ts 4,3-7)


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati
Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio (Gal 5,19-21)


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono (Col 3,5-6)


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolatri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio (Ef 5,3-5)


Dalla lettera di san Giuda apostolo
Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che il Signore dopo aver salvato il popolo dalla terra d’Egitto, fece perire in seguito quelli che non vollero credere. Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all’impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno (1,5.7)

L’elenco potrebbe infoltirsi di molto, ma basti quanto detto. Questi passi assai emblematici sono indubbiamente la migliore e più efficace introduzione alla serietà e gravità di questo tema…
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