I DIECI COMANDAMENTI - Sesto comandamento: Non commettere atti impuri
Il secondo genere di atti impuri è quello dei comportamenti contrari alla concezione della vita come frutto naturale dell’amore umano tra un uomo e una donna. Si tratta dell’attualissimo e delicatissimo tema della contraccezione e di quelli, speculari ma non meno gravi e inquietanti, delle tecniche artificiali per forzare o pilotare il concepimento della vita umana, di cui peraltro abbiamo già in larga parte accennato durante la trattazione del quinto comandamento.
Nella visione cristiana dell’amore tra uomo e donna, la vita, come la dottrina classica sul matrimonio sapientemente insegnava, è vista come il bene principale e assolutamente primario dell’unione coniugale, quasi come la sua determinante e imprescindibile ragion d’essere. Il fratello sacerdote di santa Giovanna Beretta Molla, in un’intervista rilasciata all’interno di uno splendido documentario sulla figura della sorella santa, ebbe a dire che “per la Gianna” ogni nuova vita concepita era una festa, un evento che la riempiva di gioia, di cui avvisava tutti i parenti ed amici per invitarli a rallegrarsi con lei, aggiungendo che per ricevere una vita in dono non esitava ad elevare continuamente fervide preghiere a Dio, convinta com’era che la fecondità era segno di grande benedizione e che procreare vuol dire permettere a Dio di creare un’anima destinata alla vita eterna. La vita non deve, pertanto, e non può per nessun motivo essere pensata come una preoccupazione, un fastidio, una minaccia o, nei casi peggiori, una disgrazia, un male da evitare ad ogni costo (anche quello sciagurato ed estremo dell’aborto) o da cui difendersi in ogni caso e con ogni mezzo. Questa mentalità di morte, tanto coraggiosamente denunciata dal beato Giovanni Paolo II nella splendida enciclica Evangelium vitae, deve essere condannata, combattuta, denunciata e boicottata con ogni mezzo lecito e le famiglie cristiane, quelle poche che restano, devono osteggiarla non a chiacchiere, ma coi fatti e nella verità, vivendo l’apertura alla vita nella dimensione massimamente auspicata da Dio e dalla Chiesa: accogliere, come hanno promesso nel giorno del matrimonio, tutti i figli che Dio vorrà donare loro, non quelli che loro vogliono, scelgono o “si programmano”, peraltro quasi sempre col contagocce.
I crimini contro la vita, perché tali sono i mezzi contraccettivi, sono, in ordine di gravità: la spirale, la sterilizzazione diretta, la piccola anticoncezionale, il preservativo e, cosa ignorata da moltissimi fedeli (e parlo per lunga esperienza pastorale), l’interruzione anticipata dell’atto coniugale. Vedremo che anche l’uso dei cosiddetti “metodi naturali”, per essere conforme alla legge e ai voleri di Dio, richiede l’esistenza di alcune condizioni soggettive da parte di coniugi. Di tale materia parlò a chiare lettere il Papa Paolo VI nella combattutissima e contestatissima enciclica Humanae vitae, i cui chiari e coraggiosi insegnamenti sono stati pienamente recepiti dalla nuova edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Prima di Paolo VI un altro Papa del secolo scorso, Pio XI, scrisse parole illuminanti nell’enciclica Casti connubii, che avremo modo di citare ampiamente. Prima di scendere nel merito delle singole fattispecie, mi permetto, anche qui alla luce di innumerevoli esperienze pastorali, di segnalare che la confusione e l’ignoranza in questa materia largheggiano e che sembra che più di qualche ministro si senta autorizzato a disattendere totalmente le indicazioni del Magistero in materia, contribuendo a confermare nel peccato mortale le coscienze dei fedeli, peraltro non sempre in buona fede, dato che spesso vanno in cerca di confessori di manica larga e senza troppi scrupoli. L’ampia diffusione di costumi perversi nella società contemporanea, in questa come in altre fattispecie del sesto comandamento, non toglie minimamente forza e vigore vincolante alla legge di Dio; ne rende solo, purtroppo, un po’ più difficile l’osservanza, esigendo dai fedeli lo sforzo e il coraggio di andare controcorrente, tenendo alta, senza paura e vergogna, la bandiera della santa fede cattolica.
Il più grave tra i mezzi contraccettivi è la spirale, perché il suo compito non è quello di impedire che l’uovo sia fecondato dal seme maschile, ma quello di impedire l’annidamento dell’uovo fecondato. In altre parole ogni volta che la spirale realizza il suo effetto, lo fa, praticamente, attraverso la realizzazione di un micro aborto, producendo, sul piano degli effetti, lo stesso sciagurato effetto della cosiddetta pillola del giorno dopo, la famosa RU486. Conseguentemente, le donne che si macchiano di tale crimine (di cui rispondono, ovviamente, anche i mariti consenzienti), rispondono davanti a Dio di trasgressione non solo del sesto ma anche del quinto comandamento, giacché è dottrina comune tra i dottori cattolici che l’infusione dell’anima razionale da parte di Dio avviene al momento del concepimento, ossia dal momento in cui i due gameti (maschile e femminile) si fondono nello zigote; pertanto, impedire l’annidamento di un ovulo fecondato equivale a sopprimere una vita umana incipiente.
Gravissimo, inoltre, è il ricorso alla sterilizzazione diretta, purtroppo non infrequente anche in Italia e, come tristemente noto, diffusa e imposta per legge da parte di alcuni sciagurati governi di nazioni straniere. Il fatto è gravissimo per la sua definitività e irreversibilità, togliendo radicalmente al peccatore la possibilità di emendare il suo errore con una successiva conversione, che gli consenta di tornare sui suoi passi aprendosi di nuovo all’accoglimento del dono della vita.
Segue, per gravità, la piccola anticoncezionale, peccato principalmente dalla donna, a cui è equiparabile il ricorso al preservativo, che costituisce un peccato principalmente dell’uomo. Si sappia bene che, in entrambi i casi, il coniuge innocente, per non farsi complice di tale peccato, è tenuto a non acconsentire all’atto coniugale, vigendo in questo caso l’obbligo grave di obbedire a Dio prima e più che al proprio coniuge, per quanto lo si ami e lo si desideri. Per questo non ci si può nascondere dietro il “mia moglie non ne vuole sapere” né dietro il marito che non vuole assolutamente sentir parlare di figli. È necessario armarsi di santo coraggio evangelico ricordando le parole di Gesù: “chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia, la moglie o il marito più di me, non è degno di me”.
Infine qualche parola sull’interruzione del rapporto, peccato antichissimo e severamente stigmatizzato già nella Sacra Scrittura, al capitolo 38 del libro della Genesi (cf Gen 38,4-10). In esso si legge che un certo Onan si univa a sua moglie e “disperdeva [il seme] per terra”. Lapidariamente la Genesi sentenzia: “ciò che faceva non fu gradito al Signore ed egli lo fece morire”. Come già ho accennato, ripeto che molti fedeli ritengono tale peccato mortale “un metodo naturale”, lecito e consentito per evitare la vita. La verità è che l’uomo che lo fa è sempre responsabile di peccato mortale, così come la moglie che glielo chiede o che, sapendolo, vi acconsente. Solo la donna che, dopo aver tentato di dissuadere il marito da tale perversa condotta, si unisce a lui sperando che egli non faccia questa azione cattiva è scusata, secondo gli autori probati, da peccato mortale. Fermo restando tuttavia il suo dovere di insistere con lo sposo perché desista da tale pratica, non escluso, in caso di continua pertinacia e recidiva, e sempre previa consultazione del confessore, il ricorso alla negazione dell’atto coniugale, che in questo caso avrebbe una giusta motivazione.
Il secondo genere di atti impuri è quello dei comportamenti contrari alla concezione della vita come frutto naturale dell’amore umano tra un uomo e una donna. Si tratta dell’attualissimo e delicatissimo tema della contraccezione e di quelli, speculari ma non meno gravi e inquietanti, delle tecniche artificiali per forzare o pilotare il concepimento della vita umana, di cui peraltro abbiamo già in larga parte accennato durante la trattazione del quinto comandamento.
Nella visione cristiana dell’amore tra uomo e donna, la vita, come la dottrina classica sul matrimonio sapientemente insegnava, è vista come il bene principale e assolutamente primario dell’unione coniugale, quasi come la sua determinante e imprescindibile ragion d’essere. Il fratello sacerdote di santa Giovanna Beretta Molla, in un’intervista rilasciata all’interno di uno splendido documentario sulla figura della sorella santa, ebbe a dire che “per la Gianna” ogni nuova vita concepita era una festa, un evento che la riempiva di gioia, di cui avvisava tutti i parenti ed amici per invitarli a rallegrarsi con lei, aggiungendo che per ricevere una vita in dono non esitava ad elevare continuamente fervide preghiere a Dio, convinta com’era che la fecondità era segno di grande benedizione e che procreare vuol dire permettere a Dio di creare un’anima destinata alla vita eterna. La vita non deve, pertanto, e non può per nessun motivo essere pensata come una preoccupazione, un fastidio, una minaccia o, nei casi peggiori, una disgrazia, un male da evitare ad ogni costo (anche quello sciagurato ed estremo dell’aborto) o da cui difendersi in ogni caso e con ogni mezzo. Questa mentalità di morte, tanto coraggiosamente denunciata dal beato Giovanni Paolo II nella splendida enciclica Evangelium vitae, deve essere condannata, combattuta, denunciata e boicottata con ogni mezzo lecito e le famiglie cristiane, quelle poche che restano, devono osteggiarla non a chiacchiere, ma coi fatti e nella verità, vivendo l’apertura alla vita nella dimensione massimamente auspicata da Dio e dalla Chiesa: accogliere, come hanno promesso nel giorno del matrimonio, tutti i figli che Dio vorrà donare loro, non quelli che loro vogliono, scelgono o “si programmano”, peraltro quasi sempre col contagocce.
I crimini contro la vita, perché tali sono i mezzi contraccettivi, sono, in ordine di gravità: la spirale, la sterilizzazione diretta, la piccola anticoncezionale, il preservativo e, cosa ignorata da moltissimi fedeli (e parlo per lunga esperienza pastorale), l’interruzione anticipata dell’atto coniugale. Vedremo che anche l’uso dei cosiddetti “metodi naturali”, per essere conforme alla legge e ai voleri di Dio, richiede l’esistenza di alcune condizioni soggettive da parte di coniugi. Di tale materia parlò a chiare lettere il Papa Paolo VI nella combattutissima e contestatissima enciclica Humanae vitae, i cui chiari e coraggiosi insegnamenti sono stati pienamente recepiti dalla nuova edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Prima di Paolo VI un altro Papa del secolo scorso, Pio XI, scrisse parole illuminanti nell’enciclica Casti connubii, che avremo modo di citare ampiamente. Prima di scendere nel merito delle singole fattispecie, mi permetto, anche qui alla luce di innumerevoli esperienze pastorali, di segnalare che la confusione e l’ignoranza in questa materia largheggiano e che sembra che più di qualche ministro si senta autorizzato a disattendere totalmente le indicazioni del Magistero in materia, contribuendo a confermare nel peccato mortale le coscienze dei fedeli, peraltro non sempre in buona fede, dato che spesso vanno in cerca di confessori di manica larga e senza troppi scrupoli. L’ampia diffusione di costumi perversi nella società contemporanea, in questa come in altre fattispecie del sesto comandamento, non toglie minimamente forza e vigore vincolante alla legge di Dio; ne rende solo, purtroppo, un po’ più difficile l’osservanza, esigendo dai fedeli lo sforzo e il coraggio di andare controcorrente, tenendo alta, senza paura e vergogna, la bandiera della santa fede cattolica.
Il più grave tra i mezzi contraccettivi è la spirale, perché il suo compito non è quello di impedire che l’uovo sia fecondato dal seme maschile, ma quello di impedire l’annidamento dell’uovo fecondato. In altre parole ogni volta che la spirale realizza il suo effetto, lo fa, praticamente, attraverso la realizzazione di un micro aborto, producendo, sul piano degli effetti, lo stesso sciagurato effetto della cosiddetta pillola del giorno dopo, la famosa RU486. Conseguentemente, le donne che si macchiano di tale crimine (di cui rispondono, ovviamente, anche i mariti consenzienti), rispondono davanti a Dio di trasgressione non solo del sesto ma anche del quinto comandamento, giacché è dottrina comune tra i dottori cattolici che l’infusione dell’anima razionale da parte di Dio avviene al momento del concepimento, ossia dal momento in cui i due gameti (maschile e femminile) si fondono nello zigote; pertanto, impedire l’annidamento di un ovulo fecondato equivale a sopprimere una vita umana incipiente.
Gravissimo, inoltre, è il ricorso alla sterilizzazione diretta, purtroppo non infrequente anche in Italia e, come tristemente noto, diffusa e imposta per legge da parte di alcuni sciagurati governi di nazioni straniere. Il fatto è gravissimo per la sua definitività e irreversibilità, togliendo radicalmente al peccatore la possibilità di emendare il suo errore con una successiva conversione, che gli consenta di tornare sui suoi passi aprendosi di nuovo all’accoglimento del dono della vita.
Segue, per gravità, la piccola anticoncezionale, peccato principalmente dalla donna, a cui è equiparabile il ricorso al preservativo, che costituisce un peccato principalmente dell’uomo. Si sappia bene che, in entrambi i casi, il coniuge innocente, per non farsi complice di tale peccato, è tenuto a non acconsentire all’atto coniugale, vigendo in questo caso l’obbligo grave di obbedire a Dio prima e più che al proprio coniuge, per quanto lo si ami e lo si desideri. Per questo non ci si può nascondere dietro il “mia moglie non ne vuole sapere” né dietro il marito che non vuole assolutamente sentir parlare di figli. È necessario armarsi di santo coraggio evangelico ricordando le parole di Gesù: “chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia, la moglie o il marito più di me, non è degno di me”.
Infine qualche parola sull’interruzione del rapporto, peccato antichissimo e severamente stigmatizzato già nella Sacra Scrittura, al capitolo 38 del libro della Genesi (cf Gen 38,4-10). In esso si legge che un certo Onan si univa a sua moglie e “disperdeva [il seme] per terra”. Lapidariamente la Genesi sentenzia: “ciò che faceva non fu gradito al Signore ed egli lo fece morire”. Come già ho accennato, ripeto che molti fedeli ritengono tale peccato mortale “un metodo naturale”, lecito e consentito per evitare la vita. La verità è che l’uomo che lo fa è sempre responsabile di peccato mortale, così come la moglie che glielo chiede o che, sapendolo, vi acconsente. Solo la donna che, dopo aver tentato di dissuadere il marito da tale perversa condotta, si unisce a lui sperando che egli non faccia questa azione cattiva è scusata, secondo gli autori probati, da peccato mortale. Fermo restando tuttavia il suo dovere di insistere con lo sposo perché desista da tale pratica, non escluso, in caso di continua pertinacia e recidiva, e sempre previa consultazione del confessore, il ricorso alla negazione dell’atto coniugale, che in questo caso avrebbe una giusta motivazione.