I CINQUE PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA
QUINTO PRECETTO: NON CELEBRARE SOLENNEMENTE LE NOZZE NEI TEMPI “PROIBITI”
IL CARATTERE PENITENZIALE DI AVVENTO E QUARESIMA
L'ultimo precetto generale della Chiesa proibisce la celebrazione solenne delle nozze nei tempi "proibiti" ovvero nei periodi penitenziali dell'Avvento e della Quaresima. Una disposizione che, a prima vista, potrebbe sembrare un poco anomala, ma che, a ben guardare, rivela profondi insegnamenti sia sul sacramento del matrimonio che sulla santificazione dei tempi penitenziali.
Le nozze, infatti, in tutta la sacra Scrittura sono, per antonomasia, il momento dell'allegria, della gioia, dei banchetti. Sono inoltre il simbolo reale dell'unione tra Dio e il suo popolo e della gioia reciproca che dovrebbe caratterizzare questo mistico rapporto, sia nella sua dimensione collettiva che in quella individuale. Tutti questi aspetti sono egregiamente e splendidamente significati nel celebre episodio delle nozze di Cana, che non casualmente Gesù scelse come occasione per compiere il suo primo miracolo, dalle fortissime coloriture simboliche. A questo banchetto nuziale di due sposi, infatti, parteciparono Gesù e Maria, il Nuovo Uomo e la Nuova Donna, primizie della nuova umanità destinata ad una ritrovata e rinnovata unione con Dio. Quel vino che venne a mancare (simbolo appunto della gioia e dell'amore, immancabile in ogni banchetto, specialmente nuziale) simboleggiava la gioia perduta dall'umanità a causa del peccato, ma già nuovamente in atto nella coppia Gesù e Maria che intendeva e voleva - congiuntamente, attraverso l'opera della redenzione - rendere all'uomo la perduta felicità dell'unione con Dio nella vita di grazia. L'ora della redenzione fu anticipata nel simbolo del vino nuovo, offerto come primizia agli sposi dopo essere stato già gustato, con divini e ineffabili fragranze fin dal primo istante dell'incarnazione, dal Nuovo Adamo e dalla Nuova Eva.
Il beato Giovanni Paolo ebbe modo nelle sue catechesi sulla famiglia di mostrare come il mistero nuziale fosse segno simbolico - ma vero - delle mistiche nozze di Cristo con la Chiesa. Un'unione che la redenzione ha reso realmente possibile e vera fin da questa vita, ma che avrà il suo compimento pieno e perfetto solo nel banchetto nuziale eterno, allorquando saranno celebrate, come ci ricordano gli ultimi capitoli del libro dell'Apocalisse, le nozze dell'Agnello. Prima di quel giorno e di quell'ora, la relazione nuziale tra Dio e l'uomo è turbata e labile, a causa della permanenza della concupiscenza nell'uomo, che lo espone al rischio di tradire, anche gravemente, il patto di alleanza nuziale col suo Signore. Il profeta Osea è uno splendido esempio di come la teologia biblica concepisca la storia della salvezza (che è storia del rapporto di Dio col suo popolo) in termini nuziali, descrivendo le infedeltà dell'uomo come un vero e proprio "adulterio". Il rimedio a questa possibilità assai reale e incombente di tradimento (sempre e solo da parte dell’uomo) è dato soltanto dalla penitenza, ovvero da uno stile di vita che, coniugando preghiera intensa e mortificazione generosa, sappia mantenersi fedele alle esigenze dell'Alleanza. In questo senso i due grandi tempi penitenziali dell'anno liturgico richiamano assai opportunamente e sapientemente i fedeli all'importanza della dimensione penitenziale della vita cristiana, il primo accentuando la prospettiva della preghiera e della vigilanza in attesa dello sposo, il secondo calcando sulla necessità di mortificare i sensi nella pratica del digiuno e degli altri esercizi tipicamente quaresimali.
Alla luce di quanto sinteticamente esposto, dovrebbe essere più comprensibile il senso di questo precetto. Se infatti le nozze sono un segno mistico dell'unione consumata dell'umanità col suo Signore, che ci colmerà di ineffabile felicità ma di cui non è possibile godere pienamente in questa vita, è evidente che una celebrazione solenne e festosa di questo sacramento nei tempi penitenziali urta e stride con il pensiero che essi intendono suscitare circa la caducità della vita terrena e la sua dimensione intrinsecamente e necessariamente penitenziale. Ovviamente ci possono essere molte buone motivazioni che suggeriscano agli sposi di celebrare le nozze in questi tempi. Non bisogna del resto dimenticare che insieme alla dimensione mistica - che il matrimonio contiene sotto la specie del segno - c'è anche una molto più concreta e realistica prospettiva terrena, ribadita peraltro da Gesù in persona, quando nella disputa con i sadducei ricorda che sono "i figli di questo mondo" a prendere moglie e marito, cosa che non accadrà nell'altro mondo. Quando dunque serie e legittime esigenze spingano gli sposi ad accelerare i tempi di celebrazione del matrimonio lo si potrà fare anche in questi tempi; astenendosi tuttavia da ogni forma di solennità e mantenendo uno stile sobrio e discreto, per ricordare che ciò che le nozze significano misticamente è una promessa che attendiamo con gioia e trepidazione, ma che dobbiamo anche meritare con la nostra fedeltà alle esigenze dell'alleanza nuziale con nostro Signore.
**** **** ****
La proibizione di celebrare con solennità le nozze nei tempi “proibiti” ci offre lo spunto per spendere qualche ultima parola su alcune disposizioni da osservare ed altre da evitare perché le finalità e gli obiettivi dei tempi penitenziali possano essere pienamente realizzati nelle anime dei fedeli.
Al di là delle prescrizioni vincolanti e particolari della Chiesa – che a suo tempo vedemmo essersi di molto ridotte nell’attuale periodo storico – è infatti quanto mai importante cogliere e vivere il senso della penitenza cristiana, perché la sua ignoranza, dimenticanza, trascuratezza o minimizzazione produce delle nefaste conseguenze nella vita dei fedeli. Abbiamo accennato, nella puntata precedente, che i due tempi forti dell’Avvento e della Quaresima, pur avendo la penitenza come tratto comune, ne accentuano due dimensioni distinte e complementari.
L’Avvento vorrebbe aiutarci a rinvigorire, curare maggiormente e, in alcuni casi, riprendere o riscoprire l’importanza essenziale della preghiera nella vita cristiana. La preghiera, come i santi con tutta la tradizione della Chiesa attestano, è indispensabile per ottenere le grazie, per tenere viva la fede, per riconoscere i segni della presenza e della mano di Dio nella nostra storia, per conservare una dimensione profondamente religiosa dell’esistenza terrena, intesa come tempo di lavoro, lotta, prova e impegno (talvolta anche eroici) in cui ci prepariamo - compiendo bene la nostra missione - all’incontro definitivo con il celeste Sposo. A lui “renderemo la nostra anima” ed Egli ci chiederà conto della nostra sponsale fedeltà a Lui. L’Avvento ci ricorda che Gesù è venuto nella carne e che tornerà alla fine della storia. Queste due venute “universali” accadono, in modo analogo, nella vita di ogni uomo. Gesù viene in continuazione in cerca dell’uomo, viene nella sua vita, col pericolo di non essere accolto né riconosciuto, come non lo fu da molti, troppi, al tempo della sua nascita e durante la sua missione terrena. Come tutti lo vedranno nel suo secondo avvento glorioso, così ogni singolo uomo che muore e lascia questa terra, lo vedrà nel giudizio particolare. E come Cristo sarà giudice della storia, così sarà giudice di ogni persona nel giudizio particolare, dopo aver “rincorso” e cercato l’uomo, per tutta la durata della sua esistenza con la sua misericordia. Nell’Avvento, dunque, si preghi di più, si preghi meglio, o forse si impari a pregare se non lo si è mai fatto (anche se, magari, si sono borbottate frettolosamente tante preghiere). E dato che il clima adatto alla preghiera è il silenzio, si cerchi il più possibile di evitare il rumore, magari spegnendo la televisione, o la radio, o lo stereo o il computer e si trovi tempo e spazio per dedicarsi all’orazione e alla meditazione.
Come l’Avvento ci ricorda che senza la preghiera non possiamo né conservare la fede, né crescere nella grazia, né riconoscere le venute del Signore nella nostra vita, né lavorare per lui in attesa di incontrarlo, così la Quaresima ci ricorda un’altra essenziale verità di fede: il problema del peccato e delle sue conseguenze. Il peccato, unico vero male radicale e “assoluto”, separa l’uomo da Dio, separa l’uomo da se stesso, separa l’uomo dagli altri e produce delle conseguenze devastanti per sé e per gli altri, cosa che, se è evidente solo in alcuni tipi di peccato (se uccido una persona non risuscita, se diffamo una persona è molto difficile rendergli l’onore, se disonoro una vergine non posso riparare il danno “materiale”, etc.), rimane vera anche per il più piccolo peccato pensiero che produce male in chi lo commette e nel suo destinatario. Sempre e comunque.
La lotta col peccato avviene a un duplice livello: bisogna togliere la separazione che produce da Dio, da se stessi e dagli altri e sradicarlo dall’anima e ciò avviene col sacramento della penitenza ben celebrato, che termina in un’autentica conversione della vita. Bisogna, tuttavia, anche lavorare sui suoi effetti nefasti, per neutralizzarli, ripararli o almeno mitigarne la portata e questo avviene con la penitenza “virtù” ovvero con quelle opere penose ai nostri sensi che servono a riparare le conseguenze dei nostri peccati. La lussuria lascia nell’anima un attaccamento disordinato ai piaceri illeciti? Dovrò privarmi anche di qualche piacere lecito, col digiuno. L’avarizia è la radice di tutti i mali, come dice san Paolo? Imparerò a condividere i miei beni con chi ne ha bisogno, attraverso la pratica dell’elemosina. Ho offeso Dio trascurandolo, derubandolo del suo giorno, offendendone il nome? Riparerò con Messe, preghiere, Rosari e Via Crucis, in cui gli dimostrerò tutto l’amore che gli ho indebitamente negato. Rebus sic stantibus, è quanto mai contrario allo spirito della Quaresima, darsi, in questo tempo, ai divertimenti quali i balli, le feste, i pubblici spettacoli, gli eventi mondani, i banchetti o cose simili. Anche se non esiste nessuna prescrizione sotto pena di peccato mortale che proibisce di andare in una sala da ballo in Quaresima, è evidente che farlo significherebbe non comprendere lo spirito di questo tempo.
Alla luce di questo excursus vorremmo evidenziare che la legge, che abbiamo cercato di approfondire, è sempre in certo modo limitata, fatta, come scrive san Paolo, per il peccatore (cf 1Tim 1,9), per “costringerlo” a raggiungere almeno quel minimo etico indispensabile per non offendere gravemente il Creatore. Ma, per noi figli di Dio, la legge è divenuta, come insegna san Giacomo, la “legge della libertà” (Gc 1,25), ovvero una luce e una spinta a comprendere il senso profondo dei precetti per viverne genuinamente lo spirito anche al di là di ciò che è “strettamente obbligatorio e necessario”. Anche perché nei figli di Dio, la legge suprema è la carità. E l’unica cosa in cui non dobbiamo mai temere di eccedere è l’amore di Dio, che, per quanto grande, sarà sempre abbondantemente al di sotto di ciò che Egli merita.
QUINTO PRECETTO: NON CELEBRARE SOLENNEMENTE LE NOZZE NEI TEMPI “PROIBITI”
IL CARATTERE PENITENZIALE DI AVVENTO E QUARESIMA
L'ultimo precetto generale della Chiesa proibisce la celebrazione solenne delle nozze nei tempi "proibiti" ovvero nei periodi penitenziali dell'Avvento e della Quaresima. Una disposizione che, a prima vista, potrebbe sembrare un poco anomala, ma che, a ben guardare, rivela profondi insegnamenti sia sul sacramento del matrimonio che sulla santificazione dei tempi penitenziali.
Le nozze, infatti, in tutta la sacra Scrittura sono, per antonomasia, il momento dell'allegria, della gioia, dei banchetti. Sono inoltre il simbolo reale dell'unione tra Dio e il suo popolo e della gioia reciproca che dovrebbe caratterizzare questo mistico rapporto, sia nella sua dimensione collettiva che in quella individuale. Tutti questi aspetti sono egregiamente e splendidamente significati nel celebre episodio delle nozze di Cana, che non casualmente Gesù scelse come occasione per compiere il suo primo miracolo, dalle fortissime coloriture simboliche. A questo banchetto nuziale di due sposi, infatti, parteciparono Gesù e Maria, il Nuovo Uomo e la Nuova Donna, primizie della nuova umanità destinata ad una ritrovata e rinnovata unione con Dio. Quel vino che venne a mancare (simbolo appunto della gioia e dell'amore, immancabile in ogni banchetto, specialmente nuziale) simboleggiava la gioia perduta dall'umanità a causa del peccato, ma già nuovamente in atto nella coppia Gesù e Maria che intendeva e voleva - congiuntamente, attraverso l'opera della redenzione - rendere all'uomo la perduta felicità dell'unione con Dio nella vita di grazia. L'ora della redenzione fu anticipata nel simbolo del vino nuovo, offerto come primizia agli sposi dopo essere stato già gustato, con divini e ineffabili fragranze fin dal primo istante dell'incarnazione, dal Nuovo Adamo e dalla Nuova Eva.
Il beato Giovanni Paolo ebbe modo nelle sue catechesi sulla famiglia di mostrare come il mistero nuziale fosse segno simbolico - ma vero - delle mistiche nozze di Cristo con la Chiesa. Un'unione che la redenzione ha reso realmente possibile e vera fin da questa vita, ma che avrà il suo compimento pieno e perfetto solo nel banchetto nuziale eterno, allorquando saranno celebrate, come ci ricordano gli ultimi capitoli del libro dell'Apocalisse, le nozze dell'Agnello. Prima di quel giorno e di quell'ora, la relazione nuziale tra Dio e l'uomo è turbata e labile, a causa della permanenza della concupiscenza nell'uomo, che lo espone al rischio di tradire, anche gravemente, il patto di alleanza nuziale col suo Signore. Il profeta Osea è uno splendido esempio di come la teologia biblica concepisca la storia della salvezza (che è storia del rapporto di Dio col suo popolo) in termini nuziali, descrivendo le infedeltà dell'uomo come un vero e proprio "adulterio". Il rimedio a questa possibilità assai reale e incombente di tradimento (sempre e solo da parte dell’uomo) è dato soltanto dalla penitenza, ovvero da uno stile di vita che, coniugando preghiera intensa e mortificazione generosa, sappia mantenersi fedele alle esigenze dell'Alleanza. In questo senso i due grandi tempi penitenziali dell'anno liturgico richiamano assai opportunamente e sapientemente i fedeli all'importanza della dimensione penitenziale della vita cristiana, il primo accentuando la prospettiva della preghiera e della vigilanza in attesa dello sposo, il secondo calcando sulla necessità di mortificare i sensi nella pratica del digiuno e degli altri esercizi tipicamente quaresimali.
Alla luce di quanto sinteticamente esposto, dovrebbe essere più comprensibile il senso di questo precetto. Se infatti le nozze sono un segno mistico dell'unione consumata dell'umanità col suo Signore, che ci colmerà di ineffabile felicità ma di cui non è possibile godere pienamente in questa vita, è evidente che una celebrazione solenne e festosa di questo sacramento nei tempi penitenziali urta e stride con il pensiero che essi intendono suscitare circa la caducità della vita terrena e la sua dimensione intrinsecamente e necessariamente penitenziale. Ovviamente ci possono essere molte buone motivazioni che suggeriscano agli sposi di celebrare le nozze in questi tempi. Non bisogna del resto dimenticare che insieme alla dimensione mistica - che il matrimonio contiene sotto la specie del segno - c'è anche una molto più concreta e realistica prospettiva terrena, ribadita peraltro da Gesù in persona, quando nella disputa con i sadducei ricorda che sono "i figli di questo mondo" a prendere moglie e marito, cosa che non accadrà nell'altro mondo. Quando dunque serie e legittime esigenze spingano gli sposi ad accelerare i tempi di celebrazione del matrimonio lo si potrà fare anche in questi tempi; astenendosi tuttavia da ogni forma di solennità e mantenendo uno stile sobrio e discreto, per ricordare che ciò che le nozze significano misticamente è una promessa che attendiamo con gioia e trepidazione, ma che dobbiamo anche meritare con la nostra fedeltà alle esigenze dell'alleanza nuziale con nostro Signore.
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La proibizione di celebrare con solennità le nozze nei tempi “proibiti” ci offre lo spunto per spendere qualche ultima parola su alcune disposizioni da osservare ed altre da evitare perché le finalità e gli obiettivi dei tempi penitenziali possano essere pienamente realizzati nelle anime dei fedeli.
Al di là delle prescrizioni vincolanti e particolari della Chiesa – che a suo tempo vedemmo essersi di molto ridotte nell’attuale periodo storico – è infatti quanto mai importante cogliere e vivere il senso della penitenza cristiana, perché la sua ignoranza, dimenticanza, trascuratezza o minimizzazione produce delle nefaste conseguenze nella vita dei fedeli. Abbiamo accennato, nella puntata precedente, che i due tempi forti dell’Avvento e della Quaresima, pur avendo la penitenza come tratto comune, ne accentuano due dimensioni distinte e complementari.
L’Avvento vorrebbe aiutarci a rinvigorire, curare maggiormente e, in alcuni casi, riprendere o riscoprire l’importanza essenziale della preghiera nella vita cristiana. La preghiera, come i santi con tutta la tradizione della Chiesa attestano, è indispensabile per ottenere le grazie, per tenere viva la fede, per riconoscere i segni della presenza e della mano di Dio nella nostra storia, per conservare una dimensione profondamente religiosa dell’esistenza terrena, intesa come tempo di lavoro, lotta, prova e impegno (talvolta anche eroici) in cui ci prepariamo - compiendo bene la nostra missione - all’incontro definitivo con il celeste Sposo. A lui “renderemo la nostra anima” ed Egli ci chiederà conto della nostra sponsale fedeltà a Lui. L’Avvento ci ricorda che Gesù è venuto nella carne e che tornerà alla fine della storia. Queste due venute “universali” accadono, in modo analogo, nella vita di ogni uomo. Gesù viene in continuazione in cerca dell’uomo, viene nella sua vita, col pericolo di non essere accolto né riconosciuto, come non lo fu da molti, troppi, al tempo della sua nascita e durante la sua missione terrena. Come tutti lo vedranno nel suo secondo avvento glorioso, così ogni singolo uomo che muore e lascia questa terra, lo vedrà nel giudizio particolare. E come Cristo sarà giudice della storia, così sarà giudice di ogni persona nel giudizio particolare, dopo aver “rincorso” e cercato l’uomo, per tutta la durata della sua esistenza con la sua misericordia. Nell’Avvento, dunque, si preghi di più, si preghi meglio, o forse si impari a pregare se non lo si è mai fatto (anche se, magari, si sono borbottate frettolosamente tante preghiere). E dato che il clima adatto alla preghiera è il silenzio, si cerchi il più possibile di evitare il rumore, magari spegnendo la televisione, o la radio, o lo stereo o il computer e si trovi tempo e spazio per dedicarsi all’orazione e alla meditazione.
Come l’Avvento ci ricorda che senza la preghiera non possiamo né conservare la fede, né crescere nella grazia, né riconoscere le venute del Signore nella nostra vita, né lavorare per lui in attesa di incontrarlo, così la Quaresima ci ricorda un’altra essenziale verità di fede: il problema del peccato e delle sue conseguenze. Il peccato, unico vero male radicale e “assoluto”, separa l’uomo da Dio, separa l’uomo da se stesso, separa l’uomo dagli altri e produce delle conseguenze devastanti per sé e per gli altri, cosa che, se è evidente solo in alcuni tipi di peccato (se uccido una persona non risuscita, se diffamo una persona è molto difficile rendergli l’onore, se disonoro una vergine non posso riparare il danno “materiale”, etc.), rimane vera anche per il più piccolo peccato pensiero che produce male in chi lo commette e nel suo destinatario. Sempre e comunque.
La lotta col peccato avviene a un duplice livello: bisogna togliere la separazione che produce da Dio, da se stessi e dagli altri e sradicarlo dall’anima e ciò avviene col sacramento della penitenza ben celebrato, che termina in un’autentica conversione della vita. Bisogna, tuttavia, anche lavorare sui suoi effetti nefasti, per neutralizzarli, ripararli o almeno mitigarne la portata e questo avviene con la penitenza “virtù” ovvero con quelle opere penose ai nostri sensi che servono a riparare le conseguenze dei nostri peccati. La lussuria lascia nell’anima un attaccamento disordinato ai piaceri illeciti? Dovrò privarmi anche di qualche piacere lecito, col digiuno. L’avarizia è la radice di tutti i mali, come dice san Paolo? Imparerò a condividere i miei beni con chi ne ha bisogno, attraverso la pratica dell’elemosina. Ho offeso Dio trascurandolo, derubandolo del suo giorno, offendendone il nome? Riparerò con Messe, preghiere, Rosari e Via Crucis, in cui gli dimostrerò tutto l’amore che gli ho indebitamente negato. Rebus sic stantibus, è quanto mai contrario allo spirito della Quaresima, darsi, in questo tempo, ai divertimenti quali i balli, le feste, i pubblici spettacoli, gli eventi mondani, i banchetti o cose simili. Anche se non esiste nessuna prescrizione sotto pena di peccato mortale che proibisce di andare in una sala da ballo in Quaresima, è evidente che farlo significherebbe non comprendere lo spirito di questo tempo.
Alla luce di questo excursus vorremmo evidenziare che la legge, che abbiamo cercato di approfondire, è sempre in certo modo limitata, fatta, come scrive san Paolo, per il peccatore (cf 1Tim 1,9), per “costringerlo” a raggiungere almeno quel minimo etico indispensabile per non offendere gravemente il Creatore. Ma, per noi figli di Dio, la legge è divenuta, come insegna san Giacomo, la “legge della libertà” (Gc 1,25), ovvero una luce e una spinta a comprendere il senso profondo dei precetti per viverne genuinamente lo spirito anche al di là di ciò che è “strettamente obbligatorio e necessario”. Anche perché nei figli di Dio, la legge suprema è la carità. E l’unica cosa in cui non dobbiamo mai temere di eccedere è l’amore di Dio, che, per quanto grande, sarà sempre abbondantemente al di sotto di ciò che Egli merita.