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LE MENZOGNE SU ELUANA ENGLARO

21/1/2017

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La menzogna non ha più veli: il racconto dell'agonia di Eluana Englaro
Nelle carte il gelo di un’agonia procurata e nude verità

Eluana non era «devastata» ma è stata straziata
di Lucia Bellispiga
© Avvenire – 14 gennaio 2010 – pagina 2


 
«In data 9 feb­braio il cadavere del­la signorina E­luana Englaro veniva trasferi­to all’obitorio della ‘Quiete’ su barella in ac­ciaio. Trattasi di cadavere fem­minile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, ca­pelli neri… Entrambi i lobi pre­sentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa». Il resto ve lo rispar­miamo. Dura 133 pagine la ‘Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale’, letta la quale il gip di Udine l’altro giorno ha de­finitivamente stabilito che il tut­to è avvenuto ‘regolarmente’.

Un testo che si regge a fatica e che toglie il sonno, e non tanto nelle pagine dell’autopsia, quan­do ormai Eluana è morta, ma in quelle tragiche, disumane dell’agonia, quando era viva e nelle stanze udinesi della ‘Quiete’ la si faceva morire.

Ora lo sappiamo: nei giorni e nelle notti in cui alla giovane donna venivano sottratti l’acqua e il nutrimento (il sostegno vita­le, lo chiama il documento), l’é­quipe del dottor De Monte sede­va accanto a lei e la osservava, prendeva appunti, diligentemente compilava di ora in ora la ‘Scheda di rilevazione degli ele­menti indicativi di sofferenza’.

Una crocetta alla voce ‘respiro affaticato e affannoso’ ne indica frequenza e durata, un’altra rile­va ‘l’emissione di suoni sponta­nei’, un’altra ancora i singoli la­menti sfuggiti a Eluana ‘durante il nursing’, ovvero mentre le ma­ni di medici e infermieri nulla ‘potevano’ per salvarle la vita e dissetarla (il Protocollo parlava chiaro, e loro erano lì per appli­carlo, volontari), ma sul suo cor­po continuavano a operare quel­le piccole attenzioni richieste dallo stesso Protocollo: ‘Si pro­cederà all’igiene giornaliera di routine al fine di garantire il de­coro…’. Il decoro.

Sono pagine meticolose, capilla­ri. Gelide. Il 3 febbraio, primo giorno di ricovero alla ‘Quiete’ di Udine (nel cuore della notte la giovane era stata prelevata da un’ambulanza e strappata alla clinica di Lecco dove viveva da quindici anni), la voce di Eluana si è sentita sette volte, e l’équipe solerte le ha annotate tutte. I suoni si moltiplicano il 4, e poi il 5, finché il 6 (all’alba di quel giorno si è smesso definitiva­mente di nutrire e dissetare la giovane) la mano di un’infermie­ra scrive per la prima volta: ‘Sembrano sospiri’. E forse lo sono, se il giorno 7 cessano an­che quelli. Eluana morirà im­provvisamente già il 9 febbraio alle 19 e 35, senza più la forza di gemere: ‘nessun suono’, ma ore e ore di ‘respiro affaticato e af­fannoso’. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.

Ancora più esplicite le pagine del diario clinico di quei sette giorni udinesi, racconto di un’a­gonia che inizia sull’ambulanza, quando il dottor De Monte an­nota la terribile tosse che scosse Eluana, e prosegue con asettico cinismo: Eluana si lamenta, E­luana non ha quasi più saliva, non suda nemmeno più, le mu­cose si asciugano, ‘iniziata umi­dificazione’, ‘idratata la bocca’, ‘frizionata su tutto il corpo con salviette rinfrescanti’. Il decoro.

L’igiene. C’è anche lo spasmo con cui la prima notte arrivò a e­spellere il sondino: allora lo scri­vemmo e ci diedero dei bugiar­di… ‘Non eseguito cambio pan­nolone perché non urina più’: è il giorno della morte. Tutto rego­lare, dicono i magistrati, tutto perfettamente annotato. A parte quella mezzoretta tra il decesso e la registrazione dell’elettrocar­diogramma, un ‘ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento del­lo strumento’, scrive il capo dell’équipe… A parte, ancora, quelle tre ore che l’8 febbraio, il giorno prima della morte, in pie­na agonia, una giornalista di Rai 3 Friuli e un fotografo trascorro­no nella stanza di Eluana ripren­dendone gli affanni.

Ci avevano detto che Eluana non avrebbe sofferto, e veniamo a sa­pere che morì tra gli spasmi, con 42 di febbre. Che da molti anni pesava 65 chili. Che risultava «obiettivamente in buone condi­zioni generali e di nutrizione, con respiro spontaneo e valido, vigile durante buona parte della giornata». Che da due anni ave­va di nuovo «il mestruo». Che l’alimentazione col sondino «non aveva mai dato complican­ze » e i «parametri vitali si erano sempre mantenuti stabili, la pa­ziente non ha presentato mai patologie ad eccezione di spora­diche bronchiti-influenzali, prontamente risolte con antipi­retici ». Ce l’avevano descritta co­me un corpo ‘inguardabile’, u­na vista ‘devastante, piagata dal decubito, magra come uscita da un campo di concentramento’.

È pure calva, aggiunse Roberto Saviano… ‘Ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito’, recita ora l’autopsia. Ma lo attesta il perito: «Le disposizioni sono state mi­nuziosamente seguite».
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