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IN AFRICA 39 PAESI SU 54 HANNO PENE DURE CONTRO I GAY

3/3/2014

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Oltre il 90% degli africani pensa che la società non debba accettare l'omosessualità, ma proteggere il matrimonio naturale e i bambini
di Anna Bono

Il 7 gennaio, ma la notizia è stata diffusa una settimana dopo, il presidente della Nigeria Goodluck Jonathan ha firmato la legge sull'omosessualità che il parlamento aveva votato all'unanimità lo scorso 30 maggio. Con la sua entrata in vigore, i matrimoni gay sono proibiti. Si prevedono pene detentive fino a 14 anni per chi contrae un matrimonio omosessuale, fa da testimone o in qualsiasi modo partecipa alla celebrazione di unioni tra persone dello stesso sesso. È proibita inoltre ogni manifestazione pubblica di omosessualità ed è illegale costituire club di gay e organizzazioni in difesa dei loro diritti. Le sanzioni in questo caso arrivano fino a 10 anni di carcere. Dal giorno della firma presidenziale, le autorità hanno già provveduto a decine di arresti.

In Africa la Nigeria non costituisce certo una eccezione: i matrimoni omosessuali sono illegali in tutti gli stati africani salvo il Sudafrica e 39 paesi su 54 hanno leggi che sanzionano l'omosessualità, in certi stati anche con la pena di morte. Alcuni governi, tra cui quelli di Tanzania e Camerun, si apprestano a varare nuove leggi in materia e l'Uganda, che già ne è dotata, ha in cantiere dal 2010 una legge che prevede l'inasprimento delle sanzioni, fino all'ergastolo in caso di "criminali recidivi". A dicembre una versione riveduta del testo è stata approvata dal parlamento. Manca quindi solo la ratifica del capo dello stato, Yoweri Museveni, che continua a rimandarla, nonostante le sollecitazioni: più che altro, a quanto sembra, per evitare le ritorsioni minacciate da alcuni paesi donatori.
Nei giorni scorsi l'Arcivescovo di Canterbury Julius Welby, massima autorità spirituale della Chiesa anglicana, e quello di York, John Sentamu, di origine ugandese, hanno quindi pensato bene di scrivere una lettera ai presidenti di Nigeria e Uganda, recapitata anche a tutti i primate delle Chiese nazionali della Comunione anglicana. «La vittimizzazione e l'umiliazione delle persone attratte dal loro stesso sesso deve essere assolutamente disapprovata – scrivono i due religiosi – gli omosessuali sono figli di Dio, da Lui amati e stimati. Meritano tutta la nostra cura pastorale e la nostra amicizia».

La risposta del capo della Chiesa anglicana ugandese, l'arcivescovo Stanley Ntagali, non si è fatta attendere. A proposito della legge, si è detto soddisfatto per alcuni emendamenti adottati a dicembre, consigliati dalla Chiesa, che la rendono meno severa escludendo, tra l'altro, la pena capitale. Pur assicurando che «chi è confuso a proposito della propria sessualità o sta lottando contro le proprie tendenze sessuali può star certo di trovare nella Chiesa aiuto e cure», l'arcivescovo ha però ricordato al primate britannico che «la pratica omosessuale è incompatibile con le Scritture». A sua volta, ha quindi colto l'occasione per esprimere il proprio disaccordo con la Chiesa britannica e augurarsi che riveda le proprie posizioni «affinché la Chiesa ugandese possa continuare la propria comunione con la Chiesa Madre».

L'eventualità di una spaccatura all'interno della Comunione Anglicana in effetti è tutt'altro che remota. Alcune Chiese africane, tra cui quella ugandese, hanno già sospeso i rapporti con gli anglicani degli Stati Uniti e del Canada non ammettendo l'ordinazione di sacerdoti gay e i matrimoni omosessuali. Vorrebbero inoltre che le Chiese dell'America del Nord non fossero invitate nel 2018 alla conferenza di Lambeth, l'incontro che ogni 10 anni riunisce a Londra i vescovi anglicani di tutto il mondo.

In Nigeria ad accogliere con favore la legge sull'omosessualità è stato Ignatius Ayau Kaifama, arcivescovo cattolico di Jos, presidente della Conferenza episcopale nigeriana e vicepresidente della Conferenza episcopale dell'Africa Occidentale. L'arcivescovo ha scritto una lettera al presidente Jonathan a nome di tutti i vescovi e i fedeli del paese per ringraziarlo della sua decisione "coraggiosa e saggia", chiara indicazione «della capacità del nostro grande paese di ergersi a protezione dei più alti valori delle culture nigeriane e africane circa l'istituto del matrimonio e la dignità della persona umana, senza cedere alle pressioni internazionali». La lettera della Conferenza episcopale riflette e conferma la preoccupazione già manifestata durante l'ultima assemblea plenaria dei vescovi, svoltasi lo scorso settembre, per «i tentativi continui da parte di agenzie straniere di introdurre valori malsani nella nostra società con le loro campagne per l'aborto, la distribuzione di preservativi e la promozione di unioni omosessuali». I vescovi reiteravano, nello stesso documento, il loro impegno per la sacralità della vita dal momento del concepimento fino alla morte e respingevano con forza ogni più piccolo tentativo di promuovere una cultura della morte.

Una ricerca svolta nel 2013 in 39 paesi dal Pew Research Center ha rivelato che per il 98% dei nigeriani la società non deve accettare l'omosessualità. Quanto agli altri stati africani considerati, ha dichiarato inaccettabile l'omosessualità il 96% del campione intervistato in Uganda, Ghana e Senegal, il 90% in Kenya e persino in Sudafrica contro l'omosessualità si è pronunciato il 61% degli intervistati.
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Se i tifosi di calcio sono puniti in nome del politicamente corretto

2/3/2014

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di Nando Sanvito

Mi ha sempre colpito che negli stadi italiani 9 volte su 10 il primo coro cronologicamente intonato dal tifo organizzato è sempre controqualcuno prima ancora che di incitamento per qualcuno. Quando c’è di mezzo lo sport, le dinamiche psicologiche si semplificano o, meglio, si esemplificano e tutto è più chiaro. Anche questa storia dei settori chiusi al pubblico negli stadi non fa eccezione, anzi… 

Ricapitoliamo: il calcio italiano per decenni è stato considerato una zona franca rispetto a tutto il resto: si pagano le tasse? Nel calcio si può non farlo…  I reati di danneggiamento si risarciscono di tasca propria? Mai visto tifosi pagare per bagni e seggiolini devastati. Se spacci droga sei a rischio ovunque tranne che sugli spalti di uno stadio. E così anche per le aggressioni. Per fortuna da un po’ di tempo a questa parte si è cambiato registro e questa zona franca ha cominciato a restringere sempre più i suoi confini. L’obiettivo è ridare normalità alla vita da stadio e ripristinare il rispetto per le persone. Anche per questo ora c’è un controllo più rigido sugli striscioni e sui cori. 

Ma qui stavolta il calcio paga dazio al sentire comune, cioè al politicamente corretto. Quali sono le espressioni verbali da censurare? Quelle che il potere culturale oggi ritiene più offensive. 

Quali?  Gli incitamenti o l’apologia delle discriminazioni, siano esse razziali o di altro tipo. Ogni società – si sa - ha la propria sensibilità e, di volta in volta a seconda dell’epoca storica, dei Dieci Comandamenti ne sottolinea qualcuno e ne trascura o censura altri. Oggi gridare “buu” dagli spalti può portare alla chiusura di un settore dello stadio, così come insultare l’origine territoriale o etnica di qualcuno. 

Però se succede – e succede in tutti i turni di campionato – che qualche migliaio di persone urli ripetutamente in coro “Uccideteli” rivolto a giocatori o tifosi avversari, oppure “Devi morire” a un poveraccio finito a terra in campo per aver subito un fallo violento di gioco, allora la trascrizione che ne fa la Procura federale non ha alcuno effetto sulle decisioni del Giudice sportivo, anzi spesso non viene neppure trascritto perché non è un coro razzista. 

E’ meno offensivo della dignità della persona? Assolutamente no! Dal punto di vista della rilevanza penale è una minaccia di morte, un’istigazione a sopprimere un altro, addirittura dovrebbe essere più grave. Alcuni giocatori poi mi hanno confidato di sentirsi più offesi nella loro dignità quando sentono insultati i loro familiari, si sentono cioè più feriti dal coro “figlio di p……” o “tua moglie sta s……” che non da “negro di m….”. 

Questa è l’ipocrisia! Essere costretti a fare una classifica degli insulti, e per di più in base al politicamente corretto. Chiunque è in grado di valutarne l’assurdità, eppure sarebbe così semplice porvi rimedio, senza ricorrere a leggi speciali. Nella vita di tutti i giorni fuori dallo stadio ogni attentato o insulto alla dignità della persona può essere perseguito. Allo stesso modo deve avvenire dentro lo stadio e così magari prima a poi  persino a dei bambini chiamati a sostituire gli ultras (squalificati per cori razzisti) verrebbe meno spontaneo scimmiottare l’idiozia degli adulti, come invece è successo recentemente  in uno dei più  prestigiosi e moderni stadi del nostro Paese.
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Utero in affitto. Buona notte, Legge 40

1/3/2014

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di Tommaso Scandroglio


Per celebrare i dieci anni di vita della legge 40 la quinta sezione penale del tribunale di Milano ha pensato bene di far saltare un altro divieto posto da questa norma, quello che fa riferimento alla maternità surrogata. Un’altra candelina sulla torta della festeggiata è stata dunque spenta.

Ecco la vicenda. Una coppia di Milano vola a Kiev e pagando 30mila euro alla clinica Biotexcom “prendono a nolo” una donna perché “doni” il proprio ovocita ed utero (le virgolette sono d’obbligo perché la gestante è stata ricompensata per il disturbo), ovocita fecondato dallo spermatozoo dell’uomo della coppia. Dopo nove mesi ritirano il bebè e secondo la legge ucraina il pargolo è figlio legittimo della coppia. L’ufficiale di stato civile italiano iscrive all’anagrafe l’infante come figlio della coppia milanese ma contestualmente i funzionari dell’ambasciata italiana in Ucraina, interessati dalla vicenda, sentono puzza di bruciato e chiedono all’autorità giudiziaria del nostro Paese di indagare. Infatti per il nostro ordinamento le uniche forme di genitorialità ammesse sono quella naturale o quella per adozione.

Il Tribunale, secondo sentenza pubblicata un paio di giorni fa, assolve invece i due dal reato di alterazione dello stato civile del minore (567 cp) con le seguenti motivazioni.

In primo luogo "l'atto di nascita è stato formato correttamente, in Ucraina, nel rispetto del luogo ove il bambino è nato". Peccato che la Legge di diritto internazionale privato n. 218 del 1995 stabilisce che “in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni possono aver effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Tale ratio è ripresa da un Decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396 in cui si vieta all’ufficiale di stato civile di trascrivere un atto formatosi all’estero quando risultasse contrario all’ordine pubblico. Non vale a superare il divieto nemmeno il fatto, come tentano di spiegare i giudici meneghini, che «questa forma di procreazione assistita è consentita dalla maggior parte dei Paesi che aderiscono all’Unione europea». Detto in altre parole per i magistrati di Milano se il mio vicino di casa ammazza e ruba allora io mi posso sentire autorizzato a fare lo stesso.

Nella sentenza poi si spiega che il figlio è un diritto e tale tecnica è solo un mezzo per soddisfare il diritto (come dare loro torto? E’ la stessa logica che permette l’accesso all’omologa qui in Italia).

Successivamente fanno intendere che la nostra normativa sulla filiazione è superata perché il concetto di genitorialità "è incentrato sull'assunzione di responsabilità", quindi poco rileva il legame biologico. Però per il nostro ordinamento la responsabilità deriva dalla genitorialità naturale e solo in subordine - laddove ci sia abbandono o incapacità da parte dei genitori naturali - si interviene con l'affido e l'adozione. Non esistono altre fonti. Se il criterio indicato dai magistrati fosse davvero valido, basterebbe un single, una coppia omosessuale ed anche un gruppo di amici o un’associazione che dichiarasse di assumersi la responsabilità di crescere un bambino per permettere a tutti costoro di diventare “genitori”. Insomma un altro caso dove la filiazione viene sganciata dalla generazione in seno ad un rapporto di coniugio e finisce per essere divisa in due momenti distinti: la produzione realizzata da terzi del bambino – omologa, eterologa con o senza utero in affitto poco importa – e l’acquisto/gestione del bambino da parte di una coppia.

Inoltre il Tribunale insiste sul fatto che l'eterologa nella variante “maternità surrogata” è "terapia dell'infertilità" che tutela il "diritto alla salute". Domanda tra le molte: in tal modo il concetto di famiglia non viene stravolto? Risposta dei giudici: la famiglia è «istituto fondato sul libero accordo dei contraenti». Quindi la compravendita di ovociti, uteri e sperma sono azioni proprie di questo nuovo modello familiare che si pone sul “mercato del figlio” e dove i genitori prendono nuove qualifiche: acquirenti di gameti, conduttori di uteri, etc.

Come appuntavamo all’inizio, la pratica della maternità surrogata è vietata in Italia dalla legge 40all’art. 12, ma ancora una volta un giudice è andato per la sua strada infischiandose. Nonostante ciò c’è ancora qualcuno che si incaponisce nell’affermare che la legge 40 è rimasta intatta. Sarà vero dal punto di vista della lettera della legge – sentenza della Consulta a parte – ma molto falso dal punto di vista della prassi. E dato che le leggi servono per disciplinare, vietare, comandare condotte pratiche (altrimenti facciamo accademia), quando queste condotte sono difformi dal testo di legge e per di più ricevono la benedizione della magistratura allora si può dire pianamente che la legge non è più efficace. Ciò a dire che gli effetti previsti dalle norme rimangono sulla carta e non si incarnano in condotte conseguenti dei consociati, vero ed unico fine di una legge. Risultato: la legge 40 già oggi è roba da museo.

In tale situazione la magistratura ha ormai assunto il compito di giustificare a posteriori qualsiasi desiderata delle coppie, una sorta di convalida di carattere amministrativo, di autorizzazione meramente formale. A questo punto allora non solo la legge è superata dall’azione dei giudici, ma la stessa magistratura non ha più ragion d’essere perché superata a sua volta dalle esigenze delle coppie, verso cui occorre sempre essere accondiscendenti. Se la vera ratio su tali materie sensibili è quella del “fate quello che vi pare tanto a noi starà sempre bene”, appare persino superfluo l’imprimatur del giudice. Un inutile passaggio procedurale in un momento in cui nel nostro Paese si tende alla semplificazione burocratica.
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