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SS.  PIETRO E PAOLO,  APOSTOLI

29/6/2025

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Dal III secolo è attestato in questo giorno (che era nell’epoca romana il giorno della festa dei fondatori di Roma) il culto liturgico del martirio dei santi Pietro e Paolo. Tale data è entrata subito nel calendario di tutte le Chiese. Nei sacramentari più antichi le due colonne della Chiesa universale vengono celebrate in un’unica festa (mentre una festa particolare è dedicata alla “cattedra di san Pietro”, il 22 febbraio, e alla “conversione di san Paolo”, il 25 gennaio).

Nel Nuovo Testamento la persona di Pietro ha un posto eminente.
Nato a Betsaida di Galilea, insieme al fratello Andrea conobbe Giovanni Battista e ne divenne discepolo, fino a quando incontrò Gesù che ne fece il capo del gruppo degli apostoli. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli (cc. 1-12) egli appare come il capo ed il portavoce del collegio apostolico designato come “Pietro con gli altri Undici” (2,14). Il posto assegnato a Pietro è fondato sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono ricordate nelle tradizioni evangeliche (Mt 16, 17-19; Lc 22,31-32; Gv 21,15-19; 1 Cor 15,5).

La Tradizione antica ha legato il nome di Pietro a due grandi sedi dell’epoca apostolica: Antiochia, di cui fu forse il primo vescovo, e Roma ove subì il martirio sotto l’imperatore Nerone, crocifisso – secondo la concorde tradizione – sul colle vaticano, con il capo all’ingiù (67 dopo Cristo?).
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Paolo invece nacque all’inizio dell’era cristiana a Tarso, allora vivace centro cosmopolita, dove ricevette la formazione in ambiente rabbinico (che poi completò a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele), ma anche conobbe la raffinata cultura ellenistica. Dall’ora decisiva della visione di Damasco, che provocò la sua conversione a Gesù Cristo, fino al martirio a Roma, la sua esistenza fu un movimentato peregrinare annunciando l’Evangelo di Gesù, crocifisso e risorto, prima ai giudei ma subito dopo, e su raggio universale, ai popoli pagani. Gli Atti raccontano queste peregrinazioni in tre grandi viaggi missionari. L’ultimo, probabilmente, avvenne dopo la sua liberazione dal carcere romano, ma non se ne conserva narrazione, solo si trovano indizi nelle sue lettere.
​

Paolo secondo antica e costante tradizione venne decapitato (pena riservata ai cittadini romani) alle porte di Roma “ad Aquas Salvias”, nei pressi della via Ostiense, contemporaneamente al martirio di Pietro. Per entrambe le “colonne” della chiesa, è importante rilevare come in loro sia la debolezza a manifestare la potenza di Dio e della sua grazia, e non i titoli di prestigio e prestanza personali.
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PERCHE' IL TABERNACOLO NON E' PIU' AL CENTRO?

22/6/2025

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La questione della posizione del Tabernacolo non si pone tanto per le grandi chiese (cattedrali e santuari) dove la collocazione laterale serve soprattutto a non farlo smarrire nella grandezza del tempio, quanto per le chiese di medio-piccola grandezza. C’è un senso in quello che sta avvenendo negli ultimi anni? Pensiamo proprio di sì. Questo va trovato nei motivi che costituiscono l’essenza del pensiero post-conciliare. Uno su tutti: il voler considerare l’edificio liturgico più come realtà di comunione (come indubbiamente anche è) che come realtà di mistero. E qui dobbiamo porci un interrogativo decisivo: l’edificio liturgico è “luogo” per una assemblea oppure “luogo” per una Presenza? Da questa alternativa, o meglio, anche da questo porre l’accento soprattutto sulla prima possibilità (la chiesa come luogo per assemblea) scaturisce quello che si può definire perdita del senso del mistero e dell’incontro. Perdita che –come è sotto gli occhi di tutti- ha reso meno persuasivo l’Annuncio cristiano.
Tutte le ragioni utilizzate per giustificare l’uso di porre a lato il Tabernacolo anche se non volessero diminuire l’atteggiamento di adorazione, ne minano la ragion d’essere. Non esiste una sola ragion d’essere dell’adorazione, se ne potrebbero almeno individuare un paio: l’adorazione prossima e l’adorazione presente.

La prima (l’adorazione prossima) è riscontrabile in tutte quelle spiritualità che posseggono almeno una di queste due caratteristiche: riconoscimento dell’uomo come non-creatura oppure riconoscimento dell’uomo come realtà totalmente separata da Dio e quindi insanabile. In queste spiritualità l’adorazione è prossima, in quanto non esisterebbero le condizioni per poter veramente adorare.

L’adorazione presente è, invece, un tratto tipico del cattolicesimo, perché in questo manca tanto la caratterizzazione panteistica, quanto quella protestantica di demonizzazione del mondo. Nel cattolicesimo di certo la tensione dell’attesa non è assente, ma è fondamentale la convinzione secondo cui tutto ciò che attualmente è sperimentabile dall’uomo è già “luogo” di una Presenza vera e salvifica del mistero del Verbo incarnato. Ciò è della fede nella Presenza reale dell’Uomo-Dio nell’Eucaristia.

La Chiesa è sì comunione dei figli di Dio, ma nella, con e per la Presenza reale di Cristo. La centralità del Tabernacolo è la centralità dell’Eucaristia, cioè della presenza reale, fisica, di Cristo ancor oggi nella Chiesa. La centralità del Tabernacolo ha lo scopo di rendere l’edificio liturgico non luogo per attendere e per ricordare, ma luogo per incontrare una Presenza “presente” (chiediamo scusa del gioco di parole) che è anche fisica.

Dal sito  il cammino dei Tre sentieri
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