In questo inedito Giovedì Santo sono convinto che, al dolore provocato dall’epidemia e dalla strage in atto, si aggiungerà per i credenti un altro dolore non meno sincero: di non poter partecipare ai riti più solenni e significativi dell’anno liturgico; di non poter realizzare l’incontro con l’assemblea liturgica a causa del distanziamento obbligatorio; di non poter ricevere la S. Comunione proprio nel giorno in cui Gesù l’ha istituita; di non potersi confessare neppure a Pasqua…
Ci obietteranno che nessuno può impedirci di pregare per nostro conto se ci teniamo, ma che in questo momento la priorità assoluta è mettere in atto i provvedimenti necessari a sconfiggere la pandemia…il resto è secondario.
No, non è affatto secondario; se infatti è vero che la gravissima emergenza del coronavirus obbliga ad assumere provvedimenti drastici, ma indispensabili, è altrettanto vero che la rinuncia per i credenti non è cosa da poco, come non lo è la disperazione di non comunicare con i propri cari ospedalizzati; lo strazio del frettoloso congedo dai propri morti (5000 in un mese nella nostra Bergamasca) e tutti i drammi vissuti in questi giorni.
Oggi noi oggi non vogliamo rinunciare a fare memoria dell’Eucaristia, dono finale di Gesù ai discepoli; dell’istituzione del sacerdozio cristiano; dell’imitazione di Gesù nel servizio ai fratelli con la lavanda dei piedi e lo faremo accettando un sacrificio che solo superficiali e non credenti si ostinano a non capire, ma che costituisce la nostra maniera più autentica di partecipare alla passione, morte e risurrezione di nostro Signore.
Per questo facciamo nostre le parole del profeta Daniele esiliato a Babilonia nel VI sec col suo popolo: avendo perso tutto, egli così si rivolge a Dio: “In questo momento non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c'è confusione per coloro che confidano in te”. (Daniele 3,38-40)
Ci obietteranno che nessuno può impedirci di pregare per nostro conto se ci teniamo, ma che in questo momento la priorità assoluta è mettere in atto i provvedimenti necessari a sconfiggere la pandemia…il resto è secondario.
No, non è affatto secondario; se infatti è vero che la gravissima emergenza del coronavirus obbliga ad assumere provvedimenti drastici, ma indispensabili, è altrettanto vero che la rinuncia per i credenti non è cosa da poco, come non lo è la disperazione di non comunicare con i propri cari ospedalizzati; lo strazio del frettoloso congedo dai propri morti (5000 in un mese nella nostra Bergamasca) e tutti i drammi vissuti in questi giorni.
Oggi noi oggi non vogliamo rinunciare a fare memoria dell’Eucaristia, dono finale di Gesù ai discepoli; dell’istituzione del sacerdozio cristiano; dell’imitazione di Gesù nel servizio ai fratelli con la lavanda dei piedi e lo faremo accettando un sacrificio che solo superficiali e non credenti si ostinano a non capire, ma che costituisce la nostra maniera più autentica di partecipare alla passione, morte e risurrezione di nostro Signore.
Per questo facciamo nostre le parole del profeta Daniele esiliato a Babilonia nel VI sec col suo popolo: avendo perso tutto, egli così si rivolge a Dio: “In questo momento non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c'è confusione per coloro che confidano in te”. (Daniele 3,38-40)