Forse è la prima volta in duemila anni che i riti della quaresima (Settimana Santa e Triduo Pasquale compresi) sono celebrati senza la presenza del popolo cristiano: neanche le più feroci persecuzioni del passato erano riuscite a fare quello che ha fatto il coronavirus e i provvedimenti delle autorità riguardo all’isolamento e distanziamento tra persone.
Eppure in questo 2020 i cristiani non si sono limitati a celebrare la quaresima e la Pasqua: la stanno vivendo dal di dentro perché la passione di Gesù è diventata la loro e quella di milioni di persone; la sua morte quella di tante, troppe persone a loro care. E ora nutriamo la speranza che dopo il venerdì santo vissuto in questi ultimi mesi, si possa partecipare finalmente alla gioia della risurrezione.
La Pasqua è sicura come lo è il sorgere dell’aurora dopo il buio della notte, ma dobbiamo avere la pazienza di aspettare ancora un po’…Prima c’è da fare un altro rito: oggi infatti è il giorno della memoria e della partecipazione…
In altre parole siamo invitati a fare con Gesù morto come che si fa con un defunto caro e cioè a vegliare accanto a lui, a pregare per lui, a condividere il suo dolore e il dolore di chi gli ha voluto bene (le condoglianze appunto).
Ma accanto a Gesù morto mettiamo i 5000 morti bergamaschi del mese di marzo…una cifra spaventosa che supera di 7 volte i decessi di marzo 2019; i volti cari di parenti, amici, conoscenti; di preti della nostra diocesi che il virus si è portato via (25 finora, ma se si contano anche i religiosi sono più di 60) e per noi del Patronato quello di don Fausto. I volti di sconosciuti che ogni giorno si aggiungono in tutto il mondo alla tragica contabilità del decessi della pandemia.
Molti, consegnati agli ospedali per la cura, sono stati restituiti ai loro cari in un’urna cineraria, senza la consolazione di un ultimo dignitoso saluto e seppelliti frettolosamente, con uno sparuto gruppo di familiari, secondo le disposizioni ministeriali.
Anche in questo questi essi hanno condiviso fino in fondo la passione di Gesù che, in quel primo venerdì santo della storia è stato strappato con violenza ai suoi familiari e discepoli, appeso alla croce e frettolosamente sepolto in una tomba che non era neanche sua…
Oggi è il giorno del silenzio che si cerca quando il dolore è troppo grande. Della memoria per impedire alla morte di vincere, dimenticando i nostri cari. Della prossimità a Gesù nella sua sofferenza, così come egli è stato vicino a noi nella nostra sofferenza. Della preghiera che Gesù fino all’ultimo ha rivolto al Padre e i nostri cari fino all’ultimo hanno rivolto al Signore da una stanza di ospedale.
- don Davide Rota -
Patronato San Vincenzo - Bergamo
Eppure in questo 2020 i cristiani non si sono limitati a celebrare la quaresima e la Pasqua: la stanno vivendo dal di dentro perché la passione di Gesù è diventata la loro e quella di milioni di persone; la sua morte quella di tante, troppe persone a loro care. E ora nutriamo la speranza che dopo il venerdì santo vissuto in questi ultimi mesi, si possa partecipare finalmente alla gioia della risurrezione.
La Pasqua è sicura come lo è il sorgere dell’aurora dopo il buio della notte, ma dobbiamo avere la pazienza di aspettare ancora un po’…Prima c’è da fare un altro rito: oggi infatti è il giorno della memoria e della partecipazione…
In altre parole siamo invitati a fare con Gesù morto come che si fa con un defunto caro e cioè a vegliare accanto a lui, a pregare per lui, a condividere il suo dolore e il dolore di chi gli ha voluto bene (le condoglianze appunto).
Ma accanto a Gesù morto mettiamo i 5000 morti bergamaschi del mese di marzo…una cifra spaventosa che supera di 7 volte i decessi di marzo 2019; i volti cari di parenti, amici, conoscenti; di preti della nostra diocesi che il virus si è portato via (25 finora, ma se si contano anche i religiosi sono più di 60) e per noi del Patronato quello di don Fausto. I volti di sconosciuti che ogni giorno si aggiungono in tutto il mondo alla tragica contabilità del decessi della pandemia.
Molti, consegnati agli ospedali per la cura, sono stati restituiti ai loro cari in un’urna cineraria, senza la consolazione di un ultimo dignitoso saluto e seppelliti frettolosamente, con uno sparuto gruppo di familiari, secondo le disposizioni ministeriali.
Anche in questo questi essi hanno condiviso fino in fondo la passione di Gesù che, in quel primo venerdì santo della storia è stato strappato con violenza ai suoi familiari e discepoli, appeso alla croce e frettolosamente sepolto in una tomba che non era neanche sua…
Oggi è il giorno del silenzio che si cerca quando il dolore è troppo grande. Della memoria per impedire alla morte di vincere, dimenticando i nostri cari. Della prossimità a Gesù nella sua sofferenza, così come egli è stato vicino a noi nella nostra sofferenza. Della preghiera che Gesù fino all’ultimo ha rivolto al Padre e i nostri cari fino all’ultimo hanno rivolto al Signore da una stanza di ospedale.
- don Davide Rota -
Patronato San Vincenzo - Bergamo