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COSA CI INSEGNA IL CORONAVIRUS?

30/4/2020

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Gli uomini dell’occidente vivono come se non dovessero non morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto. Questo giudizio attribuito al Dalai Lama è forse un po’ sbrigativo nei toni, ma coglie la sostanza di come stiamo vivendo…Eh sì, non possiamo certo negare che si deve morire, ma abbiamo fatto di tutto per rimuovere dai nostri pensieri questa scomoda ospite che ci sta appiccicata addosso come ombra fin dalla nascita. E siccome l’Istat dice che in Italia l’aspettativa di vita è di 81 anni per gli uomini e 85 per le donne, ci siamo illusi che prima di quell’età di morire non se ne parla proprio. Anche perché oggi non esistono più i vecchi, ma solo “i diversamente giovani” che si godono la vita come ragazzi. Ma arriva il coronavirus che scombina tutto e spazza via ipocrisie e convenzioni, ricordandoci che la morte non rispetta le statistiche e dei diritti individuali se ne fa un baffo; non tiene conto né dell’età, né dei meriti, né delle precedenze, perché di per sé toccherebbe prima alla nonna di morire, piuttosto che alla giovane mamma; o al delinquente incallito piuttosto che alla brava persona.

Ciò che sta capitando, contraddice ciò che è normale e logico: il comune senso di giustizia, il buon senso, le credenze religiose, le speranze umane, tutto è andato in crisi, meno lei, “la morte che –come dice Jorge L. Borges- è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare”. Ma chissà che questa tragedia ci aiuti a recuperare una sapienza antica: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sl 89). Il salmista ricorda che saper di morire è segno di sapienza; far finta di niente o negarlo lo è di stoltezza. L’esperienza di chi è finito in ospedale per il contagio, è stata di sentire la morte vicina: ebbene ci si è accorti che il sentimento non era la paura, ma il rimorso di non aver vissuto in pienezza e di lasciare le cose a metà…proprio come dice il Dalai Lama.

In questi momenti ci si accorge di quanto sia superficiale chi si augura di morire nel sonno, senza accorgersi o in fretta, senza soffrire. La chiesa ha sempre fatto pregare i fedeli esattamente per il contrario (“a subitanea et improvisa morte, lìberanos Domine”) perché non capitasse di congedarsi dalla vita terrena senza l’opportuna consapevolezza e la dovuta preparazione. Non solo: ha sviluppato una vera e propria “ars moriendi” che prevedeva per il moribondo vicinanza e accompagnamento. Il nostro tempo invece spesso condanna il moribondo a fare il passo decisivo in completa solitudine e a non ricevere -come è capitato in questi tragici giorni- neppure l’onore, il ricordo e la preghiera dei propri cari. “Estote parati” dice Gesù nel Vangelo: «Come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo…(Perciò) tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Nella prospettiva cristiana la morte non è la fine, ma l’incontro con il Signore Risorto che introduce nella pienezza della vita: ecco perché bisogna stare pronti. Chi ha visto la morte sfiorarlo, capisce che ogni giorno di vita va vissuto con gioia, riconoscenza e stupore come se fosse il primo. Ma anche con piena coscienza e responsabilità e con l’impegno a lasciare tutto in ordine, come se fosse l’ultimo.

di Don Davide Rota
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25 APRILE CATTOLICO

23/4/2020

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25 APRILE CATTOLICO - #25aprilecattolico
Riflessione + iniziativa da diffondere e condividere

Mentre il Governo continua ad impedire a noi cattolici non solo di accostarci ai Sacramenti ma addirittura di mettere piede in chiesa - e infatti le porte delle nostre parrocchie sono tutte sbarrate, e guai a quei pochi coraggiosi ed eroici sacerdoti che osano celebrare con il popolo, che vengono prima minacciati durante la Santa Messa da appartenenti indegni alle forze dell'ordine e poi dai loro vescovi -, il 25 i partigiani potranno bellamente e liberamente festeggiare la "liberazione" in tutta Italia.
Nel loro caso nessuna restrizione, nessuna multa, nessuna denuncia, nessun divieto, nessun pericolo di diffusione del contagio, niente di niente.

A milioni di italiani è stato invece proibito persino di festeggiare la Santa Pasqua, per non parlare delle migliaia di persone che non hanno potuto dire addio ai propri cari con un funerale!

Ci hanno detto che bisognava evitare assembramenti (e lo accetto) per limitare la diffusione della pandemia (e ci sta); ci hanno detto pure di pregare in casa: allora perché la loro liberazione i partigiani non la celebrano in casa come è toccato a noi con la Santa Pasqua?

Perché tante restrizioni valevano e valgono ancora per noi cattolici e non per chi professa un determinato credo politico?

Ve lo dico io: perché l'Italia ha dimenticato le sue radici cristiane e la sua storia, piena di omicidi, vere e proprie esecuzioni, commessi da partigiani senza Dio durante e dopo la guerra.

Io parlo da cattolico, non da fascista, cosa che non sono: sia chiaro. Ma parlo anche da italiano che conosce la storia e i crimini commessi, purtroppo, da molti partigiani. La storia si incaricherà, prima o poi, di condannarli.

Intanto io il 25 aprile esporrò su tutti i profili dei miei ‘’social'' la foto del Beato Rolando Rivi, in rappresentanza di tutti i sacerdoti, seminaristi e cattolici uccisi dai partigiani in odio alla Fede!

scritto da G. Barile
e da noi totalmente condiviso e sottoscritto
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IL SILENZIO

11/4/2020

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Die Grosse Stille (Il grande silenzio) era il titolo di un film del 2005 che raccontava la vita quotidiana dei monaci del monastero della Grande Chartreuse presso Grenoble sulle Alpi francesi e che nel film non parlano mai fra loro, se non durante le preghiere e i riti religiosi. Nella colonna sonora infatti non sono presenti musiche, né commenti, né altri suoni oltre a quelli prodotti dai gesti quotidiani.

Ebbene proprio il silenzio ha caratterizzato l’esperienza di chi è rimasto isolato in una stanza per settimane in attesa che il contagio finisse una volta uscito dall’ospedale, così come sono apparse silenziose, vuote e immobili le nostre città, grandi metropoli incluse in seguito ai provvedimenti rigorosi delle autorità.

Improvvisamente ci siamo accorti che, immersi nel dinamismo e nei rumori della vita moderna, per noi il silenzio è diventato sinonimo di vuoto, assenza, straniamento. Infatti a differenza del mondo naturale che è silenzioso (basta una camminata in montagna per rendersene conto) il mondo artificiale da noi creato è chiassoso, convulso, inquieto fino all’esasperazione e la cultura del silenzio inculcata per secoli dai cristiani (in chiese, sagrestie, monasteri, conventi…domina l’invito al “silentium!”) è stata spazzata via dalla smania di comunicare che i media hanno esasperato a livelli insopportabili.

Il sabato santo è il giorno del grande silenzio: quello della sepoltura di Gesù che viene rotto solo a tarda sera dal suono delle campane della risurrezione; quello della preghiera davanti ai sepolcri che si allestiscono nelle chiese; quello che favorisce la riflessione personale sugli eventi della nostra fede; quello in cui è possibile cogliere e ascoltare la Parola di Dio.

Ma è anche il giorno del silenzio in cui ha bisogno di essere rielaborato il dramma che stiamo vivendo; il silenzio di chi non lascia spazio all’ angoscia e alla rabbia, perché sa che “è bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3,26)

Se una delle opportunità che la tragedia del coronavirus ci lascia è quella di tornare a scoprire e a coltivare il silenzio interiore (e perché no? anche quello esteriore) forse non tutto è da buttar via…

- don Davide Rota -
  Patronato San Vincenzo - Bergamo
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EPPURE...

10/4/2020

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Forse è la prima volta in duemila anni che i riti della quaresima (Settimana Santa e Triduo Pasquale compresi) sono celebrati senza la presenza del popolo cristiano: neanche le più feroci persecuzioni del passato erano riuscite a fare quello che ha fatto il coronavirus e i provvedimenti delle autorità riguardo all’isolamento e distanziamento tra persone.

Eppure in questo 2020 i cristiani non si sono limitati a celebrare la quaresima e la Pasqua: la stanno vivendo dal di dentro perché la passione di Gesù è diventata la loro e quella di milioni di persone; la sua morte quella di tante, troppe persone a loro care. E ora nutriamo la speranza che dopo il venerdì santo vissuto in questi ultimi mesi, si possa partecipare finalmente alla gioia della risurrezione.

La Pasqua è sicura come lo è il sorgere dell’aurora dopo il buio della notte, ma dobbiamo avere la pazienza di aspettare ancora un po’…Prima c’è da fare un altro rito: oggi infatti è il giorno della memoria e della partecipazione…

In altre parole siamo invitati a fare con Gesù morto come che si fa con un defunto caro e cioè a vegliare accanto a lui, a pregare per lui, a condividere il suo dolore e il dolore di chi gli ha voluto bene (le condoglianze appunto).

Ma accanto a Gesù morto mettiamo i 5000 morti bergamaschi del mese di marzo…una cifra spaventosa che supera di 7 volte i decessi di marzo 2019; i volti cari di parenti, amici, conoscenti; di preti della nostra diocesi che il virus si è portato via (25 finora, ma se si contano anche i religiosi sono più di 60) e per noi del Patronato quello di don Fausto. I volti di sconosciuti che ogni giorno si aggiungono in tutto il mondo alla tragica contabilità del decessi della pandemia.
Molti, consegnati agli ospedali per la cura, sono stati restituiti ai loro cari in un’urna cineraria, senza la consolazione di un ultimo dignitoso saluto e seppelliti frettolosamente, con uno sparuto gruppo di familiari, secondo le disposizioni ministeriali.

Anche in questo questi essi hanno condiviso fino in fondo la passione di Gesù che, in quel primo venerdì santo della storia è stato strappato con violenza ai suoi familiari e discepoli, appeso alla croce e frettolosamente sepolto in una tomba che non era neanche sua…

Oggi è il giorno del silenzio che si cerca quando il dolore è troppo grande. Della memoria per impedire alla morte di vincere, dimenticando i nostri cari. Della prossimità a Gesù nella sua sofferenza, così come egli è stato vicino a noi nella nostra sofferenza. Della preghiera che Gesù fino all’ultimo ha rivolto al Padre e i nostri cari fino all’ultimo hanno rivolto al Signore da una stanza di ospedale.

- don Davide Rota -
  Patronato San Vincenzo - Bergamo
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COMUNQUE VADANO LE COSE...

10/4/2020

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“Ci eravamo illusi che tutto l’orrore del mondo fosse già accaduto e che il peggio fosse alle spalle…” ho letto in un libro.

I bambini chiusi in casa per l’emergenza coronavirus disegnano l’arcobaleno e sotto scrivono “Andrà tutto bene”: lo possono fare perché il virus li risparmia, il passato non lo conoscono e la loro vita è tutta al futuro.

Ma come è possibile che adulti e anziani la pensino come i bambini e credano che l’orrore del mondo sia ormai alle spalle?

Il 3° millennio è iniziato da soli 20 anni e l’elenco degli orrori è già impressionante:
- 2001 attentato Torri gemelle.
- 2004: tsunami sud est asiatico: 250.000 morti.
- 2005: l’uragano Katrina mette in ginocchio gli Usa.
- 2008 ciclone Nargis (Birmania) 100.000 morti.
- 2008: Usa la crisi dei mutui subprime diventa la più grave crisi finanziaria mondiale dal 1929.
- 2010: terremoto di Haiti 225.000 morti.
- 2011: il Corno d’Africa è colpito dalla peggiore carestia degli ultimi 60 anni.
- 2015: Terremoto in Nepal: 3.500.000 di sfollati e 15.000 morti.

Solo in Italia come dimenticare i terremoti di Abruzzo, Emilia, Umbria-Marche ecc.? Per non parlare delle guerre (Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria ecc) e degli orrori del terrorismo fondamentalista islamico con gli spaventosi attentati dell’Isis e del califfato di Al Bagdadi?

E ancora: come se le grandi migrazioni dei popoli e i disastri dovuti ai mutamenti climatici in atto non bastassero, ecco arrivare il coronavirus che completa l’opera mettendo il mondo in ginocchio.

Cosa deve accaderci ancora per capire che le conquiste del progresso e i livelli di civiltà che pensavamo garantiti e a cui pensavamo di avere diritto (inalienabili!), sono come la nostra vita e cioè precari e fragili e possono di colpo svanire come è dolorosamente avvenuto a 5000 bergamaschi in un solo mese?

Al di là delle spiegazioni dotte dei “so tutto io” che imperversano di questi tempi, è successo che dopo duemila anni di storia cristiana la gente si è stufata e ha smesso di far riferimento alla Parola di Dio, ma siccome a qualcosa bisogna pur credere, si è rivolta agli imbonitori politici, economici, scientifici, agli intellettuali e alla portentosa fabbrica di illusioni che è il mondo dei media e dello spettacolo, perché loro sì garantivano che ormai nulla avrebbe potuto impedire l’avanzata trionfale dell’umanità verso il futuro più radioso dove ogni sogno e desiderio sarebbe diventato realtà.

L’occidente opulento e post-cristiano dopo aver proceduto a liquidare i 10 comandamenti e le beatitudini e a sostituirli con i diritti umani, ha accusato la Chiesa di essere nemica (invidiosa!) della nostra felicità solo perché ci ricordava che il mondo, per progredito che sia, non sarà mai un Eden, ma continuerà a essere una valle di lacrime; che il cammino dell’uomo nella storia assomiglia più a una Via Crucis che non a una marcia trionfale o alla maratona di New York.

E soprattutto ci ricordava che il Signore Gesù non ha mai promesso a nessuno che “andrà tutto bene”, ma che, comunque vadano le cose, egli sarebbe stato con noi sempre, fino alla fine del mondo.
​

- 𝑑𝑜𝑛 𝐷𝑎𝑣𝑖𝑑𝑒 Rota -
  Patronato San Vincenzo - Bergamo

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IN QUESTO MOMENTO...

9/4/2020

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In questo inedito Giovedì Santo sono convinto che, al dolore provocato dall’epidemia e dalla strage in atto, si aggiungerà per i credenti un altro dolore non meno sincero: di non poter partecipare ai riti più solenni e significativi dell’anno liturgico; di non poter realizzare l’incontro con l’assemblea liturgica a causa del distanziamento obbligatorio; di non poter ricevere la S. Comunione proprio nel giorno in cui Gesù l’ha istituita; di non potersi confessare neppure a Pasqua…

Ci obietteranno che nessuno può impedirci di pregare per nostro conto se ci teniamo, ma che in questo momento la priorità assoluta è mettere in atto i provvedimenti necessari a sconfiggere la pandemia…il resto è secondario.

No, non è affatto secondario; se infatti è vero che la gravissima emergenza del coronavirus obbliga ad assumere provvedimenti drastici, ma indispensabili, è altrettanto vero che la rinuncia per i credenti non è cosa da poco, come non lo è la disperazione di non comunicare con i propri cari ospedalizzati; lo strazio del frettoloso congedo dai propri morti (5000 in un mese nella nostra Bergamasca) e tutti i drammi vissuti in questi giorni.

Oggi noi oggi non vogliamo rinunciare a fare memoria dell’Eucaristia, dono finale di Gesù ai discepoli; dell’istituzione del sacerdozio cristiano; dell’imitazione di Gesù nel servizio ai fratelli con la lavanda dei piedi e lo faremo accettando un sacrificio che solo superficiali e non credenti si ostinano a non capire, ma che costituisce la nostra maniera più autentica di partecipare alla passione, morte e risurrezione di nostro Signore.

​Per questo facciamo nostre le parole del profeta Daniele esiliato a Babilonia nel VI sec col suo popolo: avendo perso tutto, egli così si rivolge a Dio: “In questo momento non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c'è confusione per coloro che confidano in te”. (Daniele 3,38-40)
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