Avete parlato troppo piano.
I demoni
Dal blog di Berlicche
(link)
Stiamo arrivando. Piano piano. Non ve ne accorgete? No, certo che no. Perché noi facciamo piano. Un passetto per volta. Un pezzettino per volta. Vi cambiamo. Cambiamo voi. Cambiamo te. Delicatamente. Profondamente. Cambiamo il modo con cui guardi agli altri. Cambiamo il modo con cui consideri quelli che ami. In maniera che non li ami più così. In maniera che non li ami più. Che li ami in modo diverso. Più rispettoso, diciamo. Allontanandoti. Lasciandoli andare. Tagliando i legami. Facendoti pensare che il loro bene sia non volere loro bene. Che sia il non volere il loro bene. In piccole cose. E poi nelle grandi cose. Ma non subito. Per gradi. Passando dall'amore al rispetto. Dal rispetto all'indifferenza. Dall'indifferenza a quello che c'è dopo, e dopo c'è tanto. Noi lo sappiamo. Ieri non potevate ammetterlo. Poi sono arrivati i casi speciali. I casi pietosi. Quasi mai veri. Mai veri del tutto. Ma erano un passo. Un piccolo passo. Per abituarvi. Piano piano. Per cambiarvi. Piano piano. La seconda volta che accade è già visto. La terza è noioso. La quarta si spinge più in là. Verso di noi. Piano piano. Dal caso pietoso a quello normale. Non ci si può tirare indietro. Non ci si può più tirare indietro. Chi si tira indietro sarà denunciato. Non è pietoso. Non ha pietà. La sua pietà vera sarà derisa. Sarà derisa perché vera. Sarà impedita perché vera. Sarà vietata perché vera. Quella falsa avrà vinto. Noi avremo vinto. Piano piano. Ti permetteremo di morire di sete. Ti faremo morire di sete. Per non morire di vita. Ma la sete è crudele. Saremo pietosi. Ti uccideremo con una pastiglia. Con una iniezione. Per pietà. La nostra pietà. Ti addormenteremo. Ti sederemo. Per non fartene accorgere. Non ve ne accorgerai. Non te ne stai accorgendo. Ti abbiamo sedato. Ti abbiamo addormentato. Basta una volta. Mille no. Ma basta un sì. Ci sarà il cedimento. Ci sarà il crollo. Siamo abili. Piano piano, a strisciare. Nelle crepe. Allargarle. Piano piano. Finché non ci sarete più. Ci saremo solo più noi. E verremo da voi. Forti. Senza più bisogno di andare piano. Avremo vinto. Vi guarderete intorno. Non ci sarà più nessuno. Solo noi. A dire che non avete più libertà. Che adesso siamo noi a comandare. E che dovete sparire. Obiezioni? No, non le accettiamo ormai. Dovevate parlare prima. L'avete fatto? Peccato, non vi abbiamo sentiti.
Avete parlato troppo piano. I demoni Dal blog di Berlicche (link)
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Pubblico alcuni passaggi significativi dell’omelia nella Santa Messa e imposizione del Pallio, consegna dell’Anello del Pescatore e inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma. Nel testo troviamo alcuni temi di grande attualità: i nuovi ed antichi deserti del mondo, la rete della Chiesa, la fede in Cristo.
La santa inquietudine. (…) La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza (…). Solo l’Amore redime. (…) Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini (…). La rete del Vangelo. (…) Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo (…). Aprite le porte a Cristo. (…) Il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!” Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. S.S. Benedetto XVI Perché Gesù è morto a 33 anni?
Non è una casualità… Molti si sono chiesti perché Gesù sia morto così giovane. L’età di 33 anni è stato il riferimento obbligato della sua crocifissione, morte e risurrezione. Ma pochi si chiedono quello che chiede monsignor Charles Pope nel suo articolo sul portale Community in Mission. Perché è morto sulla trentina e non più tardi, potendo avere più tempo per insegnare e consolidare la dottrina della Chiesa? Pope ricorda la tripla risposta di san Tommaso d’Aquino: Gesù è morto a quell’età per mostrare il suo amore per noi nell’età perfetta della vita; perché era completamente sano; perché, resuscitando così giovane, ci insegna la condizione futura di coloro che resusciteranno nell’ultimo giorno. Certo, dice Pope, non è un caso che Cristo sia morto, ovviamente, all’età in cui è morto. “Dio non fa nulla arbitrariamente” e i dettagli del Vangelo – per esempio, l’ora della morte di Gesù – ci insegnano molto più della speculazione. Un modello da imitare Inoltre, c’è la questione della perfezione (Cristo era perfettamente Dio e completamente uomo). La perfezione può venire meno per eccesso o per difetto. “Si consideri – dice Pope – il caso dell’età: a una persona troppo giovane può mancare maturità fisica o spirituale, mentre ad una persona anziana la mente diventa meno chiaro”. E poi, nell’epoca in cui ha vissuto San Tommaso d’Aquino (nel XIII secolo), trent’anni erano considerati come il momento della perfezione umana. “È certamente ancora così, anche se sembra che in questi giorni ci voglia molto più tempo per raggiungere la maturità intellettuale ed emotiva”, dice Pope. San Tommaso dice che il fatto Gesù è morto mentre era nel momento migliore della sua vita, mostra che il suo sacrificio sia stato maggiore. Anche il fatto che non avesse alcuna malattia o imperfezione fisica ha reso maggiore il suo sacrificio. “È un modello per noi”, dice infine Pope nel suo articolo, “perché dobbiamo dare a Dio, in sacrificio, il meglio di ciò che abbiamo”, proprio come ha insegnato Gesù nella perfezione della propria vita. da aleteia.org La parola italiana "padre" deriva dal latino "pater", che a sua volta deriva dal termine sanscrito "pati" che significa "recinto di protezione". "Padre" quindi deriva da "recinto", in quanto il padre è colui che protegge. Egli delimita anzitutto un limite, un argine, un confine oltre il quale non si può andare. Tutto ciò non va visto come una costrizione, un impedimento che ci opprime o che, peggio ancora, ci priva della nostra libertà, ma come quelle mura di protezione robuste, sicure, solide, affidabili, che ci difendono e ci proteggono dalle minacce e dagli attacchi che provengono dall'esterno. E' un argine finalizzato al nostro bene, perché al di là di esso potremmo imbatterci da soli nei pericoli del mondo. Il padre, quindi, è l'autorità che stabilisce i no, le regole da rispettare per non rischiare di valicare il limite di ciò che è lecito, buono e giusto. Quelle regole sono volte al nostro bene, perché ci preservano dai pericoli assicurati. Come prima, la regola non è una privazione della nostra libertà, anzi ne è il suo pieno compimento, perché garantisce l'ordine nel creato e l'armonia nella nostra vita. Ma un recinto di protezione è anche tutto ciò contro cui si abbattono i colpi dei nemici scagliati dall'esterno pur di non danneggiare quanto di prezioso è custodito al suo interno. Il padre, dunque, è la cinta muraria che sa sacrificarsi per la sua famiglia, che sa soffrire, che sa combattere, che sa dare la sua vita, che è pronto a incassare i colpi provenienti dall'esterno, pur di preservare indenni la sua regina e i suoi figli. Se infatti la madre insegna ai propri figli come vivere, il padre insegna loro come morire. Il segreto di una famiglia felice è in questa immagine: un padre che governa e protegge la famiglia, una madre che custodisce la vita e l'unità. Dario Maria Minotta A chi paragonerò l'uomo di oggi?
Ad un adolescente che mal sopporta i consigli di padre e madre, perché è convinto di essere adulto, di avere ormai capito tutto, di non avere più necessità di imparare. Questo adolescente rifiuta i genitori. Augura loro di scomparire, perché pensa di non averne più bisogno. Ogni cosa che dicono per lui è falsa, a priori. Segue nuovi maestri. Non sempre questi vogliono il suo bene. Spesso, lo vogliono solo usare. Ma lui non se ne accorge. E' la sua età. Sarà la sua esperienza. Così segue la moda facendo quello che fanno tutti pensando di essere originale, pensa i pensieri altrui credendo di seguire se stesso. Ma chi segue se stesso, se non sa dove sta andando, se non sa dove andare, si perde. A chi paragonerò l'uomo di oggi? Ad un adolescente il cui padre, la cui madre stanno accanto, continuando a nutrirlo, a vestirlo, a ospitarlo anche se lui non se accorge. In attesa che maturi e cresca, e torni a vedere. Dal blog di Berlicche (link) OGNI NOSTRA AZIONE BUONA ''RAFFORZA'' IL BENE (COMUNIONE DEI SANTI).
OGNI NOSTRO PECCATO GRAVE, OLTRE A ROMPERE LA NOSTRA AMICIZIA CON DIO, ''RAFFORZA'' IL POTERE DEL MALE. ORA SAPPIAMO CHE CON IL PECCATO ORIGINALE, DI ADAMO ED EVA, IL MALE E’ ENTRATO NEL MONDO E TUTTA LA CREAZIONE DA ALLORA NE SOFFRE LE CONSEGUENZE: (SOFFERENZA, MORTE, TERREMOTI, PESTILENZE, TSUNAMI, URAGANI, ECC…) NE CONSEGUE CHE PIU’ IL MALE DIVENTA FORTE - IL NOSTRO PECCATO VOLONTARIO E IMPENITENTE LO ALIMENTA - PIU LE SUE MANIFESTAZIONI SONO DEVASTANTI: OVUNQUE E SU CHIUNQUE INDISTINTAMENTE. E’ PERTANTO URGENTE CHE L'UMANITA’ (OGNUNO DI NOI NESSUNO ESCLUSO), INVECE DI AUTOGIUSTIFICARSI DEL MALE CHE COMPIE E FUGGIRE ALLE PROPRIE RESPONSABILITA', TORNI A DIO, SI RICONVERTA E INVOCHI MISERICORDIA. ----------------- ULTIMA PRECISAZIONE: SE UNO CREDE NEL VANGELO SA CHE QUESTE CATASTROFI SONO PERMESSE (E NON MANDATE) DA DIO PER RICORDARE ALL'UOMO LA SUA FRAGILITA' E CHIAMARE TUTTI A CONVERSIONE (MT 24) Paolo di Nazareth La sublime genialità della modernità è riuscita a creare eresie senza Dio; intendo correnti di pensiero eterodosse rispetto alla mentalità comune, dotate di una propria precisa visione del mondo, altrettanto eterodossa, di una fede settaria ed elitarista nella loro dottrina a confronto di quella del resto del mondo e di una venerazione per dei guru esistenti o presunti, conosciuti o di cui si è letto qualcosa. Fin qui niente di particolare, potremmo dire; ci saranno pur sempre state delle correnti filosofiche atee che si discostano dalla nostra normale visione. Eppure c’è una particolare nota che a volte colora il tutto con i toni ridicoli della parodia di sé stessi: queste eresie non di rado fanno riferimento alla Bibbia come ad un’autorità. La modificano, la adattano alle loro necessità, ne prendono in considerazione solo le parti utili, eppure non possono fare a meno di citarla, non di rado nella sua più mera letteralità, che si tratti di un racconto mitico o di una frase disposta in un certo contesto, oppure di un precetto esplicito.
Ecco allora che si mostra quanto sia utile la tradizione dell’interpretazione che si affianca ad un libro sacro, così come tutta la tradizione che lo circonda, che è in realtà ciò che le da valore. Non c’è religione senza la storia della religione stessa, non esiste un testo sacro che non abbia una sua critica, per quanto divina possa essere la sua origine. Credere di saltare tutto questo a piè pari non è solo fare un torto alla religione, ma è un torto al testo stesso; sarebbe come leggere la Divina Commedia senza sapere nulla del Cristianesimo, della storia del 1200-1300, di Dante e della lingua che usava. Senza questo non solo non si tiene conto di possibili opinioni intelligenti su un passo, ma anche del messaggio del testo stesso; se il nostro pensiero non viene messo in guardia dalla tradizione, noi cercheremo la storia dove c’è il mito, il precetto dove c’è l’apologo e così via. Baracani Nei tempi andati, nell'Europa di qualche secolo fa, con religione non si indicava ciò che si intende adesso. L'uomo era religioso, punto e basta. Era una virtù; una caratteristica dell'umano, più interna che esterna. Con esso si intendeva il rapporto dell'uomo con il trascendente, con il sacro, con lo straordinario.
Per quasi tutte le culture c'è in questo termine, o nelle sue varie traduzioni, una sorta di contratto tra l'uomo e il divino, in cui quest'ultimo concede il suo favore in cambio di riti, o devozione. Il riconoscimento della sovra-umanità è la garanzia alle regole comuni di comportamento, la base della convivenza sociale. Se per i cristiani questo contratto è una libera alleanza, in altre culture è imposizione, editto da rispettare, dovere da ottemperare. Avere una religione voleva dire quindi sottoporsi a questo legame. Chi non aveva religione, o ne aveva poca, voleva dire che non riconosceva l'ordinamento comune del mondo. Non riconoscendo le regole, era in qualche maniera fuori dalla società. Quello di cui si accusava i cristiani nei primi secoli era proprio questo: attribuendo la divinità al solo Cristo e non all'imperatore o altri dei erano considerati irreligiosi, ribelli alle regole e perciò pericolosi, capaci di tutto. La preoccupazione degli apologeti dei primi tempi era proprio questa: dimostrare che credere in Cristo non voleva dire non avere regole, ma avere una regola così alta da comprendere tutte le altre. La trasformazione del concetto di religione in quello moderno avviene quando si comincia a negare la trascendenza. Se si nega che esista qualcosa di più alto dell'uomo allora, se si vogliono avere regole, bisogna sostituire il divino con l'umano. O meglio: occorre dare all'umano un potere sovraumano, concedendogli quegli attributi che un tempo erano riservati alla divinità. Lo Stato è divinizzato; in alternativa il potente, la Costituzione, il Giudice, il Partito, il Mercato... tutte queste entità diventano soggetti religiosi, in quanto si pongono su un piano superiore all'uomo comune e impongono dei riti. Mentre però il trascendente è per definizione su un piano più alto della vita terrena, questi sostituti umani non possono dire altrettanto. Per suscitare fedeltà e imporsi devono usare un miraggio di progresso dal fiato corto, l'edonismo spicciolo del piacere oppure la forza. Tutte soluzioni che mancano di vera presa, e quindi incapaci nel tempo di mantenere la promessa, una regola giusta di vita, la felicità. Abbiamo quindi, oggi, questo paradosso: si riconosce il termine religione solo a quanto si riferisce ad una trascendenza pur essendoci soggetti che, negandola, ne assumono tutte le prerogative. Perché l'uomo in qualche maniera è obbligato a riconoscere di bastare a se stesso; di non essere abbastanza grande, di avere necessità di qualcosa di maggiore di lui. E' fatto così: anche se magari consciamente lo rifiuta, l'istante dopo si appella a questa religione che lo vincola. Che se è roba umana, ha lo stesso esatto problema di chi la pratica: non è abbastanza grande. Chi sposa la moda rimane presto vedovo, si dice. La religione del contemporaneo domani l'avrò già persa. Dal blog di Berlicche (link) “Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica”.(Filippesi 4:13)
Non è Triste che 1 € sembri tanto quando lo doniamo in chiesa e tanto poco quando facciamo shopping? Non è Triste che 1 ora sembri tanto lunga quando serviamo Dio, ma tanto corta quando assistiamo a una partita? Non è Triste che non pensiamo alle parole delle preghiere, ma abbiamo sempre la battuta pronta quando parliamo con un amico? Non è Triste sentire tanto sonno quando leggiamo un capitolo della Bibbia e invece non abbiamo problemi a leggere 100 pagine dell’ultimo romanzo di successo? Non è Triste che vogliamo sempre le poltrone in prima fila a Teatro o ad uno show, ma ci sediamo sempre nelle file in fondo alla chiesa? Non è Triste che abbiamo bisogno di 2 o 3 settimane di preavviso prima di prendere un impegno in chiesa, ma siamo sempre disponibili per altri programmi? Non è Triste che crediamo ai giornali, ma discutiamo la Bibbia? Non è Triste che inviamo migliaia di mail che si propagano come un incendio, ma quando riceviamo messaggi su Dio non li inviamo a nessuno? Non è Triste che quando farai una rassegna per inviare questo messaggio escluderai una montagna di gente che tu pensi non creda in niente? === “Egli è la fonte della mia (e tua) esistenza, è il mio (e tuo) Salvatore. Egli mi (e ti) sostiene ogni giorno”. "Senza di Lui io non sono (e sei) niente, ma con Lui io posso (e tu puoi) fare tutte le cose attraverso Gesù Cristo, che mi (e ti) fortifica”... se lo lasciamo agire.. È vero. Il Vangelo non ci dice nulla del volto di Maria. Come, del resto, non ci dice nulla del volto di Gesù.
Forse è meglio. Così a nessuno di noi viene tolta la speranza di sentirsi dire un giorno, magari da un arcangelo di passaggio: «Lo sai che a tua madre e a tuo fratello rassomigli tanto?». Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima. La quale, senza neppure 1'ombra del peccato, era limpida a tal punto che Dio vi si specchiava dentro. Come le montagne eterne che, lì sulle Alpi, si riflettono nella immobile trasparenza dei laghi. Parlo, anche, del suo corpo di donna. La teologia, quando arriva a questo punto, sembra sorvolare sulla bellezza fisica di lei. La lascia celebrare ai poeti: «Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sì che in te sua luce ascose...». La affida alle canzoni degli umili: «Mira il tuo popolo, o bella Signora...». O agli appassionati ritornelli della gente: «Dell' aurora tu sorgi più bella... non vi è stella più bella di te». O al rapido saluto di un' antifona: «Vale, o valde decora». Ciao, bellissima! O alle allusioni liturgiche del Tota pulchra. Tutta bella sei, o Maria. Sei splendida, cioè, nell' anima e nel corpo! Essa però, la teologia, non va oltre. Non si sbilancia. Tace sulla bellezza umana di Maria. Forse per pudore. Forse perché paga di aver speso tutto speculando sul fascino soprannaturale di lei. Forse perché debitrice a diffidenze non ancora superate circa la funzione salvifica del corpo. Forse perché preoccupata di ridurre l'incanto di lei a dimensioni naturalistiche, o timorosa di dover pagare il dazio ai miti dell' eterno femminile. Eppure, non dovrebbe essere difficile trovare nel Vangelo la spia rivelatrice della bellezza corporea di Maria. C'è una parola greca molto importante, carica di significati misteriosi che non sono stati ancora per intero esplicitati. Questa parola, che fonda sostanzialmente tutta la serie dei privilegi soprannaturali della fanciulla di Nazaret, risuona nel saluto dell'angelo: «Kecharitomène». Viene tradotta con l'espressione «Piena di grazia». Ma non potrebbe trovare il suo equivalente in "graziosissima", con allusioni evidenti anche all'incantevole splendore del volto umano di lei? Credo proprio di sì. E senza forzature. Così come senza forzature Paolo VI, in un celebre discorso del 1975, ha avuto l'ardire di parlare per la prima volta di Maria come «la donna vestita di sole, nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrumani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale». Santa Maria, donna bellissima, attraverso te vogliamo ringraziare il Signore per il mistero della bellezza. Egli l'ha disseminata qua e là sulla terra, perché, lungo la strada, tenga deste, nel nostro cuore di viandanti, le nostalgie insopprimibili del cielo. La fa risplendere nella maestà delle vette innevate, nell'assorto silenzio dei boschi, nella forza furente del mare, nel brivido profumato dell' erba, nella pace della sera. Ed è un dono che ci inebria di felicità perché, sia pure per un attimo appena, ci concede di mettere lo sguardo nelle feritoie fugaci che danno sull' eterno. La fa rifulgere nelle lacrime di un bambino, nell' armonia del corpo di una donna, nell'incanto degli occhi suoi ridenti e fuggitivi, nel bianco tremore dei vegliardi, nella tacita apparizione di una canoa che scivola sul fiume, nel fremito delle magliette colorate dei corridori che passano veloci in un' alba di maggio. Ed è un dono che ci dispera perché, come ha detto qualcuno, questa ricchezza si gioca e si perde al tavolo verde del tempo. Santa Maria, donna bellissima, splendida come un plenilunio di primavera, riconciliaci con la bellezza. Tu lo sai che dura poco nelle nostre mani rapaci. Sfiorisce subito sotto i nostri ingordi contatti. Si dissecca improvvisamente al soffio maligno delle nostre roventi cupidigie. Si contamina presto all'urto delle nostre latenti lussurie. Non la sappiamo trattare, insomma. E lo scavo struggente che ci produce nell' anima, invece che avvertirlo come anfora di felicità che ci fa cantare di gioia, lo avvertiamo come ferita inguaribile che ci fa gridare di dolore. Aiutaci, ti preghiamo, a superare le ambiguità della carne. Liberaci dal nostro spirito rozzo. Donaci un cuore puro come il tuo. Restituiscici ad ansie di incontaminate trasparenze. E toglici la tristezza di dover distogliere gli occhi dalle cose belle della vita, per timore che il fascino dell' effimero ci faccia depistare i passi dai sentieri che portano alle soglie dell' eterno. Santa Maria, donna bellissima, facci comprendere che sarà la bellezza a salvare il mondo. Non lo preserveranno dalla catastrofe planetaria né la forza del diritto, né la sapienza dei dotti, né la sagacia delle diplomazie. Oggi, purtroppo, nella deriva dei valori, stanno affondando anche le antiche boe che un tempo offrivano ancoraggi stabili alle imbarcazioni in pericolo. Viviamo stagioni crepuscolari. Però, in questa camera oscura della ragione c'è ancora una luce che potrà impressionare la pellicola del buon senso: è la luce della bellezza. È per questo, santa Vergine Maria, che vogliamo sentire il fascino, sempre benefico, anche del tuo umano splendore, così come sentiamo la lusinga, talvolta ingannatrice, delle creature terrene. Perché la contemplazione della tua santità sovrumana ci aiuta già tanto a preservarci dalla palude. Ma sapere che tu sei bellissima nel corpo, oltre che nell' anima, è per tutti noi motivo di incredibile speranza. E ci fa intuire che ogni bellezza della terra è appena un ruvido seme destinato a fiorire nelle serre di lassù. Don Tonino Bello |
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Dicembre 2022
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