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Perché Gesù non fu un kamikaze

14/1/2015

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I due fratelli Kouachi avevano fatto sapere di voler morire “da martiri”, e ci sono riusciti. Queste parole vengono mormorate a mezza bocca e, non di rado, con una certa ammirazione, da qualche cristiano che, ribadendo l’orrore per le stragi francesi, malcela stima per la coerenza di chi sa dare la propria vita per le proprie idee, di chi sa arrivare alle conseguenze estreme cui possono portare le proprie convinzioni. Oltretutto poiché Charlie Hebdo è, sì irriverente contro tutto e tutti, ma, spesso, pesantemente dissacrante verso le religioni, c’è chi si sente “nello stretto” a condannare “solo”, e senza mezzi termini – come ha fatto Papa Francesco – la crudeltà manifestatasi nella “tre giorni più lunghi di Francia”.

Il cristiano che vorrebbe “più coerenza e forza” tra i propri fratelli perché rimane abbagliato dal “martirio” dei kamikaze, dovrebbe sapere che esso è del tutto estraneo a Gesù e al cristianesimo. Perché Gesù non è stato un kamikaze. Infatti Gesù – ecco il primo motivo – non si uccide, ma accetta che la vita gli venga la tolta. È vero che “nessuno gliela prende ed egli la dona” (cfr Gv 10, 18) ma ciò va inteso nel senso di non deflettere dal proprio amore nonostante ciò lo farà a morire. Inoltre Egli – ecco la seconda differenza con i kamikaze – ama i propri nemici e dà la vita per essi: non li uccide, ma perdona chi gli ha arrecato offesa (cfr Lc 23,34). Gesù abbraccia il dolore per dare la vita, non per dare la morte. In sintesi, il kamikaze si toglie la vita per togliere la vita: Gesù invece dona la vita anche se vuol dire perderla e ciò compie in favore dei nemici. Si comporta come un genitore che si sottopone a una terapia dolorosa al fine di vivere ancora un po’ per poter così stare vicino a chi ha bisogno di lui. Il valore centrale del cristianesimo è l’amore, non la coerenza che porta a morire.

Questa posizione è stata visibilissima nella chiesa a metà del III secolo a proposito della questione della riammissione dei lapsi, cioè di quei cristiani che al momento delle persecuzioni abiuravano Cristo. C’era chi pensava non potessero essere perdonati. Erano i rigoristi che, in fondo, credevano più nella coerenza che nel perdono frutto dell’amore, convinti che fosse impossibile ripristinare la purezza di una fede rovinata dall’incoerenza. Contro di loro si erse soprattutto Ambrogio a dimostrare attraverso il vangelo di come l’amore che perdona sia il cuore del messaggio di Cristo.

La posizione di Gesù, così sublime, è in realtà la più umana. Francesco, il padre di Erika De Nardo, la ragazza che 15 anni fa uccise madre e fratello a Novi Ligure, alla domanda su quale fosse la sua speranza dichiarò “che tutto questo finisca quanto prima e io possa tornare a vivere con mia figlia”. Sua figlia era tutta la famiglia che gli era rimasta ed era anche la responsabile che della famiglia di prima non ci fosse più nessuno. È incomprensibile, folle ed incoerente questo atteggiamento paterno? a me sembra semplicemente umano.

Di Don Mauro Leonardi
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