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MOSTRARE LA VERITA' E' IL VERO ATTO D'AMORE

10/4/2016

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Questa è la nostra prima vocazione: essere santi, perché il Signore nostro Dio è santo. Vorrei giungere a mettere Dio al centro dei nostri pensieri, al centro del nostro agire, al centro della nostra vita, l'unico posto che Egli dovrebbe occupare. In modo che il nostro cammino di cristiani possa gravitare intorno a questa roccia e a questa ferma certezza della nostra fede. Voglio testimoniare la bontà di Dio, attraverso il racconto della mia esperienza. Dio è al primo posto nella nostra vita, perché Egli ci ama e che il modo migliore per farlo è amarLo il centuplo. Il mondo occidentale ha purtroppo dimenticato la centralità dell'amore divino. E necessario recuperare questa relazione con Dio. Per questo, la mia testimonianza è lì per invitare il mondo a non rifiutare Dio. Quando guardo la mia vita, vi vedo, infatti, il segno reale della predilezione divina. Vengo da una semplice famiglia africana e da un villaggio molto remoto dal centro della città. Chi avrebbe potuto dire quando sono nato tutto ciò che Dio avrebbe compiuto? Per diventare seminarista e sacerdote, sono andato dalla Guinea al Senegal passando per la Costa d'Avorio e la Francia. Successivamente, sono diventato vescovo di Conakry in condizioni difficili. Poi sono stato chiamato a Roma, nel cuore della Chiesa. Come tacere, dal momento che ogni fase della mia vita forma un chiarissimo segno dell'azione di Dio su di me?

Oggi constatiamo sempre più che l'uomo cerca di prendere il posto di Dio, che la liturgia diventa un semplice gioco umano. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle nostre ideologie pastorali e di opzioni politiche di parte che nulla hanno a che vedere con il culto spirituale per celebrare come voluto da Dio, il pericolo è immenso. Mi appare urgente mettere più attenzione e fervore nella formazione liturgica dei futuri sacerdoti. La loro vita interiore e la fecondità del loro ministero sacerdotale dipendono dalla qualità del loro rapporto con Dio nel faccia a faccia quotidiano che la liturgia ci dona di sperimentare. Bisogna assolutamente conservare fedelmente e accuratamente i dati essenziali della fede cristiana in una intelligenza che cerca di esplorarli in profondità e comprenderli in maniera attiva e sempre nuova. Ma dobbiamo mantenere intatto il deposito della fede e tenerlo al riparo da qualsiasi violazione e da qualsiasi alterazione. Se la Chiesa comincia a parlare come il mondo e ad adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettar di cambiare il suo modo di giudizio morale, e, quindi, dovrà abbandonare la sua pretesa di voler illuminare e guidare le coscienze. Così facendo la Chiesa dovrà abbandonare la sua pretesa di essere luce di verità per i popoli. «Dovrà rinunciare a dire che ci sono beni che sono dei fini, che è nobile che l'uomo li persegua non soltanto come valore ma come obiettivo. Soprattutto, dovrà rinunciare a dire che ci sono atti che sono intrinsecamente malvagi di per sé e che nessuna circostanza li consente». Quindi penso che il Magistero deve stare fermo come una roccia. Infatti, se si crea un dubbio, se il magistero si situa nel tempo in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare. L'urgenza effettiva di oggi sta nella stabilità che deve avere l'insegnamento della Chiesa. Il Vangelo è lo stesso. Non cambia. Naturalmente c'è sempre bisogno di un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non possiamo, con il pretesto che esse non ascoltano più, adattare la formulazione della dottrina di Cristo e della Chiesa alle circostanze, alla storia o alla sensibilità di ognuno. Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente.

C'è un lavoro enorme da fare a questo proposito: rendere comprensibile l'insegnamento della Chiesa, mantenendo intatta la dottrina di base. Ed è per questo che è inammissibile separare la pastorale dalla dottrina: una pastorale senza dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia. Penso sia grave lasciare che un sacerdote o un vescovo dica cose che minano o rovinano il deposito della fede, senza chiedergliene conto. Come minimo, Bisognerebbe interpellarlo e chiedergli di spiegare i motivi delle sue osservazioni, senza esitare a richiedere la riformulazione in modo coerente con la dottrina e l'insegnamento secolare della Chiesa. Non possiamo permettere che la gente dica o scriva qualunque cosa sulla dottrina, la morale; cosa che attualmente disorienta i cristiani e crea grande confusione su ciò che Cristo e la Chiesa ha sempre insegnato. La Chiesa non deve mai rinunciare al suo titolo di Mater et Magistra : il suo ruolo di madre e di educatrice del popolo. Come sacerdoti, vescovi o semplici laici, sbagliamo a non dire che qualcosa non va. La Chiesa non deve esitare a denunciare il peccato, il male e ogni cattiva condotta o perversione umana. La Chiesa assume, per conto di Dio, un'autorità paterna e materna. E questa autorità è un servizio umile per il bene dell'umanità. Oggi soffriamo un deficit di paternità. Se un padre di famiglia non dice nulla ai suoi figli sul loro comportamento, non agisce come un vero padre. Egli tradisce la sua ragione e la sua missione paterna. Il primo dovere di un vescovo, quindi, è quello di interpellare un prete, quando le su dichiarazioni non sono conformi alla dottrina. Questa è una responsabilità pesante. Quando Giovanni Battista ha detto ad Erode: «Tu non hai il diritto di prendere la moglie di tuo fratello» , ci ha rimesso la vita. Purtroppo, oggi l'autorità spesso tace per paura di passare come particolarmente intollerante o di capitolare. Come se mostrare la verità a qualcuno significasse volgersi agli intolleranti o fondamentalisti mentre si tratta di un atto di amore.

Cardinale Robert Sarah
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